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UNDICESIMA SERIE

AVVERTENZA

1. Con questo volume, il terzo della serie undicesima, si conclude la pubblicazione del materiale documentario relativo alla politica estera del quinto ministero De Gasperi. Il volume inizia il 1° luglio 1949 e termina il 26 gennaio 1950. Contiene quindi i documenti riguardanti gli ultimi sette mesi d’attività di quel lungo ministero, che è stato protagonista dei due fondamentali negoziati che hanno portato alla partecipazione dell’Italia al Trattato dell’Atlantico del Nord (4 aprile 1949), come membro originario, e al suo ingresso ufficiale nel processo di integrazione europea che ebbe il suo inizio formale con l’istituzione del Consiglio d’Europa (5 maggio 1949).

Nei primi due volumi di questa serie si sono ampiamente documentati tali negoziati. Nel presente volume, molto più breve degli altri due, c’è anzitutto il materiale che riguarda l’esecuzione dei suddetti trattati: progetti e discussioni per quel che sarà la struttura organizzativa della futura NATO; primi tentativi di funzionamento e dialettica tra Consiglio dei ministri e Assemblea consultiva per quanto riguarda il Consiglio d’Europa. Sul primo problema vi sono nel volume i documenti che indicano l’impegno con cui da parte italiana si è rivendicata la parità nel processo decisionale, sia pure limitatamente ai settori geografici di più diretto interesse, impegno che coinvolse direttamente non solo i ministeri competenti degli Esteri e della Difesa ma anche la stessa Presidenza del Consiglio. Sul secondo problema è visibile dai documenti pubblicati quanto i rappresentanti italiani hanno operato per comporre gli antagonismi, ma è anche evidente un sottile scetticismo sulle possibilità operative della nuova istituzione. Dal confronto fra i documenti sul primo e sul secondo argomento emerge chiaramente che l’Alleanza nord-atlantica è una organizzazione pienamente vitale, mentre il Consiglio d’Europa si avvia fin dall’inizio verso un lento ma inesorabile declino.

Il tema di maggior rilevanza, nella documentazione selezionata, è però quello della sorte delle colonie italiane prefasciste. Mancata l’approvazione nell’Assemblea delle Nazioni Unite del cosiddetto compromesso Bevin-Sforza, il Governo italiano modificò alquanto la sua posizione rispetto alla Libia, per la quale prese a sostenere una formula complessa: indipendenza separata per Cirenaica e Tripolitania con prospettiva di federazione tra di esse, accettazione che la Cirenaica nascesse sotto l’egida della Confraternita senussita, proposta che la Tripolitania fosse, per trattato, legata all’Italia soprattutto per quanto riguardava la sfera economica: un trattato abbastanza singolare, ossia concepito in termini tali da far risultare nella sostanza l’indipendenza della Tripolitania una sorta di condominio italo-tripolitano. Dalle discussioni all’Assemblea delle Nazioni Unite, che si svolsero per due mesi, dalla metà di settembre al 21 novembre, non venne presa, per il problema libico, nessuna decisione, se non quella di un rinvio alla prossima sessione dei suoi lavori, ma con una importante prospettiva: cominciava a farsi strada l’ipotesi di una sua indipendenza completa. Per la colonia primigenia, l’Eritrea, dopo la rinunzia alla richiesta di trusteeship implicita nel compromesso Bevin-Sforza, la posizione italiana rimase ferma sulla tesi dell’indipendenza del paese, sia pure con cessioni di varia natura, territoriale e non, a favore dell’Etiopia, ma la decisione sulla sua sorte venne ugualmente rinviata. Per la Somalia infine, l’Assemblea delle Nazioni Unite decise di assegnare all’Italia, ma per soli dieci anni, la tanto invocata amministrazione fiduciaria. Si concluse così per l’Italia la singolare vicenda della sorte futura delle ex colonie prefasciste che ha, sorprendentemente, stando alla documentazione esistente, tanto impegnato la diplomazia italiana fino a farla divenire una delle più importanti questioni trattate nei tre volumi iniziali di questa serie.

Nell’estate del 1949 tese a tornare alla ribalta il problema del Territorio Libero di Trieste, dove crescevano gli sforzi della Jugoslavia di sfruttare a suo favore la sua posizione a mezza strada tra l’Oriente e l’Occidente. Anche in questo caso si è pubblicato quanto poteva essere utile a comprendere ansie, preoccupazioni e possibili contromosse del Governo italiano, anche se la prospettiva di ottenere l’integrale applicazione della dichiarazione anglo-franco-americana del 20 marzo 1948 diviene sempre meno concreta.

Un cenno merita infine la documentazione relativa a chi nasce e a chi muore nel panorama internazionale. Nasce la Repubblica popolare cinese, il 1° ottobre, e si pose per l’Italia, come per gli altri paesi della comunità internazionale, il problema del suo riconoscimento perché non si trattava solo di una semplice successione di Governi a Pechino: il vecchio Governo di Chiang Kai-shek continuava ad esistere, sia pure trasferito nell’isola di Taiwan. Tra le due tesi, quella britannica del riconoscimento immediato e quella americana del rinvio, che si contendono il campo nel mondo occidentale, l’Italia era orientata verso il riconoscimento ma finì poi con l’allinearsi alla posizione americana, per solidarietà e visto che non c’erano in gioco concreti interessi italiani.

La documentazione sulla nascita della Repubblica Federale di Germania ci riporta ad una situazione spesso dimenticata o trascurata. Le lettere di accreditamento del rappresentante italiano sono indirizzate ai tre Alti Commissari alleati che siedono al Petersberg e non al presidente Theodor Heuss, che però riceverà i diplomatici stranieri in occasione della cerimonia per gli auguri di Capodanno! Tra di essi, quello francese è André François-Poncet, una vecchia conoscenza per l’Italia, dove era stato ambasciatore dalla fine d’ottobre del 1938 al 10 giugno 1940, quando aveva ricevuto da Ciano la dichiarazione di guerra dell’Italia. Babuscio Rizzo, il rappresentante italiano, non si presentò a lui con il capo cosparso di cenere ma fu ugualmente accolto con simpatia, amicizia e promesse di collaborazione.

Su tutti questi temi maggiori, come pure su quelli minori come al solito presenti nel volume (applicazione dell’accordo De Gasperi-Gruber, Unione doganale italo-francese, negoziati con la Jugoslavia e con l’Unione Sovietica, pagamento delle riparazioni, ristabilimento delle relazioni diplomatiche con la vicina Albania, rapporti con i paesi dell’America latina, atteggiamento verso i paesi del vicino e medio Oriente), la scelta del materiale è stata effettuata in modo da rispettare, dal punto di vista quantitativo, il rapporto fra di loro quale risulta dall’insieme delle carte esistenti nel-l’Archivio storico del Ministero per il periodo qui considerato.

2.- Questa precisazione ci porta a ricordare le altre fonti che hanno concorso a costituire la documentazione raccolta in questo volume. Esse sono l’Archivio centrale dello Stato, gli Archivi degli Uffici storici delle tre Forze armate, e, soprattutto, l’Archivio privato Sforza e l’Archivio personale De Gasperi. A proposito del primo è da dire che le carte rimaste a Strasburgo presso la nuora di Sforza, dopo il versamento effettuato all’Archivio centrale dello Stato nel 1954 (e inventariate nel 1988), sono ora conservate presso l’Archivio storico del Ministero. Circa l’Archivio De Gasperi, devo ringraziare sentitamente e con viva gratitudine la signora Maria Romana Catti De Gasperi per avere ancora consentito di consultarlo nelle more del suo definitivo trasferimento all’Istituto universitario europeo di Firenze. - 3.- Nelle varie monografie aventi per oggetto i problemi toccati dal materiale contenuto in questo volume, sono riportati, integralmente o in parte, vari documenti che qui si pubblicano. Non se ne è potuto fare riferimento nelle note dato il loro numero. Quanto alle memorie dei protagonisti si è dato conto solo dei documenti già pubblicati dal ministro degli esteri Carlo Sforza nel suo volume Cinque anni a Palazzo Chigi (Roma, Atlante, 1951), perché costituiscono una traccia significativa per il lettore. 4.- Questo volume, come i due precedenti, è il risultato di un lavoro collettivo compiuto con capacità e passione dal personale della segreteria tecnica della Commissione. In particolare, devo ringraziare la dott. Antonella Grossi e la dott. Francesca Grispo, del ruolo esperti della ricerca, alle quali si deve la primitiva individuazione del materiale utile per la pubblicazione nell’Archivio storico del Ministero e negli altri archivi ricordati e, dopo la mia selezione di quello da pubblicare, la sua preparazione per la stampa, l’indice sommario e la tavola metodica, ossia il complesso delle attività necessarie per costruire il volume. Il ringraziamento è tanto più vivo in quanto la qualità del loro lavoro è stata come al solito assolutamente eccellente. Con loro ha collaborato nella ricerca archivistica la dott. Paola Tozzi-Condivi che, pur di diverso ruolo, ha svolto il suo compito ad un livello elevato. A lei si deve anche la preparazione dell’indice dei nomi, mentre il delicato compito della decifrazione e trascrizione degli autografi è stato svolto dalla signora Andreina Marcocci. Anche a loro un sentito ringraziamento.

PIETRO PASTORELLI

1 Con l’ordine di servizio n. 43 del 9 novembre 2006 il Ministro degli Esteri ha disposto ladeclassifica di tutti i documenti di carattere politico per gli anni 1948-1950. I documenti inclusi nel presente volume vengono però come sempre pubblicati con l’indicazione della classifica originale.


DOCUMENTI
1

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 5532/C. Roma, 1° luglio 1949, ore 15,15.

Seguito 5506/C.1.

Mallet ha oggi espresso avviso che in prima fase dovrebbero aversi conversazioni italo-inglesi di cui francesi e americani verrebbero tenuti al corrente; quando queste conversazioni fossero sufficientemente progredite potrebbero trasformarsi in conversazioni a quattro. Abbiamo risposto che siamo in massima d’accordo, che tuttavia siamo d’avviso che nelle conversazioni italo-inglesi appare necessario chiarire previamente aspetto politico questione in discussione da aspetti tecnici. Questi ultimi infatti, secondo nostre proposte, derivano dal presupposto che Tripolitania venga lealmente riconosciuta come paese di influenza italiana. È importante chiarire questo punto anche per scelta nostro funzionario da inviare a Londra per proposte conversazioni.

Abbiamo anche espresso opinione che, ad un certo momento, converrà trattare con paesi arabi e avere loro accordo senza del quale non si potrà ottenere O.N.U. necessaria maggioranza.

Mallet telegrafa Londra per avere chiarimenti su quanto precede2.

2 Con T. segreto 5556/288 in pari data Zoppi telegrafava a Londra: «Seguito 5532/C. A Mallet ho detto che accordo con paesi arabi, mentre è indispensabile per questione libica, facilita anche questione Somalia. Se infatti concordiamo per Tripolitania una soluzione che li soddisfi possiamo indurli votarea favore amministrazione fiduciaria italiana in Somalia o ad astenersi; in entrambi casi verrebbe così assicurata maggioranza che per pochi voti è mancata a Lake Success». Per le risposte da Londra e Washington vedi rispettivamente DD. 5 e 3.

1 1 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1119, nota 3.

2

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 5553/374. Roma, 1° luglio 1949, ore 21,30.

Mio 3671.

Per norma di linguaggio ed anzi di silenzio, se è tempo ancora, la informo che in seguito ai miei passi a Washington Governo americano mi ha assicurato che per qualsiasi Comitato militare supremo esso trova naturale e legittima la presenza di un generale italiano.

Soluzione è così naturale che non ho bisogno aggiungere quanto fuori di posto sarebbe qui o altrove una vanteria verso Francia che aveva avuto un diverso pensiero2.

3

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7162/502. Washington, 1° luglio 1949, ore 21,40 (perv. ore 10,10 del 2).

Ho rivisto oggi Rusk. Circa procedura egli ha ammesso che Gran Bretagna non (dico non) vede con favore conversazione a quattro, sopratutto qui. Peraltro ha confermato opportunità continuare consultazioni iniziate a livello uffici, le quali, malgrado attuale riluttanza britannica, potrebbero trasformarsi in contatti a livello più alto. Ha confermato altresì che, in tal caso, converrebbe trasportare negoziati a New York ed inserirvi Messico e Turchia. Gli ho accennato in termini assai generici a possibilità conversazioni bilaterali a Londra ed egli ha mostrato non (dico non) essere al corrente iniziative di cui a telegrammi ministeriali 5506/C.1 e 5532/C.2. Circa sostanza del problema libico Rusk si è richiamato a noto progetto in elaborazione presso Dipartimento Stato, promettendo che tra breve esso assumerà forma più precisa ed insistendo su opportunità che da parte nostra, oltre che da parte francese ed inglese, si manifesti qualche opinione su progetto medesimo, eventualmente anche in forma preliminare o condizionata.

Ho fatto rilevare a Rusk:

1) progetto da lui menzionato ci è stato comunicato in forma assai vaga ed in sede tale che ambasciata britannica, avendo ricevuto analoga comunicazione, non (dico non) le attribuisce carattere ufficiale;

2) opinione italiana su detto progetto risulta implicitamente da quanto abbiamo ripetuto più volte circa nostra impostazione problema libico (riconoscimento aspirazione popolazioni locali, volontà esaminare senza preconcetti qualsiasi formula giuridica, necessità salvaguardare parallelismo rapporti Italia Tripolitania e Gran Bretagna Cirenaica ecc.);

3) valutazione del progetto americano sarebbe in ogni caso imperniata su poteri che progetto medesimo proporrà attribuire Comitato consultivo e che per ora non appaiono affatto chiari.

Ho altresì ripetuto a Rusk punto di vista italiano su Eritrea. Rusk, pur dichiarandosi scarsamente informato delle ragioni che a suo tempo hanno provocato noto impegno americano verso Etiopia, ha ripetuto che, almeno finora, atteggiamento Governo di Washington in proposito è immutato. Continuo a tenermi in contatto con ambasciate Francia e Gran Bretagna.

Riferirò dettagliatamente con corriere speciale in partenza lunedì3.

2 1 Del 28 giugno, non pubblicato.2 Si riferisce alle informazioni fornite in proposito da Quaroni a seguito del colloquio con ilgen. Revers del 4 maggio, vedi serie undicesima, vol. II, D. 871. Per la risposta vedi D. 6.3 1 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1119, nota 3. 2 Vedi D. 1.

4

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A IL CAIRO, FRACASSI

T. S.N.D. 5567/78. Roma, 2 luglio 1949, ore 12,15.

Suo 591.

Confermi a nota personalità nostre disposizioni quali risultano da mia lettera 26802, gli dica che stessa conferma riceverà da parte Libano col cui ministro affari esteri, qui di passaggio, mi sono intrattenuto oggi. Non vediamo difficoltà, anzi riteniamo tanto più opportuno dopo aperture da noi fattegli, che B.[oshir] S.[aadawi] si rechi a Tripoli e si renda conto esatta situazione colà, prima avere noi abboccamenti progettati. Gradiremmo sapere data, anche approssimativa, suo ritorno Cairo.

3 3 Lo fece con R. segreto 5765/2515 del 2 luglio, non pubblicato. Con T. segreto 7159/503, paridata, Tarchiani inoltre aggiunse: «Ho motivo di ritenere che, [nel] colloquio di ieri con incaricato d’affaribritannico, Rusk si sia espresso, circa conversazioni a quattro, in termini sostanzialmente analoghi a quelli usati con Bonnet e con me. Peraltro, poiché in odierna conversazione con me Rusk ha ammesso scarsofavore della Gran Bretagna verso tale procedura, si deve supporre che reazione Hoyer Millar non (diconon) sia stata incoraggiante».

4 1 Del 1° luglio, con il quale Fracassi aveva comunicato la disponibilità di Boshir Saadawi acollaborare con il Governo italiano per la questione tripolina.2 Del 27 giugno, non pubblicata, ma vedi serie undicesima, vol. II, DD. 1109 e 1144.

5

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7172/304. Londra, 2 luglio 1949, ore 13,55 (perv. ore 17,15).

Telegramma V.E. 5532/C.1.

Ho riparlato stamane a Strang della opportunità di mettere subito in chiaro la base politica delle conversazioni i cui aspetti tecnici potranno essere poi sviluppati.

Strang preferirebbe ritardare di qualche giorno senza dare un motivo preciso: mia supposizione è che Foreign Office preferirebbe condurre a termine discussioni col senusso cui arrivo è previsto per 8 corrente.

Appunto per questo converrebbe, a mio avviso, che Alessandrini venisse qui al più presto in modo da potermi informare verbalmente in ogni dettaglio del pensiero di V.E. sulle conversazioni da tenere con gli inglesi. Sua presenza mi darebbe la possibilità di accelerare i tempi per superare eventuale tattica dilatoria del Foreign Office con cui lo metterei appena possibile in contatto.

Strang mi ha riconfermato molto precisamente punto di vista espresso da Mallet ossia che per ora si cominciasse con conversazioni a due delle quali altri fossero tenuti al corrente poiché conversazioni più formali a quattro non approderebbero a nulla senza previa chiarificazione tra noi su punti principali2.

6

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 7178/351. Parigi, 2 luglio 1949, ore 17,15 (perv. ore 19,30).

Suo 3741.

Avrei dovuto vedere Schuman soltanto domani: mi limiterò quindi, parlandogli di altre cose, a ripetergli in via molto generica importanza anche psicologica che que

2 Il 4 luglio, con T. per telefono 7250/308 delle ore 17,20, Gallarati Scotti comunicò ancora:«Wright mi ha oggi convocato per dirmi che a parere del Foreign Office sarebbe assai utile che Alessandrini non perdesse occasione di essere in Tripolitania contemporaneamente alla nota Commissione inglese di studio recandovisi cioè immediatamente». Alle ore 21 dello stesso giorno Sforza rispose: «Alessandrini sarà Tripoli mercoledì, vi si fermerà otto, dieci giorni e verrà subito dopo Londra per note conversazioni» (T. segreto 5684/293).

stione ha per noi. Poiché in questa questione noi non (dico non) possiamo contare su appoggio e solo limitatamente su comprensione Governo francese.

Avere in questa materia specie trusteeship per Italia è cosa che solletica amor proprio francese e Francia vi vede molto importante mezzo influenza su di noi. Dobbiamo quindi attenderci, quale che sia comprensione personale Schuman, azione francese la quale cercherà nella misura sue possibilità ostacolare anziché facilitare ammissione generale italiano o per lo meno ridurla a presenza occasionale quando si tratta questioni grande strategia concernenti Italia.

Quello che posso fare, e mi adopererò per farlo, è ridurre questa opposizione minimo inevitabile ed evitare che nostra azione crei malumori.

5 1 Vedi D. 1.

6 1 Vedi D. 2.

7

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. PERSONALE1. Roma, 2 luglio 1949.

In seguito ai miei passi, Dunn è venuto a dirmi che il suo Governo si rende conto della necessità di un diretto rappresentante italiano nel Comitato militare del Patto atlantico.

Tanto meglio. Ho preso atto. Ora tutto ciò deve rimanere un segreto, e non divenire una vanteria nazionalista verso la Francia2.

Informerò in questo senso Pacciardi.

8

L’INCARICATO D’AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7238/55. Madrid, 3 luglio 1949, ore 23,45 (perv. ore 7,30 del 4).

Istruzioni di cui telegrammi 53 e 541 mi hanno dato occasione ritornare in argomento che avevo già esposto a Suñer e Arguelles per precisare ancora meglio nostro punto di vista e per stabilire la linea generale nostra posizione circa trattative commerciali.

2 Per le istruzioni date in proposito a Quaroni vedi D. 24.

Arguelles, che ho trovato molto comprensivo, ha ricevuto istruzioni iniziare conversazioni con me e con Di Nola. Abbiamo già tenuto alcune riunioni. Spero essere fra giorni in condizioni sottoporre a codesto Ministero nuove proposte circa liste.

Desidero intanto far presente quanto segue:

1) tenuto conto nostre necessità portare cambio pesetas a 51, nostra accettazione cambi speciali creati da Governo spagnolo, anche se possa discutersi insufficienza di alcune di esse, costituisce non più nostra concessione ma solo possibilità che ci rimane di girare difficoltà, che altrimenti rimarrebbe insuperabile, del cambio a 51.

Ammesse merci interessanti esportazioni italiane sono coperte da un cambio speciale. Non è lo stesso per le merci interessanti esportazioni spagnole verso Italia, ed è proprio su queste ultime che i cambi speciali possono avere utile effetto correttivo. Ho fatto pertanto presente a Arguelles opportunità che fissazione cambi speciali per esportazioni spagnole abbia luogo prima di stipulare nuovo accordo e in qualche caso d’intesa con noi (vedi tonno). Solo così si potrà da parte nostra esaminare collocabilità su nostro mercato di importanti contingenti quali colofonia, acqua ragia, ecc. Arguelles mi è sembrato in massima d’accordo ed ha promesso darmi in argomento una risposta più precisa.

2) Nel valutare liste bisognerà tenere conto situazione grave disagio economico ed assoluta mancanza divise in cui si trova questo paese; nonché circostanza, importantissima, che Francia, che aveva interrotto rapporti commerciali con Spagna da molti anni, si è di nuovo reinserita, con cifre altissime, nel mercato spagnolo modificando sostanzialmente situazione generale che esisteva nel giugno 1947 quando stipulammo nostro ultimo accordo commerciale.

Richieste di materiale elettrico e pesante che furono presentate a noi sono state presentate a tutti gli altri paesi e ultimo accordo commerciale con Francia, sul quale ho eseguito dettagliati studi che trasmetto a codesto Ministero, comporta, su undici miliardi e mezzo di franchi di esportazione francesi, forniture per oltre due miliardi e mezzo di materiale ferroviario rotabile e fisso, di macchinari pesanti, di macchine utensili, di prodotti metallurgici e leghe. Contro dette forniture francesi Spagna fornisce sopratutto prodotti ortofrutticoli, frutta, vini e pesce per un 50% del totale previsto di undici miliardi e mezzo di franchi di esportazioni spagnole e materie prime soltanto per un 11%.

Ritengo che convenienza per l’Italia di concludere o meno accordo con Spagna debba essere valutata alla luce di elementi che costituiscono dati di fatto della situazione spagnola dai quali non sarà, entro certi limiti, possibile prescindere.

7 1 Autografo.

8 1 Vedi serie undicesima, vol. II, DD. 1063 e 1066.

9

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, CON IL MINISTRO DI EGITTO A ROMA, HAKKI BEY

APPUNTO. Roma, 4 luglio 1949.

Ho ricevuto il ministro di Egitto che mi ha chiesto se confermavo la mia recente intervista a Il Tempo1 e, in generale, se potevo permettergli di chiarire in modo fermo al suo Governo i principi della nostra politica in Libia.

Gli ho risposto che egli poteva garantire al suo Governo che i nostri principi essenziali erano i seguenti:

1) l’indipendenza della Tripolitania con intese dirette fra noi e quel paese, per garantire e sviluppare, nell’interesse stesso del popolo tripolino, i nostri interessi colà;

2) nostra piena simpatia per il concetto dell’unità della Libia e, per conseguenza, nostra ferma decisione di niente propugnare o fare che possa essere contrario al raggiungimento di questo ideale.

Gli aggiunsi che non potevo entrare in maggiori dettagli perché molta parte della nostra azione dipendeva dal nostro desiderio di andare d’accordo con l’Inghilterra, ma che i principi sopra esposti rimanevano fermissimi.

Il ministro volle spiegarmi come fu che in un recente passato l’Egitto non fu sempre su una stessa linea con noi e mi disse sperare che ciò non sarebbe un ostacolo alla desiderata erezione delle due rappresentanze in ambasciata.

Gli ho risposto che bisognava guardare avanti e non indietro e che data la ferma linea della nostra politica ero convinto che niente di spiacevole si verificherebbe mai più.

Quanto alle due ambasciate, gli dissi che potevo guardare la cosa con simpatia, ma che ne avrei riparlato con lui dopo la prossima sessione dell’O.N.U.

10

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE RAPPRESENTANZE PRESSO GLI STATI MEMBRI DELL’O.N.U.

TELESPR. SEGRETO 3/2741/C. Roma, 4 luglio 1949.

Le istruzioni diramate da questo Ministero alle rappresentanze all’estero per orientare la loro azione in questa nuova fase della questione delle colonie non hanno sinora toccato la questione della Somalia; ciò dipende dal fatto che nulla è mutato nel punto di vista del Governo italiano per quanto riguarda tale territorio: richiesta di trusteeship senza limite di tempo nella formula quale è stata presentata all’Assemblea

generale di Lake Success («That former Italian Somaliland be placed under the International Trusteeship System whith a view to its independence, with Italy as the Administering Authority»).

Come è noto, tale mozione fu respinta con 35 voti a favore, 19 contrari, 4 astensioni e un assente. Tale risultato non rispecchia però il reale pensiero dell’Assemblea per quanto riguarda il caso particolare della Somalia; infatti anche successivamente è stato confermato che la grande maggioranza dei Governi membri dell’O.N.U. non è pregiudizialmente contraria ad una amministrazione italiana in Somalia. I risultati di cui trattasi si dovettero all’atteggiamento aprioristicamente negativo assunto da alcuni gruppi di Stati (in particolare: gli Stati arabi ed asiatici) contro il complesso della mozione presentata all’Assemblea, e ciò come conseguenza del mancato accordo di tali Stati a quelle parti della mozione che riguardavano gli altri territori ed in particolare modo la Libia. È pertanto da presumersi che, qualora si possa addivenire ad una intesa con gli Stati arabi per quanto riguarda la Libia, l’opposizione dimostrata nei confronti di un mandato italiano sulla Somalia potrà essere superata.

Potrebbe però prevedersi che nel corso dei dibattiti (che, per quel che finora risulta, avranno inizio a Lake Success il 19 settembre p.v.) vengano presentati, per iniziativa individuale, degli emendamenti tendenti a fissare un limite alla durata del trusteeship, come avvenne, ma senza successo, nella sessione di aprile-maggio. È nostra intenzione in questo caso di fare respingere tali emendamenti o almeno di far fissare come durata minima del trusteeship un periodo di tempo abbastanza lungo e ciò in considerazione non solo delle condizioni notevolmente arretrate in cui trovansi le popolazioni somale, ma anche del fatto che per la messa in valore di tale territorio sono necessari cospicui investimenti che non potrebbero ottenersi qualora la garanzia rappresentata dalla amministrazione italiana fosse limitata ad un periodo eccessivamente ristretto. Una limitazione del periodo di amministrazione europea, e le incognite derivanti da quanto potrebbe accadere in seguito, costituirebbero quindi una remora allo sviluppo di quel territorio e, se pure proposta a fini ideologicamente comprensibili, si risolverebbe praticamente in un danno per le popolazioni e per il paese. Conviene che questo punto venga costì opportunamente chiarito.

9 1 Del 15 giugno, vedi serie undicesima, volume II, D. 1089.

11

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 782/2628. Parigi, 4 luglio 19491.

Suoi telegrammi 367 e 3742 e mio 3513.

Ho detto a Schuman che il dibattito alla Camera sul Patto atlantico, pur non avendo dubbi sul suo esito, sarebbe stato piuttosto duretto, le obiezioni non venendo dalla

2 Vedi D. 2.

3 Vedi D. 6.

sola estrema sinistra, e l’atteggiamento inglese ed americano nella questione delle colonie non era di natura tale da facilitare l’opera del Governo. Fra le obiezioni importanti, per le ripercussioni psicologiche di cui dovevano tener conto c’erano anche quelle provocate dalla nostra esclusione dal Consiglio supremo dei Quattro.

Schuman mi ha detto che la questione non era del tutto decisa, poiché, dopo il suo ritorno dall’America, non si era avuta occasione di parlare ulteriormente della costituzione degli organismi del Patto atlantico. Mi ha detto che di questo progetto di Consiglio supremo, nel quale gli interessi italiani sarebbero stati rappresentati dalla Francia, egli aveva parlato a V.E. negli Stati Uniti e che, pur tenendo conto che quanto ella gli aveva detto non impegnava il Governo italiano, non aveva avuta impressione che V.E. avesse delle obiezioni sostanziali. Gli ho risposto di non essere al corrente della sua conversazione in America ma che ritenevo egli non avesse bene interpretato il suo pensiero. Per quello che mi concerneva la sua reazione era stata immediata e molto chiara: a parte ogni questione di merito, questa esclusione avrebbe suscitato in Italia forti e profonde reazioni e del resto parzialmente gliene avevo parlato a più riprese. Gli ho ripetuto il vecchio argomento: se il Patto atlantico fosse stato concluso nel ’39 nessuno avrebbe pensato nemmeno per un istante ad escludere l’Italia dai più alti consensi: ci si sarebbe certamente veduta una nuova manifestazione di tutta quella politica che tende a precisare una assegnazione dell’Italia ad un rango inferiore. Schuman ha subito risposto che questa non era certamente la politica della Francia: gli ho risposto di non avere il minimo dubbio in proposito (ho comunque approfittato del corso della conversazione per accennargli al fatto che da parte francese l’ambasciata presso il Quirinale era stata retrocessa ad ambasciata di seconda classe, e lo restava, mentre era di prima classe quella presso il Vaticano).

Comunque, gli ho detto, questo complesso di circostanze rendevano indispensabile al Governo italiano di insistere a Washington per la inclusione dell’Italia anche nel Consiglio supremo. «Lei desidera che da parte nostra non si adducano argomenti in contrario?» mi ha chiesto Schuman. Soprattutto è desiderio del Governo italiano che da parte francese non si interpreti questa nostra azione come ispirata a sfiducia verso la Francia gli ho risposto: eravamo sicuri che in mano francese i nostri interessi sarebbero stati perfettamente difesi: volevo solo si rendesse conto che nessun Governo italiano avrebbe potuto dare alla sua opinione pubblica l’impressione di avere accettato passivamente questa esclusione.

Schuman mi ha detto di comprenderlo e mi ha pregato di ringraziare V.E. per avere voluto avvertirlo di questa nostra azione. Egli ne avrebbe tenuto conto sopprimendo, nel rapporto che accompagnava alla Camera il progetto di ratifica del Patto atlantico, il passaggio relativo alla difesa degli interessi italiani affidata alla Francia, ed avrebbe esercitata l’azione necessaria presso alcuni organi francesi.

È poi tornato a spiegarmi come, in quanto se ne era discusso a Washington, si trattava di un Consiglio, probabilmente del resto non permanente, il quale avrebbe dovuto trattare solo questioni di alta strategia, per le quali era necessario ridurre al minimo il numero dei partecipanti in modo di evitare le fughe. Da parte francese si era accettata ed anche caldeggiata l’idea di un Comitato ristretto per altre importanti ragioni. Le relazioni militari fra inglesi ed americani sono, come conseguenza della guerra passata, particolarmente strette: gli inglesi hanno ancora le loro stanze e le loro persone al Pentagono, cosa che nessun altro ha. Ora i concetti inglesi circa la difesa del continente europeo sono assai differenti dai francesi e dai nostri: essi si centrano sulla difesa delle isole e non del continente. Attualmente le idee americane sono assai più vicine alle nostre che non a quelle inglesi, ma bisogna non sottovalutare l’influenza inglese sui militari americani. Gli inglesi potrebbero essere anche favorevoli ad un Consiglio strategico che comprenda magari tutti gli aderenti al Patto atlantico: il risultato sarebbe che gli americani si rifiuterebbero di discutere i veri problemi di strategia di fronte ad un Consiglio così grande, ed essi sarebbero invece trattati sul piano anglo-americano: di fronte ad un Consiglio ristretto gli americani non avrebbero avuto questo pretesto e sarebbe stato più facile ai francesi controbattere ogni tendenza ad apartes anglo-sassoni.

Gli ho detto che mi rendevo perfettamente conto di tutto questo ma prima di tutto non mi sembrava che il fatto di ammetterci l’Italia, per quanto diminuita essa potesse essere, implicasse necessariamente che ci dovesse farne parte anche l’Islanda: in fondo molti avrebbero trovato naturale che l’Italia riprendesse, in certa misura, il suo antico posto. Oltre a questo l’atteggiamento del Governo italiano come quello francese in tante questioni era dettato da imprescindibili necessità di politica interna. Sul che Schuman ha convenuto.

Gli ho poi aggiunto che, tutto considerato, temevo anche le ripercussioni di questa «rappresentanza» francese sull’insieme dei rapporti franco-italiani per quanto di recente molto migliorati, i rapporti fra i due Stati Maggiori non erano di tale intimità da presumere una completa fiducia, né da una parte né dall’altra. Restava ancora molto da fare per arrivare all’intimità voluta: questo riavvicinamento non era del resto facilitato dalla politica personale di Ramadier che si mostrava molto reticente sulle trattative fra i due Stati Maggiori: e questo atteggiamento di Ramadier per ragioni da lui ben conosciute trovava qualche rispondenza nelle rappresentanze francesi in Italia. Schuman è stato un po’ riservato nell’ammettermi questa ostilità di Ramadier (non l’ha negato) ma mi ha comunque detto che gliene avrebbe parlato (Couve da Murville, a cui avevo parlato dello stesso argomento qualche giorno addietro, me lo aveva invece ammesso senza riserve pur aggiungendo che Ramadier fa una politica tutta personale ed è contrario a tutto: il che è anche vero). Ora, ho continuato con Schuman, è evidente che noi non riusciremo ad avere dagli americani, che in parte, quello che desidererebbero i nostri militari: se i nostri interessi sono rappresentati dai francesi si troveranno sempre molti in Italia a pensare, e a dire, che i nostri interessi non sono stati sufficientemente difesi dai francesi, se non di peggio: se noi invece ci siamo la colpa sarà degli americani: e questo sarebbe molto meglio per i rapporti fra i due paesi. (Si tratta di argomento che ho già fatto valere più volte presso i francesi e che fa un certo effetto: non mi sono valso di quello del nostro voto perché, francamente non credo che la fiducia francese in noi sia tanto radicata da renderlo molto effettivo).

Schuman mi ha detto di comprendere il nostro punto di vista e che ne avrebbe tenuto conto.

Questa la mia conversazione che, dopo matura riflessione, ho ritenuto opportuno di fare in questa misura nonostante le norme di silenzio: quanto Schuman mi ha detto dovrebbe rendergli difficile opporsi apertamente ad una nostra ammissione al Consiglio supremo, e, o comunque, non potrà accusarci di avere manovrato contro la Francia, a sua insaputa. Ma più in là di questo non possiamo contare di andare. Poiché per la sostanza della questione, ripeto, non dobbiamo contare né sull’appoggio, né nemmeno sulla vera simpatia francese.

La Francia intende — ed è suo interesse — che noi ci risolleviamo, ma non portarci al suo livello. Essa ritiene molto chiaramente che, fra le questioni decise, e senza ritorno, in suo favore dalla guerra, c’è quella della parità franco-italiana, che in tutti i campi ha riempito i rapporti fra i due paesi nel ventennio fra le due guerre. Noi dobbiamo ritornare una grande potenza, se si vuole, ma di grado inferiore alla Francia: o se si vuole meglio, nel binomio Francia-Italia, noi dobbiamo riconoscere il leadership francese. E in questa rappresentanza degli interessi italiani da parte loro essi vedono un riconoscimento mondiale di questa loro situazione, ed un mezzo efficace di pressione sull’Italia. E non ci rinuncieranno tanto facilmente: lo faranno solo se avranno la sensazione che gli americani sono decisi a questo punto: e allora, ma solo allora, si faranno loro stessi promotori della nostra inclusione.

Tengo a insistere che mi rendo perfettamente conto delle ragioni, non solo morali ma anche sostanziali, che ci inducono ad insistere a Washington su questo punto. Mentre mi felicito per il rapido successo del nostro passo, mi permetto tuttavia di fare qualche riserva sull’affidamento che si può fare su queste assicurazioni americane: purtroppo abbiamo avuto troppi precedenti in materia. Vorrei essere sicuro che essi resisteranno alle pressioni in senso contrario che non mancheranno. Tanto più che ci potrebbe essere una formula la quale permetterebbe di dire che si è formalmente tenuta la promessa, mentre nella sostanza ci terrebbe fuori da tutte le discussioni serie: ed è quella di ammettere un rappresentante italiano soltanto quando si debbano trattare questioni di alta strategia concernenti l’Italia.

In realtà anche se si fa astrazione dai soliti argomenti che verranno tirati fuori, la nostra incapacità a tenere un segreto, l’inefficienza, per non dire l’inesistenza dei nostri servizi di controspionaggio: dubbi sulla nostra efficienza amministrativa, dubbi sulla situazione politica del nostro paese ecc. ecc., bisogna anche ammettere che ci sono obiettivamente delle ragioni che militano in favore del Comitato ristretto, e per la nostra esclusione. Si tratta di un Comitato che dovrebbe discutere le questioni di grande strategia mondiale per la guerra contro la Russia. Che America ed Inghilterra abbiano diritto di starci dentro è fuori questione. Il Canada rappresenta la base da cui dovrebbe partire l’offensiva aerea contro regioni di importanza strategicamente vitale specie in Siberia. La Francia, per scassata che sia, copre della sua bandiera delle zone extra-europee e ha delle basi e delle vie di comunicazioni, dall’Africa al Pacifico, di importanza vitale. Ora tutto questo a noi manca, e con questo, mi si perdoni l’espressione, anche molti degli elementi non solo per concorrere, ma anche solo per prendere utilmente parte alla discussione e alla soluzione di tanti problemi strategici extra-europei che sono oggi assai più importanti di quelli europei: noi siamo una nazione puramente europea continentale in un momento in cui l’Europa continentale non conta più niente.

Sono sicuro che noi, alla fine, in questo Comitato supremo ci entreremo: faccio tutte le mie riserve sulla possibilità effettiva di entrarci subito, anche se non dubito della sincerità, sul momento, di quanto ci hanno detto gli americani, o di chi ce lo ha detto. Temo che questo posto ce lo dovremo conquistare, lentamente e faticosamente come riconquisteremo il nostro posto nel mondo, e cioè soltanto col dar prova, anche in tutto quello che concerne la parte militare del Patto atlantico, di efficienza, di serietà, di segreto e di comprensione di quella che è la importanza vera delle poste in gioco.

Spero V.E. vorrà scusarmi se esprimo una riserva su questioni che non tratto io: ma per forte che sia il risentimento nostro oggi per questa nostra esclusione, assai più grave sarebbe il risentimento che si creerebbe se si dovesse un giorno trovare che gli americani danno per lo meno una interpretazione loro alle promesse fatteci differente da quella che ne abbiamo dato noi4.

11 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

12

IL MINISTRO A BAGHDAD, ERRERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 110. Baghdad, 4 luglio 19491.

Ho espresso al sottosegretario agli affari esteri (Ahmed el-Rawi) il mio rammarico che uomini politici iracheni vadano asserendo che l’Iraq accampa pretese di indennità nei confronti dell’Italia, da valersi sui beni italiani sotto sequestro, rendendola responsabile della rivolta di Alì el-Rashid nel 1941.

El-Rawi mi ha risposto: «Lasciamo stare il passato. Voi sapete benissimo chi sobillò el-Rashid; tuttavia il Governo iracheno non intende rendere responsabile la nuova Italia democratica dei misfatti di Mussolini e l’Iraq vuole fermamente, dimenticando un brutto passato, intrattenere i più cordiali rapporti con l’Italia, tanto più che essa sembra essersi messa sulla buona strada per meritare la fiducia e la stima del mondo arabo. Vi autorizzo quindi a comunicare al vostro Governo che non chiederemo indennità di sorta».

El-Rawi ha soggiunto che non appena il ministro dell’Iraq a Parigi avrà aderito al trattato di pace con l’Italia, questo Governo mi comunicherà per iscritto la cessazione formale dello stato di guerra tra Italia e Iraq2. Alla mia richiesta di essere preciso circa la questione dei beni, egli mi ha dato la sua parole d’onore che, nella stessa comunicazione, sarà specificato che i beni italiani in Iraq verranno automaticamente sbloccati.

In un paese come questo tutti i revirements sono possibili, tanto più in considerazione della cronica instabilità dei Governi. È per questa ragione quindi che, solo con le riserve del caso ed in attesa di cose concrete, informo cotesto Ministero di quanto sopra.

Con riferimento al telegramma di cotesto Ministero n. 4 in data di ieri3, informo che qualora la lettera di comunicazione della cessazione dello stato di guerra dovesse pervenirmi senza la menzione dello sblocco dei nostri beni, mi asterrò dall’accusarne ricevuta e compirò invece i passi opportuni4.

2 Vedi D. 440.

3 Con il quale Guidotti concordava sull’opportunità di subordinare lo scambio di lettere circala cessazione dello stato di guerra all’immediato sblocco dei beni italiani.

4 Per la risposta di Guidotti di D. 56.

11 4 Per la risposta vedi D. 24.

12 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

13

IL MINISTRO A BUCAREST, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATISSIMO 1141/550. Bucarest, 4 luglio 1949 (perv. il 1° agosto).

Riferimento: Mio telespresso n. 1098/534 del 27 giugno u.s.1.

In via del tutto riservata, e per sola conoscenza del Governo italiano, dati i suoi particolari rapporti di amicizia con la Santa Sede, il reggente di questa nunziatura apostolica, mons. O’Hara, mi ha rimesso copia della nota di protesta da lui inoltrata al Ministero degli affari esteri romeno, a seguito dell’arresto dei due vescovi latini, cui ancora veniva riconosciuta da parte romena giurisdizione ecclesiastica, e mi ha informato del modo usato dallo stesso Ministero degli esteri per cercar di respingere, in un primo momento la nota di cui trattasi.

Unisco copia della nota2.

Quando il fattorino della nunziatura rimise il plico contenente la nota all’ufficio accettazione corrispondenza del Ministero degli esteri fu pregato di attendere. Trascorsi alcuni minuti, il plico gli veniva restituito aperto, con dentro la nota intatta, perché lo riportasse in nunziatura, che tale era la risposta del Ministero degli esteri.

Di fronte a un tale gesto di villania, che non ha precedenti neppure nella ormai lunga consuetudine di scortesie di questo Ministero degli esteri verso le rappresentanze diplomatiche straniere, il reggente della nunziatura, preoccupato anche che l’atto non potesse significare, sia pure nella sua forma grossolana, il disconoscimento da parte romena del carattere diplomatico della nunziatura stessa, riusciva con un artifizio a far rimettere al Ministero degli esteri una lettera personale per la signora Pauker, cui univa la già rifiutata nota, protestando per la sua prima mancata accettazione da parte dei servizi competenti del Ministero.

13 1 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1140. 2 Non si pubblica.

14

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. URGENTISSIMO 5711/383. Roma, 5 luglio 1949, ore 23.

Suo 3571.

Si è concordato appoggiare e presentare seguenti proposte per ordine del giorno:

per quanto riguarda settore economico, Consiglio Europa dovrebbe soprattutto assumere carattere organo propulsore ed incitamento altri organi già esistenti

(O.E.C.E. ed E.C.E.) che lavorano su piano concreto. Proponiamo quindi:

1) costituzione di un organo di collegamento con O.E.C.E., E.C.E. ed altri organismi già esistenti;

2) passaggio alle dipendenze dirette Consiglio del Gruppo studi per Unione doganale europea con sede Bruxelles;

3) misure atte facilitare libero movimento persone, merci, capitali.

Di massima siamo d’accordo con le altre proposte francesi di carattere economico, tranne per turismo di cui stanno già occupandosi numerose organizzazioni. Qualora poi altri Governi volessero proporre creazione anche presso Consiglio Europa organismi riguardanti problemi economici già trattati da altri enti non ci opporremmo (in particolare questione carbone).

Circa emigrazione ritienesi opportuno proporre studio vasto programma lavori pubblici europei con partecipazione capitali, tecnici e mano d’opera europei.

Per il settore culturale aderiamo proposta francese libera circolazione produzione intellettuale completandola eventualmente con proposta concreta abolizione dazi sui libri. Proponiamo inoltre creazione di un organismo culturale intereuropeo.

Nel campo giuridico proponiamo studio problemi unificazione progressiva del diritto obbligazioni nonché coordinazione legislazione assicurazioni sociali e protezione operaia. A tale scopo Consiglio potrebbe avvalersi della collaborazione tecnica Istituto internazionale unificazione diritto privato. Aderiamo infine proposta francese per formulazione di una dichiarazione europea dei diritti dell’uomo. Seguono dettagli2.

14 1 Del 4 luglio, con esso Quaroni aveva richiesto l’urgente invio delle proposte italiane da presentare alla Commissione preparatoria del Consiglio d’Europa.2 Vedi D. 68.

15

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO ALESSANDRINI

DIRETTIVE PER LE CONVERSAZIONI DI LONDRA. [Roma, 5 luglio 1949]1.

Libia

1) Base prima indispensabile di un accordo è che da parte britannica si riconosca all’Italia una speciale posizione in Tripolitania (come noi la riconosciamo all’Inghilterra in Cirenaica) e si operi lealmente e utilmente in Libia ed in campo internazionale per dare concreta applicazione a tale principio secondo le intese che verranno raggiunte fra i due Governi. A queste condizioni il Governo italiano è da parte sua disposto a dare tutto il proprio appoggio diplomatico a quella soluzione che l’Inghilterra intendesse proporre per la Cirenaica.

2) In considerazione della necessità di ottenere l’appoggio degli Stati arabi (senza di che nessuna risoluzione può ottenere la necessaria maggioranza all’O.N.U.) e in considerazione della situazione purtroppo creata dagli inglesi in loco, il Governo italiano ritiene che la migliore formula per consacrare all’Italia una speciale posizione in Tripolitania sia ormai quella del riconoscimento dell’indipendenza di questo paese condizionata alla conclusione di un trattato di cooperazione fra Tripoli e Roma.

3) Il Governo italiano non è in principio contrario alla unità della Libia; e ciò anche per ragioni tattiche nei confronti degli Stati arabi il cui accordo, come detto sopra, è necessario; riteniamo tuttavia che tale unità, se vi si arriverà, debba scaturire da un moto spontaneo delle popolazioni interessate, alle quali non dovrebbe essere imposta, e che dovrebbero rimanere arbitre di decidere in merito. Se si arrivasse alla unità il Governo italiano è tuttavia d’avviso che questa debba essere congegnata in forma tale da assicurare ai singoli territori autonomia sufficiente per garantire in essi una speciale posizione dell’Italia in Tripolitania, dell’Inghilterra in Cirenaica, della Francia nel Fezzan.

4) Circa il modo di arrivare alla indipendenza della Tripolitania il Governo italiano è d’avviso che si debba, in primo luogo, procedere alle elezioni per una Assemblea nazionale. Queste elezioni dovrebbero essere organizzate da una Commissione internazionale che dovrebbe anche emanare tutte le norme relative e presiedere e controllare le elezioni stesse. L’Assemblea nazionale, una volta eletta, nominerebbe un Governo il quale entrerebbe in negoziati col Governo italiano per la stipulazione di un trattato di cooperazione. Questo trattato dovrebbe, tra l’altro, precisare l’assistenza tecnico-amministrativa che l’Italia fornirà alla Tripolitania sino a quando essa ne avrà bisogno. Dopo la conclusione di questo trattato la B.A.T.2 passerà i pote

2 British Administration of Tripolitania.

ri e l’amministrazione del territorio al Governo della Tripolitania e, in base agli accordi che questo avrà concluso con l’Italia, i funzionari inglesi saranno sostituiti da funzionari italiani là dove non possano essere sostituiti da funzionari arabi od italiani di cittadinanza tripolina. Il passaggio delle consegne avverrebbe quindi nel modo concordato fra i Governi italiano, britannico e tripolitano.

5) Quanto al contenuto degli accordi che l’Italia si propone di stipulare con la Tripolitania il criterio fondamentale della politica italiana al riguardo è che tale trattato debba essere il risultato di liberi negoziati fra l’Italia e la Tripolitania. Per questa ragione è difficile poter specificare sin d’ora le clausole che il trattato dovrebbe includere. Possiamo piuttosto elencare le questioni che dovrebbero essere oggetto dei negoziati: collaborazione politica ed economica, reciproco trattamento doganale, assistenza tecnica nei vari rami dell’amministrazione, questioni concernenti la difesa del territorio, regolamento dei rapporti finanziari tra i due Stati, contributo del lavoro italiano allo sviluppo del paese.

6) Il Governo italiano è d’avviso che occorre, ad un certo punto delle conversazioni, interessare gli Stati arabi affinché essi diano la loro adesione alla formula concordata e si impegnino a votarla all’O.N.U.

Eritrea

1) Il Governo italiano è di opinione che si debba secondare l’aspirazione degli eritrei alla indipendenza. Questa aspirazione ha ora il suffragio di tutti i partiti eritrei meno quello unionista il quale tuttavia, secondo le informazioni in possesso del Governo italiano, si trova in grave imbarazzo nel continuare a sostenere la tesi dell’annessione all’Etiopia di fronte ad un così vasto e seducente movimento quale quello manifestatosi in tutto il territorio per l’indipendenza, e al quale aderiscono anche gli italiani. Il Governo italiano è anche dell’opinione che solo su di un progetto di tale natura sarebbe possibile raccogliere all’O.N.U. la maggioranza necessaria dei suffragi.

2) Il Governo italiano ammette che l’Eritrea non è tuttavia ancora in condizioni di organizzarsi a vita indipendente. Per questo nelle proposte formulate al Governo britannico è stata progettata la costituzione di una Commissione internazionale con l’incarico di studiare e proporre ad una successiva Assemblea dell’O.N.U. un progetto di statuto per la costituzione dello Stato dell’Eritrea. Questa Commissione potrebbe essere composta dai tre Governi più interessati: Italia, Inghilterra, Etiopia, cui potrebbe essere aggiunto un Governo musulmano (per es. il Pakistan, o il Libano, data la particolare competenza di questo ultimo paese nel quale convivono, come in Eritrea, comunità di diversa religione ed origine).

3) È opinione del Governo italiano che nel periodo transitorio, durante il quale dovrà essere preparato e poi messo in opera lo statuto dello Stato dell’Eritrea, sia necessario normalizzare la vita politica ed economica di questo territorio. A questo riguardo si sono avute ad Asmara, fra il console Gropello e Mr. Mason, dettagliate conversazioni.

Somalia

L’attribuzione del mandato fiduciario all’Italia per questo territorio non ha potuto essere approvata dall’O.N.U. per il voto contrario degli Stati arabi e musulmani. Se, come sopra indicato, si viene incontro ai loro desiderata per la Tripolitania e per l’Eritrea, il Governo italiano ritiene che non dovrebbe essere difficile ottenere la loro approvazione o la loro astensione in una votazione per l’attribuzione all’Italia della Somalia, attribuzione che in tale caso verrebbe approvata a larga maggioranza.

15 1 Il documento è privo di data, ma dai telegrammi menzionati nella nota 2 del D. 5 appareprobabile che esso sia stato redatto il 5 luglio, prima della partenza di Alessandrini per Tripoli. L’11luglio fu trasmesso a Gallarati Scotti precisando trattarsi di «copia delle istruzioni che sono state date» ad Alessandrini (Telespr. segreto 3/2827/C., inviato per conoscenza anche alle ambasciate a Parigi eWashington).

16

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA , ALLE AMBASCIATE A LONDRA, PARIGI E WASHINGTON E ALLA LEGAZIONE A BELGRADO

T. 5733/C.1. Roma, 6 luglio 1949, ore 23.

Oggi ho ricevuto ambasciatori Stati Uniti e Gran Bretagna esprimendo loro sorpresa Governo italiano per decisione jugoslava sostituire jugolire in Zona B Territorio Libero Trieste con dinari. Jugoslavia ha notificato tali provvedimenti a segretario generale O.N.U. giustificandoli con rifiuto italiano fornire lire per Zona B. Nostro Governo riservasi confutare stessa sede tale argomentazione, essendo stata emissione jugolire contraria a condizioni armistizio e diritto internazionale bellico.

Provvedimento si inquadra in azione Jugoslavia intesa approfondire artificiosa separazione fra Zone A e B Territorio Libero. Dato che elezioni2 hanno confermato che volontà popolazione triestina è pienamente conforme a dichiarazione tripartita3 prospetterò prossimamente ai Governi interessati questione Territorio Libero Trieste nel suo complesso.

Governo italiano desidera infine far conoscere che, nell’atmosfera creata dalle misure jugoslave nella Zona B, trattative commerciali attualmente in corso subiranno battuta arresto e si attende che anche Governi nord-americano e britannico, nello spirito dichiarazione tripartita 20 marzo, vogliano solidarizzare con nostro atteggiamento, astenendosi fino ad una schiarita della situazione da gesti che possano comunque essere interpretati opinione pubblica italiana triestina come tacito avallo di operato jugoslavo4.

Di quanto precede ho anche intrattenuto questo ambasciatore di Francia.

16 1 Diretto anche alla rappresentanza a Trieste ed all’osservatore presso le Nazioni Unite. 2 Vedi serie undicesima, vol. II, DD. 1068 e 1079. 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468. 4 Per il seguito vedi DD. 23, 26 e 34.

17

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETISSIMO 5734/296. Roma, 6 luglio 1949, ore 21.

Suo 3121.

Per sua riservatissima informazione le comunico che abbiamo in corso riservati contatti al Cairo con eminenti personalità che sono anche vicine a quel Governo (che ne è al corrente) e a quel sovrano. Fracassi coordina attualmente tali contatti in vista loro possibile unificazione. Conviene pertanto V.E. si esprima nel senso che apertura fattale è da noi considerata con grande interesse, e che pensiamo possa avere felice sviluppo al Cairo dove le risulta dovrebbero essere in corso iniziative nello stesso senso, delle quali sovrano dovrebbe essere al corrente.

18

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A WASHINGTON, TARCHIANI, A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO 5736/C. Roma, 6 luglio 1949, ore 22.

(Per Parigi, Londra) Ho telegrafato a Washington quanto segue:

(Per Washington) In relazione quanto Rusk ha detto a V.E. a Bonnet e ad incaricato d’affari britannico1 circa progetti americani per Libia in corso di studio, intendiamo mantenere atteggiamento riservato in attesa sviluppo conversazioni italo-britanniche2 che, come risulta anche da proposte da noi formulate e da quanto sappiamo circa generico atteggiamento inglese, si svolgeranno su linee diverse da quelle accennate da Dipartimento di Stato. Come già telegrafatole3 conversazioni italo-britanniche si estenderebbero poi a quattro.

Come norma generica di linguaggio, V.E. potrà intanto lasciar comprendere a Dipartimento di Stato che secondo noi proposte accennatele da Rusk non (dico non) sembrano tali da incontrare sufficienti adesioni O.N.U. e ci paiono superate da sviluppi avvenimenti4.

(Per Parigi, Londra) Quanto precede per opportuna conoscenza V.E. e per sua norma linguaggio con codesto Governo.

2 Vedi DD. 5 e 15.

3 Vedi D. 1.

4 Per la risposta di Tarchiani vedi D. 21.

17 1 Del 5 luglio, con il quale Gallarati Scotti aveva riferito il suggerimento dell’ambasciatored’Egitto che fossero sottoposte a re Faruk, del quale venivano confermate le buone disposizioni verso l’Italia, le nostre proposte per la Tripolitania, in modo che questi potesse appoggiarle presso altri Stati arabi.

18 1 Vedi D. 3.

19

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7356/360. Parigi, 6 luglio 1949, ore 19,55 (perv. ore 24).

Mio 3591 e suo 3832.

Commissione preparatoria in seduta odierna esaminando nostre proposte ha deciso accettare quella relativa costituzione organi collegamento con O.E.C.E. e E.C.E.; ha considerato che punto 2) di cui al telegramma di V.E. rientrava in vasto punto 4) ordine del giorno stabilito ieri, tuttavia ha deciso includere con favore nostro suggerimento nel rapporto conclusivo della Commissione; ha infine aggiunto «libero movimento delle persone» al predetto punto 4) dell’ordine del giorno, dando atto che movimento capitali deve considerarsi incluso nella parola «commercio».

Commissione ha anche accettato nostra proposta costituzione organismo culturale intereuropeo nonché, nel campo giuridico, collaborazione dell’Istituto unificazione diritto privato.

Circa questioni sociali si è deciso mettere all’ordine del giorno formula seguente: «accordo multilaterale di protezione sociale» che delegazione italiana ha accettato considerandola rispondente a desiderio di V.E.

20

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7368/523. Washington, 6 luglio 1949, ore 21,20 (perv. ore 8,45 del 7).

Mio 5121.

Secondo informazioni da fonte attendibile e di carattere rigorosamente confidenziale, ambasciatore degli Stati Uniti a Belgrado, in occasione sua visita Parigi durante Conferenza dei Quattro2, avrebbe illustrato a Acheson opportunità incoraggiare trattative dirette fra l’Italia e Jugoslavia, tendenti a risolvere questione Trieste mediante annessione Zona A all’Italia e Zona B a Jugoslavia. Un sondaggio effettuato in proposito presso Quai d’Orsay da un segretario d’ambasciata americano sarebbe

stato accolto da parte francese assai freddamente. Suggerimento Cavendish Cannon avrebbe incontrato scarso favore anche presso Dipartimento di Stato, che non (dico non) si proporrebbe darvi, almeno per il momento, alcun seguito.

19 1 Del 6 luglio, con il quale Quaroni aveva comunicato l’ordine del giorno fissato dalla Commissione preparatoria del Consiglio d’Europa.2 Vedi D. 14. 20 1 Del 5 luglio, non pubblicato.2 Svoltasi dal 23 maggio al 20 giugno, vedi serie undicesima, vol. II, DD. 971, 987, 1083,1107, 1122 e 1149.

21

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 5873/2571. Washington, 7 luglio 1949 (perv. il 14).

Ho l’onore di accusare ricevuta del telegramma di V.E. n. 5736/C.1 e di assicurare l’adempimento delle istruzioni in esso contenute.

Effettivamente, le conversazioni italo-inglesi possono costituire la chiave del problema. Infatti, se il Governo di Londra entrerà sinceramente nell’ordine di idee da noi auspicato (rinnovato riconoscimento dell’influenza italiana in Tripolitania) non sarà impossibile concordare con esso una formula concreta, atta a tradurre in pratica quel riconoscimento, e tale da superare il progetto, ancora vago e comunque poco realistico, del Dipartimento di Stato.

Naturalmente, l’eventuale raggiungimento di un compromesso fra Roma e Londra non può costituire di per sé la soluzione del problema. Per raggiungere questa occorrerà che il compromesso sia non soltanto accettato dagli Stati Uniti e dalla Francia, ma anche presentato alle Nazioni Unite in maniera tale da non urtare la loro naturale ostilità verso proposte che sembrino forzarle ad avallare un accordo preventivamente intervenuto fra i paesi interessati.

Mi auguro che quando sarò a Roma (dal 2 al 19 agosto) le conversazioni italo-inglesi avranno raggiunto uno sviluppo sufficiente a permettere l’esame del problema anche sotto questo aspetto.

Frattanto, per quanto concerne l’atteggiamento del Governo di Washington, confermo il contenuto del mio rapporto n. 5765/2515 del 2 corrente2 e mi riservo di riferire, a titolo di informazione, gli eventuali sviluppi del progetto attualmente allo studio presso il Dipartimento di Stato3.

21 1 Vedi D. 18. 2 Non pubblicato ma vedi D. 3.3 Vedi D. 50.

22

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7459/322. Londra, 8 luglio 1949, ore 21,35 (perv. ore 24).

Mio 3131.

Secondo alcune informazioni avute da questa ambasciata Francia colloqui Margerie-Wright (alcuni di essi alla presenza di Strang e Massigli) avrebbero avuto per oggetto principale la situazione in Vicino Oriente, rifugiati Palestina, Israele, ecc.

Questione colonie italiane è stata discussa solo per sommi capi. Margerie e Massigli hanno dichiarato formalmente che qualsiasi impegno, iniziativa o programma, risultante da visita senusso e che esca dall’esclusivo ambito della Cirenaica per toccare resto Libia sarebbe considerato da parte francese come cosa della massima gravità. Strang si è limitato prendere atto di tale dichiarazione.

Da parte inglese sono stati esposti seguenti punti:

— -se Nazioni Unite avessero avuto sentore compromesso Sforza-Bevin con maggiore anticipo, votazione sarebbe stata ancora più sfavorevole contrariamente a quanto francesi ritenevano. Non è quindi il caso riparlarne; — -in linea politica generale qualora aspirazioni unità libica continuassero essere forti sembrerebbe accettabile idea italiana di una «loose federation» che tenga conto particolari interessi di Gran Bretagna Francia e Italia in Cirenaica, Fezzan, Tripolitania. D’altra parte, date resistenze locali e in sede Nazioni Unite, non è possibile pensare a diretta ingerenza amministrativa e politica dell’Italia in Tripolitania, e interessi italiani dei quali bisogna tener conto sono di carattere economico.

Margerie avrebbe allora fatto presente:

— Francia desidera dare massima soddisfazione aspirazioni italiane;

— -in vista possibili reazioni in Tunisia, non è favorevole elezioni in Tripolitania che potrebbero indurre parti interessate a pericolose surenchères nelle loro promesse a popolazione locale; — -resistenza a nostra ingerenza potrebbe essere superata da sistema amministrazione collettiva secondo precedenti proposte americane. Nazioni Unite cioè potrebbero incaricare Gran Bretagna dell’avviamento Cirenaica verso indipendenza, Francia idem per Fezzan, mentre Tripolitania sarebbe affidata a Consiglio consultivo collettivo del quale anche Italia facesse parte. Governo francese era pronto studiare in dettaglio una proposta del genere assieme agli altri interessati. - — -Governo britannico non ha ancora deciso proprio atteggiamento ma, pur essendo contrario a formali discussioni collettive, era d’accordo continuare consultazioni bilaterali; — -bisognava tener presente che tendenza generale, alla quale si associavano americani, era quella di abbreviare a non più di quattro o cinque anni termini entro i quali assicurare indipendenza Libia: di fronte a ciò una amministrazione collettiva della Tripolitania non avrebbe avuto neanche tempo di organizzarsi; — -con riserva di eventuali diverse decisioni, sembrava preferibile evitare che Nazioni Unite prendessero decisioni che forse non avrebbero potuto essere messe in pratica. Quindi, anziché proporre nuove formule, sarebbe stato nelle intenzioni inglesi di provocare fallimento di qualsiasi proposta, da chiunque venisse avanzata alle Nazioni Unite; — -mantenuto così statu quo, situazione nei vari territori avrebbe potuto essere gradualmente modificata di fatto come sta avvenendo ora in Cirenaica. Missione Alessandrini in Tripolitania2 rappresentava inizio di un esperimento per associare Italia appunto allo studio di graduali modifiche pratiche nella struttura economica e generale del territorio;

— tutto quanto precede veniva detto ai francesi a titolo del tutto preliminare.

Margerie avrebbe osservato che idea di sottrarre per ora all’Assemblea Nazioni Unite decisione per colonie italiane poteva forse essere attuabile per Libia, ma come e con che autorità effettuare trapassi di sovranità o amministrazione in Eritrea e Somalia? Era d’opinione che tutta questione andasse riesaminata con prudenza. Wright e Strang si sarebbero detti d’accordo per non determinare atteggiamento inglese senza consultare seriamente Italia Francia e Stati Uniti.

22 1 Del 6 luglio, non pubblicato.

23

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7476/5311. Washington, 8 luglio 1949, ore 21,29 (perv. ore 9,15 del 9).

Mio 5282.

Dipartimento Stato continua studiare aspetti tecnici questione ed è tuttora riluttante ingaggiare a breve scadenza in seno ad O.N.U. discussione in merito a provvedimento jugoslavo. Tuttavia, rendendosi conto necessità da noi prospettatagli di reagire tempestivamente a iniziativa Belgrado, si accinge proporre a Governi britannico e francese di consegnare alle rappresentanze jugoslave in Washington Londra e Parigi tre note identiche sull’argomento. Dette note verrebbero altresì inviate per conoscenza a segretario generale O.N.U. e pubblicate.

Dipartimento Stato ha mostrato confidenzialmente a questa ambasciata abbozzo non definitivo della progettata nota. Questa è redatta in termini assai netti e: 1) respinge accuse mosse da Jugoslavia a potenze amministratrici Zona A circa loro asserite violazioni trattato, ricordando che accuse analoghe furono rivolte in passato e dimostrate prive di fondamento; 2) denuncia costante azione Jugoslavia tendente a incorporare di fatto Zona B in territorio jugoslavo e dichiara che provvedimento in questione costituisce nuovo sviluppo di tale azione illegale; 3) respinge affermazione secondo cui provvedimento sarebbe stato determinato da rifiuto italiano adempiere suoi obblighi, senza entrare nel merito e rilevando che azione jugoslava ha avuto inammissibile carattere unilaterale, mentre trattato pace prevede procedura per risolvere eventuali controversie.

Dipartimento Stato gradirà conoscere pensiero Governo italiano su tale passo di carattere preliminare3.

22 2 Vedi D. 47. 23 1 Sforza ritrasmise questo telegramma, unitamente al D. 26, a Gallarati Scotti e Quaroni con T.5870/302 (Londra) 397 (Parigi) del 10 luglio. Per le rispettive risposte vedi DD. 34 e 29.2 Del 7 luglio, con il quale Tarchiani aveva riferito i primi commenti del Dipartimento di Statosui provvedimenti monetari adottati nella Zona B del Territorio Libero di Trieste.

24

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 709 SEGR. POL. Roma, 8 luglio 1949, part. il 9.

Ho letto oggi 8 luglio il suo rapporto del 4, n. 26281. Che nessuno dei dubbi espressi da V.E. mi stupisca lo prova il fatto che io stesso chiesi giorni fa mi si ripetesse, in modo formale e autentico, dopo sentito di nuovo Washington, la dichiarazione della nostra parità nel Consiglio in questione e la impossibilità di ammettere che qualsiasi potenza potesse, come che sia, rappresentarci o sostituirci2.

Ciò accadde ieri nella guisa e cogli accenti più soddisfacenti.

Naturalmente cotali impegni valgono quanto varrà la nostra efficienza e perfino l’autorità e la riserva dell’uomo da scegliere per la bisogna.

Ma, per ora, chaque jour sa peine. Può giovare, intanto, che codesto ministro degli esteri abbia inteso che da Roma non si agì per scarsa fiducia del suo parere ma per ragioni obiettive che nessun Governo può ignorare.

23 3 Vedi D. 26. 24 1 Vedi D. 11. 2 Vedi D. 7.

25

L’AMBASCIATORE A TEHERAN, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATISSIMO 1685/286. Teheran, 8 luglio 1949 (perv. il 12).

Il recente soggiorno a Teheran di varie personalità del mondo politico musulmano, la visita del primo ministro del Pakistan, quella del reggente dell’Iraq, l’annuncio della prossima visita del re di Transgiordania e di quella dello sceicco Abdallah Sabad, figlio ed erede del sultano di Kuwait, il giro compiuto in questo settore da sir William Strang con l’annuncio della susseguente prossima riunione dei rappresentanti britannici nel Medio Oriente a Londra ed infine la notizia, non ancora ufficiale, del viaggio a Washington dello scià quale ospite del presidente Truman1, hanno qui dato origine a molte induzioni e speculazioni circa una prossima riorganizzazione del mondo islamico diretta a costituire in questo settore un blocco anti-comunista sotto l’egida anglo-americana.

Sarà quindi opportuno considerare quali siano le tendenze dell’Iran nei riguardi degli Stati del Medio Oriente tenuto specialmente conto della minaccia sovietica, che costituisce la massima preoccupazione di questo paese, e dell’intensa attività politica che Washington e Londra stanno qui svolgendo.

In seguito alle conversazioni che ho avute in questi giorni con il presidente del Consiglio, con il ministro ed il sottosegretario di Stato per gli affari esteri e con alcuni degli uomini politici iraniani più rappresentativi ed influenti, nonché con quei colleghi che sono qui più attivi e meglio informati, credo che la situazione possa venire riassunta come segue:

Come ebbi a suo tempo a riferire tanto lo scià quanto gli esponenti del Governo e della Corte sembravano, subito dopo l’attentato del febbraio scorso diretto contro il sovrano, decisamente orientati a far passare apertamente l’Iran dal lato delle potenze occidentali e a mettere quindi fine a quella politica di equidistanza che l’Iran si era sforzato a perseguire, almeno in apparenza, nei suoi rapporti con le due parti in conflitto.

Ma oggi, a distanza di qualche mese dall’attentato, e di fronte alla mancanza di aiuti che qui tanto si sperava sarebbero giunti specialmente da parte americana, nonché alle difficoltà interne di carattere economico che tengono il paese in stato di agitazione e di profondo malessere, gli ambienti iraniani più responsabili sembrano inclini a riprendere una politica di prudenza nei confronti dell’U.R.S.S. e ad evitare tutto quanto nell’atteggiamento politico dell’Iran possa sembrare rivolto direttamente contro il potente vicino, siccome potrebbe essere il caso di una partecipazione iraniana ad un patto mediterraneo o del Medio Oriente.

Molto amari infatti sono i rimproveri che ho qui uditi specialmente nei riguardi di Washington per il fatto che gli aiuti americani a questo paese vengono subordinati ad una netta presa di posizione anti-sovietica da parte dell’Iran e alla dimostrazione

che il paese è riuscito a mettersi sulla via della riorganizzazione. Ma a tale riguardo si risponde da parte iraniana che le condizioni del paese sono estremamente gravi, che esse sono tali in conseguenza della occupazione militare del paese da parte degli Alleati i quali hanno trovato l’Iran di scià Rheza bene organizzato e lo hanno ridotto nelle presenti condizioni e che è assurdo pretendere che una qualsiasi opera di ricostruzione possa venire iniziata senza che le attuali acute difficoltà siano state quanto meno attenuate. A riprova dell’incomprensione americana si rileva che, non soltanto Washington non riesce ad intendere tale verità, ma che, pure non ignorando quanto grave sacrificio rappresentasse per l’Iran il pagamento di dodici milioni di dollari che il Governo iraniano ha versato in contanti a quello americano in pagamento della famosa fornitura di armi, nulla è stato fatto da parte americana per cercare di restituire all’Iran in altra forma tale importo che per l’Iran è ragguardevole.

Alla politica britannica si riconosce forse una maggiore comprensione della situazione iraniana e, anche se si rimprovera vivamente a Londra di non avere voluto accedere che molto limitatamente alle richieste iraniane nelle trattative ora in corso per la revisione della concessione all’Anglo-Iranian Oil Company, ci si rende tuttavia conto delle limitate possibilità economiche inglesi nei confronti delle possibilità americane.

Circa la conclusione di un patto regionale che non fosse sotto l’egida e la garanzia occidentale, almeno palesemente, mi è stato osservato da parte iraniana che già esiste il Patto di Saad Abad2 e che tale patto avrebbe potuto essere eventualmente ampliato con l’adesione del Pakistan ovvero fiancheggiato da un patto analogo che riuscisse ad avvicinare l’Iran, il Pakistan e l’Afghanistan, una volta che le attuali controversie fra questi due ultimi paesi fossero composte. Notevole è infatti la tendenza iraniana in favore di un accordo con «i paesi musulmani ariani» considerandosi che la costituzione del Pakistan, e cioè di un’unità statale che conta la maggiore popolazione musulmana raggruppata, ha modificato profondamente la situazione geopolitica dell’Iran il quale è venuto così a trovarsi in una posizione centrale, e ciò anche se non manchi una certa preoccupazione per l’ambizioso programma del Pakistan di stringere intorno a sé il mondo islamico di cui esso intenderebbe assumere la direzione quale unità musulmana più numerosa e potente.

Per quanto concerne il mondo arabo è infine da notare che non soltanto si è qui decisi a non impelagare l’Iran nella politica araba ma che la possibilità della costituzione di una «Grande Siria», che verrebbe a costituire sul confine dell’Iran un grosso Stato arabo, è qui vista tutt’altro che con favore.

Segnalo infine che contrario invece ad un allargamento del Patto Saad Abad o ad un qualche nuovo raggruppamento di Stati del Medio Oriente, che non fosse solidamente e materialmente appoggiato dalle potenze occidentali ed in particolare dagli Stati Uniti, mi si è dichiarato questo ambasciatore di Turchia. Detto ambasciatore ha peraltro tenuto a rilevare che il Governo di Ankara fa il possibile per il rafforzamento delle amichevoli relazioni fra Iran e Turchia e per cancellare ogni rimanenza di sospetto persiano circa pretese mire turche sull’Azerbaigian che di tanto in tanto vengono denunciate dalla propaganda sovietica. In tale desiderio il Governo di Ankara avrebbe da tempo avanzato proposte concrete per l’incremento dei traffici fra i due

paesi (e specialmente per la riattivazione delle comunicazioni fra Tabriz, Trebisonda ed Alessandretta) che non potrebbe non migliorare le condizioni economiche dell’Azerbaigian, contribuendo così a sottrarre alla propaganda sovietica una regione che senza dubbio è oggi particolarmente recettiva alle mene sovietiche. Lo stesso ambasciatore mi ha fatto pure notare che nel medesimo spirito la Turchia sta tentando di stabilire una politica comune con Teheran per quanto riguarda la questione curda e più particolarmente per creare una zona di sicurezza lungo la frontiera irano-turcoirachena che possa impedire infiltrazioni sovietiche fra le tribù curde.

Per concludere, la politica estera iraniana appare ancora oggi dominata dall’incubo sovietico e quindi recalcitrante ad impegnarsi formalmente con le potenze occidentali malgrado che Washington abbia fatto chiaramente dipendere da tali impegni, oltre che dalla riorganizzazione interna dello Stato, ogni suo apprezzabile aiuto.

Per quanto riguarda la possibilità che l’Iran possa finire per indursi ad impegnarsi formalmente con le potenze occidentali è peraltro da tenere presente che il viaggio a Washington dello scià, previsto per il prossimo autunno, potrà senza dubbio avere sotto tale aspetto grande influenza sulla evoluzione della politica estera iraniana. L’ambasciatore Wiley conta evidentemente molto su tale viaggio come pure sul-l’influenza che non mancheranno di esercitare sul giovane sovrano tanto l’ambasciatore Ala, che rappresenta l’Iran a Washington, quanto l’ambasciatore Entezam, che è delegato permanente dell’Iran all’O.N.U., dato che essi sono acquisiti interamente alla causa occidentale e godono ambedue, e specialmente l’ambasciatore Ala, della piena fiducia dello scià.

25 1 Vedi DD. 411 e 562.

25 2 Dell’8 luglio 1937 tra Iran, Iraq, Afghanistan e Turchia: vedi serie ottava, vol. VII, D. 15.

26

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 5875/3531. Roma, 9 luglio 1949, ore 12,30.

Suoi n. 5312 e 5323.

Consideriamo presa di posizione soddisfacente in linea generale; del resto anche nostra nota che, come è stato preannunziato ai due ambasciatori, presenteremo all’O.N.U. sarà ispirata ai medesimi concetti. Molto dipende però da formulazione definitiva. Occorre perciò che in paragrafo secondo della nota si dica nei termini più chiari, e possibilmente richiamandosi dichiarazione 20 marzo4, che i tre Governi firmatari considerano misure prese da Governo jugoslavo come illegali e invalide.

2 Vedi D. 23.

3 Dell’8 luglio, con il quale Tarchiani aveva riferito i commenti della stampa sulla questionedegli aiuti statunitensi alla Jugoslavia connessi ad una soluzione di compromesso per il Territorio Liberodi Trieste.

4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

Con l’occasione faccia presente che opinione pubblica italiana segue con molta attenzione reazioni anglo-americane. Comunisti si preparano a farne oggetto di larga speculazione politica anche in relazione imminente discussione parlamentare per ratifica Patto atlantico. Qualsiasi esitazione da parte potenze occidentali verrebbe immediatamente interpretata e sfruttata come conferma insistenti voci giornalistiche di accordi finanziari connessi soluzione di compromesso a nostro danno per questione T.L.T.

Anche dal punto di vista politica interna sarebbe necessario perciò che presa di posizione potenze occidentali fosse pronta e decisa. Nostra intenzione è di cominciare entro tre giorni discussione unita del Consiglio europeo e Patto atlantico alla Camera5.

26 1 Ritrasmesso a Londra e Parigi, vedi D. 23, nota 1.

27

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA

T. 5879/30. Roma, 9 luglio 1949, ore 18.

Suo 671.

Questo Ministero si rende conto numerosi inconvenienti di servizio e materiali che situazione codesta rappresentanza comporta.

D’altra parte, pur riconoscendo fondamento argomenti da lei addotti, complessità problema cinese rende ancora perplessi nel prendere decisioni definitive che potrebbero in seguito pregiudicare o limitare talune possibilità nostra azione politica. Di quanto ella ha telegrafato è stata ad ogni modo data conoscenza alle nostre ambasciate in Washington, Parigi e Londra, perché ne tengano dovuta considerazione nel sondare opinione quei Governi in merito situazione cinese e a quelle specifiche rappresentanze diplomatiche: pur ammettendo in principio che eventuali decisioni per queste ultime appaiano prese singolarmente, nella sostanza una unità di condotta sembra consigliabile.

Per quanto riguarda Cippico e collegamento ChungKing confermansi telegramma 272.

26 5 Per la risposta vedi D. 30.

27 1 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1097. 2 Del 3 giugno, non pubblicato.

28

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7496/324. Londra, 9 luglio 1949, ore 13,55 (perv. ore 18,15).

Ho ritenuto opportuno e urgente chiarire con Bevin stesso ansietà giustificati sospetti italiani per imminente visita senusso a Londra. Gli ho detto che, ove tale visita tendesse a preparare a nostra insaputa fatti compiuti contrari allo spirito del-l’accordo Bevin-Sforza, conseguenze anche nella politica interna nostra avrebbero potuto essere assai gravi. Reazione sarebbe stata di tutti i partiti. Provasse a interrogare in proposito Saragat Lombardo e Romita.

Mi rispose tassativamente che volontà inglese dichiarata era di toccare col senusso i soli problemi di regime interno della Cirenaica e di escludere dalle conversazioni argomento di Tripoli. (Mia impressione è che tale atteggiamento sia stato preso però all’ultimo momento, poiché mi accennò, quasi scusandosi, alla impossibilità «ormai» di evitare che senusso passasse attraverso Tripoli). Disse che errore del Governo italiano fu di non capire fin da quattro anni fa che Inghilterra non avrebbe mai rinunciato alla Cirenaica e di non trattare su quella realtà. Ormai troppa gente e troppi interessi diversi si appuntavano sulla Tripolitania e la questione non poteva essere risolta a due e non era semplice da risolversi.

Spogliando il resto del discorso dagli accessori contingenti, i punti essenziali che ne risultano sono:

— -non sarà possibile prima della prossima Assemblea trovare nessuna formula che riesca raccogliere voti necessari per una accettazione delle Nazioni Unite di soluzione per le nostre colonie; — -egli, Bevin, teme di non essere riuscito a persuadere ministro Sforza della sua sincerità sulla dichiarazione fatta a lui ed a me che l’Inghilterra non vuole rimanere in Tripolitania; — -una formula di compromesso per il nostro ritorno non può essere trovata che a quattro: Francia, Inghilterra, Italia e Egitto (per la prima volta Bevin sostituiva «Egitto» alla più generica espressione «arabi»; - — -quanto all’Egitto egli mostrò qualche disappunto (buon segno) per le nostre «combinazioni»2 di cui disse di essere al corrente. Gli risposi che da parte mia sapevo solo di aver lavorato sulla linea la più leale di una intesa italo-anglo-araba che ritengo indispensabile per la pace e la soluzione del problema libico. Ammise sorridendo di sapere anche questo; 2 Vedi D. 17.

— -espresse la speranza che le prossime nostre conversazioni con l’intervento di Alessandrini potessero essere assai utili per un chiarimento mentre ripeté sua sfiducia «per il momento» circa conversazioni formali a quattro che di fatto avrebbero invece continuato «per le normali vie diplomatiche»; — -si ripromise uno stretto e continuato contatto diretto, o attraverso Strang, nelle prossime settimane.

28 1 Vedi D. 22.

29

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7564/377. Parigi, 11 luglio 1949, ore 20,40 (perv. ore 7,30 del 12).

Suo 3971.

Ho spiegato Parodi e Couve de Murville nostra posizione e considerazione per cui desideravamo gesto solidarietà da parte occidentale e particolarmente francese.

Tutti e due mi hanno fatto presente necessità non (ripeto non) creare ripercussioni sfavorevoli politica avvicinamento Occidente verso cui si cerca di spingere Tito. Ho fatto presente che questo è anche nostro interesse ma che non ci si guadagna niente a dare jugoslavi impressione che essi possono fare Zona B tutto quello che vogliono. Inoltre interessi italiani dovevano logicamente avere precedenza su quelli jugoslavi.

Qui non si sapeva niente nota americana: comunque è mia impressione che Francia si associerà nota stessa ma non (ripeto non) intende prendere iniziativa.

30

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7572-7573/535-536. Washington, 11 luglio 1949, ore 21,43 (perv. ore 11 del 12).

Sono state fatte oggi a Dipartimento Stato comunicazioni conformi a istruzioni contenute nel telegramma di V.E. 3531. Si è insistito su urgenza procedere a progettato passo nonché su necessità che nota anglo-franco-americana descriva esplicitamente misure jugoslave come illegali ed invalide.

30 1 Vedi D. 26.

Su quest’ultimo punto, progetto di nota mostrato a questa ambasciata 8 corrente2 sembra corrispondere a nostri desideri.

Circa urgenza, Dipartimento Stato, nell’assicurare suo massimo interessamento, ha fatto confidenzialmente conoscere che Governo britannico, pur dichiarandosi in massima d’accordo, ha rilevato che tecnicamente posizione italiana è «molto debole», ha suggerito di moderare i termini della progettata nota ed ha sconsigliato (dico sconsigliato) di portare questione dinanzi a Nazione Unite.

Governo francese non ha ancora fatto conoscere suo parere.

Dipartimento Stato si è riservato ulteriori comunicazioni.

Dichiarazione fatta da Tito a Pola3, secondo cui Jugoslavia chiuderà frontiera greca, è considerata da Dipartimento Stato come primo passo fatto da Jugoslavia per rendersi più accetta a potenze occidentali e per accrescere possibilità ottenere prestiti.

Beninteso ciò non significa che Dipartimento abbia discusso o stia discutendo questione prestiti con Governo jugoslavo, connettendola con questioni politiche; ma indica speranza Dipartimento Stato che Tito assuma atteggiamento più arrendevole verso Occidente, rendendosi spontaneamente conto che ciò costituisce condizione preliminare per ottenere aiuti finanziari. In altri termini pressioni americane sono di carattere indiretto (lentezza nell’esame delle richieste di prestiti, difficoltà tecniche sollevate dalle banche, ecc.) anziché dirette e politiche.

Non escludo che riluttanza americana a discutere questione in seno a Nazioni Unite sia determinata, oltre che da motivi tecnici, anche da situazione sopradescritta.

Questa ambasciata non ha mancato mettere qui in rilievo che atteggiamento Tito deve evolvere non solo per quanto riguarda Grecia, ma anche per quanto riguarda Trieste e che Stati Uniti debbono fargli sentire questa necessità, di cui evidentemente non ha tenuto conto in occasione riforma monetaria Zona B4 ed in occasione discorso di Pola. Dipartimento Stato ha osservato che progettato passo collettivo presso Governo jugoslavo risponde appunto a questo scopo.

29 1 Vedi D. 23, nota 1.

31

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7587-7601/189-190. Belgrado, 11 luglio 1949, ore 20 (perv. ore 16,30 del 12).

Discorso maresciallo Tito a Pola è ora pubblicato in testo integrale e massima evidenza.

A manifestazione Pola assistevano presidenti del Consiglio Slovenia e Croazia; inoltre ministro territori liberati ed ambasciatore jugoslavo a Washington. Argomento, per noi centrale, di Trieste è stato affrontato con violente affermazioni. Marescial

3 Vedi D. 31.

4 Vedi DD. 16 e 23.

lo ha intanto dichiarato che cambio moneta ha esclusivi moventi economici e deriva da isolamento Zona B in seguito violazione da parte Italia del trattato di pace: rifiuto assicurare mezzi pagamento a Zona B, nostra sospensione pagamenti pensioni, accordo concluso con autorità anglo-americane del Territorio il che implica «completa unione monetaria doganale finanziaria Zona A del T.L. Trieste con l’Italia».

Tito ha affermato che presidente De Gasperi ha tenuto discorso Trieste1 «come se Territorio Libero fosse ormai sotto Italia». Attuali accuse a Jugoslavia (per misure Zona B) sono tendenziose: «perché vi eccitate tanto per questo T.L.T.? Esso non è vostro!». Dichiarazione tripartita2 è «unilaterale» e Jugoslavia deve essere sentita «perché dica come pensa risolvere questione del Territorio».

Jugoslavia comunque non riconosce alcun diritto risolvere unilateralmente questione. Vuole essere sentita «perché noi questa volta non rinunzieremo ai nostri diritti che abbiamo colà. Questo e nulla più, e che si eccitino meno. Conosciamo nostri diritti e doveri».

Maresciallo Tito ha protestato circa decisioni Parigi3 «disonorevoli» per occidentali e per Unione Sovietica. Egli è insorto contro giustificazione russa su pretesi contatti jugoslavi con occidentali per transazione Carinzia. «Avete venduto Carinzia slovena ed ora ne subirete conseguenze. Noi non rinunzieremo né abbiamo mai rinunziato contea Carinzia».

Circa relazioni con Grecia, Tito ha sdegnosamente smentito qualsiasi accordo antipartigiano con Atene. Si è appellato anche a potenze occidentali perché pongano fine provocazione greca truppe confine.

Circa rapporti con Stati Cominform, maresciallo dichiara che Jugoslavia, da essi sanzionata, dovrà commerciare altrove. Ma non vi sarà mai nessuna concessione politica ad Occidente: «Noi non vendiamo la nostra anima, ma soltanto il rame!». Tito ha chiaramente ammesso richiesta prestiti, ma senza nessuna condizione. Se condizioni vi saranno, «allora tireremo avanti come potremo».

30 2 Vedi D. 23.

32

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. SEGRETA PERSONALE 3/2832. Roma, 11 luglio 1949.

Mi riferisco al tuo rapporto 5765/2515 del 2 corrente1.

Circa i progetti americani per la Libia avrai rilevato dai recenti telegrammi, e da ultimo dal 5736 del 6 corr.2, che noi non li riteniamo tali da presentare nuove soluzio

2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

3 Si riferisce al Consiglio dei ministri degli esteri delle quattro grandi potenze (Parigi, 23 maggio-20 giugno), per il quale vedi serie undicesima, vol. II, DD. 971, 987, 1083, 1107, 1122 e 1149.32 1 Non pubblicato ma vedi D. 3.2 Vedi D. 18.

ni che possano essere allo stesso tempo a noi favorevoli ed accettabili all’O.N.U. In generale avrai anche rilevato che per il momento la nostra parola d’ordine dovrebbe essere quella di star a sentire gli altri e mantenerci aggiornati al massimo della evoluzione della questione e dei progetti che si ventilassero tanto costì come a Londra e a Parigi, limitandoci a ribadire il nostro punto di vista, già a te noto, per ciascuno dei tre territori. E ciò fino a quando avremo svolto le conversazioni con gli inglesi che si inizieranno dopo la visita del senusso a Londra.

Mentre quindi è utile che tu continui a tenerti bene informato, da parte nostra non mancheremo di metterti al corrente in modo che quando si tratterà di assumere di nuovo anche costì una parte più attiva, potremo trarre vantaggio da quello che saremo riusciti a sapere sui propositi degli altri e, sopratutto, degli inglesi.

31 1 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1053, Allegato.

33

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, PARIGI E WASHINGTON E ALLA LEGAZIONE A BELGRADO

T. SEGRETO 5923/C. Roma, 12 luglio 1949, ore 22.

(Per Belgrado) Ho telegrafato Washington, Londra, Parigi quanto segue:

(Per tutti) Ho ricevuto ministro di Jugoslavia che ha insistito perché non si arrestino le nostre conversazioni che erano quasi giunte in porto circa un allargato accordo commerciale.

Gli ho risposto che responsabile dell’arresto era la unilaterale decisione presa circa Zona B1 ma che se fossimo messi in confronto di un felice sviluppo politico della situazione noi saremmo pronti ai più efficaci appoggi economici.

Se i Governi occidentali si rendono conto quanto poco, malgrado le apparenze, sia sentita la questione adriatica a Belgrado, sarà facile fare accettare colà una soluzione definitiva. Dal canto nostro propugneremmo qualunque più larga intesa sulla base restituzione Territorio Libero.

Prego V.E. far sentire costì quanto sarebbe facile premere oggi su Tito. Aggiunga che lentezza presa posizione Governi occidentali in questione Zona B2 desta in nostra opinione pubblica penosa impressione e avvalora tesi di quanti insinuano che i Governi alleati non avrebbero scrupolo compromettere interessi italiani. Non v’è dubbio che dell’arrogante discorso di Tito a Pola3 è responsabile la blanda reazione occidentali a suo gesto Zona B. Oggi si inizia discussione Patto atlantico e Consiglio europeo. Occorre spiegare quanto tale situazione nuoccia al Governo italiano e agli occidentali. Lo dica ben chiaro costì.

2 Vedi DD. 23, 29 e 34.

3 Vedi D. 31.

(Per Belgrado) Si esprima anche lei in tal senso con suoi colleghi occidentali.

(Solo per Washington) Quanto precede anche in relazione contenuto suoi 5355364.

33 1 Vedi D. 16.

34

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7631/3301. Londra, 12 luglio 1949, ore 21,03 (perv. ore 5,30 del 13).

Telegramma V.E. 3022.

Foreign Office ha risposto stamane a Dipartimento di Stato dicendosi d’accordo in linea di massima, salvo modifiche di dettaglio, su tenore nota da presentare possibilmente in settimana a Governo jugoslavo.

Governo britannico è favorevole alla pubblicazione della nota in modo da smentire voci comuniste circa tacita complicità occidentale ma, pur desiderando esprimere chiaramente agli jugoslavi netta disapprovazione loro iniziativa unilaterale, intende astenersi da qualsiasi misura che possa indebolire posizione di Tito e con questo spirito ha condotto note trattative economiche con Belgrado.

A tale proposito Foreign Office ha espresso speranza che anche da parte nostra si riesca evitare che battuta d’arresto nelle trattative commerciali italo-jugoslave si risolva in una specie di sanzione economica.

Foreign Office assicura che da parte inglese si resta fedeli a dichiarazione 20 marzo3 anche se in questa occasione si preferisce non farvi espresso richiamo.

35

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

T. 5961/C. Roma, 13 luglio 1949, part. ore 2,15 del 14.

Tradizionali legami coi paesi America latina hanno avuto recente incremento attraverso appoggio prestato da paesi stessi a giuste rivendicazioni nuova Italia democratica.

2 Vedi D. 26, nota 1.

3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

Abbiamo più volte espresso nostro profondo apprezzamento ed abbiamo spesso manifestato nostro proposito accentuare sviluppo reciproci rapporti e interessi. Governo italiano ha deciso ora inviare a una data molto prossima in tutte (dico tutte) capitali latino-americane una missione straordinaria composta dall’on. Aldisio, vice presidente del Senato, e dall’on. Brusasca, sottosegretario di Stato affari esteri, con incarico di esprimere ai singoli Governi sentimenti Governo italiano.

Pregola comunicare quanto precede codesto Governo, valorizzando nostra iniziativa.

33 4 Vedi D. 30.

34 1 Ritrasmesso a Tarchiani e Quaroni con T. 5986/361 (Washington) 402 (Parigi) del 14 luglio.

36

IL MINISTRO A PRAGA, VANNI D’ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7657/50. Praga, 13 luglio 1949, ore 19 (perv. ore 23,30).

Questo incaricato d’affari Santa Sede lascerà oggi Praga malgrado successore mons. Bertoli, consigliere nunziatura Berna, non sia ancora giunto (mio telespresso

n. 1004/747 del 7 corr.)1. Arresto segretario nunzio (che pare si trovi nelle mani polizia sovietica e al quale nunziatura non ha potuto inviare neppure biancheria personale) tuttora mantenuto (mio telegramma n. 48)2. Atteggiamento estremamente scortese usato a mons. Verolino in questi ultimi giorni anche da parte Ministero affari esteri, sembra abbia suggerito Vaticano accelerare sua partenza onde evitare maggiore inasprimento e forse anche rottura delle relazioni con conseguente aggravamento situazione Episcopato. Di fatto questo Governo attribuisce sue più recenti reazioni ai contatti avuti con mons. Verolino.

In Slovacchia permane nota situazione. Bilancio reazione popolare scorsi giorni sembra accertato in dodici morti e circa centinaio feriti. Mi viene confermato che in alcune località popolazione è decisa difendere gerarchie ecclesiastiche ad ogni costo e che Governo, sorpreso intensità e forza reazioni popolazione rurale, tenda per ora soprassedere applicazione suo programma assoggettamento clero per riprenderlo a raccolto effettuato.

36 1 Non pubblicato.2 Dell’8 luglio, con il quale Vanni d’Archirafi riferiva su nuovi disordini in Slovacchia per laquestione religiosa.

37

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO URGENTE 7673/547. Washington, 13 luglio 1949, ore ...1 (perv. ore 8 del 14).

Suo 5923/C.2.

Consegnerà segretario di Stato all’incaricato di affari jugoslavo progettata nota, inviando copia a segretario generale O.N.U. e pubblicandola. Identica nota sarà consegnata da Foreign Office a rappresentanza jugoslava Londra. Si ignora tuttora se Francia (che del resto non è potenza occupante e che pertanto trovasi in posizione diversa) farà altrettanto.

Testo definitivo della nota, mostrato stamane confidenzialmente a questa ambasciata, non differisce sostanzialmente da abbozzo mostrato 8 corrente3. Ultima parte di essa, pur non entrando nel merito delle accuse jugoslave all’Italia, rileva che provvedimento adottato da Belgrado è comunque ingiustificato in quanto adottato unilateralmente prima di ricorrere a procedura conciliativa prevista da trattato di pace. Inoltre nota in questione, pur senza citare esplicitamente dichiarazione 20 marzo4, la ricorda rilevando che Governo americano ha già avuto occasione esprimere suo avviso su mezzi più adatti a risolvere problema triestino.

Questa ambasciata, nell’esprimere compiacimento per passo che questo Governo si accinge a compiere presso quello di Belgrado, ha nuovamente manifestato preoccupazione che ritardo e, successivamente, carattere puramente platonico della reazione americana alla riforma monetaria Zona B inducano Tito a credere che, nei suoi rapporti con Occidente, questione Trieste costituisca punto minore resistenza. Da parte questa ambasciata si è messo in rilievo che, viceversa, qualora Tito sentisse che note indirette pressioni attraverso trattative per prestito5 si riferiscono a Trieste almeno tanto quanto a Grecia o ad altre questioni, sarebbe possibile indurlo soluzione definitiva per noi soddisfacente. Dipartimento di Stato ha mostrato apprezzare nostro punto di vista, ma ha escluso esplicitamente che vi siano in corso o stiano per intraprendersi trattative con Belgrado per soluzione questione Trieste, in quanto almeno per ora nessuna pressione indurrebbe Tito ad abbandonare Zona B e d’altra parte Governo americano non intende recedere da dichiarazione 20 marzo a meno che Italia stessa di sua iniziativa voglia accordarsi con Jugoslavia su basi diverse.

Prossimi giorni tratterò nuovamente a fondo questione nei colloqui che avrò con Acheson, Rusk ed altri dirigenti Dipartimento di Stato6.

2 Vedi D. 33.

3 Vedi D. 23.

4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

5 Vedi D. 30.

6 Vedi DD. 46 e 50.

37 1 Manca l’indicazione dell’ora di partenza.

38

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7713/338. Londra, 14 luglio 1949, ore 20 (perv. ore 24).

Ho riveduto Strang per chiarire e completare alcuni punti del mio colloquio del 9 corrente con Bevin1. In via di massima egli lo riconferma specialmente per quanto riguarda la non (dico non) volontà inglese di rimanere in Tripolitania. Mi pare che volesse temperare però l’asserzione un po’ troppo assoluta del ministro che non si possa trovare una formula di accordo prima dell’Assemblea di Lake Success. A parere di Strang difficoltà sono certo molte ma non è escluso che si debba cercare di risolverle e che si possa trovare un punto di accordo con della buona volontà delle partiinteressate. È proprio a questo che dovrebbero anzi tendere conversazioni con Alessandrini.

Quanto alla difficoltà che Bevin vedrebbe particolarmente nell’atteggiamento della Francia, Strang ha precisato alla luce delle sue recenti conversazioni con Margerie (mio 322)2 che Francia è concorde con noi nel non (dico non) volere una unità futura della Libia sotto il senusso donde la posizione assunta parallelamente alla nostra nella imminenza del suo arrivo a Londra. D’altra parte essa non vede di buon occhio le formule che promettono una indipendenza della Tripolitania suscitando un eguale problema in tutta Africa del Nord: nostra situazione diviene quindi complessa poiché se da un lato dovremmo quietare la Francia nelle sue inquietudini, dall’altro lato dobbiamo accontentare mondo arabo non opponendoci a indipendenza ed unità, sia pure graduate nel tempo, secondo dichiarazioni del Governo italiano.

Quanto a tale unità l’Inghilterra, a parere di Strang, è più vicina a noi che alla Francia («assai esitante» su questo) in quanto sarebbe forse possibile tendere verso una forma (da lui appena accennata) di «loose federation», ma ciò che gli inglesi ancora non vedono chiaro è nostro modo di concepire e realizzare particolari rapporti tra Stato italiano e il non ancora esistente Stato arabo tripolino. Da parte mia prevedo che su questo punto nelle conversazioni troveremo gli inglesi assai pedanti e più desiderosi di un nostro piano concreto anche nei dettagli che non di discutere, in linea di diritto e in astratto, il problema.

Ciò che del colloquio Strang mi pare più importante è che tanto egli quanto Bevin ammettono implicitamente che la questione riguarda non vaghi interessi italiani, come avevo temuto dalla precedente conversazione (mio 297)3, ma la speciale posizione nostra in Tripolitania sia nella presente come nella futura Libia.

2 Vedi D. 22.

3 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1145.

38 1 Vedi D. 28.

39

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER AEREO 7818/342. Londra, 15 luglio 1949 (perv. il 18).

Nei frequenti contatti con colleghi egiziano e saudita mi esprimo nel senso indicato nel telegramma V.E. 2961 cercando tener desto loro interesse in dirette intese con noi (affinché non dirigano loro iniziative in direzioni contrastanti) e di appurare se e sino a che punto essi tengano informati gli inglesi di quanto avviene in altra sede.

Nell’ultimo colloquio, ambasciatore Egitto ha tenuto riassumermi come segue situazione quale da lui vista da qui:

— -Senusso: ambasciatore ha fatto ben presente che posizione Egitto è parallela a quella assunta da Italia e da Francia, ossia contraria e tutto ciò che può preparare estensione del potere del senusso fuori della Cirenaica. Egli mi ha detto tuttavia che Foreign Office e lo stesso Bevin non gli hanno dato alcuna indicazione del loro intimo pensiero in proposito; si sono contentati di dirgli che promessa della Cirenaica al senusso era stata fatta da Eden. Ambasciatore non crede che promessa inglese di tralasciare dalle conversazioni con senusso problema della Tripolitania sia attuabile, poiché realtà stessa porterà nel discorso a parlare di una parte così integrante della unità libica. Ritiene che solo dopo visita del senusso Inghilterra sarà giunta alle sue conclusioni ed esprimerà suo pensiero su tutta la questione della Libia. — -Posizione della Francia: egli ritiene che posizione francese nei rapporti della Libia in genere sia diversa da quella dell’Italia, degli arabi e della stessa Inghilterra. Ha impressione che Francia è ormai sicura di tenere Fezzan e che già se lo è incorporato di fatto: bastino i lavori che vi sta compiendo per confermare questa supposizione. Con Inghilterra e con Stati Uniti questione del Fezzan deve essere già stata praticamente concordata. Francia teme solo ciò che delle intenzioni italiane può disturbarla nel Fezzan e altrove. — -Stati Uniti: per quanto ambasciatore stesso abbia nei suoi rapporti con questa ambasciata Stati Uniti cercato di avere una qualsiasi indicazione sulle direttive prese dallo State Department circa Libia in genere e Tripolitania in specie, non è riuscito avere minimo chiarimento. Dal settembre scorso, vigilia della Assemblea delle Nazioni Unite a Parigi, fino ad oggi, gli Stati Uniti si sono trincerati in un vaghissimo atteggiamento di continua attesa «nell’esame della situazione». Crede però poter concludere che quanto alla Cirenaica Stati Uniti hanno dato intero consenso alla Gran Bretagna, che per il Fezzan si sono tacitamente accordati con la Francia e che per la Tripolitania vivono alla giornata cercando soluzioni ma non avendo nessuna idea precisa o non volendola esprimere. — -Nei rapporti con l’Italia Egitto è perfettamente leale e non desidera che di poterle essere di aiuto. Egli ripete con insistenza opportunità che non si tralasci in questo momento di trattare con re Faruk questione della formula che può contentare mondo arabo date disposizioni favorevolissime «del re a nostro riguardo». Su questo punto ambasciatore saudita, che ho rivisto successivamente, è stato ancor più esplicito, raccomandando che da parte nostra si tratti «col re e con lui solo» e alludendo ad opportunità evitare il tramite di «politicanti». — -Nei rapporti con Inghilterra, ambasciatore mi assicura che si è limitato dire a Bevin che nostre personali relazioni sono le migliori e che insieme esaminiamo problemi che ci interessano reciprocamente. Non ha ragione di dire di più e a Bevin non ha parlato di quanto intercorso tra noi benché approvi mio punto di vista, ossia che trattative a due, Italia-mondo arabo, debbano essere di tale natura da poter a un dato momento riallacciarsi apertamente ad un accordo a tre: Italia-mondo arabo-Inghilterra.

39 1 Vedi D. 17.

40

IL MINISTRO A PANAMA, MARIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 817/340. Panama, 15 luglio 1949 (perv. il 25).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 3/2660/C. del 26 giugno u.s.1.

Ho parlato sia con il ministro degli esteri sia con il dr. Ricardo J. Alfaro, già capo della delegazione panamegna alle Nazioni Unite, del nostro nuovo punto di vista ufficiale sull’avvenire dell’Eritrea.

Il primo mi ha assicurato una volta di più e davanti all’ambasciatore del Perù, decano di questo Corpo diplomatico, del pieno appoggio del suo Governo nella questione, dichiarando anzi che egli sarebbe per il ritorno all’Italia della sue ex colonie.

Il secondo mi ha confermato con lusso di particolari l’assoluta avversione dei rappresentanti dei maggiori partiti eritrei, che egli ascoltò a Lake Success, ad ogni annessione all’Etiopia e mi ha detto che ritiene saggia e opportuna la decisione del Governo italiano quale risulta nella parte conclusiva della nota verbale allegata al telespresso cui rispondo2.

40 1 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1134, nota 4. 2 Ibid., D. 1134.

41

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7798/384. Parigi, 16 luglio 1949, ore 22 (perv. ore 7 del 17).

Telegramma di V.E. n. 5923/C.1.

Couve mi ha informato che il Governo francese ha incaricato suo ambasciatore Belgrado protestare verbalmente presso Governo jugoslavo per azione intrapresa Zona B. Dietro mie vive insistenze perché almeno da parte francese si comunicasse ufficialmente che anche Francia aveva protestato, analogamente a quanto era stato fatto a Londra e Washington, mi comunica ora che codesto ambasciatore di Francia sarà incaricato informare Ministero di quanto precede lasciando noi liberi di farne l’uso che vogliamo nella stampa.

Ho fatto presente Couve che mollezza azione francese in una questione che ci interessa così da vicino e per la quale in altre occasioni Francia aveva preso ben altre iniziative non avrebbe mancato creare in Italia certa sorpresa. Si è schernito dicendomi che Francia come potenza non occupante Territorio non poteva, senza dare carattere marcatamente politico suo passo, associarsi a passo anglo-americano e che d’altra parte atteggiamento più tranquillo da parte francese può essere utile anche a noi in caso eventuali ulteriori sviluppi questione.

A mia impressione da parte francese si tende considerare passo anglo-americano come puramente formale. Si continua a ritenere che sollevare in questo momento questione Trieste potrebbe creare complicazioni per trattato con Austria che invece si vorrebbe portare a termine al più presto: non si desidera infine uscire da atteggiamento di certa riserva fino a che non sia più chiaro se, ed eventualmente su quali basi, le varie parti, inclusi noi, desiderino spingere per soluzione questione Trieste. Ritengo anche non sia estranea influenza ambasciatore francese Belgrado il quale, piuttosto ottimista per quello che riguarda possibilità evoluzione occidentale Tito, desidera che Francia abbia sua funzione in questo avvicinamento (anche in vista importanti interessi francesi preesistenti in Jugoslavia e cui liquidazione è in corso trattative), consiglia evitare che Francia prenda posizione di prima linea in questioni che dispiacciano a Tito.

41 1 Vedi D. 33.

42

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7799/385. Parigi, 16 luglio 1949, ore 21,55 (perv. ore 7 del 17).

Quai d’Orsay, che ha determinato propria linea azione nella questione coloniale, ha inviato istruzioni a Washington perché nei contatti col Dipartimento di Stato ambasciata faccia presente:

Francia è favorevole a Comitato consultivo a cinque incaricato di mettere in opera indipendenza Tripolitania purché questa avvenga ad opera esclusiva Comitato stesso con stretta limitazione ingerenza amministrazione britannica e purché non sia posto limite di tempo tassativo suoi lavori.

Per Eritrea qualsiasi soluzione che non pregiudichi interessi francesi Obok.

Per Somalia, mandato all’Italia.

Riferisco più ampiamente per corriere1.

43

L’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2530/666. Rio de Janeiro, 16 luglio 1949 (perv. il 21).

Con riferimento a precorsa corrispondenza e particolarmente ai telegrammi di codesto Ministero n. 4591/C. e n. 4593/C. in data 31 maggio u.s.1, ho l’onore di riferire che non ho mancato di portare a conoscenza di questo Governo e di illustrare opportunamente il nuovo orientamento italiano quale delineato nella dichiarazione del presidente del Consiglio ai delegati dei vari gruppi etnici della Tripolitania e dell’Eritrea.

Ho avuto occasione, anche recentemente, di tornare sull’argomento, durante conversazioni avute con questo ministro degli esteri e con alti funzionari dell’Itamaraty, e mi è stato ripetuto che il Brasile continuerà ad appoggiare in campo internazionale il punto di vista italiano ed a fiancheggiare la nostra azione, nello spirito delle dichiarazioni fatteci a suo tempo in argomento e nel quadro dell’atteggiamento seguito nel corso dell’ultima Assemblea delle Nazioni Unite.

Il ministro Fernandes ha anche voluto rispondere per iscritto alla lettera con cui gli rimettevo il testo del comunicato ufficiale del Governo italiano, e mi ha fatto pervenire la nota che ho l’onore di allegare in copia nel testo originale2 e di trascrivere in traduzione italiana:

«Ho l’onore di accusare ricevuta della nota n. 2029 in data 7 giugno scorso con la quale V.E. mi ha dato conoscenza dei termini delle dichiarazioni recentemente fatte dal capo del Governo italiano ai delegati dei vari gruppi etnici dell’Eritrea e della Tripolitania che hanno sostato in Roma dopo l’ultima riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

2.- Con la citata dichiarazione il Governo italiano riconosce la legittimità delle aspirazioni ad un Governo autonomo espresse dalle popolazioni di quei territori, impegnandosi anche ad appoggiare tali pretese in campo internazionale. 3.- Il Governo italiano si dichiara, in particolare, favorevole alla costituzione, in Tripolitania, di un Governo che sia espressione di una Assemblea popolare liberamente eletta, rappresentativa dei vari gruppi etnici e con la quale l’Italia possa stringere relazioni di collaborazione intima e feconda. 4.- Il Governo italiano riafferma, inoltre, che sarà sempre pronto a qualunque accordo suscettibile di facilitare una soluzione del problema africano, nell’ambito della cooperazione internazionale, rappresentata dalla O.N.U., e con beneficio del consolidamento delle relazioni amichevoli con le principali nazioni europee che hanno interessi in Africa. 5.- Nel farmi la comunicazione di cui sopra, V.E. mi informa che l’Italia continua a contare sulla collaborazione del Brasile in questa questione e confida che la dichiarazione ufficiale del Governo italiano sia favorevolmente accolta dal Governo brasiliano. 6.- Sarò molto grato a V.E. se vorrà comunicare al suo Governo che il Governo del Brasile considererà con simpatia i punti di vista risultanti dalla dichiarazione in parola quando la questione delle colonie italiane sarà nuovamente sottomessa alla Assemblea generale delle Nazioni Unite».

42 1 Con il Telespr. segreto 874/2842 del 17 luglio Quaroni fornì più ampi dettagli sulla posizionefrancese in materia di colonie italiane osservando in particolare: «Se [...] le idee del Quai d’Orsay sembrano chiare e la volontà decisa, non lo stesso può dirsi circa il metodo col quale si potrebbe portare inporto la soluzione diciamo francese».

43 1 Vedi serie undicesima, vol. II, DD. 1003 nota 1 e 1001.

44

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. SEGRETO 6080/150. Roma, 17 luglio 1949, ore 17.

In conversazione occasionale, avvenuta durante ricevimento diplomatico al Quirinale per ministro tesoro americano, tra Ivekovic e d’Ajeta, quest’ultimo, su richiesta ministro Jugoslavia tendente conoscere quando sarebbero stati ripresi negoziati commerciali, ha categoricamente risposto e chiarito non esistere allo stato attuale cose tale possibilità.

In prosieguo conversazione, di fronte allarmata preoccupazione Ivekovic, d’Ajeta «a titolo puramente personale» ha colto occasione per suggerire, come unica possibilità uscire impasse, un gesto jugoslavo il quale diminuisse deleterio effetto misure jugoslave Zona B1 e dichiarazione Pola2 per nostra opinione pubblica, al fine eventualmente permettere Governo italiano esaminare possibilità concludere negoziati commerciali e continuare così su linea condotta fino ad ora da noi seguita e inconsultamente interrotta da azione unilaterale jugoslava.

Richiesto circa portata gesto, d’Ajeta, sempre in via personale, ha parlato a titolo esemplificativo di concretarlo in una intervista larga risonanza maresciallo Tito a giornalista straniero. Tale intervista, o simile altro gesto chiarificatore, dovrebbe possibilmente toccare seguenti punti:

1) senza affrontare problema Territorio Libero Trieste, affermare esclusiva tecnicità provvedimenti Zona B;

2) dato punto 1), esprimere meraviglia Tito per interpretazione e reazione italiana;

3) rispecchiare riconoscimento jugoslavo che da una parte e dall’altra si era fino ad ora fatto del cammino sulla via di una normalizzazione e conseguente miglioramento rapporti tra due paesi e convinzione che, date queste premesse, l’accordo commerciale sarebbe migliore strumento a questo fine.

Giorno successivo Ivekovic è stato opportunamente informato, sempre a titolo personale, che nelle grandi linee situazione prospettata da d’Ajeta e conseguenti suggerimenti corrispondevano pensiero Palazzo Chigi.

Ivekovic, il quale insistendo su immediata ripresa negoziati ha voluto dimostrare grande perplessità circa accettazione soluzione proposta, ha comunicato il tutto a Belgrado.

Quanto sopra per personale informazione V.S. che, senza prendere al riguardo precise iniziative, potrà avvalersi argomenti su esposti per seguire costà questione se necessità o opportunità sorgesse3.

2 Vedi D. 31.

3 Con T. segreto 6103/151 del 18 luglio Zoppi aggiunse: «Questa ambasciata Stati Uniti è statainformata confidenzialmente quanto telegrafatole con n. 150 ed è probabile codesta rappresentanza americana riceva istruzioni seguire favorevolmente questione». Martino rispose (T. segreto 8044/195 del 22luglio) informando che l’ambasciatore statunitense non aveva ancora ricevuto istruzioni e che ritenevache il Dipartimento di Stato si sarebbe mantenuto prudente circa interventi nella questione. Per il seguitovedi D. 86.

43 2 Non pubblicato.

44 1 Vedi D. 16.

45

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7846/349. Londra, 18 luglio 1949, ore 21 (perv. ore 24).

Mio 3301.

Strang mi ha detto oggi che Foreign Office aveva perfettamente compreso nostro punto di vista, quale esposto da V.E. a Mallet, circa situazione Territorio Libero Trieste dopo iniziativa unilaterale jugoslava.

Mi ha ripetuto che, specie nei confronti del Governo jugoslavo, Governo britannico si mantiene fermo nell’atteggiamento enunciato nella dichiarazione del 20 marzo2 pur desiderando evitare iniziative che possano rendere ancor più difficile posizione Tito che già, nella valutazione inglese, è in una fase particolarmente delicata.

Mi ha lasciato infine chiaramente comprendere che, in quel momento in cui la cosa potesse essere matura e opportuna anche dal punto di vista politica interna, un accordo diretto tra Italia e Jugoslavia sarebbe unica via d’uscita nel problema Trieste.

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L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7867-7872/566-567. Washington, 18 luglio 1949, ore 20,37 (perv. ore 12,30 del 19).

Ho avuto oggi con Acheson lungo colloquio, nel corso del quale abbiamo esaminato in atmosfera massima cordialità tutte questioni attualmente pendenti. Riferisco qui di seguito su ciascuna di esse:

1) Trieste. Acheson ha confermato esplicitamente e senza riserve che Stati Uniti rimangono fermi su dichiarazione 20 marzo1. Eventuali aiuti a Tito saranno di carattere esclusivamente commerciale e tenderanno soltanto ad impedire strangolamento economico Jugoslavia da parte U.R.S.S., ma non (dico non) indicano nessuna fiducia nell’attuale Governo di Belgrado. Stati Uniti vedono con favore politica italiana tendente intensificare, con le stesse riserve e negli stessi limiti, rapporti con Jugoslavia; e, tenuto conto nostri rilevanti interessi nella questione, sono pronti a scambiare idee con noi su tale politica.

2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

Per quanto concerne in particolare riforma monetaria Zona B, Stati Uniti non (dico non) ritengono opportuno che questione sia discussa Nazioni Unite, ove Tito avrebbe forse qualche possibilità di manovra.

2) Colonie. Tenuto conto dei recenti sviluppi situazione (progettate conversazioni Londra) e delle istruzioni di V.E.2, mi sono limitato riaffermare principî fondamentali nostro atteggiamento. Acheson, dopo aver riaffermato a sua volta opportunità realizzare compromesso prima della prossima Assemblea Nazioni Unite, ha manifestato speranza che prima della mia partenza3 Dipartimento Stato possa esporci con qualche maggiore precisazione sue idee in proposito (forse domani stesso Rusk sarà in grado dirmi di più)4.

3) Patto atlantico. Acheson ha confermato che, dopo ratifica da parte Senato americano, cominceranno al più presto lavori preparatori per costituzione organi permanenti previsti dal Patto. Egli ha manifestato qualche dubbio su opportunità che riunione iniziale si svolga prossimamente e su livello ministri affari esteri. Ho osservato a mia volta che riunioni ministri possono essere utili anche per dimostrare efficacia ed intensità della collaborazione prevista da Patto atlantico. Acheson ha risposto che si studieranno misure atte a dare anche esteriormente impressione di tale collaborazione.

4) Conferenza tariffaria. Acheson, pur senza entrare in dettagli tecnici, ha mostrato ritenere che delegazione italiana Annecy non si sia avvicinata sufficientemente a posizioni americane onde tenere in serbo ulteriori concessioni, per mercanteggiarle a condizioni migliori nell’ultima fase trattative. Tale tattica, a suo avviso, è controproducente. Ho esposto a mia volta nostro punto di vista insistendo affinché Dipartimento Stato, a somiglianza di quanto ha già fatto e continuerà a fare Governo italiano, intervenga presso organi tecnici onde esaminare questione con massimo spirito di collaborazione. Acheson ha promesso intervenire presso delegazione americana.

5) Emigrazione italiana. Acheson, che era perfettamente orientato circa nostri passi presso E.R.P., ha dichiarato che Dipartimento Stato, pur non sottovalutando difficoltà tecniche e presumibile opposizione Congresso, svolgerà ogni possibile interessamento. Ho l’impressione che intervento Dipartimento Stato sarà tanto più efficace quanto più da parte nostra saranno presentati progetti dettagliati e sopratutto saranno date tangibili assicurazioni che paesi cui nostri emigranti sarebbero diretti sono ben disposti ad accoglierli ed a contribuire con loro risorse. In tema di emigrazione Acheson si è mostrato assai interessato a possibili sviluppi concreti delle conversazioni tra V.E. e Bevin su partecipazione italiana a valorizzazione territori britannici in Africa.

45 1 Vedi D. 34.

46 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

46 2 Vedi D. 18. 3 Il 22 luglio per congedo.4 Vedi D. 50.

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IL MINISTRO ALESSANDRINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO. Roma, 18 luglio 1949.

Ho l’onore di riferire in merito alla missione affidatami da V.E. a Tripoli.

Com’è noto a V.E., tale missione ebbe origine nella richiesta da noi presentata agli inglesi di inviare a Tripoli un nostro funzionario, analogamente a quanto era stato fatto, con successo, all’Asmara ed a Mogadiscio per il chiarimento delle situazioni locali.

Il Governo britannico, che in un primo tempo non aveva dimostrato alcun suo interesse per tale invio, fece, successivamente, attraverso l’ambasciata britannica in Roma, pressioni sempre più nette affinché esso avesse luogo al più presto e fosse anteposto ad ogni eventuale inizio di conversazioni in Londra.

La ragione di tali pressioni è apparsa sufficientemente chiara subito dopo il mio arrivo a Tripoli: si trattava evidentemente, nelle intenzioni britanniche, di fare assistere uno di noi, colà accreditato in modo responsabile, ad una specie di trionfale consacrazione della personalità e della popolarità dell’emiro in Tripolitania quale preludio all’estensione alla Tripolitania stessa dell’Emirato senussita. Il passaggio dell’emiro attraverso il paese e la sua permanenza a Tripoli non hanno rappresentato, invece, un successo sufficientemente convincente malgrado l’accurata preparazione dalla quale la visita era stata preceduta per opera dei dirigenti britannici e degli agenti arabi da essi stipendiati.

Invitato a passare per Tripoli da una Commissione guidata da Mahmud Muntasser e da Tahed Mraied (naturalmente per imposizione inglese e con la scusa che l’emiro, non potendo compiere viaggi di mare troppo lunghi, preferiva imbarcarsi a Tripoli, anziché a Bengasi, per Marsiglia) Idris el Senussi ha percorso le strade della Libia e le vie di Tripoli fra moderate acclamazioni di modesti gruppi di arabi faticosamente riuniti, scaglionati qua e là nei punti strategici e composti sopratutto di ragazzi della città e di gente della campagna altrettanto ignoranti dell’avvenimento quanto ansiosi di non disobbedire alla imposizione degli agenti britannici. Il mufti, che è notoriamente creatura degli inglesi, ha parlato al balcone della sede del «Congresso dei partiti libici» presentando l’emiro ad una folla piuttosto silenziosa. Più tardi aveva luogo un grande ricevimento, non meno silenzioso, nel giardino dell’ex residenza del governatore.

È sopratutto nei contatti di tali notabili col senusso che, come risulta dalle loro susseguenti indiscrezioni, si è dimostrata la freddezza dei tripolitani verso l’emiro. Dirò di più: la visita di Idris anziché eliminare, o almeno diminuire, le divergenze, in gran parte di carattere personalistico, esistenti fra i maggiori esponenti tripolitani, le ha in certo qual modo approfondite contribuendo ad irrigidire le posizioni di ognuno di essi poiché ciascuno ha creduto, e non a torto, di dover essere prudente e di non doversi tanto facilmente compromettere per una causa quale quella senussita che non è evidentemente popolare nel territorio tripolitano.

Boshir Saadawi, giunto a Tripoli due giorni prima di Idris ha, subito dopo il suo arrivo, fatto pubbliche dichiarazioni inneggiando all’emiro. Ma si è visto poi che egli è andato diminuendo il calore e il tono delle sue affermazioni pro senussite fino a tacere completamente dopo l’imbarco dell’emiro per Marsiglia. Cominciarono frattanto a circolar voci, sempre più insistenti, su un «doppio giuoco» di Boshir Saadawi finché si venne ad asserire che egli non era estraneo ad «intrighi italiani» al Cairo. Io non ho visto Boshir Saadawi, poiché non ho voluto metterlo nell’imbarazzo insistendo per un incontro che evidentemente gli inglesi hanno ritenuto opportuno impedire pur dicendo a me il contrario. Ho tuttavia l’impressione che Boshir Saadawi, pur avendo avuto contatti con la nostra legazione al Cairo, sia tuttora indeciso sulla strada da prendere e sulla causa da abbracciare. Forse attende di conoscere i risultati della visita del senusso a Londra prima di prendere una posizione definitiva. La sua posizione a Tripoli può dirsi migliorata nel senso che tutti convengono essere egli uomo di indubbio rilievo e di notevoli possibilità per il domani. La base del suo prestigio è tuttavia sempre rappresentata dal credito concessogli da Azzam pasciá, che è sempre l’uomo più rispettato e quotato dall’opinione pubblica generale anche se la sua posizione in seno alla Lega araba ed il suo prestigio nel mondo musulmano orientale sono grandemente diminuiti in seguito alle disavventure palestinesi.

Come non ho insistito per vedere Boshir Saadawi quando è apparso che gli inglesi non lo volevano, così non ho fatto alcuna particolare pressione per incontrare i notabili più particolarmente legati alla politica inglese, poiché è sempre controproducente dar a vedere di correr dietro a persone del genere. Parlo del mufti Sceik Mohamed Abdulasad el Alem, di Taher El Mraied, di Mahmud Muntasser, di Hagi Mustafa Mizran, di Ahmed Fghi Hassan e di Ali Fghi Hassan.

Non sono però mancati i notabili che hanno avuto il coraggio di venirmi pubblicamente a vedere: primo fra essi Salem Muntasser, che ho trovato molto deciso a sostenere la causa della collaborazione italo-tripolitana e che è riuscito, anche in seguito alle mie insistenze presso l’Amministrazione britannica, ad istituire il partito «Istiqlal» a noi favorevole. Ho incontrato anche il sindaco Taher Caramanli, il presidente del Tribunale sciaraitico superiore, Hamed El Alem; gli sceik Ahmed Ghizza, Bubaker Nrama, Taher Gialgan, Mohammed El Dih e molti altri capi venuti espressamente a vedermi da località vicine e lontane. Ma è sopratutto dalla voce dei notabili locali minori, dei capi di comunità dell’interno, degli esponenti di gruppi che da anni collaborano in perfetta armonia con gli italiani che io ho tratto il convincimento del persistente desiderio arabo di collaborazione con noi. Tale desiderio appare essere sincero, non solo perché fondato sul ricordo dei benefici tratti dall’Amministrazione italiana, ma anche del paragone fatto, durante sette anni, fra quest’ultima e quella britannica.

Non vi è dubbio che se il popolo tripolitano potesse esprimersi liberamente, con elezioni od altro, senza essere sottoposto alle pressioni dirette ed indirette della polizia e degli emissari britannici, esso si pronuncierebbe, nella sua stragrande maggioranza, per una forma di indipendenza da realizzarsi attraverso la collaborazione con l’Italia. Tutti vogliono l’indipendenza, a partire da Caramanli fino all’ultimo ex ascaro, ma tutti hanno il buon senso di capire che essa non può essere raggiunta all’ombra della occupazione inglese, né realizzata attraverso quelle formule britanniche di cui si hanno esempi ben chiari in Transgiordania od in Cirenaica. La promessa italiana di disinteressato aiuto e di amichevole collaborazione riscuote indubbiamente, malgrado tutto, un sufficiente credito ed una spontanea fiducia.

Il principale ostacolo per la adesione araba a quelle soluzioni che noi andiamo prospettando al fine di evitare il perpetuarsi della occupazione britannica, diretta o indiretta, è rappresentato dal postulato arabo della unità del paese. È evidente che questo postulato apre automaticamente la porta alla estensione dell’Emirato senussita, o alla adozione di formule analoghe atte solo a servire di copertura per l’occupazione britannica. Ho cercato di convincere di ciò la maggior parte degli esponenti arabi che ho incontrato ed essi hanno agevolmente capito tutto ciò. Nell’ammettere tuttavia la necessità di un frazionamento, sia pure temporaneo, del paese, dopo il fatto compiuto della proclamazione unilaterale britannica in Cirenaica, essi insistono sulla necessità di ottenere almeno che la separazione della Libia in tre entità, Cirenaica, Tripolitania e Fezzan, rispettivamente legate all’Inghilterra, all’Italia ed alla Francia, sia temperata dalla istituzione di un organo collegiale centrale composto dei rappresentanti delle tre zone ed atto a prendere decisioni effettive. Ciò non solo per rispondere a necessità assolute nel campo economico e delle comunicazioni, ma anche per evitare opposizioni interne che prenderebbero, al fine di difendere il principio dell’unità, carattere veramente popolare. Un altro ostacolo per la creazione di uno Stato tripolitano è rappresentato dalla inesistenza di una classe dirigente vera e propria e quindi dalle incognite inerenti alla formazione di un Governo effettivamente composto di indigeni ed effettivamente rappresentativo. Tale difficoltà rappresenta uno dei maggiori argomenti affacciati dagli inglesi per procrastinare la loro occupazione. Vi è un solo mezzo per giungere rapidamente alla cementazione, sia pure sommaria, di una classe dirigente e quindi di un Governo sufficientemente responsabile: quello di elezioni generali, debitamente controllate da organismi internazionali, cioè dall’O.N.U., ed approvate dalla Lega araba. Ritengo opportuno segnalare in modo particolare il prestigio di cui gode tuttora in Tripolitania la Lega araba, indipendentemente dal fatto che ne è segretario generale Azzam pascià, e sopratutto il più importante dei suoi membri: l’Egitto. Ogni soluzione che riscuotesse l’approvazione ed ottenesse l’appoggio dell’Egitto e degli altri Stati arabi, sarebbe accolta in Tripolitania senza discussione da parte della grande maggioranza della popolazione. Gli inglesi lo sanno ed i loro agenti compiono una quotidiana opera tendente a staccare, o per lo meno a disinteressare, l’opinione pubblica tripolitana dal resto del mondo islamico. Ma questi sforzi, benché propagandati da migliaia di agenti, grossi e piccoli (gli stipendiati dal Governo britannico assommano a circa seimila), non sembrano andare in profondità. Ogni intesa, quindi, fra noi e gli Stati della Lega araba, ogni pubblicità intorno a tali accordi è certamente elemento costruttivo e determinante per una ripresa della nostra collaborazione con il mondo arabo e per una sistemazione definitiva in Libia dei nostri connazionali e dei nostri interessi.

È tuttavia indubbio che la ripresa dei nostri contatti con gli arabi della Libia, ed in particolar modo della Tripolitania; l’inizio di una collaborazione; l’istituzione di entità a noi legate per il futuro, non può avvenire che alla luce di concezioni moderne dei problemi coloniali in genere e di quello libico in ispecie. I vecchi metodi coloniali e le antiche concezioni amministrative non possono più rispondere, di tutta evidenza, alle necessità odierne. Anche gli arabi della Libia sono stati scossi dagli avvenimenti bellici e le loro concezioni, le loro speranze, i loro ideali si sono andati notevolmente trasformando ed avvicinando a quelli di tipo occidentale.

È nel quadro di tali concezioni che ogni progetto di sistemazioni future deve essere chiaramente, e da parte nostra lealmente, formulato.

Le pressioni britanniche per l’immediata visita di un nostro funzionario a Tripoli avevano anche un secondo scopo: quello di farlo partecipare ai lavori della nota Commissione1 colà inviata al fine, secondo quanto asseriscono gli inglesi, di stabilire quali siano le necessità più urgenti della Tripolitania nel campo economico, culturale e sanitario e di indicare le provvidenze atte a venire incontro ai più urgenti bisogni del paese. È subito apparso che si tratta di una inchiesta più formale che sostanziale, condotta in modo sommario e diretta ad uno scopo ben chiaro: quello di ottenere l’inclusione della Tripolitania nel gruppo dei «paesi arretrati» ai quali dovrebbero essere concessi particolari aiuti secondo quel piano americano cui Truman sembra tenere in modo particolare. Quanto al desiderio britannico di una nostra partecipazione ai lavori della Commissione, ho bene avvertito che si trattava di attrarci nelle tortuosità della inchiesta per tentar soprattutto di addossare al nostro paese la parte più onerosa e meno interessante per la Gran Bretagna: quella della situazione economica della collettività italiana. Durante la prima seduta della Commissione, alla quale ho partecipato, il presidente sir Raibert Mac Dougall ha esposto per sommi capi tutte le difficoltà presentate dalla situazione economica tripolitana in relazione all’attività ed alla situazione finanziaria degli italiani chiedendomi quali provvidenze intendesse adottare in proposito il Governo italiano. Ho risposto chiedendo di parlare off record e aggiungendo che evidentemente il Governo italiano non può, pur essendo ansioso di fare quanto possibile in favore degli interessi italiani, prendere per ora alcuna decisione finché non sia deciso il destino della Tripolitania e stabilito il regime cui essa sarà sottoposta. Intervenendo susseguentemente nella discussione su particolari punti trattati dalla Commissione, quali quelli dei rimpatri, della crisi del credito bancario, della paralisi dei traffici con l’Italia, delle requisizioni, ecc. ho costantemente fatto notare come la stasi economica e commerciale tripolitana sia dovuta alla impossibilità per ogni singolo italiano di prendere alcuna nuova iniziativa o di incrementare precedenti attività finché non gli sia noto il regime futuro del paese.

Ho citato come esempio massimo l’incertezza generale di quello che sarà il futuro ordinamento giudiziario scendendo poi ad esempi minori, ma per questo non meno importanti, in ogni campo della vita del paese. Esempi dai quali appariva con chiarezza assoluta come la grave situazione della Tripolitania e le tetre prospettive del suo avvenire dipendessero unicamente dalla amministrazione militaresca britannica e dai suoi usi ed abusi prolungatisi per quasi sette anni sulla base di una unica direttiva: quella del benessere delle truppe occupanti.

La Commissione non ha potuto che convenire. Il suo intelligente presidente, Mac Dougall, mi ha promesso che tutti gli italiani più rappresentativi sarebbero stati diligentemente interrogati e che le loro indicazioni sarebbero state fedelmente riportate nel rapporto della Commissione. Mi risulta che gli interrogatori degli italiani sono stati subito iniziati e su larga scala.

La parte più interessante dei contatti con gli inglesi è stata tuttavia rappresentata dai numerosi colloqui che ho avuto con l’amministratore capo, brigadiere Blackley, e con il capo degli affari politici, conte Oxford.

Dirò subito la conclusione, certo non nuova, alla quale sono giunto dopo tali colloqui: quella che l’Amministrazione militare britannica sta compiendo, per opera di tutti i suoi esponenti e con ogni mezzo, pubblico o riservato, confessabile od inconfessabile, il massimo possibile sforzo per ottenere che l’occupazione britannica permanga in Tripolitania il più a lungo possibile ed almeno fino a quel momento in cui, con l’estensione al paese dell’Emirato senussita o con l’adozione di altra formula, sia messo in piedi in Tripolitania un Governo tanto ligio alla volontà di Londra da consentire il sicuro controllo britannico del paese e la permanenza di quadri dirigenti britannici nel campo amministrativo e militare.

Sarebbe troppo tedioso l’esporre i termini ed i momenti delle lunghe conversazioni che ho avute con i predetti signori in una cortese ma serrata schermaglia che si è chiusa con la presentazione, da parte del brigadiere Blackley, dell’acclusa nota confidenziale2 che dovrebbe essere destinata, secondo le sue stesse parole, a servirmi di guida nell’esporre al Governo italiano le sue «idee personali» per la risoluzione del

It seems unlikely that the territory will be fit for complete independence for at least five years but thisis a question which will no doubt be decided by an international commission appointed for the purpose.

2.- During the intervening period it will be our policy (if we remain the administering authority) toencourage the development of internal autonomy as rapidly as may be compatible with good and stableadministration. 3. -The Italian Government wish for some “freely negotiated” agreement between Italy and the Tripolitania state which would (a) safeguard the position of the existing Italian population and (b) establischsome special relationship between the two states. They appear to envisage this agreement being reachedin the course of the next year or two, i.e. before complete independence can have been attained andduring the period in which the country is progressing towards internal autonomy. - 4. -The difficulties of forcing the pace in this way must not be underestimated. Any suspicionthat the administration was trying to “arrange” a pro-Italian Government or pro-Italian representativesto negotiate an agreement would meet with strong Arab resistance and the resentment engenderedwould seriously delay the prospects of any agreement being reached. If an agreement was made underthese circumstances there would be a danger that Government or representatives making it might subsequently be disowned and the agreement annulled. - 5. -The administration fully appreciate the existence of Italian interests in Tripolitania and theabove difficulties have been stressed not from any desire to exclude these interests but because it seemsdoubtful whether the desired object can be achieved by means of the methods proposed.

The Administration is prepared to use its influence both to safeguard the position of the existingItalian population and to encourage Italo-Arab cooperation in the future. It is arguable, however, that theway to secure this cooperation is by strengthening the natural links between the two countries rather thanby imposing an artificial link in the shape of a formal agreement at a time when the majority of Tripolitanians would not readily accept it.

6. Among these natural links may be mentioned:

(a)- the fact that Italy and Tripolitania provide convenient markets for each others goods. (b)- the fact that Italian is the second language for all Tripolitanian Arabs. (c)- the existence in Tripolitania of Italian community of 40.000 persons most of whom are likedand respected by the Arabs. (d)- the fact that the new Tripolitanian State will be in need of technical assistance much ofwhich could be provided by Italian residents.

Tactful administrative action can help to strengthen these and other links, but the process may beslow and unspectacular and it may well be a case of “more haste less speed”».

problema della Tripolitania. Dirò solo che ogni accenno ad una cessazione dell’occupazione britannica ed all’inizio di una collaborazione diretta italo-araba ha incontrato sempre la stessa monotona risposta: quella dell’impossibilità per la Gran Bretagna di lasciare il paese prima che sia creato uno Stato indigeno sufficientemente vitale e forte da poter esentare la Gran Bretagna dalla sua presente ed inalienabile «responsabilità» principale: la difesa delle persone e degli interessi italiani… Secondo il brigadiere Blackley, se le truppe e la polizia britanniche dovessero domani lasciare completamente la Tripolitania gravissimi moti anti-italiani scoppierebbero in Tripolitania con conseguenze imprevedibili per le vite stesse dei nostri connazionali. Egli ha ricordato gli avvenimenti del maggio scorso citandoli come esempio e dicendo di esser fiero di essere riuscito ad evitare spargimento di sangue. Non vi è ora chi non sappia a Tripoli che le dimostrazioni anti-italiane scoppiate dopo l’annuncio del compromesso Sforza-Bevin sono esclusivo frutto dell’incitamento inglese, partito non dai Ministeri di Londra ma dai Quartieri della polizia e dei servizi segreti britannici di Tripoli. Esistono di ciò innumerevoli prove. Ho detto sorridendo al brigadiere Blackley che se egli se ne andava alla testa dei suoi, sarei stato ben lieto di presentarmi davanti agli arabi con tutti gli italiani di Tripoli, armato solo della mia fiducia nella loro indubbia amicizia per questo nostro paese che ha profuso, per quasi mezzo secolo, immense ricchezze ed energie in favore della Tripolitania e che l’ha trasformata da arido deserto a paese vivo ed operoso.

Il brigadiere Blackley non ha potuto non riconoscere l’importanza vitale della presenza degli italiani in Libia e la preminenza dei nostri interessi, ma ha tenacemente, e sempre con lo stesso monotono argomento sopra citato, negato ogni nostra possibilità di priorità di accordi con quello che sarà il Governo della nuova Tripolitania. Egli ha accuratamente evitato di parlare di elezioni, scartando ogni mio insistente accenno ad esse con l’affermare la previa necessità della formazione di una classe dirigente, sotto la guida britannica, per un periodo non inferiore, egli ha detto, a cinque anni. Ha ammesso, ripeto, la particolare situazione degli italiani ma si è tenacemente rifiutato di ammettere particolari future relazioni fra l’Italia e la Tripolitania. Le sole concessioni che egli sembra disposto a consentire sono in favore non dell’Italia ma degli italiani colà residenti, e limitatamente al campo economico, culturale e tecnico, a condizione però che i nostri connazionali residenti in Libia abbiano ad assumere la cittadinanza libica.

Alla fine delle nostre conversazioni, durante le quali io ho inutilmente esposto le concezioni in verità sì liberali e comprensive, alle quali sono improntate le nostre intenzioni nei riguardi della Tripolitania, e nel corso delle quali ho anche ricordato la necessità della collaborazione europea e dei suoi riflessi nel Mediterraneo ed in Africa, con particolare personale accenno alla mia convinzione sulla assoluta necessità di una intesa italo-britannica, il brigadiere Blackley ha redatto in presenza mia e del conte Oxford, l’acclusa nota che riconferma in pieno le sue idee e che è un esempio tipico delle più tradizionali concezioni britanniche.

È difficile dire fino a qual punto le idee ed i progetti del brigadiere Blackley e dell’Amministrazione militare britannica di Tripoli corrispondano alle reali intenzioni del Governo di Londra. Non è da escludersi una disparità di concezioni specialmente fra gli esponenti del Foreign Office e del Colonial Office, così come è probabile che il progetto di Blackley rappresenti la speranza massima dei dirigenti e dei gregari della Amministrazione militare britannica in Tripoli, tenacemente abbarbicati ad una città e ad un paese la cui bellezza e le cui comodità hanno superato ogni loro aspettativa ed ove essi risiedono in sontuose ville requisite con un tenore di vita che mai essi sognerebbero in patria.

Solo dirette conversazioni a Londra potranno, forse, chiarire fino a qual punto il Governo britannico sia disposto a sacrificare, per raggiungere una risoluzione della questione e per fare forse anche qualche concessione in favore dell’amicizia italiana, le speranze dei componenti l’Amministrazione militare britannica di Tripoli.

Non sembra sia purtroppo lecito nutrire in proposito alcun particolare ottimismo, soprattutto se è esatto che, come mi è stato detto a Tripoli, non solo l’Amministrazione militare britannica della città, ma anche lo Stato Maggiore si è pronunciato in senso contrario ad un ripristino, sotto qualsiasi forma, dell’influenza italiana in Tripolitania. Tale determinazione sarebbe stata presa poche settimane addietro, ad un convegno militare nei pressi di Tripoli, in occasione del passaggio per quella città di Lord Mountbatten.

Dirette prese di contatto con Londra saranno tuttavia utili non solo per stabilire il punto inglese di maggiore resistenza sulla questione, ma anche, ormai, per poter essere domani in grado di affermare che ogni possibile sforzo è stato compiuto presso gli inglesi per richiamarli, un’ultima volta, non solo alle loro responsabilità di carattere europeo ed internazionale ma anche a quel minimo di fair play nei riguardi dell’Italia che non può essere ulteriormente offuscato da rancori o da troppo particolari interessi.

Ho trovato la collettività italiana assai turbata dalle vicende cui il paese è stato sottoposto; demoralizzata dai silenzi e dalle carenze amministrative per quanto concerne gli interessi collettivi e privati; divisa da dissidi interni di carattere prevalentemente personale. Ma sono lieto di aggiungere che la grandissima maggioranza se non la totalità degli italiani della Tripolitania dimostra, anche dopo anni di sofferenze e di prove durissime, di essere sorretta e guidata da sentimenti di devozione all’Italia altrettanto coraggiosi quanto tenaci.

La principale divisione in seno alla collettività è quella esistente fra la «Associazione politica per il progresso della Libia», piccolo gruppo composto in gran parte di professionisti e diretto dal notaio Errico Cibelli (che mi ha dichiarato di essere comunista cominformista) ed il «Comitato rappresentativo italiano» che raccoglie la grande maggioranza della collettività e che è composto di concessionari, di industriali, di coloni e di gente del popolo. Dirigeva questo ultimo sodalizio, fino a poco tempo addietro, l’ammiraglio Fenzi, recentemente deceduto ed oggi sostituito dal conte Ulderico Sottocasa.

La «Associazione politica per il progresso della Libia» sostiene nettamente la tesi dell’indipendenza del paese ed il suo distacco dall’Italia in nome degli interessi degli italiani colà residenti, di cui essa auspica il passaggio senza riserve alla cittadinanza libica. Alcune delle concezioni di tale gruppo non mancano di intelligenza e di modernità ma esse urtano evidentemente i sentimenti più profondi della grande massa della popolazione che è, ripeto, profondamente attaccata alla madrepatria. Un ulteriore motivo di dissenso è ora determinato dal fatto che il dirigente principale del-l’Associazione sembra dimostrare di non essere contrario all’estensione alla Tripolitania dell’Emirato senussita.

Il «Comitato rappresentativo italiano», sorto per rappresentare appunto tutti gli interessi e tutte le tendenze degli italiani della Tripolitania è accusato dal piccolo gruppo della «Associazione politica per il progresso della Libia» di non rappresentare più, appunto, la totalità di tali interessi. Esso è inoltre tacciato di fascismo o di mentalità fascista. Non vi è dubbio che l’estrema ala destra del «Comitato rappresentativo» include elementi che non si sono ancora resi conto di quanto è avvenuto in Italia, in Europa e nel mondo dal 1939 ad oggi e che ha riminiscenze e nostalgie che appaiono veramente assurde se non colpevoli, ma si tratta di poche persone: la grande massa degli aderenti al «Comitato rappresentativo» è composta da persone serie e responsabili, tanto pensose dell’avvenire della Tripolitania quanto fedeli alla madrepatria. È questo quello che potrei chiamare il «centro» della collettività. Esso è continuamente sostenuto dalla quotidiana opera dell’Azione Cattolica.

Dopo attento esame ho ritenuto di incoraggiare tale gruppo centrale rassicurandolo sulla sollecitudine del Governo nei riguardi dei connazionali della Tripolitania e promettendo che nessuno sforzo sarà risparmiato per assicurar loro un degno avvenire, sia per quanto riguarda la tutela delle persone e degli interessi sia per quanto concerne le provvidenze assistenziali ed il riconoscimento dei diritti dei singoli.

Al di sopra delle divergenze politiche, in realtà più formali che sostanziali, la collettività italiana ha dato e dà prova di una vitalità e di una efficienza veramente sorprendenti e che ha indotto l’aperta ammirazione della stessa Autorità occupante. Le concessioni ed i terreni messi a coltura da tanti anni hanno continuato ad essere curati attraverso sacrifici inenarrabili, con una tenacia veramente degna della nostra razza. Ho visitato io stesso concessioni vicine e lontane ed ho constatato ovunque una qualità di lavoro veramente impressionante. Ed a lato dell’intensa attività agricola sono sorte industrie le più diverse che, sia pure con mezzi primitivi e attraverso difficoltà di ogni genere, hanno saputo creare prodotti in ogni campo, da quello meccanico a quello chimico.

Ho conferito con rappresentanti di enti parastatali, con dirigenti di aziende e con colonizzatori diretti: tutti mi hanno presentato i loro problemi in appositi esposti che tengo a disposizione di V.E. e che avvierò ai ministeri tecnici per quel doveroso esame che essi comportano: sono questi gli anni durante i quali le coltivazioni devono giungere a portare i primi reali frutti e l’autonomia delle industrie deve, con l’apertura del paese ai traffici, realizzare i suoi schemi.

Ho parlato con operai e contadini: tutti hanno commoventi necessità alle quali bisogna venire incontro, sopratutto attraverso la sollecita attenzione delle amministrazioni competenti.

Ma tutti, industriali ed operai, proprietari e contadini, professionisti ed artigiani, antepongono i loro sentimenti di italiani ai loro interessi ed alle loro necessità.

Mi consenta, eccellenza, di considerarmi per un istante l’inviato di quei nostri italiani e di pregare a loro nome l’E.V. di voler dire al Governo ed al paese la loro fedeltà e la loro speranza.

47 1 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1113.

47 2 Il testo della nota, datata 16 luglio, era il seguente: «It is agreed that the object to be aimed atis the independence of Tripolitania, without prejudice to the question of its unity or federation with Cyrenaica and the Fezzan.

48

L’AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE 372. Roma, 18 luglio 1949.

His Majesty’s Embassy presents its compliments to the Ministry of Foreign Affairs and with reference to the Ministry’s Note verbale n. 3/2658 of 6th June1 on the subject of the future of Eritrea, has the honour to state that His Majesty’s Government have made a careful examination of the proposals therein put forward by the Italian Government. Nevertheless as His Majesty’s Ambassador has already informed the Ministry of Foreign Affairs His Majesty’s Government in the United Kingdom do not consider that there are any grounds for modification of their previously declared policy regarding the disposal of Eritrea. In reaching this conclusion they have been influenced by the following consideration. In their study of the problem of the disposal of Eritrea which preceded the formulation of the policy they advocated at the recent session of the General Assembly of the United Nations, His Majesty’s Government considered very carefully, among other possibilities, the alternatives of immediate independence or independence after a period of trusteeship. They then reached the conclusion, however, that Eritrea could never exist as a viable independent state. Both politically and economically it is an artificial creation with no real unity and no prospect of financial stability.

2.- His Majesty’s Government’s study of the problem led them furthermore to the conclusion that Eritrea possessed no real unity. The central provinces of the territory are inhabited by Tigrean Copts linked by language, race and religion, with the population of the Ethiopian provinces of the Tigre. These Eritrean Copts amount to nearly half of the population of the whole territory and an overwhelming majority of them desired incorporation in Ethiopia. Geographically and economically these provinces are intimately linked with Ethiopia. The Ethiopian claim to them, therefore, appeared incontestable and was generally recognized as such at the recent meeting of the General Assembly. 3. -At the same time His Majesty’s Government recognized that among the Moslem population of the territory there was strong opposition to incorporation in Ethiopia. His Majesty’s Government accordingly did not propose cession to Ethiopia of the Western provinces, whose 300.000 inhabitants are with few exception Moslem. In this manner the number of Moslem to be transferred to Ethiopian sovereignty would be reduced to the minimum. 4. -While it is true that the majority of the population of Eritrea as a whole can be considered as opposed to annexation to Ethiopia (although even so this majority is a small one), this is not true of that part of Eritrea which would be ceded to Ethiopia under the foregoing proposals. 5.- In their Note Verbale the Ministry of Foreign Affairs referred to the opinion of the Chief Administrator of Eritrea that the majority of the population was contrary to annexation to Ethiopia as also to Ethiopian trusteeship. It is not understood to what expression of opinion by the Chief Administrator this reference relates. It is, however, true that the evidence taken by the Four Power Commission in 1948 showed that all political parties in Eritrea were opposed to the division of the territory. The motives behind this opposition varied, however, considerably in the case of the various parties. The Unionist or pro-Ethiopian party, advocated unity in order to establish their claims to cession of the whole of Eritrea to Ethiopia. The parties opposing cession to Ethiopia did so as a tactical move in order to be in a position to claim that in the territory as a whole the persons they represented constituted a majority. 6. -While it is true that voting in General Assembly of the United Nations regarding the disposal of the Western province failed to produce the requisite majority in favour of its incorporation in the Sudan, the fact remains that the resolution for incorporation of the remainder of Eritrea in Ethiopia was the only proposal for the future of any of the former Italian territories in Africa which, whatever the motives of the various delegations, found anything like universal acceptance. In the Political Committee of the General Assembly only six votes, namely those of the Soviet Union and its satellites, were recorded against the proposal. This majority was not sustained in the plenary session of the General Assembly but certain delegations there voted against the proposal in order to demonstrate their displeasure with the Ethiopian delegation, which had voted against the proposal for Italian trusteeship of Tripolitania in Committee I. The voting therefore in the Political Committee must be regarded as a far better indication of opinion on the problem of Eritrea than that in the plenary session.

48 1 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1134.

49

L’INCARICATO D’AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7895/59. Madrid, 19 luglio 1949, ore 22 (perv. ore 8 del 20).

Mio telegramma 551.

Arguelles mi ha ora rimesso nuova lista contingentamenti che trasmetterò prossimo corriere.

Ferma restando richiesta spagnola di macchinari già presentata Roma, nuove proposte comportano tra l’altro seguenti miglioramenti a nostro favore:

1) Esportazioni italiane. Accettazione nostre richieste contingentare diciannove milioni di pesetas per merci seguenti: seta naturale tratta, raso, filati, seta naturale e tessuti seta naturale; macchine e apparati elettrici per motori combustione interna; motociclette e motocicli commerciali; apparati chirurgici scientifici e ottici. Aumento

contingenti automobili e camion da sei a undici milioni di pesetas; leggero aumento su motori combustione interna, celluloide, vetreria da laboratorio, cementi. Inclusione di un contingente di sei milioni di pesetas di macchinari diversi specificando che non si tratta di macchinari pesanti.

2) Esportazioni spagnole. Aumento da 125 a 140 mila tonnellate minerali ferro di cui 40 mila del Rif; ossido di ferro aumento da 1.000 a 2.000 tonnellate; invio di 50 mila tonnellate di piriti; richiesta per esportazione pesci viene limitata 3 mila tonnellate acciughe salate e 3 mila tonnellate tonno sotto olio, contingente pelli 20 milioni di pesetas di cui 50 per cento ad valorem conciate, il che equivarrebbe a 650 tonnellate grezze e 350 conciate. Da parte spagnola si insiste per inclusione contingente tre milioni pesetas sughero grezzo e si accetterebbe in contropartita mezzo milione sughero sardo tipo carta.

Non escludo che queste proposte possano essere ancora parzialmente migliorate all’atto conclusione accordo.

Faccio presente che molti contingenti di merci italiane sui quali si è in tal senso insistito durante recenti negoziati, pur figurando nel vecchio accordo, non sono stati in realtà mai esportati in Spagna e perché clearing ha mal funzionato, e perché nelle more esecuzione, Governo spagnolo ha rilasciato permessi d’importazione arbitrari. Ci resta pertanto da considerare se non sia preferibile non insistere anche questa volta per inclusione di alcuni contingenti quali registratori cassa, macchine cucire, scrivere ecc. che potrebbero fare stessa fine dei precedenti ma formulare accordo in modo che contingenti che verranno convenuti possano essere poi effettivamente realizzati.

Accordo ispano-francese, che ho trasmesso con rapporto 664 8 corr.2, sembra fornire in molti punti un precedente che può essere da noi invocato.

Sarò grato se codesto Ministero vorrà far conoscere proprio pensiero su questa ultima proposta spagnola facendomi pervenire istruzioni che riterrà del caso sull’opportunità o meno continuare mie conversazioni con Arguelles3. Questi partirà fine mese e sarà di ritorno 20 agosto.

49 1 Vedi D. 8.

50

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7905/568. Washington, 19 luglio 1949, ore 20,55 (perv. ore 9 del 20).

Mio 5661.

Rusk, che ho visto oggi, non (dico non) è stato in grado darmi precisazioni annunciate circa atteggiamento americano su questione colonie. Egli ha però promesso che entro venerdì potrà mostrare, sia pure in forma non (dico non) ufficiale, docu

3 Vedi D. 121.

mento attualmente allo studio presso Dipartimento di Stato e contenente dette precisazioni2. Frattanto ha confermato che queste si limitano a definire maggiormente noto progetto per Libia.

In pratica Governo americano prevede costituzione unico Stato libico, su base federale, destinato ricevere indipendenza entro tre o quattro anni al massimo. Durante tale periodo, potenza amministratrice sarebbe assistita da Comitato cinque potenze, dotato poteri esclusivamente consultivi, tra l’altro perché Stati Uniti non intendono condividere responsabilità materiali amministrazione.

Ho esposto a Rusk mie riserve su possibilità che Gran Bretagna accetti costituzione Comitato per tutta Libia cioè anche per Cirenaica. Egli ha ammesso non avere ancora potuto accertare esattamente reazioni britanniche, ma ha aggiunto sperare che non siano del tutto negative.

Circa Eritrea, Rusk ha confermato che atteggiamento americano è immutato. Circa Somalia ha dichiarato che Stati Uniti si propongono ripresentare proposta amministrazione fiduciaria italiana.

Ho visto anche McGhee, nuovo assistente segretario per Levante e Africa, cui ho ripetuto esposizione punto di vista italiano e che naturalmente non è stato in grado dirmi nulla di più di Rusk.

49 2 Non pubblicato.

50 1 Vedi D. 46.

51

IL MINISTRO A QUITO, PERRONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 1397/03. Quito, 19 luglio 1949 (perv. il 2 agosto).

Riferimento: Telegrammi di V.E. n. 4591/C. e 4593/C. del 1° giugno. Telespressi ministeriali 3/2383/C. del 3 giugno, 3/2660/C. del 26 giugno e 3/2741/C. del 4 luglio1.

Questo ministro degli affari esteri mi ha assicurato che anche nella prossima Assemblea dell’O.N.U. l’Italia può contare sulla fattiva collaborazione dell’Equatore per la realizzazione delle sue giuste aspirazioni nel problema delle nostre colonie africane prefasciste.

Ho avuto altresì occasione di intrattenermi di tale questione con il signor Benjamin Cohen, un ex diplomatico cileno attualmente segretario generale aggiunto del-l’O.N.U. e che si è trattenuto qualche giorno a Quito in occasione del V° Congresso panamericano dei giornalisti. Egli mi ha detto di essere convinto che il problema delle colonie italiane sarà finalmente risolto in modo per noi accettabile nel corso della prossima Assemblea. Personalmente egli ritiene che la soluzione probabilmente

adottata dall’Assemblea sarà quella di una amministrazione fiduciaria di più nazioni, fra cui l’Italia, per un certo numero di anni e cioè sino a che le regioni in questione, le quali ora non hanno la necessaria maturità, saranno finalmente in grado di governarsi in maniera autonoma.

Egli ad ogni modo esclude che possa più oltre prolungarsi l’attuale amministrazione provvisoria inglese delle nostre ex colonie.

50 2 Con T. segreto 8048/586 del 22 luglio Luciolli comunicò che il documento in questione eraancora allo studio e che all’ambasciatore Tarchiani, in partenza per congedo, era stato consegnato unsemplice appunto confermante la posizione statunitense sul problema coloniale.

51 1 Vedi serie undicesima, vol. II, DD. 1003 nota 2, 1001, 1024 e 1134 nota 4 e, in questo volume, D. 10.

52

L’AMBASCIATORE DELL’U.R.S.S. A ROMA, KOSTYLEV, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. Roma, 19 luglio 1949.

In relazione alla adesione dell’Italia al Patto nord-atlantico ed alla richiesta rivolta dal Governo italiano al Governo degli Stati Uniti d’America di collaborare al rafforzamento delle forze armate italiane e all’ampliamento dell’industria bellica in Italia, il Governo sovietico ritiene indispensabile dichiarare quanto segue:

Nel trattato di pace con l’Italia è stabilito che tale trattato sarà la base di rapporti amichevoli tra l’Italia e gli Stati firmatari di esso. Avendo firmato il trattato di pace l’Italia con ciò stesso si è assunta l’obbligo di non intraprendere nessuna azione diretta contro gli altri Governi firmatari e di conseguenza di non entrare a far parte di alcuna alleanza o gruppo aventi scopi aggressivi.

Con l’adesione al Patto nord-atlantico l’Italia è entrata a far parte di un raggruppamento militare avente carattere aggressivo e diretto contro l’Unione Sovietica e i paesi delle democrazie popolari. Il carattere aggressivo del Patto nord-atlantico si rivela negli ampi provvedimenti militari presi dai partecipanti ad esso e miranti all’aumento delle forze armate e degli armamenti, alla creazione di una ampia rete di basi militari aeree e navali, alla preparazione per l’utilizzazione dell’arma atomica ecc. Questi provvedimenti militari non possono essere giustificati in alcun modo da interessi di auto-difesa degli Stati partecipanti al Patto nord-atlantico, tanto più che questi Stati, e tra essi l’Italia, non sono minacciati da alcuna aggressione armata.

Con la firma del Patto nord-atlantico, il Governo italiano viene a partecipare alla realizzazione dei provvedimenti militari presi dai partecipanti al Patto. Ne è prova in particolare la richiesta (pubblicata il 6 aprile di quest’anno) rivolta dal Governo italiano al Governo degli Stati Uniti, di un aiuto militare allo scopo di rafforzare le forze armate italiane ed aumentare la produzione bellica dell’Italia.

Tali atti del Governo italiano costituiscono delle violazioni alle clausole del trattato di pace riguardanti le restrizioni imposte alle forze armate italiane. A questo proposito è necessario riferirsi all’art. 46 del trattato, il quale stabilisce che «ciascuna delle clausole militari, navali ed aeree rimarrà in vigore finché non verrà modificata totalmente o parzialmente da un accordo fra l’Italia e le potenze alleate, oppure dopo che l’Italia diverrà membro della organizzazione delle Nazioni Unite per un accordo tra l’Italia ed il Consiglio di sicurezza». Ne consegue che i passi fatti dal Governo italiano per mutare quantitativamente e qualitativamente la situazione dei suoi armamenti e delle sue forze armate, senza osservare le condizioni sopraindicate, rappresentano una violazione dell’art. 46.

Tale azione del Governo italiano rappresenta anche una violazione dell’art. 53 il quale vieta all’Italia di avere o produrre materiali bellici ed equipaggiamenti tecnici in quantità o tipi non compresi nei limiti stabiliti dal trattato di pace, e una violazione dell’art. 56 il quale fa obbligo all’Italia di ridurre la sua flotta militare ai limiti stabiliti nell’allegato XII A del trattato di pace.

Il trattato di pace esclude inoltre la possibilità di aumenti della forza navale italiana che avvengano in maniera diversa da quanto è stabilito nell’articolo 58 del trattato, il quale vieta all’Italia di costruire, acquistare o sostituire navi da guerra di alcuni tipi.

Inoltre negli art. 61 e 64 il trattato di pace dispone che l’organizzazione, l’armamento e la dislocazione delle forze armate italiane, debbono conformarsi esclusivamente al compito della difesa delle frontiere italiane e ad altri scopi di carattere interno.

Invece il Governo italiano nella sua nota al Governo degli Stati Uniti d’America, basa la sua richiesta di una collaborazione per il rafforzamento delle forze armate italiane e l’incremento dell’industria bellica italiana sul fatto che l’adesione al Patto nord-atlantico gli impone degli obblighi complementari che richiedono l’aumento delle forze armate e della produzione bellica.

Le dichiarazioni del ministro della difesa italiano, on. Pacciardi, fatte al Senato il 9 ottobre 1948, sul fatto che le forze armate italiane erano state ridotte ai limiti previsti dal trattato di pace confermano che la richiesta del Governo italiano al Governo degli Stati Uniti di collaborare ad un ulteriore rafforzamento delle forze armate italiane persegue scopi bellici che esulano dai limiti stabiliti dal trattato di pace.

In vista di quanto sopra, il Governo sovietico, rilevando che l’adesione dell’Italia al Patto nord-atlantico è in contraddizione collo scopo stesso del trattato di pace con l’Italia, richiama l’attenzione del Governo italiano sulla responsabilità che esso si assume per le suindicate violazioni al trattato di pace1.

53

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7946/137. Atene, 20 luglio 1949, ore 13,20 (perv. ore 24).

Seguito mio telespresso urgente 083 del 19 corrente1.

Ministro ordine pubblico Rendis conferiva ieri con Pipinelis al quale rimetteva dichiarazione che per il suo Ministero il ritorno degli italiani non rappresentava una

questione nazionale, tutto al più era consigliabile ritorno avvenisse gradatamente. Risulta da fonte indiscutibile che campagna stampa assurda e veramente clamorosa è opera personale di Pipinelis. Ho fatto notare a questo ministro propaganda inutilità simile triste commedia che, essendo da me smascherata a Roma, varrà soltanto a lasciare inutili e deplorevoli tracce nei rapporti tra i due paesi senza servire la [causa] sperata negli attuali negoziati2.

52 1 Per la risposta vedi D. 78.53 1 Non pubblicato.

54

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7958/391. Parigi, 20 luglio 1949, ore 19,28 (perv. ore 7,30 del 21).

Alphand mi ha detto che domani codesta ambasciata di Francia presenterà V.E. progetto protocollo addizionale Unione doganale. Progetto è sviluppo concetti di cui a scambio di lettere già da noi suggerito. In esso si dichiara:

1) Per armonizzare metodi preconizzati da O.E.C.E. con quelli trattato Unione si dà precedenza ad abrogazione misure contingenti attualmente esistenti fra i due paesi, mentre applicazione misure previste articoli 2, 3, 4, 5 sarà scaglionata in un periodo da fissarsi Consiglio Unione.

2) Messa in esecuzione Unione doganale sarà perseguita nel quadro più generale cooperazione economica europea.

Circa punto primo ho obiettato ad Alphand che questo poteva creare difficoltà in base articolo 44 Carta Avana. Mi ha ripetuto che a suo avviso non era esatto: si poteva per esempio prevedere abbassamento tariffe doganali nella misura venti per cento ogni anno: del resto Carta Avana chiede che ci sia un piano, ma non specifica quale deve essere questo piano.

Sua considerazione è che se noi procediamo abolizione tariffe doganali e non libera[lizza]zione contingenti mettiamo patto Unione doganale in contrasto con attuale orientamento O.E.C.E. cooperazione europea nel qual caso giustifichiamo argomento di chi dice che Unione doganale è incompatibile con cooperazione europea. Se invece diciamo che si aboliranno ad un tempo contingenti e tariffe doganali anche con mantenimento certi diritti ad altro titolo si avrà opposizione tutti gli interessi che avranno impressione trovarsi improvvisamente senza più alcuna protezione.

Schuman desidererebbe avere risposta sollecita Governo italiano in modo da poter disporre testo protocollo Commissioni parlamentari prima chiusura attuale sessione prevista all’incirca per 28 luglio: la considera grande importanza per impostazione campagna in favore Unione doganale che Governo intende promuovere durante estate.

Mentre non sono personalmente del tutto sicuro che protocollo in questione possa da solo bastare per superare attuali posizioni parlamentari è certo che sua non accettazione da parte nostra equivale rinunciare portare al termine Unione doganale. Comunque ad ogni fine anche internazionale è sempre preferibile, ritengo, evitare che eventuale responsabilità fallimento questa politica possa essere fatta ricadere su di noi. Per cui qualora ragioni nostre di politica economica generale non ci rendessero difficile accettare principio soppressione contingenti sono del parere conviene accettare proposta.

È comunque opportuno che nostra risposta venga comunicata al più presto1.

53 2 Per la risposta vedi D. 59.

55

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 890/28691. Parigi, 20 luglio 19492.

Sembra ormai pacifico che il progetto di accordo per l’Unione doganale non sarà discusso dal Parlamento francese prima delle vacanze estive: sarà rinviato alla rentrée, ossia verso il mese di ottobre: probabilmente, salvo imprevisti, non sarà nemmeno fra le prime questioni che verranno in discussione.

Le opinioni in proposito erano qui divise: alcuni sostenevano che il tempo permette all’opposizione di meglio organizzarsi: altri sostenevano invece che il tempo ristretto, l’atmosfera tesa (c’è in aria l’attacco alla diligenza governativa) non permettono di svolgere il lavoro necessario per assicurarsi una maggioranza, anche modesta. Meglio approfittare dei mesi dell’estate per fare opera di propaganda nei centri provinciali, che sono poi centri di opposizione, per la persuasione individuale da parte dei vari chefs de file dei partiti anche fuori dell’aggruppamento governativo (poiché si ha questo assurdo che mentre i chefs de file dei partiti radicale, rassemblement des gauches, indipendenti, partito contadino, P.R.L. e R.P.F. sono tutti favorevoli all’idea dell’Unione doganale, il rank and file dei loro partiti sono già quelli che più violentemente la attaccano). Si conta anche di potere, durante questo periodo, mobilitare quei gruppi di interessi che sono favorevoli, in primo luogo il Comité des forges, in maniera da controbilanciare, meglio di quanto non lo si sia fatto fino ad oggi, l’azione degli interessi contrari. I socialisti, favorevoli, sperano di potere smuovere l’opposizione dei compagni contrari.

Comunque, la maggioranza governativa e politica ha finito per convincersi che, se presentato adesso al Parlamento, il progetto di Unione doganale sarebbe stato respinto: per cui, alla peggio, ad ottobre, la situazione sarebbe la stessa che oggi:

2 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

mentre una azione ben fatta da parte del Governo francese, e una migliore politica del Governo, possono permettere di raddrizzare la situazione. Per quanto mi riguarda non potrei che condividere questa opinione.

Nel corso delle due ultime settimane ho avuto, in merito all’Unione doganale, vari colloqui con Schuman, Letourneau, Bidault (che sono i principali promotori della faccenda) e con le più influenti personalità politiche dei vari partiti, sia fuori che dentro la compagine ministeriale. A Schuman ho particolarmente fatto rilevare la necessità di sorvegliare l’opera delle commissioni al cui esame si trova attualmente il progetto: il Governo è stato già una volta colto di sorpresa dalla Commissione degli affari esteri, per la questione della modifica delle frontiere3, ed un colpo di sorpresa di questo genere non è affatto da escludere. Ora, gli ho detto, una serie di voti contrari da parte delle commissioni, oltre che pregiudicare, definitivamente, l’approvazione parlamentare, avrebbe in Italia le stesse ripercussioni che un voto contrario del Parlamento francese: l’opinione pubblica italiana vi avrebbe visto, magari a torto, un rinnego, da parte dell’opinione pubblica francese, rappresentata dal Parlamento, di quella politica di riavvicinamento fra due paesi che il Governo francese mostra di voler seguire.

Agli altri, ho soprattutto fatto presente la necessità di muoversi e di agire: che non basta dichiararsi favorevoli e arrabbiarsi contro la cecità degli interessi che si agitano contro: bisogna opporre propaganda a propaganda: bisogna spiegare alla gente come molti dei pericoli che l’economia francese crede di ravvisare in questa Unione doganale, o sono del tutto immaginari, o sono comunque più che garantiti da tutta la macchina parlamentare di controllo. Ne sono convinti, come sono convinti del passo indietro che farebbe fare ai rapporti franco-italiani un rigetto del progetto da parte del Parlamento francese: faranno certamente qualche cosa: se faranno abbastanza, questo bisognerà vederlo a suo tempo.

Comunque, se non ci saranno colpi di scena imprevisti, abbiamo davanti a noi tutta l’estate, il Governo francese per esercitare una azione più decisa, tutti e due i Governi per ripensarci su ed esaminare sul serio, e senza preconcetti, il da farsi.

La mia convinzione ben decisa è che, così come esso è attualmente, il progetto di Unione doganale non passa davanti al Parlamento francese. Le alternative che ci restano sono in realtà due: o cercare di insabbiarlo, o modificarlo in modo che esso sia accettabile al Parlamento francese.

Premetto senz’altro che non sono affatto favorevole all’insabbiamento, meno che come proprio ultima ratio. Si può dire, insabbiamolo, si troverà poi modo di ritirarlo fuori: non è la mia opinione: una volta insabbiato, per quanto le circostanze possano mutare, esso andrà a raggiungere tanti altri atti di fede e di buona volontà rimasti lettera morta. Resta quindi, per me, solo l’altra alternativa, modificarlo.

Attualmente, sia Schuman che Letourneau sono contrari ad ogni modifica: ritengono che si riuscirà a farlo accettare tale quale esso è dal Parlamento: che potranno essere solo necessarie alcune chiarificazioni di punti attualmente contestati, sia sotto forma di documenti addizionali, sia sotto forma di dichiarazioni di voto. Mi auguro di tutto cuore che essi abbiano ragione ed io torto il che poi in realtà è una forma di modificarlo.

Gli interessi contrari in giuoco sono potenti: se non ci fossero che questi interessi, delle elucidazioni, nella forma che si preferisce, potrebbero in effetti essere anche sufficienti. Una difficoltà più grave la vedo invece nel fatto che l’Unione doganale, impostata come essa è oggi, principalmente sulla abolizione dei dazi doganali fra i due paesi, si trova ad essere superata dagli avvenimenti. Del resto, nello scambio di lettere interpretativo4, progettato fra i due Governi (e la cui firma sto sollecitando), abbiamo già in principio ammesso che l’accordo potrà essere modificato per armonizzarlo con le decisioni che fossero prese in sede di O.E.C.E., di Unione Europea o di altre istanze internazionali del genere. Ora, come impostazione di idee almeno, queste modificazioni sono già sul tappeto.

Quando si è trattato di mettere giù il programma minimo dell’Unione doganale, si poteva con ragione ritenere che l’abolizione, nel termine di un anno, dei dazi doganali fra i due paesi fosse la cosa più facile a realizzare: e che fosse anche la cosa a maggiore effetto. Dico a maggior effetto poiché in realtà le tariffe doganali, abolite come tali, ritornavano fuori sotto un’altra forma. Oggi l’attenzione generale è orientata in un’altra direzione: si riconosce, e non del tutto a torto, che non sono le tariffe doganali il principale ostacolo allo sviluppo del commercio intereuropeo, ma piuttostoil controllo dei cambi ed il sistema rigido dei contingenti. È in questa direzione che si orienta oggi il pensiero europeo, e per conseguenza anche quello italiano e francese. Non è detto che fra qualche mese non si torni a cambiare di opinione e di orientamento. Le ragioni della crisi europea sono gravi e profonde: dileguatasi l’illusione di potere, in breve tempo e con l’aiuto Marshall, riportare l’economia europea al suo stato apparentemente stabile di ante-guerra, il problema si allarga, le cause vere e profonde della crisi vengono sempre meglio alla luce; si riconosce sempre più che la soluzione del lato economico di questo grave problema non è italo-francese, ma nemmeno soltanto europea: che un tentativo di rimettere in piedi l’economia occidentale deve assumere proporzioni mondiali, includendo l’America, l’Africa tutte le aree depresse in una parola. L’Unione doganale italo-francese perde del suo valore, perde quell’elemento risolutivo di tante questioni che essa poteva avere in principio, quale anche, in parte, il suo valore di esempio: si vede sempre più chiaro che essa non può essere che una parte, piccola, di un problema assai più vasto, che le soluzioni, che ad essa possono essere date, non possono essere considerate dal punto di vista di quello che meglio conviene a Francia ed Italia, ma di quello che meglio si inquadra in ogni tentativo di soluzione dei grandi problemi generali. Di qui la necessità, per lo meno, di dare ad essa una andatura più elastica ed empirica: e non cristallizzarsi su schemi o soluzioni che, buone oggi, possono trovarsi ad essere superate domani.

Ho detto che abbiamo tutta l’estate per ripensarci su. Voglio chiarire il mio pensiero.

L’Unione doganale italo-francese, anche se si chiama doganale e economica è, in realtà, ed è stata fin dal principio, un atto prevalentemente politico. E credo che come tale l’abbia sempre interpretata V.E.: il resto è stato tutto condimento ad usum delphini. Sapevamo benissimo tutti, per esempio, che la Francia non era e non può essere la soluzione del nostro problema demografico: che la Francia non ha più, e non avrà più per molti decenni, quell’abbondanza di capitali che avrebbe potuto ser

vire alla messa in valore del nostro paese: che l’Unione economica sarebbe stata realizzabile soltanto attraverso la cartellizzazione dei grandi interessi dalle due parti e quindi con nessun beneficio dei consumatori: e la lista di quello che sapevamo e non abbiamo detto sarebbe assai lunga.

Politicamente invece la cosa si presentava sotto un aspetto differente. Come fare uscire i rapporti italo-francesi dalla carreggiata dei risentimenti reciproci, carreggiata abituale per gli ultimi settant’anni ed acutizzata dalla guerra: come far nascere nei due Governi, nei due popoli, un minimo di senso di solidarietà di fronte ai tanti pericoli che ci minacciano: pericolo tedesco, pericolo russo, pericolo anglo-sassone: superare, se si vuole, lo stato di inferiorità in cui si trovano oggi, per le loro proporzioni, Italia e Francia: sostituire ad esse un nuovo ente di 100 milioni di abitanti, in grado di far sentire un po’ di più la sua voce nel mondo.

A questo scopo, l’atmosfera dell’Unione doganale, creatasi prima ed indipendentemente dalla sua messa in esecuzione, ha servito egregiamente al suo scopo. È inutile negare che i rapporti franco-italiani non sarebbero quelli che sono oggi se non si fosse tirata fuori l’idea dell’Unione doganale.

Siamo noi ancora oggi in questo ordine di idee? È quello che mi permetto di domandare. Se sì, bisogna fare alcune considerazioni.

I rapporti italo-francesi rischiano di avviarsi verso una crisi che vorrei definire di mancanza di contenuto. La questione coloniale, che è stata fino ad ora il punto n. 1 di collaborazione fra i due paesi, sta morendo. La collaborazione in seno al Patto atlantico è ancora là da venire: presuppone, per essere effettiva, una intimità di rapporti fra i due Stati Maggiori che è ancora da creare meno che dal nulla specie da parte nostra: come suo primo atto essa incomincia intanto con un conflitto, sia pure contenuto in termini moderati, per la nostra partecipazione al Consiglio supremo. La collaborazione in seno al piano Marshall resta e dà anche buoni frutti: purtroppo, in questo campo, non siamo ancora riusciti ad inquadrare nei nostri rapporti politici con un determinato paese tutte le questioni concernenti il piano Marshall, in modo che noi potessimo, là dove un interesse italiano diretto non è in giuoco, far dipendere la nostra adesione a questa o quella tesi dai nostri rapporti generali con un determinato paese, o magari da contropartite anche estranee al piano Marshall. Tutto questo lavoro purtroppo si svolge prevalentemente sul piano della nostra delegazione all’O.E.C.E. e gli effetti sul piano dei rapporti con un determinato paese, nella fattispecie la Francia, non sono proporzionati alla loro importanza.

Resta quindi ben poco: e l’esperienza ci ha dimostrato che quando Francia ed Italia non hanno niente da dirsi su di un piano di collaborazione completa, fatalmente finiscono per litigare.

Se l’Unione doganale si farà o non si farà, in quanto tale, dipende da tali e tante circostanze che ci vorrebbe della vera presunzione per fare delle previsioni. Dal lato politico quello che conta è che il principio sia ammesso: che nel quadro di questo principio permetta di fare anche solo delle piccolissime cose, le quali diano l’impressiono ai due popoli che ci sono delle relazioni speciali: che questo quadro ci permetta di abituare il mondo a considerare Francia-Italia come un gruppo a parte, un po’ come è accaduto del Benelux, che pur non avendo fatto un passo avanti come Unione doganale ed essendo probabilmente destinato a non farne, è comunque diventato una nuova grande potenza riconosciuta da tutti.

Ci conviene di salvare tutto questo, ossia quello che è oggi solo attuale e reale sotto il nome di Unione doganale? Personalmente ritengo di sì: la cooperazione tra Francia ed Italia è la cooperazione fra lo zoppo e lo sciancato: non bisogna aspettarsene delle meraviglie: non occorre io ripeta quanto c’è ancora di instabile e di equivoco nei rapporti italo-francesi: come che sia è oggi, in politica estera, l’unica cosa che noi abbiamo. Questo è tanto più necessario in quanto la visione della complessità dei problemi economici di cui soffre il mondo ha tolto qui, dove la situazione generale è meglio conosciuta che da noi, anche agli elementi più favorevoli, molte delle speranze economiche che questa Unione aveva suscitate. L’argomento politico invece non ha perduto nulla della sua importanza, anzi. La difficoltà più grave per noi è, e non lo ho mai nascosto, che i francesi intendono in larga misura che questa collaborazione sia subordinazione da parte nostra: ma come che sia, nei rapporti italo-francesi la subordinazione reale sarà meno di quanto essa sarebbe nei rapporti di collaborazione con qualsiasi altro paese.

Comunque questa è una questione che spetta al Governo italiano decidere: se esso continua ad essere per l’affermativa, il problema dell’Unione doganale, problema ripeto politico e non economico, si riduce a questa formula: cosa bisogna fare per evitare che l’Unione doganale sia respinta dal Parlamento francese.

Le nostre sezioni economiche partono da un punto di vista differente, in sé giusto: esse guardano all’Unione doganale come ad una questione prevalentemente economica, come ad un programma che deve essere realizzato, dovrei dire, ad ogni costo: per conseguenza trovano che il patto firmato già di per sé è troppo poco, e che quindi non lo si deve cambiare e non lo si deve soprattutto diminuire. Questo ragionamento, giusto dal punto di vista economico, è sbagliato dal punto di vista politico.

Oggi l’Unione doganale può passare alla Camera francese solo come atto politico e cioè a condizione che si sappia che essa come fattore economico resterà sulla carta. Questo non toglie evidentemente che lo sviluppo delle circostanze possa portare poi i due paesi a farla sul piano economico in misura più o meno larga. Si tratta di vedere se per convincere il Parlamento francese di questa irrealtà economica (e non politica) dell’Unione doganale bastano delle assicurazioni date confidenzialmente dal Governo, oppure ci vorranno delle dichiarazioni di voto, o qualche cosa di simile, che, mettendo i punti sugli i per certi determinati articoli, tolgano loro quel poco di valore effettivo che essi possono ancora avere, oppure sia necessario addirittura cambiare l’accordo riducendolo ad una semplice dichiarazione di principio più una procedura per suoi eventuali e poco probabili sviluppi: e quest’ultima nella misura in cui essa è necessaria perché, ai termini dell’art. 44 della Carta dell’Avana, essa sia riconosciuta come tale dagli altri Stati firmatari.

Quale delle tre forme di sterilizzazione dell’accordo, in quanto accordo economico, si renderanno necessarie perché esso passi alla Camera francese è impossibile dirlo fin da ora: molto dipenderà dalla situazione quale essa si presenterà in ottobre, alla ripresa dei lavori parlamentari. Nel frattempo infatti occorre chiarire le nostre idee: ossia decidere di fronte a noi stessi.

Consideriamo noi l’accordo doganale un accordo prevalentemente economico? In questo caso è evidente che l’accordo, quale è stato firmato, costituisce un minimo al disotto del quale non si può andare: in questo caso è egualmente evidente che a noi conviene di dire: già quale esso è, è ben poco: se volete metterci ancora di meno, la cosa cessa di essere seria e noi non ci prestiamo a questo giuoco. In questo caso l’accordo non sarà votato dal Parlamento francese, e, come è facilmente prevedibile, tutto l’insieme dei rapporti italo-francesi sarà gravemente scosso: nulla a questo mondo è irreparabile evidentemente: si tratterà di ricominciare da capo, forse in circostanze meno facili e favorevoli di prima.

Consideriamo noi invece l’accordo doganale un accordo prevalentemente politico? In questo caso abbandoniamo ogni idea di intangibilità dell’accordo, non impiantiamo il nostro atteggiamento su basi di piano teorico che, eccellente su di un tavolo di Palazzo Chigi, può invece non corrispondere affatto alla realtà ed alle possibilità francesi. Adattiamoci cioè, in principio, a tutti gli accomodamenti che possono essere necessari perché rimanga l’etichetta e tutto quello che sotto l’etichetta si può fare sia nel campo politico, sia anche, in quanto si potrà, in quello economico. Adattiamoci cioè a fare tutto quello che in questa materia la situazione parlamentare francese renderà necessario di fare. È evidente che, sotto questo punto di vista, è necessario che l’iniziativa di ogni eventuale cambiamento dell’accordo, e la sua forma, dovrebbe essere francese e non nostra.

Per quello che mi concerne, sono a favore della seconda alternativa. Trattandosi però di una decisione di politica generale, e di una questione, in fondo, non vitale, non ho nessuna difficoltà ad agire nel senso della prima. Quello che desidero però sia perfettamente chiaro, a V.E. ed al Governo italiano che debbono prendere la decisione, è che la prima alternativa, che oggi può sembrare difesa ad oltranza dell’Unione doganale, e di tutto quello che essa rappresenta, può, se la situazione francese non si modifica radicalmente, significare invece silurare l’Unione doganale e portare ad una crisi grave nei rapporti italo-francesi.

Ho comunque ritenuto mio dovere attirare l’attenzione di V.E. sulla situazione quale essa è. La avevo già prospettata a V.E. nelle sue linee generali col mio rapporto

n. 735/2489 del 24 giugno u.s.5: lo ripeto oggi e le sarei riconoscente di volermi far conoscere il suo pensiero di massima sull’argomento6.

54 1 Per la risposta vedi D. 62.

55 1 In pari data Quaroni scriveva a Zoppi (L. 895/2872): «Nell’inviare l’accluso rapporto attirola tua particolare attenzione sull’aspetto politico dell’Unione doganale italo-francese, quale in esso illustrato: ciò anche in relazione al mio telegramma odierno n. 391 [vedi D. 54]».

55 3 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1.

55 4 Vedi DD. 54 e 82.

56

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO A BAGHDAD, ERRERA

T. 6215/8. Roma, 21 luglio 1949, ore 15.

Suo rapporto n. 1101.

Approvasi passo inteso evitare richieste indennità da parte codesto Governo. Ad ogni buon fine attirasi sua attenzione su fatto che proposta di cui al telegramma mini

6 Per la risposta vedi D. 99.

steriale 21 ottobre scorso diretto legazione Cairo2 fondavasi su ragionevole presunzione che, non avendo sino allora acceduto trattato pace Parigi, Governo iracheno intendesse rinunziarvi e sostituire tale accessione con semplice scambio note constatante cessazione stato di guerra tra Italia e Iraq. Qualora S.V. ritenga poter ancora intervenire utilmente, voglia far presente codesto Governo favorevolissime ripercussioni che detta rinuncia avrebbe nelle relazioni con Italia. Ove cessazione stato guerra potesse essere stabilita mediante scambio note, sblocco beni italiani dovrebbe comunque avvenire contemporaneamente secondo affidamenti già dati a V.S. nel caso accessione trattato.

55 5 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1125.

56 1 Vedi D. 12.

57

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER TELEFONO 7986/354. Londra, 21 luglio 1949, ore 17,40.

Massigli è venuto oggi a dirmi che Bevin discuterà sabato a Parigi con Schuman atteggiamento dei due paesi nella questione nostre colonie. A preparazione di ciò Massigli comunicherà domani a Bevin che proposta francese per Tripolitania prevede continuazione amministrazione britannica ed istituzione organo collettivo comprendente paesi interessati tra i quali Italia ed Egitto col compito preparare territorio all’indipendenza che verrebbe dichiarata quando sarà riconosciuto che Tripolitania sarà sufficientemente matura. Contemporaneamente a dichiarazione indipendenza dovrebbe entrare in vigore speciale trattato tra Tripolitania ed Italia e potrebbe essere presa in considerazione una associazione di tipo federale tra Cirenaica Tripolitania e Fezzan senza pregiudicare particolari rapporti tra detti territori e Gran Bretagna, Italia e Francia. Secondo Massigli tale progetto non incontrerebbe opposizione Stati Uniti.

Massigli ha aggiunto che nonostante decise assicurazioni di Strang che nei colloqui col senusso non sarà discusso alcun problema che tocchi direttamente Tripolitania, Governo francese non può non rilevare che trasmissioni radio da Tripoli insistono nella propaganda per estensione anche in Tripolitania dell’autorità del senusso: su ciò egli si è espresso chiaramente col Foreign Office.

56 2 Non pubblicato.

58

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO 6264/419. Roma, 22 luglio 1949, ore 21.

Gallarati Scotti ha telegrafato quanto segue:

«riprodurre telegramma da Londra 354»1.

Progetto francese per Tripolitania, quale risulta da comunicazioni Massigli, non ci conviene perché continuazione amministrazione britannica per alcuni anni, anche sotto controllo di un organo internazionale, permetterebbe agli inglesi (i quali probabilmente desiderano solo ciò) di preparare tutta una classe di nuovi dirigenti arabi ad essi legati e prima ancora che finisca periodo regime provvisorio verrebbe costituito un Governo locale con cui non ci sarebbe per noi più nulla da negoziare.

Potremmo prendere in esame tale progetto solo a tre condizioni:

1) che periodo transitorio sia brevissimo e che sia prevista costituzione Stato indipendente Tripolitania entro un anno al massimo;

2) che poteri Comitato internazionale controllo siano estesissimi sì da costituirne vero organo Governo e amministrazione;

3) che identica soluzione venga contemporaneamente adottata per Cirenaica.

Faccia comprendere a Schuman che noi siamo ormai legati di fronte mondo arabo da dichiarazioni fatte, cui intendiamo rimanere fedeli, e non possiamo rinunciare al principio che indipendenza da darsi a Tripolitania sia immediata e reale2.

59

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

T. 6318/81. Roma, 22 luglio 1949, ore 23,30.

Suo telegramma 1371.

A questo ministro di Grecia il direttore politico fatto presente che violenti articoli pubblicati da alcuni giornali greci contro ritorno nostri connazionali venivano considerati da Governo italiano come estremamente inopportuni e suscettibili provocare reazioni nostra opinione pubblica, qualora questa fosse messa al corrente linguaggio offensivo di tali articoli. Ha aggiunto che è nell’interesse dello stesso Gover

2 Per la risposta vedi D. 66.

no greco illustrare direttori giornali responsabilità in cui essi incorrono, in quanto qualsiasi azione che avesse per effetto di ostacolare applicazione accordo per ritorno connazionali, verrebbe a mettere in pericolo esecuzione pratica dell’accordo generale di cui il primo fa parte integrante.

58 1 Vedi D. 57.

59 1 Vedi D. 53.

60

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8047/357. Londra, 22 luglio 1949, ore 22,25 (perv. ore 6,45 del 23).

Ambasciatore saudita è venuto a trovarmi dopo aver avuto colloqui con senusso. Questi gli ha detto:

— -nelle conversazioni ufficiali che hanno luogo a Londra questione Tripolitania non viene toccata ma ciò non esclude che se ne possa trattare in seguito non ufficialmente anche con amministratore capo Tripolitania; — -passando per Tripoli egli ha raccomandato pazienza ai suoi seguaci locali poiché Cirenaica deve considerarsi un primo passo; — -Boshir es Saadawi, che ha visto a Tripoli, dopo lungo periodo di incertezza gli è ora nuovamente fedele. Senusso ha raccomandato all’ambasciatore saudita, che si reca in Egitto, di fissare Saadawi in questo suo atteggiamento.

Per parte sua ambasciatore mi ha dichiarato sua perfetta lealtà sulla linea nostre passate conversazioni e non si stanca ripetere che da parte nostra si tratti con arabi per esclusivo tramite re Egitto. Avrebbe piacere incontrarsi con Fracassi privatamente e senza esporsi indiscrezioni giornalistiche: martedì 26 e mercoledì 27 corr. sarà al Cairo all’Hotel Semiramis.

61

L’AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 2880. Buenos Aires, 22 luglio 19491.

Ho avuto oggi una lunga conversazione con l’ambasciatore Arce in onore del quale ho dato una colazione all’ambasciata. Egli si trovava qui ad referendum et audiendum, e riparte domani stesso in aereo per Nuova York.

Arce mi ha confermato di aver ricevuto dal ministro Bramuglia e dal presidente Perón personalmente il mandato di continuare a condurre con ogni mezzo, e come per una causa nazionale, la difesa degli interessi e dei punti di vista italiani nella questione delle nostre antiche colonie. In questo intento Perón gli ha anche data la massima libertà di manovra e di decisione.

Ho ritenuto opportuno di mettere Arce dettagliatamente al corrente degli ultimi sviluppi della situazione e dei nostri orientamenti sui vari aspetti del problema. Mi sono basato in questo sul complesso delle più recenti istruzioni ricevute in materia da parte di codesto Ministero. Per opportuno controllo, preciso di essermi riferito alle informazioni e direttive contenute nelle seguenti fonti: per l’Eritrea i telespressi circolari nn. 2479, 2491 e 2660 rispettivamente del 9, 11 e 26 giugno2, nonché il più recente telespresso 2812 del 9 luglio3; per la Libia il telespresso circolare n. 2383 del 3 giugno4; per la Somalia, infine, il telespresso circolare 2741 del 4 luglio5.

Ho chiesto con l’occasione ad Arce quali fossero state le sue impressioni circa l’andamento dell’ultimo dibattito alla Assemblea generale e il motivo della mancata approvazione dell’accordo Sforza-Bevin; e, a titolo confidenziale ed orientativo, ho voluto sondarne l’opinione circa i futuri ed oramai non lontani sviluppi della questione all’Assemblea di settembre a Lake Success ed in particolare circa l’accoglienza che avrebbero potuto trovare le nuove soluzioni da noi elaborate.

Per ambedue gli aspetti Arce è stato categorico. L’esito della votazione passata era esclusivamente da attribuire all’atteggiamento degli inglesi e degli americani. Lo stesso, era da attendersi, si sarebbe verificato la prossima volta. Egli non giungeva ad accusare gli inglesi di malafede attiva, ma piuttosto — mi ha detto testualmente — di malafede passiva; per lo meno, in ogni modo di evidente mancanza di convincimento e buona volontà. Quanto agli Stati Uniti, pur sforzandosi di mantenersi al di sopra della mischia, avevano attraverso l’atteggiamento e l’azione dei loro rappresentanti dato la non dubbia sensazione che mai sarebbero giunti a far cosa sgradita all’Inghilterra: ed intanto si erano accuratamente astenuti dal dare qualsiasi direttiva o comunque dal far valere in alcun modo il peso della loro autorità a favore della tesi italiana. In questa congiuntura di atteggiamenti era da ricercare il fallimento della passata votazione, anche nei riguardi di alcuni Stati che, pur disposti in linea di massima ad appoggiare la tesi italiana, avevano finito per subire l’orientamento anglo-americano.

D’altra parte il blocco latino-americano aveva mostrato una compattezza che, Arce affermava, ha rappresentato una reale sorpresa per gli anglo-americani. E tale compattezza Arce confidava di poter mantenere anche nella prossima votazione. Ma se il potere negativo di tale blocco può considerarsi decisivo, da solo esso non è tuttavia in grado di imporre una piuttosto che l’altra soluzione positiva. «In questa situazione, mi ha detto Arce, non saranno tanto i meriti in sé e per sé dell’una piuttosto che dell’altra formula di soluzione che potranno assicurarne il successo in Assemblea generale. Il risultato sarà determinato invece ed esclusivamente dal grado di intensità col quale l’Inghilterra, ed al

3 Non pubblicato.

4 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1024.

5 Vedi D. 10.

suo rimorchio gli Stati Uniti, decideranno di appoggiare una determinata sistemazione che riscuota contemporaneamente l’approvazione del blocco latino-americano».

Arce ha tenuto alla fine a ripetermi i propri sentimenti di profonda amicizia e di particolare apprezzamento per l’opera e per la persona di V.E., richiamando ancora con caldissima simpatia l’accoglienza particolarmente cordiale da lei fattagli a Roma. E mi ha pregato, a conclusione, di dirle che egli sarà lieto di ricevere, anche in via personale da lei, tutti quegli elementi di fatto e tutte quelle indicazioni che gli consentano, in una causa di cui egli si è investito con tanto calore, di orientare l’azione propria nei modi più consoni all’interesse italiano.

61 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

61 2 Vedi serie undicesima, vol. II, DD. 1050, 1115 nota 1 e D. 1134 nota 4.

62

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. 6287/422. Roma, 23 luglio 1949, ore 15.

Suo 3911.

Ambasciatore Francia ha presentato progetto Protocollo.

Concordo con considerazioni V.E. circa inopportunità non accogliere proposta.

Essa dovrà tuttavia essere esaminata da organi tecnici prima di venir sottoposta deliberazioni Governo sopratutto a causa mancanza tariffa doganale italiana effettivamente protettiva. È da ritenere che nuova tariffa non potrà avere applicazione se non tra un anno; è perciò chiaro che non potremmo prima abolire contingenti.

Occorrerà quindi eventualmente introdurre adeguata formula. Tutto ciò stato fatto presente ambasciatore Francia aggiungendo che risposta sarà data quanto prima possibile pur essendo dubbio che ciò possa avvenire prima 28 corrente2.

63

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. 6288/423. Roma, 23 luglio 1949, ore 16.

Questa ambasciata di Francia, a parziale modifica di sua precedente comunicazione, fa ora conoscere che non essendo stato possibile, per via di consultazione ufficiosa tra Governi interessati, mettersi d’accordo circa numero rappresentanti da attribuirsi a Grecia e Turchia, si rende necessaria riunione supplenti da tenersi a Parigi martedì o mercoledì prossimo.

2 Per la risposta vedi D. 75.

V.E. è incaricato rappresentarmi e appoggiare naturalmente partecipazione Consiglio europeo di questi due paesi. Circa numero rappresentanti, qualora non emergano nuovi elementi giudizio, ella potrà suggerire d’accordo con Governo francese rispettivamente sei per Grecia e otto per Turchia1.

62 1 Vedi D. 54.

64

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8079/358. Londra, 23 luglio 1949, ore 14,10 (perv. ore 18,15).

Mio 3541.

Rividi ieri sera affrettatamente Massigli dopo il suo colloquio con Bevin di cui oggi andava riferire a Parigi.

In complesso detto colloquio riconferma il mio 3242 e dubbi esposti nella mia lettera al segretario generale in data 18 corrente3.

Alla proposta soluzione francese Bevin avrebbe osservato che ormai le nostre promesse di indipendenza fatte agli arabi andavano assai più in là (Massigli mi domandò se avessimo preso precisi impegni scritti, ciò che negai). Bevin gli fece comprendere che da parte inglese si sarebbe stati più astuti di quanto lo fossimo noi con le nostre combinazioni per l’indipendenza. Ripeté la non possibilità di giungere prima del settembre a nessuna intesa sopra una formula concordata ed accettata dagli interessati. Si dichiarò definitivamente contrario a conversazioni ufficiali a quattro.

Impressione di Massigli è che gli inglesi non vogliono impegnarsi in nessun modo con un accordo che fissi le loro posizioni sopra una qualsiasi formula accettata a quattro prima di settembre; e che vorrebbero invece limitare le conversazioni con l’Italia alla ricerca di un compromesso provvisorio e a un semplice modus vivendi che non li leghi in modo definitivo per l’avvenire.

2 Vedi D. 28.

3 L. 3033/1484, non pubblicata.

63 1 Quaroni comunicò (T. 8181/406 del 26 luglio) l’avvenuta ammissione di Grecia e Turchia alConsiglio d’Europa ed il rinvio della questione del numero dei rispettivi rappresentanti alla successivariunione dei sostituti.

64 1 Vedi D. 57.

65

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8088/141. Mosca, 23 luglio 1949, ore 20,55 (perv. ore 22,30).

Oggi Isvestia pubblica, in rubrica «notizie dall’estero», anche un commento sulla questione colonie italiane. In sostanza esso vuole mettere in evidenza che dietro apparente stasi della questione si sta sviluppando un lavorio di trattative per far trovare quarta Assemblea O.N.U. avanti ad una soluzione già concordata fra le potenze occidentali interessate. Citando varia stampa italiana ed araba si danno particolari sulla pretesa evoluzione della questione accennando ad un accordo anglo-italiano sulla base auto-governo Tripolitania e prospettandolo come del tutto favorevole alle mire inglesi. Si dà pure notizia di asserite intese che sarebbero raggiunte fra Inghilterra Francia e Stati Uniti d’America specialmente su iniziativa di questi ultimi miranti a salvaguardare loro interessi in Tripolitania.

Si conclude dicendo che l’opinione pubblica «democratica» segue attentamente tali tentativi di mercanteggiare le ex colonie italiane manifestando così il disappunto dei sovietici per loro esclusione da conversazioni in argomento e volontà questo Governo di fare ogni possibile per opporsi alle progettate soluzioni.

66

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8097-8098/399-400. Parigi, 23 luglio 1949, ore 21,30 (perv. ore 7,35 del 24).

Suo 4191.

Ne ho intanto parlato a Couve. Rilevo intanto che nel proporre Comitato controllo francesi avevano in vista stesso scopo che noi vorremmo raggiungere con elezione Assemblea, impedire cioè che organizzazione nuovo Governo sia fatta da amministrazione britannica: essi intendono cioè che Comitato in questione si sostituisca amministrazione britannica almeno per tutto quello che concerne avviamento paese indipendenza e ritengono che una volta stabilito principio bisognerebbe che rappresentanti italiano francese ed arabo fossero proprio al di sotto ogni abilità per non riuscire ad ottenere buona parte di quello che vogliamo.

Date difficoltà da parte francese raggiungere principio indipendenza almeno immediata mi sono espresso con Couve in forma un po’ diversa da sue istruzioni: gli

ho detto che eravamo d’accordo fra Francia ed Italia che soluzione meno contraria nostri interessi era indipendenza a condizione escludere senusso e legare in quanto possibile Italia nuovo Stato tripolino: egualmente eravamo d’accordo su necessità ostacolare manovre britanniche per perpetuare amministrazione inglese territorio in modo da preparare terreno sia per senussi sia per Stato arabo completamente ligio britannici. Differenza era soltanto nel metodo: francesi propendevano per Commissione controllo, noi per Assemblea eletta.

Couve mi ha fatto osservare che termini non erano contraddittori in quanto si sarebbe potuto anche prevedere che Commissione controllo fosse incaricata procedere elezione Assemblea. Mi sembrava ora fuori di posto irrigidirsi su posizioni di principio: era chiaro che Inghilterra avrebbe rifiutata sia l’una che l’altra proposta: si trattava piuttosto di vedere quali delle due proposte fosse più facilmente accettabile Governo e opinione pubblica americana, Stati arabi e O.N.U. e concentrarsi su quella che aveva maggiori chances riuscire. Su che Couve si è mostrato d’accordo.

Riferendomi poi colloqui odierni Schuman-Bevin ho detto Couve che a mio avviso Governo francese aveva mezzo abbastanza forte per indurre Inghilterra accettare per esempio Commissione controllo come la intendevano francesi e cioè appoggio che Inghilterra cercava in Francia per sostenere di fronte americani sue tesi piano Marshall: Francia avrebbe finito per dovere dare certa misura appoggio Inghilterra tanto valeva farglielo pagare in moneta coloniale. Couve mi ha detto che non ci aveva pensato ma che idea gli sembrava buona: l’ho pregato sottoporla subito a Schuman prima del suo incontro con Bevin il che mi ha promesso di fare. Dubito che Schuman lo faccia, almeno subito, ma siccome questione non si esaurisce oggi mi riprometto tornare alla carica.

66 1 Vedi D. 58.

67

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. 44/10167. Roma, 23 luglio 1949.

Riferimento: Seguito telegramma 383 del 5 luglio u.s.1.

Ad illustrazione ed integrazione del succitato telegramma, con cui venivano proposti alcuni argomenti di carattere economico per l’inserimento nell’ordine del giorno della prossima riunione del Consiglio europeo, questo Ministero desidera chiarire i criteri fondamentali a cui esso si è attenuto nella formulazione delle proposte suddette.

Per quanto riguarda le proposte di cui al punto 13 dell’ordine del giorno (istituzione di un organo di collegamento fra il Consiglio e le altre già esistenti organizzazioni di collaborazione economica intereuropea quali l’O.E.C.E. e l’E.C.E.), ed al punto 2 dell’Annesso (passaggio del Gruppo studi per l’Unione doganale europea

alle dipendenze del Consiglio), il loro motivo ispiratore va ricercato nell’esigenza di una delimitazione della sfera di competenza del Consiglio europeo in materia economica. Tale esigenza non è solamente di ordine pratico, ma altresì giuridico, in conformità del disposto del capitolo primo art. 1 par. b) dello Statuto per cui «la partecipazione dei membri a lavori del Consiglio non deve alterare il loro contributo alle altre organizzazioni internazionali di cui essi facciano parte».

Ad avviso dello scrivente, la base di una siffatta necessaria distinzione andrà riposta nel carattere concreto e pratico delle questioni da sottoporsi all’esame del-l’O.E.C.E. e dell’E.C.E. ed in quello prevalentemente teorico e di studio da riservarsi al Consiglio europeo.

Così le questioni ancora in fase iniziale di sviluppo potrebbero essere utilmente affrontate o se del caso (qualora già attualmente allo studio in seno all’O.E.C.E. o sotto i suoi auspici) assorbite dal Consiglio; il quale provvederebbe poi ad avvalersi del concorso dell’O.E.C.E. o addirittura a rimetterle all’esame di quest’ultimo una volta che esse raggiungessero un sufficiente grado di maturazione. Ciò sembra tanto più opportuno in quanto è proprio allorché problemi sono in uno stadio embrionale e mancano agli Stati interessati sufficienti dati e fattori tecnici per orientamenti di massima e relative prese di posizione che l’intervento e la spinta di fattori squisitamente politici, quali quelli concretantisi nel Consiglio europeo, possono accelerarne l’impostazione. Così pure in conformità di questa sua natura di supremo organo politico europeo, al Consiglio, per un secondo e più pressante richiamo alla solidarietà intereuropea, potrebbero essere in sede di seconda istanza rimesse dall’O.E.C.E. tutte quelle questioni che in seno a quest’ultimo non avessero potuto trovare soluzione soddisfacente: analogamente dovrebbe essere riservata al Consiglio la formulazione, sotto forma di raccomandazione, di direttive di massima, da valere per l’O.E.C.E. come principi informatori della propria futura attività.

Nel quadro del punto 14 dell’ordine del giorno (misure per lo sviluppo del commercio intereuropeo) potrà poi essere opportunamente sollevata l’idea, suggerita da me, per l’unificazione monetaria europea.

L’appartenenza di tutti gli Stati europei alla medesima area valutaria infatti non solo costituirebbe il perfezionamento formale dell’incipiente unificazione politica europea, ma automaticamente, per effetto della libera azione di forze economiche, abolirebbe gli ostacoli che ancora si frappongono in Europa alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle forze lavoratrici.

L’obiettivo massimo di questa iniziativa dovrebbe essere, in un non lontano futuro, l’abolizione di singole distinte monete europee e la loro sostituzione con una nuova unica moneta quale mezzo legale di scambio. Esso potrà però essere raggiunto solo attraverso un piano a lungo termine, le cui tappe successive di realizzazione coincideranno con il graduale sviluppo dell’integrazione economica promossa dall’E.R.P. e col rafforzamento della organizzazione federativa dell’Europa occidentale: la sua fase finale sarà contemporanea a quella della creazione di una nuova entità statale europea.

Nella fase iniziale di questo piano la nuova moneta potrebbe innestarsi sull’attuale sistema di compensazione multilaterale già operante sotto gli auspici dell’O.E.C.E. e rivestire funzioni contabili di moneta di conto, in termini della quale le parità delle altre monete europee dovrebbero essere espresse, e di unità di misura attraverso la quale, una volta raggiunta l’auspicata reciproca convertibilità valutaria, le operazioni della cassa di compensazione europea dovrebbero essere effettuate. Questa impostazione iniziale di ridotte proporzioni sarebbe compatibile col sistema attualmente ancora vigente di scambi bilanciati e coll’esistenza di separate monete nazionali; ma essa dovrebbe già fissare la denominazione della nuova moneta allo scopo di rilevarne il significato politico ed abituare l’opinione pubblica a questa tangibile espansione della coscienza europea.

Solo in un secondo tempo poi, una volta che la reciproca convertibilità delle monete europee e la normalizzazione dei cambi attraverso il loro adeguamento all’effettivo potere di acquisto delle rispettive monete si fosse definitivamente consolidata, si potrà pensare ad attribuire alla valuta europea, accanto alle funzioni di moneta di conto, anche quelle di mezzo legale di scambio in tutti i paesi europei: fase che dovrebbe essere accompagnata dal ritiro delle altre valute nazionali dalla circolazione ed eventualmente dalla fornitura di adeguata copertura, in modo da ancorare all’oro il potere d’acquisto della nuova unità valutaria2.

Sempre nell’ambito del suddetto punto 14, per ciò che concerne le misure per l’incremento del flusso turistico, potrà essere inserita la proposta, recentemente avanzata dal senatore Merzagora, di un mezzo di scambio turistico intereuropeo.

Seguendo anche in questo caso un criterio di prudente gradualità, e salvo riprendere il progetto nell’opportuna sede tecnica, potrebbe essere studiato un sistema di buoni di acquisto di validità internazionale, ma con potere liberatorio limitato a determinate voci di interesse turistico (spese di trasporto, alberghiere ecc.). Questi buoni potrebbero essere emessi da una apposita Cassa di compensazione a cui dovrebbero partecipare tutti i paesi europei interessati; gli eventuali saldi attivi a favore di taluni paesi potrebbero fare oggetto di apposito regolamento in merci.

67 1 Vedi D. 14.

68

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO

DEGLI AFFARI ECONOMICI, LANZA D’AJETA,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 23 luglio 1949.

Con riferimento alle precedenti istruzioni impartite da V.E. verrà firmato stamane, per la Polonia dall’ambasciatore di Polonia e dal capo della delegazione commerciale polacca ministro plenipotenziario Rose e per l’Italia dal presidente della nostra delegazione ministro d’Ajeta, l’accordo triennale italo-polacco, relativo alla fornitura di beni strumentali (fornitura industriali a medio e lungo termine)1. Tale accordo si aggiunge a quello annuale firmato il 15 giugno c.a.2 ed è il risultato di negoziati serrati e complessi, che si sono svolti per circa due mesi presso questa Direzione generale.

Con l’accordo in questione, che prevede la fornitura dall’Italia alla Polonia, di prodotti dell’industria meccanica, elettromeccanica e navale per 60 milioni di dollari, aumentabili ad 80 milioni in conseguenza di intese supplementari per un accordo quadriennale anziché triennale, contro la fornitura da parte della Polonia di un milione e mezzo di tonnellate di carbone per ogni anno di validità dell’accordo nonché altre materie prime interessanti la nostra economia, viene assicurato all’industria italiana un importantissimo mercato di collocamento per produzioni difficilmente esitabili in altri paesi.

D’altra parte la fornitura da parte della Polonia di un milione e mezzo di tonnellate di carbone annue, in aggiunta ai quantitativi già previsti dall’accordo commerciale normale, permette di dare una prima pratica realizzazione al concetto di rendere gradualmente i paesi dell’Europa occidentale indipendenti dagli aiuti E.R.P. per quanto si riferisce agli approvvigionamenti di materie prime, quali il carbone, che i paesi stessi possono procurarsi economicamente, con la vendita di merci di propria produzione.

Tale concetto è stato recentemente varie volte caldeggiato sia dal Dipartimento di Stato tramite la nostra ambasciata a Washington, sia da questa ambasciata americana e da questa delegazione E.C.A. L’accordo in oggetto, oltre all’importanza che riveste per la nostra economia, presenta un particolare significato quale tangibile prova di concreta e vasta collaborazione economica fra Occidente ed Oriente, realizzata anche nel quadro generale dei principî informatori del piano E.R.P. e sempre tenendo naturalmente presenti (con opportuni controlli ed esclusioni di esportazioni) le esigenze imposte dall’attuale situazione politica.

Inoltre con le sue clausole finanziarie, l’accordo prevede la ulteriore costituzione di raggruppamenti italiani sotto forma di consorzi volontari, destinati a raggruppare le aziende interessate al traffico con la Polonia ed è quindi sotto tale punto di vista anche un primo esperimento di intelligente organizzazione di un paese ad economia libera, come l’Italia, nei riguardi dei rapporti di un paese ad economia statizzata quale la Polonia, organizzazione che dovrebbe condurre alla eliminazione degli inconvenienti verificatisi in passato quando le nostre aziende sono venute a trovarsi isolate di fronte ad un acquirente unico rappresentato dalle organizzazioni statali del paese contraente.

Nei suoi inevitabili aspetti politici questo accordo — i cui negoziati, risulta, sono stati seguiti con viva curiosità all’interno ed all’estero — raggiunge i seguenti obiettivi:

1) riconferma per l’Italia l’ampia possibilità di un suo prudente commercio con l’Est;

2) è un’ulteriore dimostrazione, dato il confidenziale comprensivo appoggio avuto da parte americana nel corso delle trattative, della saggia opportunità di una politica di franca collaborazione con gli Stati Uniti, sopratutto per tutte le questioni attinenti ai nostri rapporti con l’Est;

3) è una convincente prova della nostra ferma intenzione di ricercare, almeno in parte, una graduale riduzione delle nostre importazioni di beni essenziali di consumo sugli aiuti E.R.P. e quindi di ridurre per il futuro il nostro preoccupante fabbisogno di dollari;

4) offre infine al Governo la possibilità di chiaramente affermare, ove lo creda conveniente, che nessun preconcetto politico, salvo quelle misure dettate da una elementare prudenza e da nostri precisi impegni internazionali, influenza o deforma la corrente di traffici, naturali e sani.

È appena il caso di ricordare che, sia l’E.C.A. sia l’ambasciata degli Stati Uniti a nome del suo Governo, hanno approvato non solo il contenuto e la portata dell’accordo in questione, ma confermato che rientra nelle vedute generali dell’E.C.A. uno sviluppo di traffici fra l’Italia e la Polonia fornitrice di materie prime per noi essenziali.

67 2 A margine di questo capoverso è stato annotato, probabilmente da Cavalletti: «Si vuolecostruire il tetto prima delle fondamenta!».68 1 Testo in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXIX, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1975, pp. 353-369.2 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1073.

69

L’AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2370/420. Montevideo, 23 luglio 1949 (perv. il 28).

Non ho mancato di tenere informato [questo] Governo circa le nostre tesi e il nostro atteggiamento e di illustrare gli argomenti che ci soccorrono, il tutto come dalle diverse comunicazioni ricevute in argomento. Del pari non ho perduto occasione per manifestare l’apprezzamento e la riconoscenza del Governo e del popolo italiani per l’appoggio datoci dall’Uruguay.

Ma ho anche cercato, in numerose conversazioni con uomini politici influenti e che più si occupano di relazioni internazionali, di mantenere viva l’attenzione sul problema che tanto ci interessa e di allargare e rinforzare le simpatie per la politica di appoggio al nostro paese.

Vorrei così riferire di alcuni punti emersi da alcune di queste conversazioni e precisamente da quelle che ho avute col dott. Matteo Marquez Castro, ex ministro degli esteri, uno dei candidati, per quanto non tra i più favoriti, al posto di Canciller e membro influente della delegazione uruguayana all’O.N.U., non meno influente dello stesso presidente, l’ambasciatore a Washington sig. Campora.

I punti rilevati sono, in sintesi, i seguenti:

1) l’Uruguay ha seguito senza oscillazioni la linea di condotta di un appoggio completo alle richieste italiane. Continuerà a seguirla fin tanto che non si profili un serio pericolo di attrito con le grandi potenze e sopratutto con gli Stati Uniti. Questa linea di condotta corrisponde ai sentimenti e agli interessi dell’Uruguay. Gli interessi sono da ravvisarsi sul piano della politica interna, ritenuta la cospicua parte della popolazione di discendenza italiana ancora assai attaccata alla patria di origine; sono anche da ravvisarsi sul piano della politica estera in rapporto all’atteggiamento delle «Repubbliche sorelle» e al peso che ha assunto il blocco latino-americano con soddisfazione di qualche orgoglio e di qualche vanità.

Mi sono già più volte intrattenuto su questo punto, ma la nuova conferma del signor Marquez Castro può avere il suo valore in quanto va riferita alle istruzioni a suo tempo ricevute dal suo Governo e alle motivazioni che ne sono state date dagli organi competenti.

2) L’Uruguay — così desidera di lasciar comprendere Marquez Castro — ha assunto all’O.N.U., sia presso le delegazioni latino-americane, sia anche presso le altre, un’importanza superiore a quella che gli si potrebbe attribuire in rapporto allasua estensione, alla sua popolazione e alla sua potenza economica. È stato pertanto opportuno — ha continuato con qualche compiacimento il mio interlocutore — che i nostri rappresentanti e i nostri osservatori abbiano mantenuto uno stretto e cordiale contatto con la delegazione uruguayana.

Qui fa capolino la convinzione di essere il «piccolo-grande paese del Sud America», convinzione così radicata nell’animo dei dirigenti uruguayani, e appare anche il desiderio di sentirselo dire e ripetere. Con tutto ciò non si può negare che l’Uruguay sia ascoltato e possa avere un certo seguito nel seno della comunità latino-americana. I grandi di questa comunità hanno le loro pecche e rappresentano certi pericoli: l’Argentina, in ragione del regime peronista e di quella sua tendenza a darsi le arie di condottiero del mondo latino-americano, il Brasile, con una politica estera che è di sovente giudicata troppo docile di fronte ai desideri degli Stati Uniti. L’Uruguay, dove si respira libertà e democrazia, dove si proclama che i principi di libertà e di democrazia debbono informare ogni atteggiamento anche di politica estera, dove ci si dimostra oltremodo gelosi della propria indipendenza, ma dove però si svolge una politica estera prudente, assennata e di cordiali rapporti con tutti, può essere considerato il paese che sa trovare e seguire il limite tra le manifestazioni della libertà e della indipendenza di giudizio e di condotta e i rischi derivanti dal risentimento dei grandi di cui non dimentica il potere.

Ad ogni modo nel rilevare il compiacimento del dott. Marquez Castro, mi permetto di sottolineare la particolare sensibilità di questi circoli relativamente alla posizione tenuta dall’Uruguay tra i paesi del Sud America.

3) Il sig. Marquez Castro, confermando anche su questo ultimo punto quanto ho già avuto occasione di riferire, ha dichiarato che le sole difficoltà che le delegazioni sud-americane hanno incontrato per accordare il loro pieno appoggio alle nostre tesi sono state una di ordine ideologico, cioè la naturale, tradizionale avversione al colonialismo di queste nazioni sorte dalla ribellione alla madrepatria, l’altra di ordine tecnico e cioè la relativa scarsità della popolazione italiana stabilitasi nelle ex colonie che impedisce di puntare sull’ottima carta dell’imperiosa necessità del nostro paese di provvedere con l’emigrazione ad alleviare la pressione demografica che l’opprime.

Non ho mancato di fare osservare al mio interlocutore che il rapporto tra lo stato di civiltà e le possibilità di sviluppo già intercorrente tra Spagna e Portogallo e le loro ex colonie americane è tutt’altro di quello che passa oggi tra l’Italia e i suoi territori africani; ho aggiunto che, in ogni modo la questione è superata da quando l’Italia ha prontamente accolto i desideri di autonomia delle popolazioni delle sue principali ex colonie. Ho poi rilevato che le grandi opere compiute dal lavoro italiano nei territori africani avevano portato a stabilire quelle condizioni preliminari che ormai consentivano il progressivo rapido aumento della nostra emigrazione e che, comunque, se per ragioni di natura di luoghi e di clima, non è umanamente possibile di trasformare quei territori in zone di immediato popolamento, non è questa una buona ragione per togliere a chi ha necessità di tanto il poco che possiede.

Il sig. Marquez Castro ha molto insistito sull’opportunità che — a suo modo di vedere — arriverebbe ad essere vera e propria necessità, di concertare un piano preciso prima della prossima sessione dell’O.N.U. Sempre a suo modo di vedere, questo piano dovrebbe essere esaminato con calma e preliminarmente dalle nazioni che appoggiano l’Italia e più particolarmente farne oggetto di scambio di vedute e di intese tra le nazioni dell’America latina. Per quanto, come ho detto, il sig. Marquez Castro non ricopra alcuna carica ufficiale e non porti responsabilità di Governo, egli è pur tuttavia personaggio autorevole nel campo della politica estera di questo paese e sembra più che probabile che egli continui a rappresentare, insieme con l’ambasciatore Campora, l’Uruguay alla prossima sessione delle Nazioni Unite. Per ciò mi è sembrato utile di riferire di questa opinione del sig. Marquez Castro, anche per avere eventuali indicazioni al riguardo per mia norma di linguaggio.

Segnalo anche che i punti sopra riportati coincidono su per giù esattamente con quelli emersi da tutte le altre conversazioni che ho tenuto in argomento con questi uomini politici.

70

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A WASHINGTON, TARCHIANI, E A MOSCA, BROSIO

T. 6328/376 (Washington) 74 (Mosca). Roma, 24 luglio 1949, ore 21.

(Per Washington) Suo 5901.

(Per Mosca) Suo 1382. Ho telegrafato quanto segue Washington:

(Per tutti) Ho preparato risposta alla nota sovietica3 che invierò dopo averla eccezionalmente discussa martedì in Consiglio dei Ministri4. Essa conterrà argomenti accennati dal Dipartimento di Stato con qualche maggior dettaglio per quanto riguarda allusione completamente erronea al discorso ministro della difesa5.

2 Del 20 luglio, non pubblicato.

3 Vedi D. 52.

4 Vedi CONSIGLIO DEI MINISTRI, Verbali del Consiglio dei ministri, maggio 1948-luglio 1953, vol. I: Governo De Gasperi, 23 maggio 1948-14 gennaio 1950, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, 2005, p. 659.

5 Vedi Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, 1948, vol. II, seduta dell’8 ottobre 1948, pp. 2325-2359. Per il testo della nota di risposta italiana vedi D. 78.

70 1 Del 22 luglio, non pubblicato.

71

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8121/142. Mosca, 25 luglio 1949, ore 14,05 (perv. ore 15,30).

Ebbi notizia durante viaggio ritorno, della nota sovietica del 19 luglio1. Che i sovietici non potessero mancare di invocare, nei nostri particolari riguardi, violazione trattato di pace in rapporto Patto atlantico e impegni conseguenti, era facilmente prevedibile anche in conseguenza manifestazioni stampa sovietica e fu da me segnalato con rapporti 461/158 del 26 febbraio u.s. e 673/232 del 26 marzo2.

Quanto alla scelta del momento ritengo, concordando direttamente con telegramma di Zamboni 1383, che essa non sia stata direttamente determinata da discussione parlamentare circa ratifica, la quale dovrebbe costituire, se non proprio pura coincidenza, una occasione secondaria della nota. Questa, agli effetti del voto sulla ratifica, non poteva essere che controproducente e sovietici non lo ignoravano. Piuttosto metterei protesta sovietica in più stretta relazione con quasi contemporaneo scambio di note fra le potenze occidentali e satelliti sovietici circa violazioni trattato di pace da parte questi ultimi. Nota all’Italia vorrebbe controbilanciare, in quanto possibile, questa offensiva diplomatica anglo-americana.

Nel suo intrinseco contenuto nota sovietica parmi debole e facilmente replicabile sia sul solito motivo della pretesa aggressività Patto atlantico sia quanto al riarmo, riguardo al quale penso sarà agevole mettere a punto significato dichiarazione ministro Pacciardi4 nonché eventualmente di quelle di V.E. cui si riferisce Isvestia 23 corrente secondo mio telegramma 1395.

Essenzialmente è mia opinione che non convenga limitarsi a dare giustificazioni ma convenga prendere occasione per invocare in modo fermo palese violazione sovietica preambolo trattato di pace derivante da veto ad ammissione Italia O.N.U. Ormai diritto Italia ammissione è stato riconosciuto ripetutamente da sovietici anche dopo Patto atlantico in modo tale da non poter esser menomato da queste postume accuse di violazione trattato e d’altra parte il mercanteggiamento con ammissione altri Stati contrasta apertamente col trattato ed è evidentemente insostenibile. Mancata ammissione

O.N.U. menoma sicurezza Italia e giustificherebbe persino suo disconoscimento clausole limitazione armamenti. Forse converrebbe aggiungere accenno questione prigionieri pur non trattandosi a rigore di obbligazione sovietica connessa a sicurezza e armamenti.

71 1 Vedi D. 52. 2 Vedi serie undicesima, vol. II, DD. 416 e 646. 3 Del 20 luglio, non pubblicato.4 Vedi D. 70, nota 5. 5 Del 23 luglio, non pubblicato.

72

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 6418/2856. Washington, 25 luglio 19491.

Il 24 luglio scorso è stato inviato al Congresso, accompagnato da un messaggio presidenziale, il piano di aiuti militari (Military Assistance Program - M.A.P.) col quale l’Amministrazione americana si propone di rafforzare la potenza militare di un certo numero di Stati ritenuti indispensabili alla difesa degli Stati Uniti mediante un’immediata assistenza militare e coordinando in un unico programma i diversi progetti di aiuti militari fin qui elaborati.

Il messaggio presidenziale, dopo aver passato in rassegna gli sforzi compiuti negli ultimi anni per garantire la sicurezza collettiva (Carta delle Nazioni Unite, Patto di Rio do Janeiro, Patto atlantico), afferma che essi sono insufficienti ad eliminare il pericolo di aggressione, specie nei confronti dei paesi dell’Europa occidentale pei quali, aggiunge, «their defense is our defense». Responsabile di questo stato di cose è l’Unione Sovietica, che ha fatto di tutto per impedire la ricostruzione dell’Europa e per sovvertire le istituzioni democratiche dei singoli paesi.

Il presidente raccomanda quindi l’approvazione di un programma di aiuti militari ammontante, per l’esercizio finanziario 1950, a $ 1.450 milioni così ripartiti:

1) $ 938 milioni 450 mila per l’invio di armi e di equipaggiamenti militari ai paesi europei aderenti al Patto atlantico e per le spese inerenti all’addestramento e ai piani di assistenza tecnica.

Per ciò che riguarda le armi e gli equipaggiamenti, il 50% dovrebbe venir consegnato nel corso dell’esercizio finanziario 1950, provvedendo anzitutto alla consegna del materiale necessario a coprire le lacune esistenti nelle forze armate europee attuali. Il materiale contemplato dovrebbe venire in parte (circa metà) prelevato immediatamente dalle riserve del National Military Establishment (munizioni, pezzi di artiglieria) ed in parte dovrebbe essere appositamente fabbricato (armi leggere, navi, autoveicoli, ecc.).

Nell’ammontare sopraindicato rientrano anche le spese relative all’invio di personale militare e civile specializzato americano per l’istruzione sull’uso delle armi e dell’altro materiale fornito e per l’assistenza tecnica inerente alla produzione militare.

Il materiale da prelevarsi presso il National Military Establishment è stato distinto in due categorie: la prima si riferisce al materiale in eccesso rispetto alle necessità della mobilitazione americana; esso verrebbe imputato al bilancio del piano limitatamente alla spesa necessaria per metterlo in perfetta efficienza; si calcola che il materiale in eccesso ammonti a $ 450 milioni (costo di fabbricazione), ma dato che la spesa per metterlo in efficienza si aggirerebbe sui 75 milioni di dollari, esso verrebbe calcolato in base a quest’ultima cifra. La seconda categoria, che si riferisce a quel materiale

che non è in eccesso alle necessità della mobilitazione americana, verrebbe imputato al bilancio del piano ad un prezzo non superiore a quello del costo di produzione.

2) $ 155 milioni per l’assistenza in valuta, onde permettere agli stessi paesi di procurarsi i macchinari e le materie prime necessarie per mantenere, aumentare e potenziare la loro produzione militare. Si tratta di un settore industriale che non era stato preso in considerazione nell’European Recovery Program. Da un esame preliminare effettuato dai paesi europei aderenti al Patto atlantico è risultato che essi, senza porre in pericolo la loro ricostruzione e la loro stabilità finanziaria, possono, nel complesso, nel corso dei prossimi due anni, aumentare di $ 700 milioni la loro produzione militare, purché adeguatamente riforniti di materie prime e di macchinari.

3) Assistenza militare a paesi non aderenti al Patto atlantico, specialmente Grecia, Turchia, Corea, Filippine e l’Iran, per un ammontare di $ 300 milioni 580 mila (inclusi 50 milioni di dollari già precedentemente autorizzati per i primi due paesi).

4) Fornitura d’armi e di equipaggiamenti militari a paesi diversi da tutti quelli finora menzionati contro pagamento all’atto della consegna. Ciò non implica alcun onere alle finanze americane, ma è stato contemplato nel M.A.P. in quanto si tratta di forniture da effettuarsi attraverso il National Military Establishment. I paesi interessati sono principalmente il Canada, le Repubbliche dell’America latina ed altri paesi del Vicino ed Estremo Oriente e dell’Asia meridionale.

5) Fondo di emergenza di $ 45 milioni per far fronte a necessità impreviste.

6) Spese d’amministrazione $ 10 milioni 970 mila. A tale riguardo va osservato che, in genere, i paesi beneficiari del piano dovranno mettere a disposizione del Governo americano la valuta locale necessaria per le spese amministrative della missione degli Stati Uniti che si troverà sul posto per la realizzazione del programma.

Il M.A.P. si limita ad indicare soltanto nelle sue linee generali come debbono essere utilizzati i fondi a cui esso si riferisce. Non prevede assegnazioni per i singoli paesi, ma soltanto ammontari complessivi. La destinazione degli aiuti paese per paese verrà determinata dal presidente, a sua discrezione, seconda le necessità richieste dalle circostanze.

Il presidente ha la direzione del programma, che esercita attraverso il Dipartimento di Stato (che ne ha la responsabilità), il quale, a sua volta, si varrà dell’ausilio del National Military Establishment (per la parte strategico-militare), e dell’Economic Cooperation Administration (per ciò che riguarda il mantenimento di un certoequilibrio tra piani di ricostruzione economica e programmi di assistenza militare). È prevista la costituzione, per la direzione del M.A.P. del «Foreign Military Assistance Steering Committee», composta del segretario di Stato, presidente, del segretario della difesa e dell’amministratore per la cooperazione economica, membri.

Per la coordinazione del programma di assistenza militare in seno al Governo è prevista la costituzione di un organo subordinato al precedente, chiamato Foreign Military Assistance Coordinating Committee, composto di un rappresentante del segretario di Stato (che sarà un suo speciale «assistant» ed avrà il titolo di Director for Foreign Military Assistance), da un rappresentante del segretario della difesa e da un rappresentante dell’amministratore dell’E.C.A.

La coordinazione del programma in Europa verrà svolta dall’European Coordinating Committee (E.C.C.), composto dall’ambasciatore degli Stati Uniti in Gran Bretagna in qualità di presidente (Overseas Representative for M.A.P. in Europe), dal rappresentante in Europa dell’E.C.A. e dal più anziano rappresentante militare per il

M.A.P. in Europa. La gestione del M.A.P. in Europa verrà invece svolta dall’Executive Director for M.A.P. Overseas, nominato dal segretario di Stato e coadiuvato da un gruppo di esperti politici, economici e militari.

Il M.A.P. prevede il conferimento, al presidente degli Stati Uniti di amplissimi poteri:

1) Anzitutto a lui spetta, come si è detto, di stabilire in quale misura gli aiuti debbano essere ripartiti tra i vari paesi. A questo riguardo va notata la particolare situazione in cui si troverà la Gran Bretagna nell’ambito del piano: l’ambasciatore degli Stati Uniti presso la corte di San Giacomo è l’unico rappresentante diplomatico presso uno Stato europeo che faccia parte dell’European Coordinating Committee; non solo, ma di diritto ne è i presidente (Overseas Representative for M.A.P. in Europe); la sede di tale organo non è specificata, ma dato quanto precede è da presumere che sarà a Londra. Tutto ciò contribuisce a far sì che la Gran Bretagna si trovi, più di ogni altro paese, nella possibilità di fruire dei benefici del M.A.P.

2) L’autorità di stabilire le norme per l’esecuzione del M.A.P.

3) Decidere quali Stati, a parte quelli specificamente indicati nel M.A.P., possano ottenere tali aiuti.

4) Sospendere nei confronti di uno o più Stati la concessione di aiuti precedentemente iniziata, qualora essi non siano più in armonia con gli interessi americani

o con lo scopo del M.A.P. 5) Ordinare la fabbricazione di quelle armi e di quei prodotti ritenuti necessa

ri per la difesa dei paesi interessati; disporre per la cessione agli stessi paesi di armi e materiale in possesso del National Military Establishment.

Il Dipartimento di Stato, nel presentare il programma, ha rilevato che esso permette non solo di aumentare la sicurezza americana, ma anche di limitare la possibilità di interventi all’esterno degli Stati Uniti, mettendo i paesi minacciati in condizione di resistere da soli alle aggressioni, per lo meno nella prima fase. Sia pure indirettamente esso è diretto a rafforzare l’organizzazione delle Nazioni Unite (con la cui Carta è in perfetto accordo) in quanto, mettendo paesi deboli in condizioni di resistere alle aggressioni esterne, contribuisce alla creazione di una atmosfera di sicurezza nell’ambito della quale l’O.N.U. può funzionare con maggiore efficacia.

Il piano, come parimenti rivela il Dipartimento di Stato, è inoltre di ausilio per la completa realizzazione del programma di ricostruzione europea (piano Marshall) poiché elimina il timore di aggressione, dà a tutti una sensazione di stabilità e di sicurezza, crea quindi quell’ambiente psicologico indispensabile per il fiorire di iniziative e per lo sviluppo economico dei paesi interessati.

Infine, per quanto separato e distinto dal Patto atlantico, esso ha lo stesso scopo di quest’ultimo di mantenere e sviluppare la capacità individuale e collettiva di resistere all’aggressione; lo integra poiché ne rende effettive alcune disposizioni; dà agli Stati interessati la possibilità di provvedere essi stessi alla loro prima difesa in attesa che gli Alleati possano prepararsi adeguatamente per venire in aiuto.

72 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

73

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO 6380/429. Roma, 26 luglio 1949, ore 12,45.

Suo 4021.

Missione Snyder ha avuto carattere prevalentemente informativo. Egli ha ascoltato esposizione ministri tesoro, finanze e commercio estero interessandosi vivamente ed in genere approvando piani finanziari interni Governo italiano.

Unica sua dichiarazione degna rilievo è stata che Stati Uniti perseguono politica liberalizzazione scambi basata anche su convertibilità varie monete. Tale questione è veduta da punto vista generale e dovrà formare oggetto conversazioni prossimo settembre Bretton Woods.

Ciò ci ha facilitato nel non prendere posizione né pro né contro sterlina dato anche che accordo cross-rate è stato prorogato solo sei mesi.

Quanto alle conversazioni col presidente del Consiglio e me esse hanno prevalentemente consistito in prospettive sul punto quarto.

74

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8184/102. Rio de Janeiro, 26 luglio 1949, ore 14,30 (perv. ore 1,10 del 27).

Comunicole, anche a nome senatore Aldisio, iniziale svolgimento nostra missione Rio de Janeiro.

Conversazioni con Fernandes e segretario generale avuto fino da primo momento impostazione di franco ed amichevole esame problemi comuni. Da parte nostra svolte considerazioni basate su istruzioni di V.E. e su criteri concordati in riunioni direttori generali Ministero.

Fernandes fatta dichiarazione che riassumo:

1) Appoggio diplomatico del Brasile è stato dato e lo sarà in avvenire con il convincimento di compiere un dovere e di difendere una causa giusta. Attuale situazione internazionale Jugoslavia dovrebbe offrire nuove possibilità a potenze occidentali per ovviare pregiudizi arrecati Italia con il trattato di pace ed insostenibili soluzioni derivatene per colonie: proclamazione indipendenza Cirenaica creato situazione nuova di cui naturalmente Italia deve tener conto per quanto concerne Tripolitania.

Concludendo Fernandes affermato in merito intero problema coloniale «attendo conoscere vostra tesi definitiva; qualunque essa sia, sarà anche la nostra». Egli accennato infine clausole militari trattato di pace.

2) Inizio flusso emigratorio potrà iniziarsi dopo conclusione accordo beni. Brasile non potrà che compiacersi se finanziamento sarà compiuto anche da capitali americani. Relative condizioni dovranno essere concordate fra l’Italia e Stati Uniti.

3) Governo brasiliano pronto iniziare trattative per accordo commerciale; occorre tuttavia tenere presente che esso non dispone divise pregiate e quindi accordo dovrà essere basato su sistema scambi strettamente bilanciati.

Fernandes concluso esprimendo vivo compiacimento per invio missione straordinaria, in cui Brasile vede nuovo suggello tradizionale amicizia e pregandoci trasmettere V.E. suo personale messaggio grata cordiale amicizia.

73 1 Del 25 luglio, con il quale Quaroni aveva segnalato le ripetute richieste francesi di informazioni sui colloqui romani di Snyder.

75

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8188/407. Parigi, 26 luglio 1949, ore 22,25 (perv. ore 7,30 del 27).

Suo 4221.

Alphand, cui ho comunicato nostre considerazioni, mi ha detto che da parte francese si comprendono e si è pronti tener conto delle difficoltà che noi abbiamo per il fatto di non avere tariffa doganale. Del resto di questa questione si dovrebbe discutere in prossima riunione direttori generali convocata O.E.C.E. sia sul piano generale sia per quello che riguarda eventuali accordi franco-italiani.

Per quanto riguarda protocollo aggiuntivo propostoci mi ha fatto osservare che esso si limita ad affermare principio che due Governi aderiscono a metodo preconizzato O.E.C.E. e cioè sopprimere misure contingentamenti attualmente esistenti senza modificare protezione doganale, ma non stabilisce, per applicazione tale principio, nessuna data e non sarebbe di nessuna utilità fare fin da adesso riserva circa data alla quale da parte nostra si potranno abolire contingenti.

Questo potrà fare oggetto di accordi diretti franco-italiani una volta accettato il principio ed una volta ratificata da due Parlamenti Unione.

Mi ha ripetuto, da parte Schuman, che egli ritiene della massima importanza potere prima chiusura attuale sessione parlamentare (che avrà luogo probabilmente verso fine settimana in corso) poter deporre uffici Parlamento nuovo protocollo aggiuntivo ed approfittare di questa occasione per riconfermare intenzioni Governo in materia Unione doganale e fissare per ripresa autunnale data dibattito. Qualora per qualsiasi ragione da parte nostra si ritenga non potere accettare questo cambiamento impostazione piano Unione doganale, si verrebbe a confermare quanto da molte parti

viene detto che cioè Unione doganale italo-francese, così come è concepita oggi, costituisce un ostacolo e non progresso sulla via collaborazione europea. Egli insiste quindi per avere nostra risposta al più presto e comunque in tempo utile.

Ripeto quanto ho già riferito con mio rapporto 890/28692: se noi vogliano per parte nostra contribuire nel modo più efficace silurare Unione doganale non abbiamo che insistere su intangibilità sistema previsto da accordo firmato: se vogliamo invece veramente cercare facilitarne accettazione da parte Parlamento francese, è indispensabile accettare proposte francesi e farlo nei limiti di tempo che ci vengono richiesti perché esso possa avere tutta efficacia che questo Governo se ne ripromette. Accettarlo a Camera francese già in vacanza toglierebbe modifica gran parte suo valore: nella migliore delle ipotesi permetterebbe a Governo francese non fare praticamente alcuna azione in favore accettazione durante mesi estivi addossandone responsabilità a noi.

75 1 Vedi D. 62.

76

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1185/540. Oslo, 26 luglio 1949 (perv. il 30).

Mi riferisco da ultimo al telespresso 15/13891/C., del 19 luglio u.s.1.

Il Governo norvegese ha avuto una nota identica a quella indirizzata a noi dal Governo inglese in merito alla ammissione della Turchia, Grecia e Islanda al Consiglio di Europa.

Ha risposto:

1) che per la ammissione della Turchia e della Grecia esso conserva il punto di vista già espresso a Londra secondo cui un allargamento del Consiglio non è, a suo parere, oggi desiderabile. Che ad ogni modo, allo scopo di non creare difficoltà, la Norvegia non farà obiezioni, ad una eventuale ammissione dei due paesi alla prossima seduta del Consiglio dei ministri a Strasburgo, ma che si riserva di astenersi dal voto;

2) per quanto riguarda l’Islanda il Governo norvegese sa che a Reykjavik non sarebbe né gradita né desiderata una soluzione irregolare quale quella proposta dal signor Bevin per Grecia e Turchia. Gli Stati scandinavi sono già d’accordo per presentare a Stavanger una regolare candidatura islandese al Consiglio, e l’Islanda del resto, essendo un paese completamente democratico, non potrebbe aderire al Consiglio stesso senza prima aver interrogato in proposito il proprio Parlamento ed averne avuto l’approvazione. (Il segretario generale del Ministero degli esteri nel darmi tale informazione ha messo specialmente l’accento sul carattere «completamente demo

cratico» dell’Islanda quasi a volerlo porre in contraddizione con Turchia e Grecia che, apparentemente, possono anche fare a meno di consultare il Parlamento);

3) circa il numero dei posti nell’Assemblea consultiva da assegnarsi a Grecia e Turchia il Governo norvegese ha fatto sapere che, indipendentemente dalle riserve di cui al n. 1, esso è d’avviso che alla Grecia dovrebbero spettare non più di quattro posti, e alla Turchia non più di sei.

Fin qui le informazioni fornitemi qui. Aggiungo, per mio conto, che è evidente, da tutto il complesso, che la Norvegia è contraria, alla ammissione della Grecia e della Turchia, non tanto perché non vuole, in linea di principio, vedere allargato il Consiglio di Europa, ma a causa della posizione geografica di quei due paesi. Ciò è spiegabile se si tiene presente l’atteggiamento di Oslo in occasione della nostra partecipazione al Patto atlantico, atteggiamento che questa Governo spiegò con il timore di non vedere allargate le proprie responsabilità al Mediterraneo. Punto di vista inglese e norvegese coincidevano allora ed avevano, almeno apparentemente, gli stessi motivi. Oggi non coincidono più per il fatto evidente che la Gran Bretagna cerca di dare a Grecia e Turchia, con la ammissione al Consiglio di Europa, un certo «contentino» che possa ricompensare quei due paesi dalla mancata stipulazione di un patto mediterraneo, parallelo al Patto atlantico. Ma ciò, evidentemente, non interessa laNorvegia. È per questo che Oslo assume ora una certa posizione di indipendenza da Londra. Mi pare però ben difficile che potrà conservare tale posizione sino in fondo. Se l’Inghilterra dovesse insistere, è mio avviso che la Norvegia finirebbe a Strasburgo anche per rinunciare alla sua minacciata astensione dal voto.

75 2 Vedi D. 55.

76 1 Indirizzato all’ambasciata ad Ankara e alle legazioni ad Atene ed Oslo, informava circa l’adesione italiana alla proposta britannica per una più spedita procedura di ammissione di Turchia, Grecia eIslanda al Consiglio d’Europa.

77

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8222/362. Londra, 27 luglio 1949, ore 13,40 (perv. ore 16,30).

Ambasciatore di Egitto ieri si rallegrò meco delle notizie avute dal Cairo circa avviamento contatti con sovrano di Fracassi che mi disse in ottima posizione per pro-seguirli con successo. Egli mi riconfermò sembrargli avessimo preso unica direttiva possibile in un mondo dalle tendenze assai confuse come è l’arabo.

Si mostrò irritato circa la politica britannica sempre oscura ed equivoca col senusso. Le risposte che egli aveva avuto in proposito da Wright erano state le solite puramente negative, vaghe e formali, non affatto persuadenti; spera in settimana prossima darmi notizie maggiori. Mia impressione è che mondo arabo segue maneggi inglesi con grandissima diffidenza e guardi a noi con maggiore fiducia.

Vidi in seguito ministro di Siria cui dovevo restituire visita di cortesia. Egli mi espresse chiaramente simpatia per nostro paese e senza che gli chiedessi nulla mi assicurò che «Siria, per quanto riguardava soluzione della Tripolitania, avrebbe seguito senza riserve ciò che avesse potuto concludersi tra noi e re Faruk».

Si va delineando così una direttiva unica di preliminari intese tra Egitto, Arabia Saudita e Siria che può avere considerevole peso.

Anche ministro siriano riconferma netta opposizione a estensione poteri senusso su intera Libia e dice di aver fatto chiaro questo punto di vista del suo Governo prima di aver dovuto accettare, per semplici ragioni personali di cortesia, invito a pranzo del generale Spears con senusso, mentre ambasciatore Egitto lo aveva rifiutato.

Poiché ministro Siria mi espresse in via generica timore che qualche soluzione a tipo internazionale in Libia aprisse indirettamente la porta al comunismo, prego ad ogni buon fine farmi conoscere se davvero si intenda proporre da parte nostra che Commissione internazionale che dovrebbe presiedere alle elezioni in Tripolitania comprenda anche rappresentante sovietico a differenza della tesi francese1.

78

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE DELL’U.R.S.S. A ROMA, KOSTYLEV

L. 768 SEGR. POL. Roma, 27 luglio 1949.

Ho l’onore di rispondere alla nota di V.E. portante la data del 19 luglio1, nota relativa all’adesione della Repubblica Italiana al Patto atlantico e ad una richiesta del Governo italiano a quello degli Stati Uniti per ottenere del materiale bellico.

Debbo respingere nel modo più assoluto l’affermazione che con l’adesione al Patto atlantico l’Italia sia entrata a far parte di un raggruppamento militare con carattere aggressivo verso l’Unione Sovietica ed altri paesi.

Gli scopi, la portata, il carattere del Patto atlantico sono definiti con estrema chiarezza nel preambolo, e negli articoli 1, 2, 3, 5, 7 del Patto stesso; da essi risulta che il trattato è esclusivamente uno strumento mirante a stabilire tra i paesi firmatari un’associazione a carattere soltanto difensivo. Né potrebbe essere altrimenti, essendo il Patto stesso inquadrato fermamente in quell’Organizzazione delle Nazioni Unite, della quale anche l’Unione Sovietica fa parte, e che è stata creata come presidio della pace e della cooperazione internazionali. Tutti i Governi firmatari del Patto, in ogni pubblica occasione ed in particolare nelle discussioni parlamentari che ne hanno preceduto o accompagnato la ratifica, hanno avuto cura di riconfermare nel modo più solenne e più esplicito gli scopi pacifici e difensivi: ciò fu dichiarato al Governo sovietico stesso fin dal 2 aprile scorso con la risposta collettiva direttagli dai dodici ministri degli esteri convenuti a Washington per la firma del trattato, risposta cui il Governo sovietico non replicò.

Debbo aggiungere che il richiamo al preambolo del trattato di pace, formulato nel secondo capoverso della nota di V.E., mi sembra ugualmente ingiustificato: infatti nel

Trattato di pace mirando — come ella cita da quel preambolo — «a regolare le questioni rimaste in sospeso a seguito degli avvenimenti» non si fa né si poteva fare alcun divieto al Governo italiano di concludere intese o accordi volti al mantenimento della pace.

Quanto alla nota diretta dal Governo italiano al Governo degli Stati Uniti il 6 aprile del corrente anno2, nota che fu subito pubblicata due giorni dopo, essa era diretta a ottenere la concessione di alcuni quantitativi di materiale bellico, al solo scopo di portare le Forze armate italiane, in materia di equipaggiamento, al livello consentito dal trattato di pace. Essa quindi non violava affatto le clausole militari del trattato stesso. Né poteva essere diversamente, visto che la nota era indirizzata al Governo degli Stati Uniti, cioè al Governo che, firmatario del trattato di pace coll’Italia, non avrebbe consentito a ignorare e, meno ancora, violare le clausole militari del trattato. Noi ben sapevamo che tale era il pensiero del Governo di Washington; e lo doveva sapere anche il Governo sovietico poiché il Dipartimento di Stato americano ciò dichiarò pubblicamente al Comitato degli affari esteri del Senato, come risulta dal volume edito a cura del Dipartimento stesso sotto il titolo Hearings before the Committee on Foreign relations. United States Senate - Eightyfirst Congress - First Session - Part. 1, nel quale si legge a pag. 134: «È inteso da tutte le parti contraenti del trattato che la partecipazione dell’Italia al Trattato nord-atlantico non ha effetto sulle clausole militari, o su qualsiasi altra clausola del trattato di pace con l’Italia.

Le dichiarazioni fatte dal ministro della difesa, on. Pacciardi, al Senato della Repubblica nella seduta dell’8 ottobre 1948, non solo non contrastano a questo punto di vista, come è sembrato al Governo sovietico, forse sulla base di incompleti o falsi resoconti di giornali, ma lo confermano in pieno. Infatti, come risulta dagli Atti parlamentari del Senato della Repubblica per la seduta dell’8 ottobre 19483, l’on. Pacciardi si è costantemente riferito, nel suo discorso, ai limiti imposti dal trattato di pace, ha costantemente riaffermato l’intendimento del Governo italiano di osservare tali limiti, mettendo in rilievo che, sopratutto dal punto di vista della efficienza e dell’equipaggiamento tecnico, molto rimane ancora da fare per raggiungere il livello consentito dal trattato. Ritengo inutile fare citazioni dettagliate di tale discorso che nel testo autentico e ufficiale è accessibile a tutti.

Il Governo della Repubblica deve quindi altrettanto nettamente respingere l’accusa di aver violato o voluto violare le clausole militari del trattato di pace. Il Governo e il popolo italiano hanno sempre considerato ingiusto il trattato imposto loro; ma noi abbiamo sempre affermato il proposito di promuovere la inevitabile revisione unicamente attraverso le vie legali previste dal trattato stesso.

A questo proposito il Governo italiano tradirebbe quella leale franchezza che è stata sua norma costante nei propri rapporti col Governo sovietico se non gli esprimesse la sua viva sorpresa pel richiamo — contenuto nella nota di V.E. — all’art. 45 del trattato di pace che dice: «Ognuna delle clausole militari, navali ed aeree del presente trattato resterà in vigore, finché non sarà modificata in tutto o in parte, mediante accordo tra le potenze alleate ed associate e l’Italia, o, dopo che l’Italia sia divenuta membro delle Nazioni Unite, mediante accordo tra il Consiglio di sicurezza e l’Italia».

3 Vedi D. 70, nota 5.

Ogni accordo fra il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’Italia è stato precluso al Governo italiano in contrasto coll’impegno assunto dal Governo di Mosca di «appoggiare le domande che l’Italia presenterà per divenire membro del-l’O.N.U. e per aderire a qualsiasi convenzione conclusa sotto gli auspici delle Nazioni Unite», così come è stabilito nel preambolo del trattato.

Se v’è una parte contraente che abbia diritto di lagnarsi che il trattato di pace è stato violato a suo danno questa è dunque l’Italia, che, per giunta, lo ha visto violato nella disposizione per essa più fondamentale.

Il Governo della Repubblica, emanazione della volontà di un popolo che soffre ancora crudelmente di una guerra nella quale fu gettato da un regime non basato sul libero voto dei cittadini, sente che suo primo dovere è di auspicare ogni atto che contribuirebbe — come nella dolorosa questione dei prigionieri di guerra — a quella distensione cui quanti amano la pace aspirano. Una felice universale distensione si verificherebbe senza fallo in Italia se il Governo sovietico non protraesse più oltre l’esecuzione dell’impegno preso nel trattato di pace per l’ingresso del nostro paese nell’Organizzazione delle Nazioni Unite e levasse quel veto che da anni ferisce negli italiani il loro innato senso di giustizia4.

77 1 Con T. s.n.d. 6445/335 del 28 luglio Sforza rispose: «Non teniamo affatto ad inclusione rappresentante sovietico in Commissione internazionale; lo proponemmo per attenerci formalmente allo spirito del trattato di pace. Se richiestine accetteremmo volentieri sua sostituzione con rappresentante Statoarabo».

78 1 Vedi D. 52.

78 2 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 729, Allegato I.

79

LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA 2023/36435/486/3/2. Roma, 27 luglio 1949.

Riferimento: Telespr. ministeriale 09718/C.1.

Con riferimento al telespresso n. 14094 del 22 luglio u.s.2, relativo all’oggetto3, sembra a questa Presidenza, da una prima lettura del nuovo provvedimento austriaco, confermato il perdurare dello spirito che ha già informato la nota deliberazione del 2 novembre 19484.

Infatti, in questo provvedimento che stabilisce norme comminanti la perdita della «equiparazione» (Gleichberechtugung) concessa agli optanti altoatesini con la decisione del Gabinetto austriaco del 23 agosto 1945, le norme stesse appaiono dettate non tanto dalla considerazione che gli interessati, avendo riottenuto la cittadinanza italiana, d’ora innanzi beneficeranno del trattamento normale spettante ai cittadini di Stati non nemici, quanto invece dal riferimento al fatto del mancato rientro di tali persone in Italia.

2 Con il quale Guidotti aveva trasmesso il testo del provvedimento austriaco del 3 maggio,relativo alle opzioni e riopzioni, ed espresso il parere che: «con il provvedimento in parola il Governoaustriaco altro non abbia fatto se non consolidare a tutti gli effetti amministrativi le note decisioni presedal suo Consiglio dei ministri lo scorso novembre».

3 «Provvedimenti austriaci per optanti e rioptanti».

4 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 769.

Oltre poi alla ricordata perdita della equiparazione, il Governo austriaco stabilisce impedimenti alla concessione della cittadinanza austriaca, eventualmente richiesta da queste persone, subordinandola a un accertamento molto rigoroso dei motivi per i quali gli interessati non intendono far rientro in Italia.

Tale accertamento viene affidato ad una Commissione statale (di funzionari federali e regionali) dal cui parere dipenderà l’esito della richiesta di cittadinanzaaustriaca. È chiaro che sarà spesso ben difficile fornire la prova della impossibilità del ritorno in Italia, sia pure allegando seri motivi economici e familiari, dacché la valutazione discrezionale per parte della detta Commissione potrà sempre toglier valori agli argomenti addotti dai ricorrenti.

Si viene così ancora una volta ad esercitare da parte austriaca una efficacissima e grave pressione sulle decisioni dei rioptanti, ponendo gli stessi, in molti casi, nella necessità di rientrare in Italia, nella tema non solo di restar privi dei particolari e generali benefici goduti dopo il 1945 per effetto della surricordata equiparazione, ma di incorrere in pericoli come stranieri, non improbabili se si pensa alla pletora di stranieri affluiti in Austria dagli Stati viciniori (Boemia, Ungheria, Germania dell’Est e dell’Ovest, ecc.).

Comunque il provvedimento austriaco in esame sembra portare a questa conseguenza: che a sua volta l’Italia dovrà avvertire gli interessati che, pur riconoscendo il diritto di rientrare nella Repubblica, in tanto fornirà loro particolari assistenze in quanto risulti che essi rientrano per una vera e propria necessità.

Con che si verrà a ripetere, con opposti intenti, la procedura istituita dalla precitata Commissione austriaca; con la possibilità che sorgano contrasti fra i due Governi. Invero, non sembrerebbe strano che, se l’Austria costringesse, senza personali demeriti, rioptanti cittadini italiani ad abbandonare il paese, altrettanto disponesse l’Italia — in via di ritorsione — per i cittadini austriaci ora abitanti in Alto Adige o comunque nell’intero territorio della Repubblica.

In ogni caso è certo che da parte italiana può legittimamente dubitarsi che il rientro in Italia dei rioptanti, oggetto del recente provvedimento austriaco, non fu liberamente deciso dai singoli interessati, ma dipese da pressioni avvenute, se non formalmente, con atti sostanziali a seguito della entrata in vigore del provvedimento medesimo.

Tale incresciosa situazione non potrebber venir disattesa dal nostro Governo. E d’altro canto quanto ora prospettato non potrà non influire sulle decisioni italiane attinenti i mezzi di assistenza allo studio in favore dei rioptanti, nonché la costituzione della Commissione italiana adibita a tale scopo.

Tanto più quest’ultima Commissione dovrà essere non solo di gradimento, ma di effettiva spettanza governativa, anziché della provincia di Bolzano. Ove fosse abbandonata alla provincia, facile sarebbe il verificarsi di collusioni fra l’operato della Commissione austriaca chiamata come sopra ad accertare i motivi addotti dai rioptanti per esimersi dal rientrare in Italia, e quello della Commissione provinciale di Bolzano, che fosse dominata da elementi tedeschi altoatesini: ossia fra organi aventi l’identica finalità di accrescere la consistenza del gruppo etnico tedesco in Alto Adige.

Ciò vale per i rioptanti divenuti cittadini italiani; tanto più, per gli altoatesini esclusi dal riacquisto della nostra cittadinanza, e quindi rimasti cittadini germanici.

Non si comprende, infatti, come l’Austria insista perché l’Italia prenda provvedimenti anche in favore di tale categoria, quando essa la vuole escludere nel proprio territorio da ogni beneficio.

Sembra pertanto che anche nei confronti del recente provvedimento austriaco il Governo italiano debba al più presto far conoscere il proprio contrario avviso. Se gli Accordi di Parigi ebbero lo scopo di consentire agli optanti di decidere in piena libertà il loro status di cittadinanza, all’infuori di pressioni e cancellando quanto avvenuto all’epoca dei regimi totalitari, tale meta dovrebbe dirsi delusa se l’Austria persisterà nel trattare gli optanti con la vecchia mentalità. Così essendo, le trattative iniziate con spirito di conciliazione per risolvere le questioni ancora pendenti a seguito della revisione delle opzioni non potrebbero giungere a felici risultati.

Ad ogni modo si fa riserva di tenere sull’argomento stesso un più approfondito esame dal punto di vista giuridico del provvedimento in questione5.

78 4 Per la risposta vedi D. 231.

79 1 Del 19 maggio, non pubblicato.

80

IL CONSOLE GENERALE A WELLINGTON, DE REGE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER CORRIERE 8606/012. Wellington, 28 luglio 1949 (perv. il 5 agosto).

Telespressi ministeriali 3/2383 del 3 giugno, 3/2490 dell’11 giugno e 3/2660 del 26 giugno1.

Ho nuovamente intrattenuto questo segretario generale circa questione colonie esprimendomi secondo istruzioni ministeriali sopracitate. Egli mi ha detto di essersi trovato a Washington epoca Assemblea O.N.U. circa sorte nostre colonie e, pur non avendo potuto assistere, avere riportato convinzione che il progetto Bevin-Sforza, che il signor Fraser aveva appoggiato molto a malincuore, non potesse in alcun caso essere ripresentato nella sua forma originale. Egli si domanda persino se è opportuno insistere sul concetto mantenimento spirito informatore progetto stesso.

Gli ho spiegato che per noi ciò significa accordo e collaborazione con la Gran Bretagna in Africa e il riconoscimento reciproco mutui interessi allo scopo trovare assieme soluzione problema nostre colonie e collaborazione Europa con Africa. Non ha ribattuto ma non mi è sembrato persuaso perché ha aggiunto che al punto in cui sono oggi le cose, egli personalmente ritiene che concessione indipendenza senza riferimento ai passati progetti sia unica via per risolvere problemi Tripolitania ed Eritrea e si riserva pertanto raccomandare primo ministro di appoggiare in principio tale soluzione.

Egli pensa che concessione indipendenza sia poi meno difficile trattare con i nuovi paesi e concordare stretti legami anglo-cirenaici ed italo-tripolini, benché, secondo quanto gli risulta, Governo britannico proverebbe già attualmente qualche

difficoltà ottenere dall’emiro Idris es Senussi, che spalleggiato dalla Lega araba esigerebbe piena indipendenza, consenso a stabilimento in Cirenaica basi militari aeree e navali che sono assolutamente necessarie per la difesa Gran Bretagna e mondo occidentale. Egli riconosce che soluzione senussita è anacronistica e dannosa per lo sviluppo del territorio ed essere dovuta errore Governo britannico di aver fatto promessa e presi impegni durante svolgimento guerra e senza alcuna reale necessità politica. A questo proposito signor McIntosh ha espresso sua sfiducia Lega araba da cui non ci sarebbe da attendersi alcun apporto costruttivo soluzione problemi Medio Oriente.

Non vi è quindi da meravigliarsi se, mentre gli esponevo pensiero Governo italiano circa Eritrea, egli si sia dimostrato poco entusiasta partecipazione Stato musulmano lavori preparazione indipendenza Eritrea stessa. Egli sembra tuttavia ignorare particolari atteggiamenti paesi arabi ed asiatici di fronte proposte annessione Eritrea all’Etiopia perché rimase molto sorpreso di quanto gli dissi in proposito.

A mia richiesta mi disse che non appena ultimato referendum coscrizione egli avrebbe intrattenuto primo ministro, attualmente impegnato campagna elettorale, di tutte questioni e gli avrebbe chiesto autorizzazione farmi qualche comunicazione ufficiosa circa prevedibile atteggiamento neo-zelandese di fronte nostre proposte per una soluzione soddisfacente problema coloniale.

Faccio ora presente che in mancanza rappresentanza Nuova Zelanda Roma che possa anche essa riferire in merito a Wellington, è molto facile che tanto buone disposizioni questo segretario generale quanto azione che può svolgere quest’ufficio vengano annullate da rapporti alto commissario Nuova Zelanda Londra su cui si esercitano logiche influenze e pressioni Governo inglese. Poiché pertanto prossimamente si aprirà legazione Nuova Zelanda Parigi — fra cui compito vi è anche quello mantenere ufficiosi contatti diplomatici con le nazioni Europa occidentale — permettomi suggerire che ambasciata Parigi interessi miss Mckenzie questione nostre colonie affinché essa possa riferire suo Governo informazioni di prima mano non passate preventivamente attraverso filtro britannico, essendosi nello stesso tempo formata idea della questione in un ambiente più favorevole di quello londinese.

79 5 Il documento reca la seguente annotazione di Soardi in data 4 agosto: «Pinna. Ho parlato conInnocenti. Mandare a Vienna sollecitando gli elementi già da noi richiesti dicendogli anche che soprassediamo da comunicazione al Governo austriaco in attesa della sua risposta e dell’esame ulteriore che laPresidenza si riserva di fare».

80 1 Vedi serie undicesima, vol II, DD. 1024 e 1134 nota 4. Il Telespr. 3/2490 non è pubblicato, ma vedi ibid., D. 1050.

81

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 6561/2895. Washington, 28 luglio 19491.

Nell’imminenza del deposito delle ratifiche francese e olandese, l’entrata in vigore del Patto atlantico è ormai questione di giorni. Il Dipartimento di Stato si propone quindi di «stringere i tempi» per quanto concerne l’istituzione degli organi previsti dal Patto medesimo.

A quanto mi risulta, l’argomento formerà oggetto di riunioni informal e su un working level fra le rappresentanze a Washington dei paesi interessati, a partire probabilmente dalla metà di agosto.

Non si prevedono, per ora, difficoltà per quanto concerne il Consiglio politico. In proposito infatti, si tratta quasi soltanto di stabilire dove e su quale «livello» avrà luogo la prima riunione.

Per contro, il problema dell’organizzazione militare si presenta in termini assai più complessi. Al riguardo, secondo le informazioni che ho potuto raccogliere da ottima fonte, si è delineato un netto contrasto tra gli inglesi e i francesi. I primi tenderebbero ad utilizzare nella massima misura possibile l’organizzazione già esistente del Patto di Bruxelles ed a svilupparla con la inclusione degli Stati Uniti e degli altri paesi aderenti al Patto. I secondi sono nettamente contrari a ciò e vorrebbero invece che gli organi previsti dal Patto atlantico fossero creati interamente ex novo, senza nulla ricevere da quelli del Patto di Bruxelles, che a poco a poco verrebbero pressoché atrofizzati.

Mi si dice che la ragione del contrasto è la seguente.

Il Consiglio militare del Patto di Bruxelles è in gran parte dominato dagli inglesi e dalle loro concezioni strategiche. Queste, essendo orientate essenzialmente verso la protezione delle Isole britanniche, prevedono che la difesa del continente europeo sia effettuata nella misura e nei luoghi più propizi a quella protezione e quindi non escludono l’abbandono di una porzione sostanziale dell’Europa occidentale, inclusa una gran parte della Francia. I francesi temono che, se il Comitato militare del Patto atlantico fosse praticamente la continuazione di quello del Patto di Bruxelles, l’inclusione degli americani non basterebbe a mutare l’indirizzo degli studi strategici compiuti finora. Pertanto, essi intendono impostare su basi interamente nuove la collaborazione tra i paesi del Patto atlantico, la quale, secondo loro, deve essere ispirata dal convincimento che la difesa effettiva dell’Europa occidentale costituisce lo scopo essenziale degli sforzi comuni.

Il contrasto sopradescritto formerà probabilmente la materia principale delle conversazioni che i tre capi di Stato Maggiore americani avranno in Europa nei prossimi giorni. I militari francesi, sapendo che il generale Bradley personalmente condivide la loro idea sulla questione in discussione, fanno molto assegnamento su di lui.

81 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

82

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 0228. Parigi, 29 luglio 19491.

Oggi, venerdì 29 luglio, alle ore 18,30 ho proceduto con il ministro degli affari esteri, Robert Schuman, alla firma del protocollo addizionale al trattato di Unione doganale del 26 marzo 1949 e dello scambio di note relativo alla riserva del Governo italiano

per quanto riguarda la ratifica del Trattato e del Protocollo addizionale summenzionati. Accludo il testo originale del Protocollo addizionale, la copia originale della nota da me diretta al ministro Schuman e l’originale della risposta di quest’ultimo2.

ALLEGATO I

PROTOCOLE ADDITIONNEL AU TRAITE D’UNION DOUANIERE ENTRE LA FRANCE ET L’ITALIE signé le 26 mars 19493

La France et l’Italie

— -considérant qu’elles ont conclu le 26 mars 1949 un Traité d’Union douanière aux termes duquel les barrières douanières seraient, au cours d’une première phase, supprimées entre les deux pays tandis que les mesures de contingentement ne seraient abrogées qu’ultérieurement; — -considérant les résolutions relatives à la libération des échanges entre ses membres prises depuis lors à l’Organisation Européenne de Coopération Economique et la méthode préconisée en vue de cette libération qui consiste, sans modifier la protection douanière, à supprimer les mesures de contingentement actuellement en vigueur;

— affirmant leur volonté de mener à bien l’Union douanière franco-italienne,

sont tombées d’accord pour adopter les disposition suivantes:

Article 1

Afin de mettre en harmonie les méthodes préconisées respectivement par le Traité d’Union douanière signé le 26 mars 1949 à Paris et par l’Organisation Européenne de Coopération Economique, le Conseil de l’Union douanière prévu à l’article 9 dudit Traité échelonnera sur un délai qu’il fixera en tant que de besoin l’application des mesures arrêtées dans les articles 2, 3, 4, 5 du Traité.

Article 2

La mise en oeuvre de l’Union douanière franco-italienne sera puorsuivie dans le cadre plus général de la Coopération Economique Européenne que les deux Gouvernements s’efforcent de promouvoir et que l’Union douanière franco-italienne doit contribuer à renforcer.

Fait à Paris, le 29 juillet 1949.

ALLEGATO II

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAN

L.4. Parigi, 29 luglio 1949.

Me référant au Protocole additionnel, signé en date de ce jour, j’ai l’honneur de vous faire savoir que le Gouvernement italien, tout en confirmant son intention de s’associer aux initiatives tendant à une plus grande libéralisation des échanges internationaux, croit devoir appeler l’attention du Gouvernement français sur le fait que ce protocole introduit, par rapport au Traité d’union douanière signé le 26 mars 1949 á Paris, un changement radical de méthodes.

En effet, lorsque se produira l’élimination des restrictions quantitatives, les économies française et italienne ne disposeront plus l’une á l’égard de l’autre que d’une protection douanière qui devra d’ailleurs être progressivement réduite alors que le tarif douanier italien de 1921, actuellement en cours de refonte, n’a plus aucune incidence protectrice. De ce fait, le Gouvernement italien ne pourra procéder á l’échange des ratifications du Traité d’union douanière du 26 mars 1949 et du Protocole signé en date de ce jour que lorsque le nouveau tarif douanier italien aura été mis en application.

ALLEGATO III

IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAN, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. CONFIDENZIALE5. Parigi, 29 luglio 1949.

Vous avez bien voulu, par lettre en date de ce jour, me faire savoir ce qui suit:

«Me référant au Protocole additionnel, signé en date de ce jour, j’ai l’honneur de vous faire savoir que le Gouvernement italien, tout en confirmant son intention de s’associer aux initiatives tendant à une plus grande libéralisation des échanges internationaux, croit devoir appeler l’attention du Gouvernement français sur le fait que ce protocole introduit, par rapport au Traité d’Union douanière signé le 26 mars 1949 á Paris, un changement radical de méthode.

En effet, lorsque se produira l’élimination des restrictions quantitatives, les économies française et italienne ne disposeront plus l’une à l’égard de l’autre que d’une protection douanière qui devra d’ailleurs être progressivement réduite alors que le tarif douanier italien de 1921, actuellement en cours de refonte, n’a plus aucune incidence protectrice. De ce fait, le Gouvernement italien ne pourra procéder à l’échange des ratifications du Traité d’Union douanière du 26 mars 1949 et du Protocole signé en date de ce jour que lorsque le nouveau tarif douanier italien aura été mis en application».

J’ai l’honneur de vous faire savoir que je prends bonne note de cette communication.

5 Ibid., p. 375.

82 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

82 2 Vedi Allegati. 3 Ed. in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXIX, cit., pp. 372-373.

82 4 Ibid., p. 374.

83

IL MINISTRO ALESSANDRINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. Londra, 29 luglio 1949.

Ho l’onore di riferire a V.E. in merito alla prima fase delle conversazioni che ho iniziato con gli inglesi sulla questione delle nostre colonie.

Come V.E. rileverà dall’accluso resoconto delle conversazioni1, le dichiarazioni iniziali degli inglesi e le risposte da essi date alle nostre domande confermano il loro proponimento di mantenere il più rigidamente possibile, nei riguardi dei nostri progetti, quella linea di resistenza di cui conosciamo già a sufficienza il tracciato, sopra-tutto dopo le dichiarazioni fattemi dall’amministratore-capo Blackley a Tripoli2.

Siamo ancora di fronte alla costante, ed anzi monotona, riaffermazione dei punti considerati essenziali dagli inglesi per qualsiasi formula tendente alla risoluzione del problema: accantonamento provvisorio del problema somalo, intransigenza sul progetto di annessione della maggior parte dell’Eritrea all’Etiopia; silenzio sul fatto compiuto della Cirenaica; indifferenza per il Fezzan; tenace proposito di tenere ancora la Tripolitania sotto amministrazione britannica per almeno cinque anni.

Ho tuttavia rilevato, per quanto riguarda la Tripolitania, attraverso le dichiarazioni del capo dell’African Department, Clutton, incertezze, perplessità e preoccupazioni che sono certamente conseguenze ultime della situazione creatasi all’O.N.U. nel maggio scorso ma che sono anche, forse, derivanti dalle nostre più recenti prese di posizione, sopratutto nei riguardi del mondo arabo.

A lato di ciò ho nuovamente notato (come già a Tripoli nelle confessate speranze del Blackley di nuovi «rinvii») il proposito di accompagnare l’irrigidimento inglese sui punti essenziali con una organizzata tattica dilatoria che va dal minuto posponimento delle conversazioni, degli incontri, delle risposte ecc. fino alla metodica preparazione di un tentativo finale di rinvio all’anno prossimo della questione tripolitana da parte della prossima Assemblea dell’O.N.U.

Ho anche avuto l’impressione che tale tattica dilatoria sia accompagnata dal contemporaneo proponimento di tenerci agganciati e di evitare che, pressati dal tempo e scoraggiati dalle loro risposte evasive ed interlocutorie, noi si abbia a riprendere aperta libertà d’azione.

È in base a tali prime impressioni che ho ritenuto opportuno fare agli inglesi, all’inizio delle nostre conversazioni, due precise domande. L’ho fatto non nella speranza di avere una risposta chiara e precisa, ma per porre un minimo di premesse iniziali cui le conversazioni siano in certo qual modo condizionate e la cui eventuale susseguente inosservanza ci consenta di sganciarci e camminare per nostro conto.

Ho anzitutto chiesto quale sia, nel pensiero e nelle intenzioni del Governo britannico, il fine delle presenti conversazioni. Ovvia risposta: fare il punto della situa

zione, esaminare i nostri progetti ed i nostri desiderata. È mancata la risposta che avrebbe, se spontanea, rappresentato un primo elemento costruttivo: quello del desiderio di collaborare con noi nella ricerca di una equa soluzione del problema. Ho pertanto fatto di ciò l’oggetto della seconda domanda: considera il Governo britannico la possibilità della formulazione di un progetto concordato con noi da sottoporre, in pieno accordo, all’O.N.U.? Clutton non ha, naturalmente, potuto rispondere negativamente. Ha detto solo che non lo escludeva, che lo sperava ecc., ma che gli sembrava esser già tardi per giungere prima del settembre ad accordi ben precisi e che comunque eventuali accordi fra Italia e Gran Bretagna dovrebbero essere sottoposti alla Francia, all’America ed a tutti i Dominions.

E qui il mio interlocutore si è lanciato a fondo a parlare della Francia. La Gran Bretagna — ha detto con calore — se ne vuole veramente andare dalla Tripolitania e non può che approvare la nostra decisione di favorire l’indipendenza di quel paese, ma è la Francia che non vuole tale indipendenza, che è preoccupata delle ripercussioni che tale indipendenza potrebbe avere sui paesi vicini se realizzata così presto come noi chiediamo, cioè inmodo da non offrire sufficienti garanzie contro contagiosi disordini. È la Francia che vuole un periodo di transizione fra le decisioni dell’O.N.U. e la proclamazione della effettiva indipendenza sufficientemente lungo per permettere la formazione di una classe dirigente tripolitana e la nomina di un Governo. La Gran Bretagna non può, malgrado tutta la sua buona volontà di farci cosa gradita, contrastare la Francia ecc. ecc.

Ad un certo punto ho ritenuto necessario interromperlo per chiedergli improvvisamente che cosa pensi il Governo britannico, tanto ansioso di fare cosa gradita alla Francia, della proposta di quest’ultima per la nomina di una Commissione internazionale con pieni poteri durante il desiderato periodo transitorio. Clutton ha cambiato tono e, dopo aver debolmente tentato di invocare lo spettro sovietico come pericolo insito in ogni tentativo di ricorrere a soluzioni internazionali, ha finito per dirmi chiaramente che Bevin ha nettamente significato a Schuman la sua decisa contrarietà a tale soluzione.

Ho chiesto se tale contrarietà debba essere considerata definitiva. Ha risposto di sì. Ma ho creduto di notare, su questo punto, così come quasi sempre quando il discorso è caduto sul «periodo transitorio», esitazioni, perplessità ed anche contraddizioni sufficienti per far comprendere come su questo punto non sia ancora stata presa dal Governo britannico una determinazione e come, pur essendo esso ben deciso a far tutto il possibile per ottenere che l’indipendenza tripolitana sia rimandata il più lontano possibile nel tempo e che l’Amministrazione britannica abbia a Tripoli durante il periodo transitorio i maggiori possibili poteri, esso potrebbe forse piegarsi a qualche concessione e forse ad ammettere anche la nomina di una Commissione internazionale da porre a lato della Amministrazione Militare Britannica, con facoltà consultive e di controllo se la Francia avesse ad insistere fortemente e seriamente per ottenere tale soluzione.

È dunque, nella fase attuale, a Parigi che sembra necessario compiere immediata opera di chiarificazione ed eventualmente di pressione se si vuol continuare a tentare, malgrado tutto, la strada di un accordo con gli inglesi. Un consiglio in tal senso ci viene dato dallo stesso Foreign Office, poiché la prima delle tre richieste fattemi da Clutton, alla fine del secondo colloquio, è appunto quella di veder noi stessi comestanno le cose a Parigi. È ora evidente che se gli inglesi ci spingono a parlare con i francesi, il Foreign Office deve aver sufficienti affidamenti per confidare che il Quai d’Orsay non è forse disposto ad andare, per farci cosa gradita, oltre certi limiti, sopratutto per ciò che si riferisce alla data della proclamazione dell’indipendenza tripolitana vera e propria.

Il Foreign Office sta evidentemente facendo opera di convinzione sui francesi per rappresentare loro i pericoli dell’indipendenza tripolitana e forse anche per convincerli che, dopo tutto, alle incognite di quest’ultima è preferibile forse una vaga e controllata sovranità senussita tanto sulla Cirenaica quanto sulla Tripolitania. Poiché è tuttavia probabile che la saggia determinazione francese di non voler gli inglesi come vicini sia più forte dei timori relativi alla indipendenza tripolitana, un nostro deciso intervento può forse ancora avere buone probabilità di successo e spingere definitivamente Parigi a far pressioni a Londra in favore della nostra tesi. E se tali pressioni non si limitassero ad essere di carattere generico ma passassero decisamente al campo pratico e realistico, quale quello cui accenna l’ambasciatore Quaroni verso la fine del suo rapporto di cui al telespresso ministeriale n. 3/3014 del 26 luglio3, è forse ancora possibile che la Gran Bretagna sia indotta a piegarsi all’accettazione della Commissione proposta dalla Francia secondo le linee del progetto comunicato da Massigli all’ambasciatore Gallarati Scotti, forse anche con parziale accettazione delle condizioni di cui ai nn. 1 e 2 del telegramma di V.E. a Parigi n. 625 del 22 luglio4 (massima possibile riduzione del periodo transitorio e massima possibile estensione dei poteri della Commissione).

Ritengo invece di dover fin d’ora escludere che, malgrado anche le maggiori pressioni di Parigi, gli inglesi abbiano ad accettare il punto terzo del predetto telegramma, relativo alla contemporanea adozione per la Cirenaica di analogo progetto.

Gli inglesi si sono molto interessati anche, durante le conversazioni dei giorni scorsi, al nostro progetto basato sulle elezioni e sulla susseguente immediata formazione di una Assemblea costituente e di un Governo tripolitano chiedendomi insistentemente se la Commissione nominata dall’O.N.U. secondo il nostro progetto avrebbe poteri solo in materia di elezioni e se l’Amministrazione Militare Britannica continuerebbe a funzionare durante il periodo elettorale fino alla creazione della Assemblea ed alla nomina del Governo. Avendo io, in base alle istruzioni ricevute, risposto affermativamente, essi (come V.E. vedrà in dettaglio nell’allegato resoconto) mi hanno, con crescente interesse, chiesto se il Governo italiano sarebbe disposto ad ammettere che l’Amministrazione britannica non abbia a cessare subito dopo la creazione del futuro Governo ma che per taleeffettiva cessazione definitiva debba intervenire una nuova decisione dell’O.N.U. È questa la seconda domanda che il Foreign Office mi ha pregato di trasmettere a V.E.

È evidente che gli inglesi preferirebbero di molto il nostro progetto a quello francese se il periodo transitorio corrente fra la decisione dell’O.N.U. e la formazione del Governo tripolitano fosse tanto lungo quanto essi desiderano, poiché la Commissione proposta dai francesi avrebbe in tale periodo poteri assai estesi mentre quella da noi proposta avrebbe autorità solo in materia di elezioni.

Gli inglesi mi hanno infine fatto una terza domanda: quella di avere le maggiori possibili informazioni in merito al trattato che l’Italia si proporrebbe di concludere con la Tripolitania, chiedendo anche se noi accetteremmo che tale trattato, raccoman

dato da una prima decisione dell’O.N.U., dovesse, per diventare esecutivo, essere approvato da una seconda decisione dell’O.N.U.

Una approfondita presa di contatto con il Quai d’Orsay sarà evidentemente assai utile anche per l’esame di tali seconde e terze domande inglesi. Una nostra risposta previamente concordata con i francesi varrà ad evitare comunque che alla ripresa delle conversazioni gli inglesi abbiano a sollevare, ove e quando sembrasse loro opportuno e non fosse altro che a fini dilatori, la necessità di consultare Parigi.

Nessuna dichiarazione o allusione mi è stata fatta dagli inglesi circa i nostri contatti con gli arabi, benché non vi sia dubbio che essi sono bene informati sulla nostra attività al Cairo. Ho approfittato io di qualche occasione offertasi durante il corso della conversazione per far comprendere come ai Governi arabi non sia stato da parte nostra fatto conoscere dei nostri progetti nulla di più di quanto non fosse già stato detto al Governo britannico. Ho inoltre, più volte, ricordato e sottolineato la necessità di informare convenientemente al momento opportuno i Governi arabi dei progetti sui quali il Governo britannico ed il Governo italiano avessero ad accordarsi poiché l’esperienza di Lake Success ha ben dimostrato come il loro assenso sia indispensabile per il successo di qualsiasi proposta. I miei interlocutori ne hanno convenuto pur dando a vedere di non voler proseguire nell’argomento.

Sarò grato a V.E. se mi vorrà impartire, possibilmente prima di mercoledì prossimo5, data alla quale le conversazioni potrebbero essere riprese, le istruzioni necessarie per le risposte agli inglesi sui tre punti da essi indicati6.

83 1 Non pubblicato.2 Vedi D. 47.

83 3 Ritrasmetteva il Telespr. segreto 874/2842 da Parigi del 17 luglio, per il quale vedi D. 42, nota 1. 4 Riferimento errato, si tratta del T. 419 del 22 luglio per Parigi (vedi D. 58), ritrasmesso aLondra con T. segreto 6265/324 in pari data.

84

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. 3190/1544. Londra, 29 luglio 1949.

Accompagno la relazione del ministro Alessandrini1 sulle sue conversazioni al Foreign Office, con alcune mie brevi osservazioni.

Anzitutto concordo pienamente nella esposizione e nelle conclusioni del rapporto stesso, e prego V.E. di voler prendere nella maggiore considerazione alcuni punti che, anche per altri miei contatti, mi sono fatti chiarissimi.

1) È necessario, a mio parere, che in questo momento, pur continuando le conversazioni a Londra con ogni buona volontà da parte nostra anche se ci sembri che essa manchi dall’altra parte, si chiarisca la posizione vera della Francia nei diretti rapporti Roma-Parigi. Che la Francia ci sia genericamente favorevole nella soluzione della questione libica, lo credo. Ma fin dove sia pronta ad appoggiarci in confronto dell’Inghilterra non lo so. Ora, ogni utile prosecuzione di conversazioni con gli ingle

6 Per la risposta vedi D. 90.

si sarà sempre inceppata finché duri l’equivoco dei limiti effettivi dell’appoggio francese alle nostre proposte sulla indipendenza della Tripolitania. Su tali limiti va fatta luce intera in modo di impedire agli inglesi di nascondersi dietro le quinte della contrarietà francese alla nostra tesi. Questo ho detto oggi io stesso a Massigli: ed egli ha dovuto ammettere che gli inglesi tentano di giocare a questo cache cache;

2) poiché non siamo riusciti ad ottenere una conversazione a quattro per la netta opposizione inglese, noi ne potremmo tuttora pretendere una a tre, nelle settimane prossime, tra i ministri degli esteri d’Italia, Francia e Gran Bretagna a Strasburgo. Ma tale conversazione, che potrebbe avere valore decisivo, si concluderebbe in nulla se V.E. e il ministro Schuman non avessero trovato prima una linea comune e sicura di fronte ai piccoli trucchi di Bevin e alle aggressioni con cui tenta nascondere le false posizioni assunte. Le attuali conversazioni di Londra dovrebbero in questo momento, a mio parere, tendere a sbarazzare il cammino dai luoghi comuni inglesi e dalle tergiversazioni con cui tendono a rimandare al futuro le più importanti decisioni che dovrebbero essere prese oggi. Credo che l’accordo franco-italiano dovrebbe essere così meditato, moderato, saggio e realistico da mettere Bevin in un serio imbarazzo se vi si dovesse mettere contro2;

3) è per noi d’altronde di importanza fondamentale ottenere l’assenso francese alla nostra politica in Tripolitania, in quanto, a differenza degli americani, gli inglesi si devono preoccupare maggiormente del fattore francese nel quadro della comune intesa politico-militare in Europa. Ma tale assenso è utile ottenere subito, poiché secondo mie informazioni molto serie di fonte diplomatica, l’Inghilterra starebbe tentando un vero e proprio ricatto con la Francia, pur di distaccarla da ogni possibilità di adesione alla nostra tesi di indipendenza araba della Tripolitania sotto gli auspici (e l’influenza) dell’Italia, e l’Inghilterra ha in questo momento tali armi da poter avere buon giuoco.

83 5 Il 3 agosto.

84 1 Vedi D. 83.

85

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8362-8363/37-38. Assunzione, 30 luglio 1949, ore 14,05 (perv. ore 22,30).

Firma del protocollo amicizia collaborazione1 dato luogo solenne cerimonia ufficiale cui assistito presidente della Camera ed altre alte autorità. Ministro degli affari esteri pronunciato cordiale ed esplicito discorso in cui fra l’altro sottolineato

importanza documento come impostazione nuovi e più stretti rapporti fra i due paesi ed assicurato propositi Governo paraguayano prestare sua più ampia collaborazione sviluppo comuni interessi. In considerazione rilievo dato qui ad avvenimento suggeriamo venga costì provveduto come in recente circostanza analoga.

Corso conversazioni particolarmente cordiali presidente della Repubblica assicurato esplicitamente che Paraguay continuerà prestare suo completo appoggio a tesi che sarà da noi suggerita circa sistemazione territori africani.

Signor Molas Lopez dimostrato poi vivo interesse per eventuale accordo emigratorio confermando fra l’altro possibilità che questo Governo offra gratuitamente a nostri lavoratori agricoli talune aliquote terreni da coltivare. Ha convenuto circa opportunità collegare collaborazione bilaterale in tale materia con eventuali più ampie intese per sfruttamento zone non sviluppate.

84 2 Annotazione a margine di grafia non identificata: «Bisogna essere prudenti. Ci metterebbemale con gli arabi con cui abbiamo contatti».

85 1 Era stato annunziato con il D. 1087 del vol. II. La firma del protocollo, riferita dal ministroFerrante con il T. 8373/40 del 30 luglio, è più significativamente inserita nel suo contesto politico nel presente documento. Per il testo del protocollo vedi MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXIX, cit., pp. 376-377.

86

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8368-8382/203-204. Belgrado, 30 luglio 1949, ore 23,40 (perv. ore 17 del 31).

Seguito mia conversazione telefonica con Lanza d’Ajeta1.

Ieri in conversazione con Bebler2 questi mi aveva assolutamente escluso che maresciallo Tito potesse fare nuova dichiarazione pubblica circa decisioni Zona B3 e suo discorso Pola4 che avrebbe avuto apparenza di ritrattazione. Situazione pareva quindi diventare particolarmente difficile.

È sorta allora idea mio colloquio con maresciallo e comunicato stampa. Da parte jugoslava tale fatto sarebbe stato considerato gesto importantissimo se si valuta attuale momento e particolare rilievo che sempre assumono qui colloqui con il maresciallo.

Mentre comunicato si mantiene ovviamente in termini generali dando tuttavia notevole sensazione di distensione, maresciallo nella conversazione mi ha comunque fatto dichiarazione desiderata da codesto Ministero.

Secondo maresciallo Tito cambio moneta è stato determinato da necessità risolvere problema economico Zona B del cui sviluppo Jugoslavia è responsabile.

Sue dichiarazioni Pola non avrebbero dovuto generare così vive reazioni opinione pubblica e Governo italiano.

Azione unilaterale sarebbe stata determinata da impressione che (a seguito nota dichiarazione tripartita potenze occidentali)5 nell’atteggiamento italiano relativo ter

2 Sulla quale Martino aveva riferito con Telespr. 1906/927 del 29 luglio, non pubblicato.

3 Vedi D. 16.

4 Vedi D. 31.

5 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

ritorio Trieste e accordi conclusi con Zona A Jugoslavia sia completamente negletta (dico negletta) come se problema non la riguardasse.

Tito ha aggiunto che il Governo italiano dovrebbe intravedere prospettive di ben più importanti accordi politici fra i due paesi e cioè di portata assai superiore alla questione «minima» della Zona B.

A tal uopo occorre provvedere anzitutto a soluzioni questioni ancora pendenti tra i due paesi. Secondo Tito, Governo jugoslavo ha già fatto il possibile per creare buone relazioni fra i due paesi ed intende proseguire su questa strada. Parlando di problemi particolari Tito mi ha promesso esaminare favorevolmente questione amnistiati, opzioni e consolati italiani.

Colloquio svoltosi in atmosfera del tutto cordiale.

Aggiungo che in comunicato stampa Bebler ha voluto evitare frasi che potessero lasciare pensare a conversazioni su problema Territorio Libero di Trieste. Punto di vista jugoslavo rimarrebbe infatti di rispetto del trattato di pace.

Questo ambasciatore americano considera soluzione brillante per Governo italiano tanto più che egli temeva che questione potesse trascinarsi senza positivo risultato.

86 1 Per il suo contenuto vedi D. 44.

87

IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. Parigi, 30 luglio 1949.

Au moment où nous venons de signer M. Quaroni et moi-même le Protocole additionnel au Traité d’Union douanière, je tiens à vous remercier tout particulièrement au nom du Gouvernement français de la compréhension amicale que nous avons trouvée auprès de vous pour nous aider à aplanir les difficultés qui pourraient s’élever au Parlement français à l’occasion du débat de ratification.

Ce document qui nous aidera à franchir un cap un peu difficile serait une nouvelle preuve, s’il en était besoin, de la solidarité franco-italienne à laquelle je tiens autant que vous.

Veuillez agréer, Monsieur le Ministre, les assurances de ma haute considération1.

87 1 Sforza vi ha annotato: «Zoppi, conservare questa lettera che può avere valore cui riferirsi».

88

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 6592/C.1. Roma, 2 agosto 1949, ore 21.

(Per Londra, Parigi, Washington, Trieste) Ho telegrafato a New York quanto segue:

(Per tutti) Colloquio Tito-Martino2 ha consentito distensione rapporti italojugoslavi che permetterà firma tra qualche giorno accordo commerciale3.

In queste condizioni è opportuno ritardare invio nota O.N.U. Zona B. Prego telegrafare ultima data utile per presentazione nota in relazione prossima sessione Consiglio.

(Per Washington, Londra, Parigi) Informo ad ogni buon fine che è stata rimessa in visione riservata a queste ambasciate degli Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia copia progetto nota O.N.U.

89

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8469/371. Londra, 2 agosto 1949, ore 20,10 (perv. ore 7,30 del 3).

Mio telespresso 1538 del 28 luglio1.

Foreign Office mi ha dato copia della nota a firma McNeil che viene consegnata alle sedici di oggi a questa ambasciata sovietica in risposta alla protesta per accessione Italia al Patto atlantico.

Dopo aver ricordato carattere non aggressivo del Patto, la nota afferma che accessione Italia non rappresenta violazione trattato di pace e termina testualmente «Governo di Sua Maestà respinge come infondate le accuse contenute nella nota del 19 luglio2».

Invio testo per corriere aereo.

2 Vedi D. 86.

3 Il testo dell’accordo, firmato a Roma il 4 agosto, è pubblicato in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXIX, cit., pp. 389-417.89 1 Non rinvenuto. 2 Vedi D. 52.

88 1 Diretto anche alla rappresentanza a Trieste ed all’osservatore presso le Nazioni Unite.

90

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO ALESSANDRINI, A LONDRA

L. SEGRETA 3/3118. Roma, 2 agosto 1949.

Alle richieste di chiarimenti fatteti1 puoi rispondere esattamente così:

1) Abbiamo formulato i nostri progetti per la Tripolitania e iniziato conversazioni con la parte inglese partendo dal presupposto che gli inglesi riconoscono la preminenza dei nostri interessi in Tripolitania come noi riconosciamo la preminenza dei loro interessi in Cirenaica. Questo presupposto lo consideriamo acquisito: 1° dallo spirito del-l’accordo Bevin-Sforza e 2° dalla dichiarazione fatta dalla Gran Bretagna all’O.N.U. di non volere rimanere in Tripolitania, e ripetuta all’ambasciatore Gallarati Scotti anche recentemente da Bevin il quale si era persino lamentato che ne diffidassimo2.

Se così non fosse non si comprenderebbe quale senso e scopo dovrebbero avere le conversazioni di Londra che, nelle nostre intenzioni, mirano appunto a realizzare sul piano pratico tale presupposto ossia a concordare la procedura per darvi attuazione.

2) Da tale presupposto deriva quindi direttamente il nostro progetto. Infatti esso tende in primo luogo a creare una atmosfera favorevole ad una collaborazione italo-araba in Tripolitania e per ciò fare viene incontro al desiderio della popolazione di ottenere l’indipendenza. In secondo luogo mira — attraverso l’indipendenza immediata e la rapida costituzione di un Governo democratico — a consentire agli inglesi di abbandonare il paese lasciando così il terreno sgombero per lo stabilimento della progettata collaborazione italo-araba.

3) In che cosa deve consistere questa collaborazione? Molto semplice. Non intendiamo imporre alcun trattato, ma negoziare e ottenere attraverso libere trattative quello che gli arabi nella loro stessa convenienza accetteranno. I punti fondamentali dell’accordo dovrebbero essere: riconoscimento agli italiani della Tripolitania della cittadinanza del nuovo Stato con tutti i diritti e doveri che ne derivano; inclusione della Tripolitania nell’area della lira; incarico a tecnici, consiglieri, istruttori ecc. italiani di coadiuvare il nuovo Stato nella sua opera costitutiva in ogni campo. Non è necessario che l’O.N.U. entri in dettagli. Ci basta che l’Assemblea, tra le sue raccomandazioni, ne includa una in cui «invita il Governo italiano e il futuro Governo della Tripolitania a regolare con apposito trattato le reciproche relazioni e gli speciali interessi dei due Stati e dei loro cittadini nei due paesi, in guisa anche da assicurare alla Tripolitania, da parte dell’Italia, il concorso, l’appoggio e l’assistenza di cui essa avrà bisogno nell’opera di costruzione dello Stato».

Poiché il trattato in questione verrebbe concluso fra due Stati sovrani e indipendenti, non è necessario che esso venga sottoposto alla approvazione dell’O.N.U.

4) Secondo il nostro progetto, tenuto conto che non si può, in periodo elettorale e nella carenza di un Governo locale, privare il territorio di una amministra

2 Vedi D. 28.

zione capace, abbiamo noi stessi proposto che questa amministrazione continui ad essere assicurata dalla Gran Bretagna. Abbiamo proposto che le elezioni vengano organizzate e controllate da una Commissione internazionale e che questa abbia soltanto tale compito (a differenza dei più larghi compiti attribuitile dalla proposta francese) e ciò per due ragioni: a) perché ad evitare malintesi che si risolvono sempre a danno dei rapporti italo-britannici riteniamo preferibile che le elezioni vengano affidate ad una Commissione neutra; b) perché secondo il nostro progetto dopo la costituzione di un Governo locale l’amministrazione attuale dovrebbe passargli i poteri. Se invece queste operazioni dovessero svolgersi au ralenti, allora, posto che entrassimo in questo ordine di idee, riterremmo più consona ai nostri interessi la proposta francese che la Commissione internazionale debba essa stessa avere vasti poteri di Governo; sempreché gli Stati arabi accettino questa formula del che molto dubito. Ma anche in questo caso il periodo di regime interinale dovrebbe essere breve.

5) Non potremmo dare il nostro appoggio alla proposta britannica che la formazione del nuovo Stato abbia gradualmente luogo in un lungo periodo e ad opera della

B.A.T. Ciò equivarrebbe ad un vero e proprio mandato inglese per cinque anni (secondo Blackley) o per tre anni (secondo Clutton) anche se preceduto da una platonica dichiarazione di indipendenza. Essa svuoterebbe poi di ogni contenuto e priverebbe di ogni ragione d’essere il nostro accordo con lo Stato della Tripolitania come indicato al punto 3. Una simile richiesta britannica provocherebbe anche reazioni nel mondo arabo e risentimento verso gli europei, e le prime vittime potrebbero essere gli italiani della Tripolitania i quali si vedrebbero indotti, per salvaguardarsi, a fare causa comune con gli arabi. Vi sarebbe qui, per forza di cose, una causa di frizione nei rapporti italo-britannici, mentre l’Italia intende poter tutelare e sviluppare i suoi interessi in Africa d’accordo con la Gran Bretagna e nel quadro degli interessi inglesi e non in contrasto con questi.

6) Noi teniamo come punto fermo la necessità di ottenere l’adesione degli Stati arabi. Il nostro progetto si è ispirato a tale necessità di cui anche gli inglesi devono tener conto perché senza i voti degli Stati arabi non si può arrivare alla maggioranza e noi siamo d’avviso che questa volta si debba arrivare ad una conclusione.

7) Osservazioni varie:

— -Non mi è chiaro perché hai premesso di parlare a titolo «strettamente personale»3. Le tue sono conversazioni se non ufficiali, ufficiose, e quindi quello che dici lo dici per incarico del Governo. — -A pag. 3 del secondo allegato al tuo rapporto, cap. 2. Il tempo in cui l’amministrazione britannica rimarrebbe in carica non è «indeterminato». Nel nostro progetto le elezioni debbono aver luogo entro sei mesi dalla decisione dell’Assemblea. Lo sviluppo della fase ulteriore deve svolgersi in proporzione. — -A pag. 3 id. cap. 3. Non riteniamo necessaria alcuna nuova decisione del-l’O.N.U. una volta formato il Governo: la richiesta fattati è indicativa della volontà di metterci il bastone fra le ruote.

8) Se ci mettiamo d’accordo per la Tripolitania noi faremo convergere i voti dei sudamericani su quella qualsiasi formula che gli inglesi ritenessero di presentare all’O.N.U. per la Cirenaica.

9) Circa la proposta di sondare i francesi in relazione al tentativo inglese, segnalato dall’ambasciatore (rapporto 3190/1544 del 29 luglio)4, di far ricadere su di essi la resistenza al nostro progetto ne parlerò con Fouques-Duparc, ma attiro la vostra attenzione sul fatto che ogni accordo con i francesi sulla base delle loro proposte, farebbe quasi certamente cadere ogni possibilità per noi di un accordo con gli Stati arabi che conviene a noi tentare di raggiungere per molte ragioni. Sarebbe semmai preferibile, come ho già scritto a Quaroni, lasciare ai francesi un ruolo mediatore all’O.N.U. fra una tesi italo-araba e una tesi (meno liberale) anglosassone. Allo stato delle cose quindi mi pare convenga non comprometterci sino a quando risulti chiaro se ci è possibile, oppure no, raggiungere un accordo con gli Stati arabi5.

90 1 Risponde al D. 83.

90 3 Si riferisce a quanto esposto da Alessandrini negli allegati al D. 83, non pubblicati.

91

IL MINISTRO A GEDDA, ZAPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8552/62. Gedda, 3 agosto 1949, ore 20 (perv. ore 11,40 del 4).

Ho conferito ieri con Ibn Saud e con Faisal in merito questione Tripolitania ed Eritrea. Tanto il re che l’emiro mi hanno dichiarato che l’Arabia Saudiana sosterrà indipendenza due paesi.

Circa eventuale unità Libia sotto senusso, Sua Maestà si è limitato dire che popolo Tripolitania deve essere lasciato libero di decidere cosa gli convenga fare, ma appare evidente che Sua Maestà non vedrebbe volentieri unità Libia sotto senusso.

Circa Eritrea Ibn Saud e Faisal mi hanno formalmente dichiarato che Arabia Saudiana sosterrà indipendenza di tutta l’Eritrea. Faisal non ritiene però opportuno che tale dichiarazione sia portata conoscenza stampa trattandosi di questione che dovrà essere discussa dal Consiglio politico Lega araba il giorno 20 corrente. Segue rapporto per corriere1.

5 A commento del rapporto di Alessandrini del 29 luglio e di questa risposta di Zoppi, Sforzaindirizzò al segretario generale il seguente appunto, datato 3 agosto: «Letto rapporto Alessandrini del 29luglio e sua risposta che approvo. Bisogna accentuare presso Al[essandrini] che dobbiamo perseguire unasola carta, la araba; che quindi non dobbiamo troppo lasciar parlare di trattato “imposto”; che per quantoè umanamente prevedibile dobbiamo correre il rischio, ma supporre che gli arabi vorranno “legami” connoi per difendersi dagli inglesi. Se non teniamo questa linea rimarremo fra due sedie».

90 4 Vedi D. 84.

91 1 Non rinvenuto.

92

L’INCARICATO D’AFFARI AD ANKARA, CORRIAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1386/591. Istanbul, 3 agosto 1949 (perv. il 5).

In armonia con le istruzioni ricevute da Parigi, questo ambasciatore di Francia ha comunicato al Governo turco la decisione degli Stati firmatari dello Statuto del-l’Unione Europea, d’invitare la Turchia a farsi rappresentare in seno al Consiglio dell’Unione.

Il passo svolto all’uopo dall’ambasciatore Lescuyer non pare sia stato accolto con eccessivo empressement: ha ricevuto anzi in un primo tempo un’accoglienza puramente burocratica, come se si trattasse di una semplice questione di ordinaria amministrazione. Il nuovo segretario generale, Akdur, al quale è stata fatta la comunicazione, in assenza di Sadak, avrebbe risposto di non essere al corrente della questione e prospettava la necessità di parlare della cosa con l’ambasciatore a Parigi Menemencioglu. In precedenti colloqui già questo ambasciatore d’Inghilterra aveva avuto sentore del desiderio turco di avere assicurazione di essere ammesso all’Unione come membro fondatore, e con adeguato numero di rappresentanti.

La questione è stata comunque risolta due giorni fa con l’intervento di Sadak. Personalmente, dopo aver preso contatto con questo ambasciatore di Grecia, egli si è recato all’ambasciata di Francia in Istanbul, per comunicare, sotto riserva dell’approvazione del Consiglio dei ministri, il suo intendimento di accettare l’invito rivolto alla Turchia e di partecipare personalmente alla prima riunione.

Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri la partecipazione della Turchia e ha incaricato Sadak di presiedere la delegazione turca. La stampa turca si è per il momento astenuta di dare rilievo all’invito in questione dandone notizia in termini vaghi e succinti.

93

IL MINISTRO A BUDAPEST, BENZONI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2577/575. Budapest, 3 agosto 1949 (perv. l’8 ottobre).

Nessun fatto nuovo da segnalare sugli sviluppi della situazione, se non per quanto riguarda la persona del presidente della Repubblica il quale, contrariamente alle voci segnalate con riserva da questa legazione, non parrebbe designato per una eliminazione prossima. Tanto è possibile arguire dalle sue applaudite comparse alle cerimonie commemorative di Petöfi (vedi rapporto n. 2575/573 in pari data)1 e dai discorsi che gli si sono fatti in tale occasione pronunciare.

Sull’affare Rajk e compagni persiste il segreto assoluto; si ignora se sarà effettuato il processo e sotto quale forma; voci insistenti darebbero a credere che i principali imputati appartenenti all’esercito e alla polizia sarebbero già stati giustiziati dopo procedimento sommario.

È mia impressione personale — e a tale titolo riferisco — che la crisi in svolgimento non potrebbe essere intelligibile se vista esclusivamente alla luce di una politica preventiva contro deviazioni ideologiche allo stato più o meno potenziale in seno al partito dominante, ma che invece questo ha voluto premunirsi — «more sovietico» — contro un pericolo sia pure solo in gestazione ma certo ed individuabile nella persona di Rajk.

Da alcuni indizi venuti ora a conoscenza di questo ufficio sembrerebbe infatti che il Rajk si fosse da tempo reso conto della sua sospettata ortodossia, del cerchio che intorno a lui andava stringendosi e della inevitabile fine che i reggitori andavano preparandogli. In tale stato d’animo termidoriano non è inverosimile (e a questo riguardo devo modificare l’opinione espressa nel mio precedente rapporto) che egli abbia pensato a giocare il tutto per tutto, pur mettendosi nelle mani i migliori possibili atouts.

Il Rajk aveva creato la prima polizia politica; vi contava amici fedeli; aveva nella generazione comunista tra i trenta e i quarant’anni numerosi ammiratori e seguaci; partite le truppe sovietiche e il morale del paese imbaldanzito da tale partenza, il Rajk avrebbe potuto forse prospettarsi un Putsch, impresa non del tutto disperata. Se le cose in seguito si fossero messe male, tempo e mezzi non sarebbero mancati per riparare in Austria o in Jugoslavia.

Se questa è la verità bisogna aggiungere che evidentemente non tutti i numerosissimi arresti effettuati e che continuano quotidianamente ad effettuarsi sono da mettersi in diretta relazione con il «complotto» di Rajk: il Comitato di salute pubblica si difende consultando con molta larghezza la lista dei sospetti e investigando febbrilmente per scoprirne dei nuovi senza parlare delle misure di sicurezza, inusitate anche per questo paese, con cui protegge la propria incolumità personale. Tanto evidente è questo eccesso di difesa da dare la sensazione di una specie di paralisi nell’attività governativa, come se la salute del regime non possa, almeno per il momento, essere affidata che a poche mani sicure.

93 1 Non pubblicato.

94

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8547/151. Mosca, 4 agosto 1949, ore 11,55 (perv. ore 11).

Sotto uguale titolo «Tito a rimorchio degli imperialisti americani» Isvestia e Pravda danno stamane notizia comunicato codesto Ministero circa negoziati economici italo-jugoslavi e lo fanno seguire da notizie giornalistiche italiane circa imminente colloquio di Tito con De Gasperi o Sforza per risolvere questione di Trieste. A conclusione si riporta frase Gazzetta Popolo secondo la quale americani e inglesi, essendo interessati rapporti con Tito, eserciterebbero forti pressioni su Governo italiano per costringerlo ad accordarsi con Tito.

95

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8583/377. Londra, 4 agosto 1949, ore 20,25 (perv. ore 7,20 del 5).

Massigli è venuto a vedermi questa mattina per parlarmi delle colonie. Gli avevo fatto la settimana scorsa una visita insieme ad Alessandrini, durante la quale mi era sembrato assai riservato sulla questione tanto da confermare i sospetti di forti pressioni inglesi in corso (mio rapporto 1544 del 29 luglio)1. Oggi invece Massigli mi ha esposto in tono loquace notizie che aveva da comunicarmi. Era venuto per annunziarmi che in via confidenziale State Departement aveva «finalmente» espresso a Bonnet sue intenzioni definitive circa Tripolitania e cioè che per ragioni di carattere strategico militare la nostra ex colonia interessava troppo gli Alleati in questo momento per potervi ammettere mutamenti allo statu quo della amministrazione inglese. «Tutto è ormai chiaro», dice Massigli, «poiché il preciso desiderio espresso dall’America è di evitare qualsiasi soluzione che possa pregiudicare le presenza di forze aeree americane a Mellaha».

Anche nei riguardi della Russia (secondo Massigli) la continuazione dell’attuale regime di carattere militare, residuo ultimo della guerra, offre la migliore scusa per la presenza delle forze americane.

Avendo noi cercato di chiarire se il Governo francese abbia dato il proprio assenso a tale soluzione egli ha risposto in modo assai confuso ma tale da lasciare intendere che qualche cosa in tal senso è stato consentito sia pure forzatamente.

Non ha dato alcuna precisazione circa il periodo transitorio durante il quale l’amministrazione britannica dovrebbe ancora rimanere. Ha detto invece che, allo stato attuale delle cose, ciò che era da tentarsi è un temperamento di tale amministrazione.

Avendo da parte nostra insistito sulla impossibilità di ammettere la continuazione ulteriore di un regime militare che dura da sette anni e che minaccia di soffocare la vita del paese, egli ha risposto che sarà forse possibile ottenere attenuamenti e garanzie durante il periodo transitorio (possibilmente attraverso la nomina di una Commissione internazionale come la Francia ha proposto da tempo) tanto più che la nota Commissione inglese recentemente recatasi sul posto ha fatto un rapporto interamente sfavorevole ai sistemi dell’amministrazione britannica in Tripolitania, soprattutto nel campo economico.

Ha aggiunto che il Governo francese, in simili condizioni, doveva rinunciare a previe intese con noi per la formulazione di un piano comune da presentare agli anglo-sassoni e che il Governo francese riteneva invece necessaria una consultazione fra i ministri degli esteri d’Italia, di Gran Bretagna e di Francia in occasione della riunione di Strasburgo.

Colloquio con Massigli conferma mia impressione che inglesi e francesi dietro paravento degli interessi strategici connessi col Patto atlantico e con i piani di difesa mediterranei si siano ormai accordati.

95 1 Vedi D. 84.

96

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8617/150. Atene, 5 agosto 1949, part. ore 0,30 del 6 (perv. ore 8).

Mi riferisco al mio rapporto n. 1941/6911.

Ritengo opportuno segnalare all’attenzione di codesto Ministero mio telegramma stampa odierno che mostra proseguimento accanita campagna stampa contro ritorno in Grecia nostri connazionali.

Articolo evidentemente ispirato del Katimerini coincide con quanto ebbi verbalmente a riferire a codesto Ministero e cioè quanto ebbe a dirmi Tsaldaris il giorno della mia partenza per Roma: che il ritorno a Corfù e Patrasso degli italiani dovrebbe essere se mai consentito dopo una lunga quarantena di un anno ad Atene o altre località che non suscitino contrasti (sic!).

Suddetto articolo inoltre conferma l’allarme (mio telespresso 081)2 circa scopi ritardata ratifica Patto di amicizia3.

2 Del 18 luglio, non pubblicato.

3 Si riferisce al Trattato di San Remo del 5 novembre 1948, vedi serie undicesima, vol. I,

D. 595.

Tsaldaris, che parte stamane per la Francia, mi diceva che cercherà di vedere V.E.; ritengo perciò fondato scopo dell’incontro espresso dal giornale.

È mia opinione che questa campagna di stampa sia stata organizzata dal Governo quando si è reso conto di non potere evitare la firma. Si vorrebbe con ciò precostituire argomenti da invocarsi in seguito per non applicare gli accordi firmati nella convinzione che unico accordo riparazioni, una volta messo in moto, non possa più da noi essere facilmente arrestato a titolo ritorsione. Così in pratica i greci perverrebbero a rompere tanto inviso principio necessaria globalità.

96 1 Non pubblicato ma vedi D. 53.

97

L’AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2515/449. Montevideo, 5 agosto 1949 (perv. il 18).

Riferimento: Telespresso urgente n. 1317/C. del 18 luglio u.s.1.

La missione straordinaria composta dagli onorevoli Salvatore Aldisio e Giuseppe Brusasca, qui giunta la sera di lunedì 1° agosto è ripartita per Buenos Aires ieri sera giovedì 4 corrente, restando quindi complessivamente tre giorni nella capitale uruguayana.

Ho già riferito sinteticamente (vedi miei telegrammi nn. 43, 44, 46 e 48)2 circa le principali visite compiute dalla missione e le manifestazioni avvenute in suo onore.

Posso ora aggiungere che le autorità uruguayane hanno dimostrato di aver grandemente apprezzato il gesto compiuto dal Governo di Roma inviando un’apposita missione per esprimere la riconoscenza del popolo italiano al loro paese e confermare i sentimenti di solidarietà e di amicizia. Il Governo uruguayano ha dato infatti alla missione particolari onori in una forma ben raramente praticata in casi consimili. Con espresso decreto, i membri della missione sono stati proclamati ospiti ufficiali (con alloggio al Parque Hotel, il più lussuoso della capitale), assegnandosi alle loro persone due funzionari del Ministero degli affari esteri e mettendo a loro disposizione automobili e una staffetta di motociclisti. All’aeroporto di arrivo la missione fu accolta da numerose autorità capeggiate dal segretario generale del Ministero degli esteri e alla partenza salutata dallo stesso ministro degli affari esteri.

Le principali visite ebbero luogo il primo giorno di permanenza a Montevideo. Dopo omaggi floreali al fondatore della Repubblica, generale Artigas, e alla lapide di Andres Aguiar, l’uruguayano che al seguito di Garibaldi diede nel 1849 la sua vita in difesa della Repubblica romana, la missione si recò in visita solenne al Ministero

2 Rispettivamente del 2, 3, 4 e 5 agosto, non pubblicati.

degli affari esteri, ricevuta dal ministro ad interim, Oscar Secco Ellauri, dal segretario generale dr. Alfredo Pacheco, dai direttori generali e da altri funzionari del Ministero. In un lungo colloquio, dopo che i membri della missione avevano espresso i sentimenti di gratitudine, di solidarietà e di amicizia del Governo e del popolo italiano, il ministro degli esteri affermò che l’atteggiamento uruguayano in favore della nuova Italia e particolarmente per una giusta soluzione del problema delle colonie era dovuto alla forza dei vincoli tradizionali tra Italia e Uruguay, al sentimento di riconoscenza dell’Uruguay per il contributo dato dalla razza e dalla cultura italiana a questo paese e alla comune fede democratica nonché alla coscienza della giustizia della causa italiana; egli aggiunse quindi di poter assicurare che l’appoggio uruguayano avrebbe continuato ulteriormente con lo stesso entusiasmo.

I membri della missione accennarono quindi alle difficoltà in cui l’Italia si trova a causa della disoccupazione esprimendo la speranza che l’Uruguay vi avrebbe dato sollievo accogliendo un numero sempre maggiore di italiani sul suo territorio. Il ministro Secco Ellauri rispose che il problema era già in esame e che il Governo uruguayano sarebbe venuto incontro per quanto possibile alle necessità italiane, facendo presente come gli immigranti italiani siano particolarmente bene accetti in questo paese ma che bisogna tener conto di altri aspetti del problema stesso.

Particolarmente solenne fu il ricevimento della missione nel Palazzo legislativo. Dopo una visita alle sale e alle aule parlamentari fu tenuta nell’aula senatoria un’apposita seduta nella quale pronunciò un discorso il presidente del Senato — che è anche vicepresidente della Repubblica — dr. Cesar Mayo Gutierrez, il quale, riferendosi ai vincoli «immanenti» dell’Uruguay con l’Italia, diede il benvenuto «agli uomini che stanno creando una grande democrazia nella penisola italiana» e affermò poi che l’Uruguay «benché piccolo territorialmente, è grande per la sua libertà ed i suoi legami internazionali», e che «nel momento attuale ambedue i paesi sono sullo stesso cammino tra le nazioni democratiche del mondo». Gli rispose il sen. Aldisio ricordando il messaggio del presidente del Senato italiano on. Bonomi, ringraziando l’Uruguay per l’appoggio dato all’Italia dopo la guerra, e anche prima con l’accogliere gli esiliati politici, ed esprimendo la speranza che la collaborazione tra i due paesi continui per il costante progresso della democrazia nel mondo. Parlò poi il sen. Rodriguez Larreta, il quale tenne a far presente che, quando egli era ministro degli esteri nel 1946, l’Uruguay aveva appoggiato la causa italiana, avendo egli stesso dato istruzioni — precisamente il 4 maggio 1946 — al rappresentante dell’Uruguay alle Nazioni Unite di appoggiare l’Italia, in particolare per la designazione dell’Italia come autorità amministratrice delle sue colonie e segnalò quindi come l’appoggio uruguayano si era così concretato prima di quello dell’Argentina. (Su tale argomento riservomi di riferire ulteriormente)3.

La missione fu poi ricevuta solennemente alla Presidenza della Repubblica, sfilando tra una doppia ala della Guardia di Artigas in grande uniforme. Il presidente della Repubblica signor Luis Batlle-Berres la ricevette nel grande salone alla presenza degli alti funzionari delle sue Case civili e militari. La missione espresse al presidente della Repubblica i sentimenti di gratitudine e di amicizia della Repubblica ita

liana e gli consegnò la lettera del presidente Einaudi e il dono del Governo italiano. Il presidente Batlle-Berres intrattenne quindi la missione in lungo colloquio durante il quale egli espresse la profonda soddisfazione con cui Governo e popolo uruguayani vedono in Montevideo i rappresentanti della Repubblica italiana. E, dopo aver ricordato ciò che la figura di Garibaldi rappresenta per i due popoli e per lui personalmente data l’amicizia dell’Eroe con il nonno del presidente della Repubblica, generale Lorenzo Batlle, il presidente della Repubblica si intrattenne sui problemi dell’intercambio culturale ed economico tra Italia e Uruguay e dell’immigrazione italiana nel paese, accennando ad alcune preoccupazioni circa l’esistenza di correnti comuniste e fasciste in Italia (accenno che provocò chiarimenti da parte dei membri della missione) ed esprimendo la convinzione della necessità che tutte le nazioni democratiche, grandi e piccole, si uniscano per difendersi dai totalitarismi di destra e di sinistra.

I giorni seguenti la missione fu ricevuta dall’intendente municipale della capitale, German Barbato (carica che corrisponde a quella di sindaco). La missione ringraziò l’intendente municipale per le accoglienze ricevute dalla popolazione ed espresse la sua ammirazione per la grandiosità della metropoli uruguayana che oltrepassando il milione di abitanti è ormai una delle più grandi città dell’America latina. Il signor Barbato ringraziò mettendo in luce l’apporto dato alla città dal sangue e dal genio italiano e augurando alla missione il migliore esito.

Accoglienze solenni la missione ebbe all’Università dove fu ricevuta dal rettore e dal Consiglio accademico che la invitò a sedersi al tavolo stesso del Consiglio. In una lunga conversazione furono toccati diversi problemi di carattere culturale, mettendosi in luce da parte uruguayana il contributo dato dalla cultura italiana ed esprimendosi l’apprezzamento delle pubblicazioni italiane e il desiderio di poter averne in maggior numero a disposizione in futuro.

La missione ebbe anche un’udienza dall’arcivescovo, mons. Barbieri, il quale espresse i suoi sentimenti di amicizia per l’Italia ricordando la sua origine italiana e assicurando che la popolazione italiana nell’Uruguay è una delle migliori dai punti di vista morale e sociale.

La missione visitò alcuni dei principali impianti industriali e bancari dell’Uruguay tra cui il Frigorifico Nacional, massimo stabilimento della industria carnea, e il Banco della Repubblica, ovunque festosamente accolta, nonché le massime istituzioni italiane, che rappresentano in questo paese una forza anche nel complesso uruguayano, quale l’Ospedale italiano, la Scuola italiana (liceo), l’Associazione italiana di mutuo soccorso e il Circolo napolitano, istituzioni queste due ultime che hanno ciascuna 10 mila soci, nella maggior parte cittadini uruguayani. La missione si è recata altresì alla casa dove visse Garibaldi, recentemente acquistata, come è noto, da un apposito Comitato italo-uruguayano.

Contatti con le autorità, le notabilità del paese ed il Corpo diplomatico, la missione ebbe nel pranzo offertole dal ministro degli esteri e nei pranzi e ricevimenti dell’ambasciata. In questa sede demaniale infatti ebbe luogo subito dopo l’arrivo della missione un ricevimento dei rappresentanti delle associazioni italiane e italo-uruguayane, che diedero così il primo benvenuto; nei giorni seguenti furono offerti all’ambasciata una colazione con intervento di autorità e personalità uruguayane del mondo politico, culturale e industriale (tra i quali gli ex ministri degli esteri che avevano diretto nel dopoguerra la politica di aiuto all’Italia), un pranzo a cui intervennero, tra gli altri, il ministro degli esteri e alcuni ambasciatori sudamericani, e un grande cocktail di oltre trecento persone, tra le quali le principali autorità del paese e tutti i capi delle missioni diplomatiche qui accreditate.

Il maltempo impedì alla missione di compiere escursioni nell’interno tra cui la preannunziata visita ad Atlantida, che fu interrotta quando già stava iniziandosi, e una gita in aereo sul paese gentilmente offerta dal presidente della Repubblica che aveva messo a disposizione della missione il suo aeroplano personale.

La stampa ha dato ampio spazio alla visita della missione pubblicando numerose fotografie e lunghi resoconti sempre intonati a grande entusiasmo. Una conferenza stampa tenuta dai membri della missione è stata ampiamente riportata dai giornali (vedi allegati).

Allego i ritagli dei principali articoli e informazioni dei quotidiani della capitale nonché copia del decreto relativo alla ospitalità ufficiale della missione, del testo stenografico del discorso pronunciato dal sen. Aldisio al Senato uruguayano e di un comunicato sulla visita della missione al presidente della Repubblica4.

Mi riservo di riferire ulteriormente al riguardo.

97 1 Indirizzato alle rappresentanze in America latina, trasmetteva il testo del comunicato ufficiale diramato in merito all’invio della missione Aldisio-Brusasca. Per le istruzioni alle stesse rappresentanze vedi D. 35.

97 3 Lo fece con Telespr. 2616/462 dell’11 agosto, non pubblicato.

98

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8646/381. Londra, 6 agosto 1949, ore 15,05 (perv. ore 16 dell’8).

Trasmetto seguente telegramma Alessandrini:

«Ho avuto oggi terzo incontro al Foreign Office1, questa volta con sottosegretario Wright al quale ho dato risposta tre quesiti già posti da Clutton. Gli ho inoltre esposto dettagliatamente nove punti circa Tripolitania di cui lettera segretario generale Zoppi 3/3118 del 2 agosto2.

Wright mi ha ringraziato e mi ha detto che Foreign Office trova nostre proposte interessanti e costruttive e che ne informerà accuratamente Bevin. Egli ha espresso suo apprezzamento speciale per appoggio da noi promesso per Cirenaica ove intervenga accordo per Tripolitania nonché nostro intendimento lasciare in funzione amministrazione britannica durante periodo elettorale.

Wright ha poi chiesto se siamo certi che Francia lascerà cadere sue obiezioni. Ho risposto che noi contiamo sempre su comprensione francese e che, comunque, se interverrà accordo fra noi ed inglesi, francesi non potranno non essere lieti fare cosa gradita ad entrambi.

Egli mi ha poi chiesto se noi siamo decisamente contrari estensione Tripolitania emirato senussita. Ho fermamente confermato nostra assoluta opposizione.

Ha convenuto su necessità giungere Lake Success con previo, chiaro accordo. Ha anche convenuto su necessità ottenere tempestivamente assenso e collaborazione Stati arabi.

Ho nel complesso avuto, per quanto riguarda problema libico, impressione di maggiore comprensione nonché indicazione tendenza venirci incontro.

Per Eritrea ho chiesto conoscere chiaramente pensiero Governo britannico data anche necessità stabilire se votazione O.N.U. dovrà essere unica per intera questione nostre colonie oppure suddivisa per vari territori. Dopo molte esitazioni ed in seguito mie insistenti domande Wright ha risposto che Governo britannico è costretto mantenere suo noto progetto spartizione Eritrea fra Etiopia e Sudan.

Ho detto che nostro atteggiamento è oggi decisamente contrario spartizione anche in conseguenza notizie confermanti che grandissima maggioranza abitanti è favorevole indipendenza (rapporto Gropello 3/3036/C. del 27 luglio)3. Ho attirato sua attenzione su grave responsabilità che Gran Bretagna assume di fronte all’avvenire passando all’Etiopia città e popolazioni civili. Ha risposto che Foreign Office sta esaminando progetto garanzie per cittadini ed interessi italiani e che sarebbe lietissimo collaborare con noi nello stendere tali progetti. Ho risposto che non posso accettare di collaborarvi poiché Governo italiano sostiene diversa soluzione. Ho comunque aggiunto che avrei riferito a V.E.

Per Somalia Wright ha attirato mia attenzione su dichiarazioni fatte giorni scorsi da on. sottosegretario Moro affermanti che Italia è favorevole indipendenza tre colonie e quindi anche Somalia, chiedendomi spiegazioni.

Ho risposto che credo Italia non rifiuterebbe, sopratutto per ragioni morali e di sentimento, di assumere eventualmente trusteeship, od altra forma analoga di assistenza, su Somalia ma che probabilmente Governo italiano sarebbe disposto esaminare possibilità dichiarazione, da parte O.N.U., indipendenza di quella colonia fra un certo numero di anni (ho detto venti o venticinque) se tale dichiarazione dovesse facilitare adesione Stati arabi ed asiatici a nostri progetti su intero problema. Wright ha risposto che comprendeva bene ciò aggiungendo che comunque Gran Bretagna è sempre favorevole trusteeship italiano su Somalia. Ho richiamato attenzione Wright su quanto segnalato da Berardelli da Mogadiscio con rapporto 1132 del 20 luglio3 pregandolo inviare istruzioni autorità britanniche non fare inutile zelo che si risolve sempre a nostro danno. Lo ha promesso.

Wright ha concluso dicendo che Foreign Office è soddisfatto andamento e tono presenti conversazioni e pregandomi incontrarlo nuovamente lunedì per loro continuazione»4.

97 4 Gli allegati non si pubblicano.98 1 Sui due precedenti incontri, entrambi con Clutton, del 25 e 27 luglio Alessandrini aveva riferito con il rapporto pubblicato al D. 83.2 Vedi D. 90.

98 3 Non rinvenuto. 4 L’incontro avvenne invece il venerdì successivo, vedi D. 109. Per la risposta al presente telegramma vedi D. 101.

99

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 11024/1621. Roma, 6 agosto 1949, part. l’8.

Rispondo al rapporto di V.E. del 20 luglio u.s.2.

Il concetto dell’Unione doganale italo-francese resta pel Governo italiano ciò che fu fin dal momento in cui, oltre due anni fa, lo formulai a Parigi: un atto di volontà di collaborazione politica cui era opportuno dare una veste economica.

Questo concetto rimane ed ella non deve aver dubbi in proposito, tanto più che si può notare che un elemento che accentuava allora l’opportunità del carattere economico — lo stato di spirito americano, che era assetato di esempi da dare — ha diminuito di importanza.

L’Unione italo-francese ha ora un solo bisogno: non naufragare, non svanire. E ciò non sarà, anche perché nessun uomo politico si assumerà una tale responsabilità di fronte alla storia. Si vivacchierà, per un tempo. Poi ci penserà la truculenza tedesca

— per non citarne che una sola — a dare un profondo contenuto a un’unione che più si chiamerà economica e più sarà politica.

Solo grossolani errori di dirigenti — che mi paiono del tutto da escludere — potrebbero portare al peggio. Ella avrà saputo come in un recente episodio le dubbiezze e le resistenze, naturalissime del resto — e direi perfino lodevoli — di alcuni nostri ministri tecnici furono eliminate dalle considerazioni politiche.

100

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO SEGRETO. Roma, 6 agosto 1949.

Mi ha telefonato Quaroni per dirmi che quanto detto dagli inglesi ad Alessandrini e cioè che Bevin avrebbe respinto nettamente le proposte francesi per una Commissione internazionale di assistenza in Tripolitania, non sarebbe esatto: non se ne sarebbe quasi parlato, mentre sarebbe stato Schuman a respingere nettamente ogni possibilità di autorità senussita sulla Tripolitania. La cosa non mi sembra avere grande importanza.

2 Vedi D. 55.

Quaroni mi ha confermato ciò che mi ha detto Fouques-Duparc e cioè che Schuman intende parlare a lei e a Bevin della questione coloniale e spingere lei e Bevin ad unnuovo compromesso. È evidente in ciò la preoccupazione essenzialmente francese di arrivare ad un compromesso che tenga essenzialmente conto degli interessi della Francia la quale non vuole il senusso (mentre noi non abbiamo ostilità preconcetta se ci consente una situazione speciale in Tripolitania e se le popolazioni lo volessero), e non vuole l’indipendenza vera (che è per noi l’unico modo di metterci d’accordo con gli arabi).

Queste preoccupazioni francesi finiscono col giovare agli inglesi perché rischiano di condurre ad un compromesso fra le proposte francesi (non molto soddisfacenti per noi) e quelle inglesi (ancora meno soddisfacenti per noi).

Noi stiamo cercando di metterci d’accordo con gli Stati arabi e se vi riuscissimo la nostra posizione sarebbe molto più forte anche per arrivare ad un eventuale compromesso con gli inglesi pel quale gli stessi francesi potrebbero poi aiutarci. Siccome poi mancano ancora due mesi all’O.N.U. (la questione coloniale verrà in discussione ai primi o a metà ottobre) non è urgente decidere e ci conviene — a mio subordinato parere — attendere gli sviluppi della situazione. Il perdurare delle conversazioni di Alessandrini e la opportunità (che ci gioverebbe anche mettere in evidenza) di non prendere decisioni se non d’accordo con gli Stati arabi, ci offrono la possibilità di evitare impegni.

99 1 Con lettera in pari data Sforza trasmise questo documento a De Gasperi premettendo laseguente frase: «A un lungo rapporto di Quaroni sull’Unione doganale, tutto infiorato di se e di ma, maconcludente con un avviso approvabile, ho risposto col seguente dispaccio». Tale lettera è pubblicata inDe Gasperi scrive. Corrispondenza con capi di Stato, cardinali, uomini politici, giornalisti, diplomatici, a cura di M. R. DE GASPERI, Brescia, Morcelliana, 1974, vol. II, pp. 112-113.

101

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO URGENTISSIMO 6780/344. Roma, 7 agosto 1949, ore 20.

Andamento seconda fase conversazioni di cui al suo 3811 mi pare più favorevole almeno per quanto riguarda Tripolitania e Somalia per la quale ultima manteniamo naturalmente nostra richiesta amministrazione fiduciaria per periodo abbastanza lungo, tale cioè da non scoraggiare investimenti gruppi italiani e stranieri per valorizzazione territorio ciò che si verificherebbe di fronte incognita futuro dopo un troppo breve periodo amministrazione europea.

Per Eritrea manteniamo nostro atteggiamento.

Per Tripolitania nocciolo questione è nel periodo intercorrente fra elezioni, costituzione Governo, trattato italo-tripolino e cessazione amministrazione britannica. Secondo nostro progetto e desideri Stati arabi tale periodo deve essere molto breve mentre interessi francesi e inglesi convergono nella tendenza prolungarlo, ciò che avrebbe anche sfavorevole ripercussione su nostra opinione pubblica. Su questo punto conviene Alessandrini continui esprimersi con molta chiarezza.

101 1 Vedi D. 98.

102

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 6943/3071. Washington, 7 agosto 19491.

Telespresso di questa ambasciata n. 6418/2856 del 25 luglio 19492.

Il 5 agosto scorso il movimento già delineatosi, in seno all’Amministrazione, verso una soluzione di compromesso (circa il quale ho già riferito col telespresso 6856/3036 del 5 agosto 1949)3, prendeva forma concreta mediante la presentazione al Congresso da parte del segretario di Stato Acheson e del segretario alla difesa Johnson di un nuovo progetto di piano di aiuti militari.

Il nuovo testo è più breve del precedente ed è preceduto da una dichiarazione generale, ispirata ai concetti dei senatori repubblicani Vandenberg e Foster Dulles, che fa richiamo all’art. 9 del Patto atlantico ed ai principi enunciati dalla Carta delle Nazioni Unite.

Il nuovo progetto lascia immutato l’ammontare degli aiuti già stabilito in $

1.450 milioni (inclusi i 50 milioni contemplati per la Grecia in base ad altra legge) ripartendoli per gruppi di paesi nella maniera seguente:

1) ai paesi appartenenti al Patto atlantico $ 1.160 milioni, ammontare che include anche $ 155 milioni per l’invio in Europa di macchinari e materie necessarie all’aumento della produzione militare, $ 75 milioni per rimettere in efficienza surplus militare americano del valore di $ 450 milioni da cedersi agli alleati europei (imputando al bilancio del piano la sola spesa di «rehabilitation»), ed infine le spese relative all’invio di esperti e di tecnici per l’addestramento tecnico e militare.

Il progetto originale contemplava $ 76 milioni 550 mila in meno, e cioè $ 1.093 milioni 450 mila, di cui $ 938 milioni 450 mila per armamenti e materiale militare e $ 155 milioni per l’aumento della produzione militare.

2) Grecia e Turchia $ 261 milioni 370 mila (inclusi i 50 milioni attribuiti alla Grecia da altra legge). Il progetto precedente prevedeva dollari 300 milioni 580 mila ma contemplava, oltre ai due Stati suddetti, anche la Corea, le Filippine e l’Iran.

3) Corea, Filippine ed Iran $ 27 milioni 640 mila.

Il primo progetto di M.A.P., in materia di invio di aiuti e di stanziamento di fondi, conteneva altre clausole che sono state così modificate:

a) per ciò che riguarda le forniture di armi e di equipaggiamenti militari a paesi diversi da quelli sopra menzionati, contro pagamento in contanti all’atto della consegna, il nuovo progetto restringe tale possibilità a quei paesi che abbiano concluso o che concludano specifici accordi di sicurezza con gli Stati Uniti.

2 Vedi D. 72.

3 Non pubblicato.

b) Il fondo di emergenza di $ 45 milioni, da essere utilizzato dal presidente a sua discrezione in favore di qualunque paese, qualora richiesto dalle circostanze, è stato eliminato. In suo luogo è stata inserita una clausola che conferisce al presidente la facoltà di trasferire da un gruppo di paesi all’altro gli aiuti stessi, entro il limite massimo del 5% dell’ammontare attribuito al gruppo ai cui danni si effettua il trasferimento. Il presidente, all’atto del trasferimento, deve darne comunicazione alle Commissioni degli affari esteri e della difesa del Senato e della Camera dei rappresentanti.

c) Il nuovo progetto, almeno per quanto risulta dalle informazioni sommarie finora diramate, non contempla la voce «spese di amministrazione» a cui il progetto precedente dedicava $ 10 milioni 970 mila.

Il nuovo progetto, che l’Amministrazione ha sottoposto all’esame del Congresso, non indica l’ammontare di aiuti spettante ai singoli paesi. Però, contiene una elencazione precisa degli Stati in cui favore gli aiuti stessi possono affluire, ed effettua una ripartizione in gruppi a cui corrisponde una specifica ripartizione di aiuti.

Viene tolta così all’esecutivo la possibilità di far beneficiare dei vantaggi del piano paesi diversi da quelli indicati. Inoltre, con la separazione degli aiuti destinati alla Grecia e alla Turchia da quelli destinati all’Iran, Filippine e Corea, si restringe la possibilità di manovra dell’Amministrazione e si garantisce a ciascuno dei due gruppi un minimo di assistenza.

Si può concludere, con le modifiche applicate, che l’Amministrazione americana ha cercato di andare incontro alla maggior parte delle critiche formulate contro il progetto, alcune delle quali sono state accettate in pieno. Tra queste hanno speciale importanza quelle contro gli amplissimi poteri presidenziali (che come si è visto sono stati molto ridotti), contro il fondo di emergenza di 45 milioni (che è stato eliminato e sostituito con un meccanismo i cui limiti sono stati chiaramente definiti), contro la mancata enunciazione completa dei beneficiari (sostituita con una precisa elencazione).

Altre critiche sono state parzialmente accettate, e tra queste quelle intese ad ottenere l’indicazione dell’ammontare di aiuti spettante ad ogni paese (a cui l’Amministrazione ha corrisposto con il triplice raggruppamento dei beneficiari).

Ad una sola critica il Governo americano ha resistito, a quella cioè relativa all’ammontare complessivo di aiuti, ammontare che ha lasciato invariato in $ 1.450 milioni. Questa fermezza, che può lasciar supporre una esatta e cosciente valutazione della necessità della sicurezza americana in rapporto alla debolezza dei propri alleati ed amici, non dovrebbe essere di natura tale, a dire degli esponenti della maggioranza, da far irrigidire i repubblicani nella loro opposizione.

Soddisfatti gli altri punti, le critiche dell’opposizione si concentrano ora:

a) sull’ammontare complessivo di aiuti, il quale è ancora considerato troppo elevato e che per lo meno si vorrebbe assorbito in diversi esercizi finanziari;

b) sul surplus militare di cui il piano dell’Amministrazione prevede la concessione alle nazioni europee del Patto atlantico mediante l’imputazione al bilancio del

M.A.P. del solo costo di «rehabilitation». Parecchi repubblicani temono che l’Amministrazione possa gonfiare notevolmente gli aiuti militari all’Europa ricorrendo all’espediente amministrativo di passare nella categoria del surplus militare il materiale e gli armamenti da spedire. Vi è quindi la tendenza a porre un limite al valore del surplus militare che l’Amministrazione può, in base al M.A.P., elargire ai paesi amici.

Negli ambienti governativi responsabili si nutre però la speranza che la maggioranza dei membri dell’opposizione, notevolmente soddisfatta in altre parti del M.A.P., vorrà dimostrare abbastanza saggezza e comprensione nei confronti di questi ultimi argomenti.

102 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

103

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. Buenos Aires, 8 agosto 1949.

Avrai forse già appreso dai giornali le dichiarazioni fatte dal presidente Perón in risposta al saluto che io gli ho rivolto sul Conte Grande durante la sua visita alla nave.

Te le compiego in ogni modo perché esse costituiscono certamente uno dei risultati maggiori della nostra missione.

Nei precedenti incontri collo stesso presidente e col ministro degli esteri Bramuglia abbiamo avuto la conferma del pieno appoggio dell’Argentina alle nostre tesi internazionali nonché la ripetuta espressione della sentita necessità di maggiori correnti migratorie e di più larghi scambi commerciali.

Circa gli scambi abbiamo invitato il presidente Perón ad intervenire direttamente per la conclusione degli accordi relativi al frumento per i quali c’è ancora una piccola differenza tra il prezzo preteso e quello da noi offerto.

Per quanto riguarda l’emigrazione ti prego anzitutto, anche a nome del senatore Aldisio, di dissuadere e di far dissuadere tutte le iniziative che non siano basate su una seria ed accurata preparazione perché qui ci sono effettivamente delle larghe possibilità in potenza ma la loro realizzazione concreta esige mezzi finanziari, perfetta conoscenza dell’ambiente, capacità psicologica e morale di affrontare le molte alee di qui, cose tutte che mancano alla maggior parte di coloro che sono venuti nell’America latina con spirito speculativo ed avventuroso.

Il prof. Ronchi sta facendo degli studi preziosi e tornerà in Italia con dei dati che potranno servire per l’azione da svolgere nel futuro; penso che solo dopo il suo ed il nostro ritorno si potrà impostare un lavoro veramente efficiente in relazione all’attuale situazione di questi paesi.

Qui in Argentina, come dappertutto negli altri Stati latino-americani l’elemento militare ha una posizione preponderante o di primissimo piano: ad Asunción, quando abbiamo firmato gli accordi di amicizia tra l’Italia ed il Paraguay, assistevano una sessantina di ufficiali superiori delle tre armi di quell’esercito. Il nostro addetto militare per le Repubbliche sudamericane gen. Porru ci ha riferito che parecchi Stati, primi tra essi gli Stati Uniti, offrono gratuitamente dei posti nelle loro scuole militari per i cadetti degli eserciti latino-americani e mi ha proposto di suggerire al nostro Governo di fare altrettanto per poter avere anche noi nella futura classe dirigente di questi paesi degli elementi che posseggano dei legami spirituali e culturali col nostro.

L’esempio del gen. Perón che è stato tre anni in Italia e che si dimostra veramente amico della patria dei suoi avi è incoraggiante a questo riguardo come lo sono altri casi autorevoli di altri Stati.

Sarebbe perciò molto utile per noi se potessimo durante questo viaggio offrire dei posti nelle accademie militari a giovani sudamericani. Ti prego quindi di volere esaminare la cosa col ministro Sforza e col ministro Pacciardi e di farci poi telegrafare le istruzioni che riterrete opportuno di darci.

Un altro argomento sul quale ti intratterrò al mio ritorno è quello della nuova azione da svolgere in questi paesi per rafforzare i loro legami col nostro.

Qui Aldisio ed io incontriamo delle personalità oriunde italiane che coprono posti importantissimi: il presidente della Camera dei deputati del Brasile, ministri, deputati e senatori in quello Stato, nel Paraguay e nell’Uruguay, il sindaco e il rettore dell’Università di Montevideo. Qui Perón e Bramuglia, il sindaco della capitale, il ministro della difesa e tantissimi altri i quali stanno a dimostrare la profonda e larga permeazione che la nostra gente ha operato in questi paesi.

Tutte queste personalità come in generale tutti gli oriundi italiani vogliono essere considerati e rispettati nella loro nuova nazionalità: molte volte sono stati allontanati dalle nostre iniziative perché vennero trattati da italiani e non da argentini, brasiliani, ecc., come ci tengono ad essere. Occorre perciò svolgere un’azione che rispetti accuratamente le varie esigenze e tenga vivo il sentimento di affetto e di stima per la patria di origine creando un ambiente nel quale i nostri interessi potranno trovare sempre comprensione e difesa.

A questo scopo Aldisio ed io abbiamo pensato alla opportunità di fare invitare dai comuni di origine dei loro avi le maggiori personalità oriunde italiane, esclusi i membri dei Governi per i quali occorrono particolari opportunità.

L’Anno Santo si presta benissimo per questo invito, escluso l’Uruguay, relativamente alle attuali sfere dirigenti, per le ragioni che già ti ho scritto. Gli invitati potrebbero ricevere la cittadinanza onoraria dei comuni invitanti ed essere poi ricevuti a Roma in modo adeguato alla loro rispettiva importanza.

Noi abbiamo l’impressione condivisa dagli ambasciatori sul posto che questa iniziativa potrebbe far sorgere dei nuovi vincoli con gli elementi responsabili di origine italiana ed arrecarci dei risultati molto benefici. Certo è che se la Francia, ad esempio, potesse annoverare delle personalità oriunde francesi come possiamo fare noi qui le farebbe sfilare sotto l’Arco di Trionfo per legarle a sé.

Anche su questa nostra idea gradiremmo conoscere il tuo pensiero soprattutto perché tu nella tua esperienza nordamericana hai potuto conoscere una situazione analoga a quelle di qui.

Domani sera conchiuderemo la visita all’Argentina e proseguiremo per il Cile.

Da impressioni che abbiamo riportato direttamente e ci sono state riferite possiamo dedurre che il nostro viaggio ottiene dei buoni risultati specie tra le collettività italiane che hanno apprezzato dappertutto le nostre parole di conciliazione e di mutua comprensione nell’interesse superiore del paese.

Qui Arpesani col suo tatto e con la sua attività ha conseguito dei risultati ammirevoli smussando i contrasti violentissimi che esistevano tra i gruppi fascisti e quelli antifascisti con la conseguenza di una distensione degli animi della quale noi constatiamo gli utili effetti.

Rimangono ancora dei gruppi notevoli ancorati al passato ma con degli atteggiamenti meno duri anche se sempre faziosi.

Le nunziature seguono con molto interesse il nostro viaggio e nei limiti delle loro possibilità ci danno il loro aiuto.

Aldisio ed Arpesani mi incaricano di salutarti1.

104

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. RISERVATA PERSONALE. Mosca, 8 agosto 1949.

In conformità al nostro colloquio del 14 luglio scorso1, ho approfittato ieri di un primo e cordiale incontro col segretario generale di questo Ministero esteri Pozerob (la carica è stata recentemente reistituita e sta fra il vice ministro e il capo direzione, fra Zorin e Vinogradov) per iniziare un sondaggio sulle intenzioni sovietiche circa Trieste. Proprio ieri mattina i quotidiani pubblicavano notizie circa le nostre trattative commerciali con la Jugoslavia e circa supposti futuri incontri Tito-De Gasperi o TitoSforza2, cosicché ho potuto entrare in argomento con facilità, a titolo naturalmente personale e con molta cautela.

Pozerob, come era prevedibile, si è attenuto alla linea ufficiale del suo Governo: vi è un trattato che prevede il Territorio Libero, ad esso bisogna attenersi e farlo funzionare.

Gli ho spiegato le ragioni obiettive che non consentono e non consentiranno mai a questa teorica creazione, nelle concrete condizioni geografiche politiche e sociali, di funzionare; ha seguito con molto interesse, e certamente ne riferirà subito a Vyshinsky.

Per intanto desidererei sapere dove posso giungere in caso mi accadesse di tornare sul tema (e se è opportuno che vi ritorni).

A me sembra molto improbabile che, per far dispetto alla Jugoslavia, i sovietici escano colla sorpresa di una adesione alla dichiarazione 20 marzo 1948 delle tre potenze3; è vero che hanno interesse alla partenza delle truppe americane, ma difficilmente rischieranno di scontentare così fortemente i loro stessi sostenitori jugoslavi.

Comunque, se ciò avvenisse, è mia impressione che dovrebbe essere accolto da noi con gioia e non già temuto: perché se è vero che nemmeno in tal caso potremmo

cacciare con la forza Tito dalla Zona B, è pur vero che taglieremmo la possibilità di eccessive condiscendenze anglo-americane verso la attuale Jugoslavia, e ci creeremmo una base fortissima per condurre negoziati diretti, portando le nostre eventuali concessioni fuori della Zona A e della Zona B.

Questa è, ripeto, una mia pura impressione; le sarei grato ad ogni modo se ella mi potesse inviare in via riservata il punto di vista del conte Sforza e del Ministero, in modo ch’io sappia regolarmi, se debbo all’occasione dire una parola in favore del-l’adesione sovietica alla dichiarazione 20 marzo, ed eventualmente in che senso e con quali ragioni gradite qui4.

103 1 Con T. 7143/21 del 20 agosto indirizzato a Brusasca a La Paz, De Gasperi rispose: «Ringrazio vostra confortevole relazione. Trasmetto vostra proposta per rapido esame Ministero difesa. Trovoopportuno invito dei comuni».

104 1 Su questo colloquio, che Brosio ebbe nel corso del suo soggiorno in Italia, non è stata rinvenuta alcuna documentazione. 2 Brosio aveva, in realtà, già il 4 agosto (vedi D. 94) comunicato queste notizie diffuse dallastampa sovietica.3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

105

IL MINISTRO A PRETORIA, JANNELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8739/36. Pretoria, 9 agosto 1949, ore 14,16 (perv. ore 17,30).

Segretario generale Ministero degli affari esteri, in corso conversazione questione coloniale in base istruzioni di V.E. (telespressi 3/2660 in data 26 giugno u.s.1 e 3/2812 del 9 luglio u.s.2), mi ha fatto presente, secondo informazioni ancora non precisabili qui pervenute da Londra, situazione dovrebbe avere subito ulteriore sviluppo su cui questo Governo gradirebbe esser informato al più presto per poter decidere linea di condotta dinanzi Assemblea Nazioni Unite. Come opinione personale predetto ha detto confidenzialmente che il suo Governo, pur essendo conscio motivo che ha costretto Governo italiano assumere presente atteggiamento, non può non considerare senza entusiasmo, ed anzi con sospetto e apprensività (misgiving), indipendenza Libia e sopratutto Eritrea, soluzione che il SudAfrica è, più che altro paese, in grado giudicare come fuori della realtà africana e delle cui eventuali dannose ripercussioni nei confronti suoi nell’avvenire non può non (dico non) [temere].

2 Non pubblicato.

104 4 Sforza rispose direttamente con lettera del 19 agosto: «Zoppi mi ha mostrato la sua dell’8.D’accordo con lei: se la Russia aderisse alla dichiarazione del 20 marzo 1948, tanto meglio; ma non lofarà; l’ira verso Tito non basterebbe a far obliare costì certe popolari tendenze panslave».

105 1 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1134, nota 4.

106

IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, ACHESON, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA PERSONALE. Washington, 9 agosto 19491.

I appreciate your writing to me personally about the question of the colonies2 and am glad to have a candid expression of your thoughts. I sincerely hope that the informal discussions which have been taking place through diplomatic channels will result in the acceptance of a position which is mutually satisfactory to the people and Governments of the Four Powers and of the other countries closely concerned, and which can be presented to the General Assembly in september with the strong likelihood of its adoption.

Most of the questions raised in your letter probably have been answered by Ambassador Tarchiani in his report to you of our current views3. I am pleased to note that as regards the proposals of independence for Libya and Italian trusteeship for Italian Somaliland our thinking is along lines similar to yours. This should provide us with a good beginning in our efforts to build an agreed position. After careful reassessment of our earlier proposal for Eritrea we continue to believe that it offers the most satisfactory long-run solution to the problems of that area. As you know, our proposal includes special safeguards for the Italian inhabitants and provides for appropriate municipal charters for the cities of Massawa and Asmara. We will welcome your further views on all of these questions and we are ready, of course, to discuss any differences frankly with you.

I know that in the trying days ahead you will be working without thought of yourself to achieve stability and economic well-being for Italy and all of Western Europe.

107

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8834/72. Santiago, 11 agosto 1949, ore 10,28 (perv. ore 18).

Questo ministro degli affari esteri in cordialissimo colloquio avuto con missione, rispondendo esposizione da me fattagli problemi italiani ed in particolare colonie, ha assicurato che possiamo continuare contare completo appoggio Cile. Anche presi

dente del Senato in discorso pronunciato durante seduta solenne ricevimento missione si è espresso analogamente; rivolgendosi anzi ministro degli affari esteri presente lo ha invitato a nome Senato e opinione pubblica continuare sua azione in favore punti di vista italiani.

106 1 Sforza annotò: ricevuto 30 agosto. La lettera gli fu infatti consegnata da Byington comerisulta dal D. 165. 2 Si riferisce alla lettera, menzionata da Sforza nel colloquio del 24 giugno con Dunn, ma nonrinvenuta: vedi serie undicesima, vol. II, D. 1129. 3 Vedi D. 46.

108

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8852/160. Mosca, 11 agosto 1949, part. ore 2,01 del 12 (perv. ore 7,30).

Tempi Nuovi oggi pubblica sotto il titolo «Nuova crociata del Vaticano» un ampio articolo circa recente decreto scomunica comunisti. Premessi alcuni precedenti storici esso si sforza di dimostrare seguenti punti:

a) il decreto è misura estrema diretta a sostenere imperialismo capitalista traballante;

b) esso non è giustificato come misura difensiva contro pretese persecuzioni anticattoliche in Europa orientale le quali non esisterebbero;

c) non avrà effetto di demoralizzare cattolici progressisti ma effetto contrario di galvanizzare movimenti scismatici ed unità classi lavoratrici.

109

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8885/390-391. Londra, 12 agosto 1949, ore 22,30 (perv. ore 8 del 13).

Trasmetto seguente telegramma di Alessandrini:

«Ho avuto oggi lungo colloquio con Strang, presenti Wright, Russel e Stewart. Strang ha cominciato dicendo che conversazioni sono state molto costruttive ed utili poiché esse lasciano già intravedere possibilità realizzazione accordo fra Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti su tutti i punti eccettuata questione Eritrea. Francia, ha aggiunto, finirà per aderire. Ha continuato dicendo che raccomandazioni Foreign Office dovranno naturalmente essere sottoposte ministro Bevin subito dopo suo ritorno da Strasburgo. Frattanto è bene precisare alcuni punti, a cominciare da quelli negativi.

Eritrea: Gran Bretagna è spiacente dover confermare in modo chiaro ed inequivocabile che essa si ritiene definitivamente legata promesse fatte ad Etiopia e che pertanto sosterrà a fondo davanti Assemblea O.N.U. nota tesi spartizione. Ho calorosamente ripetuto note argomentazioni contrarie tale decisione ma Strang mi ha pregato non insistere inutilmente. Ha di conseguenza accettato che votazione all’Assemblea dell’O.N.U. abbia luogo separatamente su varie singole colonie. Da parte mia ho dichiarato che assumiamo per Eritrea piena libertà di azione, indipendentemente da eventuali accordi per altre colonie.

Somalia: Ho ripetuto dichiarazioni già fatte in precedente colloquio1 riconfermando, anche in base istruzioni di cui telegramma di V.E. 344 del 7 agosto2, nostro desiderio ottenere amministrazione fiduciaria per periodo non inferiore 25 anni. Strang, appoggiato da Wright, ha risposto essere certo che Bevin si dichiarerà a Lake Success in favore trusteeship italiano su quel paese. Ha fatto presente che sarà, a tale fine, necessario assicurarsi voto Stati asiatici. Ho risposto che contiamo su collaborazione e su opera persuasione della Gran Bretagna, specialmente per quanto riguarda Pakistan e India. Ha fatto capire che tale appoggio non mancherà.

Tripolitana: Strang mi ha chiesto se noi siamo veramente sicuri dei sentimenti arabi nei nostri riguardi e se siamo decisi insistere su progetto immediata indipendenza. Ho risposto affermativamente nel modo più categorico esponendo vivamente argomenti che ci inducono avere tale fiducia e che sono, gli ho detto, pienamente confermati da mia recente visita Tripoli. Egli mi ha allora detto improvvisamente che progetto britannico si sta rapidamente e grandemente avvicinando al nostro anche per ciò che riguarda periodo di tempo che dovrà correre fra decisione O.N.U. e formazione Governo tripolitano.

Passando parlare futuro trattato fra Italia e Tripolitania, Strang ha detto che, nel nostro interesse, egli consiglia non usare parola «trattato» nella decisione O.N.U. poiché se, per una ragione qualsiasi, tale accenno non avesse a soddisfare umori Assemblea e specialmente Stati arabi, Italia non potrebbe poi procedere progettata conclusione trattato stesso. Ha suggerito inserimento nella mozione di una frase invitante le due parti «a prendere in debita considerazione situazione ed interessi italiani in Tripolitania». Ho risposto che V.E. mi aveva già dato istruzioni non parlar mai di trattato «imposto»3 e che formula da noi progettata si avvicina più o meno a quella da lui suggerita.

Strang ha qui cominciato a parlare del contenuto del trattato ma Wright lo ha trattenuto dicendo che di ciò si sarebbe parlato più tardi «soprattutto e direttamente tra Italia e Tripolitania». Ho tuttavia avuto tempo di capire che vi è qui tendenza ad essere contrarî inclusione Tripolitania nell’area della lira. Ho spiegato (anche in base esempio Libano con Francia) come ciò sia solo in favore Tripolitania.

Mio interlocutore ha risposto, anche per ciò che si riferisce a trattati futuri dei territori libici con altri paesi (compreso trattato Gran Bretagna con Cirenaica), che è necessario testimoniare al mondo arabo sussistenza di una unità libica, sia pure solo formale.

Strang ha continuato dicendo che sarebbe, secondo lui, utile che nostri rappresentanti Tripoli prendano fin d’ora contatto con gruppi rappresentantivi arabi al fine di giungere formazione futura equipe dirigente. Ho risposto che anche noi lo deside

2 Vedi D. 101.

3 Vedi D. 90, nota 5.

riamo e che ciò sarebbe assai agevole se amministrazione militare britannica non lo impedisse con opera intimidatoria altrettanto inutile quanto poco intelligente. Mi ha detto che invierà necessarie istruzioni a Tripoli.

Wright è a questo punto intervenuto dicendo che, per successo eventuali accordi italo-britannici, gli sembra indispensabile non dare all’O.N.U. sensazione di un previo accordo fra i due paesi. A tale fine suggerisce, se non proprio ostentazione di disaccordo, almeno una certa elasticità di condotta nonché un certo margine di indipendenza, sopratutto per quanto riguarda gli eventuali dettagli.

Strang ha aggiunto che Governo britannico ritiene sin da ora opportuno attirare tutta nostra attenzione su necessità che nostra stampa, dopo decisione O.N.U. in base silenzioso accordo italo-britannico, eviti parlare di successo italiano e che a Tripoli non abbiano a farsi manifestazioni di giubilo in previsione partenza inglesi. Ho risposto attirando sua attenzione su esemplare silenzio stampa italiano nell’attuale momento e dicendo che suo comprensivo atteggiamento, almeno per quanto riguarda Tripolitania, potrà continuare se le nostre giuste ragioni saranno riconosciute.

Strang mi ha infine detto che egli desidera mio diretto colloquio con Bevin al suo ritorno da Strasburgo dopo il 17 corrente.

Ho risposto che avrei chiesto istruzioni a V.E. anche per quanto si riferisce durata mio soggiorno a Londra. Ho aggiunto che potevo tuttavia, in base alle istruzioni ricevute, assicurare Foreign Office delle comprensive disposizioni di V.E. e del suo desiderio di testimoniare sentimenti di amicizia verso Gran Bretagna anche nella presente difficile prova».

109 1 Vedi D. 98.

110

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 7067/3145. Washington, 12 agosto 19491.

Ho raccolto al Dipartimento di Stato alcune informazioni in merito alla creazione degli organi previsti dal Patto atlantico.

Gli incontri preparatori fra i rappresentanti dei paesi interessati, che (come ho riferito)2 avrebbero dovuto avere inizio verso la metà di agosto, subiranno un ritardo di qualche giorno ed avranno quindi luogo probabilmente a partire dal 22 o 23 di questo mese.

Come previsto, gli incontri verteranno sulla data, sul luogo e sull’ordine del giorno della prima riunione del Consiglio politico nonché sulla natura e sulla composizione degli organi militari che questo dovrà istituire in aggiunta al Comitato di difesa, previsto dal Patto.

2 Con il D. 81 e con il T. segreto 8945/660 del 12 agosto, non pubblicato.

Secondo le informazioni raccolte, la riunione del Consiglio politico potrebbe aver luogo verso la metà di settembre a Washington, sul «livello» dei ministri degli affari esteri e approfittando del fatto che molti di essi si troveranno in quel momento negli Stati Uniti a causa della riunione delle Nazioni Unite e di quella degli organismi finanziari internazionali. Non si prevede che vengano preventivamente fissate norme regolamentari per i lavori del Consiglio politico. Questo stabilirà quindi da sé la procedura delle sue discussioni. Si continua a ritenere qui, contrariamente alle notizie apparse recentemente sulla stampa, che il Consiglio non avrà una sede permanente e che non vi sarà alcuna nomina di rappresentanti permanenti di alto rango in seno ad esso. Tutt’al più, secondo il Dipartimento di Stato, potrà costituirsi un piccolo ufficio permanente di segreteria.

Poco dopo la riunione del Consiglio politico, avrà probabilmente luogo una prima riunione del Consiglio di difesa.

In merito agli altri organi militari, destinati ad essere creati dal Consiglio politico e dal Comitato di difesa, in base alla facoltà loro accordata dal Patto, mi è stato detto che i tre capi di Stato Maggiore americani hanno discusso coi loro colleghi europei quattro schemi di organizzazione. Tre di essi hanno incontrato scarso favore, cosicché l’attenzione è ora concentrata soltanto su uno di essi (il cosiddetto «schema B»). Esso prevede quanto segue:

1) Il Comitato di difesa dovrebbe avere alle sue dipendenze due organi: a) l’Ufficio rifornimenti (Supply Board) che avrebbe sede a Washington e nel quale sarebbero rappresentati tutti i paesi membri del Patto; b) il Consiglio consultivo (Advisory Council) parimenti composto dei rappresentanti di tutti i membri e sedente a Washington. Il Governo americano avrebbe preferito che la sede di tale Consiglio fosse in Europa, ma, in vista della difficoltà di trovare colà una sede gradita a tutti i partecipanti, è ora disposto a fissarla a Washington.

2) Dal Consiglio consultivo dipenderebbero cinque Comitati regionali: a) «Nordamerica», con sede a Washington e composto degli Stati Uniti e del Canada; b) «Europa occidentale», composto dei paesi dell’Unione Occidentale, dell’Italia, della Danimarca e degli Stati Uniti; la sede sarebbe probabilmente a Londra; c) «Oceano Atlantico settentrionale» composto degli Stati Uniti, del Canada, della Gran Bretagna e Francia; d) «Europa settentrionale», con sede a Londra o a Oslo; e) «Mediterraneo occidentale», composto dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dall’Italia e dal Portogallo; la sede sarebbe a Parigi o a Londra.

3) In seno al Consiglio consultivo si costituirebbe un Comitato esecutivo (Steering Commitee) del quale farebbero parte soltanto gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia; una proposta del Dipartimento di Stato, di includervi il Canada, è stata respinta dagli organi militari americani; una proposta olandese di includervi un rappresentante dei piccoli paesi, è stata scartata quasi unanimemente.

4) Non verrebbe stabilito nessun rapporto fra gli organi del Patto atlantico e quelli dell’Unione Occidentale; il collegamento fra le due organizzazioni potrebbe tuttavia essere assicurato dal fatto che le persone che compongono gli organi dell’Unione Occidentale verrebbero nominate dai rispettivi Governi a far parte dei Comitati regionali.

Nel riferire le informazioni di cui sopra, sarò grato a V.E. se vorrà impartire eventuali istruzioni per le prossime riunioni preparatorie e se vorrà farmi conoscere quale atteggiamento sia stato tenuto, in merito ai suddetti progetti di organizzazione, dalle nostre autorità militari in occasione del loro recente incontro coi tre capi di Stato Maggiore americani3.

110 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

111

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. RISERVATA PERSONALE 6993/3122. Washington, 12 agosto 1949 (perv. il 17).

Il nuovo Assistant Secretary per gli affari politici europei, Mr. Perkins, ha assunto in questi giorni il suo ufficio.

Sono andato a vederlo. Poiché egli è ancora all’inizio del suo lavoro e «digiuno» degli affari inerenti ad esso (come è noto, proviene dall’industria privata ed occupava fino a qualche settimana fa un posto all’E.C.A. di Parigi), non ho tratto dal colloquio nessuna dichiarazione o assicurazione interessante, cosicché mi astengo dal riferirne ufficialmente.

Desidero tuttavia segnalarti che Mr. Perkins mi è sembrato persona di larghe vedute, molto cortese ed assai favorevolmente orientata nei nostri riguardi. Ho potuto parlargli a lungo della situazione italiana, dei nostri problemi, delle nostre speranze ed anche delle nostre delusioni.

Naturalmente, appena sono passato dal quadro generale agli argomenti particolari, ho insistito sulla questione delle colonie, esponendo per l’ennesima volta il nostro punto di vista, rifacendo la storia delle nostre tribolazioni e pregando Mr. Perkins di dedicare al problema la sua personale attenzione, il che mi ha promesso di fare. Frattanto, sullo stesso problema, continuo a mantenermi in contatto con gli uffici. Al riguardo vorrei segnalarti una circostanza, che può essere fonte di qualche inconveniente.

Da quando, per le note ragioni, il centro della trattativa si è spostato a Londra noi qui ci siamo limitati a osservare e a riferire. Pertanto, conformemente alle istruzioni ministeriali, ogni qualvolta gli americani ci hanno riparlato del loro noto progetto, ci siamo limitati a dichiararlo insoddisfacente, sopratutto per la sua indeter

minatezza, che non permette di stabilire quali sarebbero gli effettivi poteri del previsto Comitato consultivo, né in quale misura questo potrebbe conciliarsi con la procedura e la sistemazione da noi auspicate. Sta di fatto, però, che di quando in quando gli americani ci rimproverano di non avere ancora esposto organicamente il nostro punto di vista, né col commentare il loro progetto né col presentare un controprogetto nostro.

So benissimo che fino all’inizio delle conversazioni di Londra il rimprovero non era giustificato e non ho mai mancato di farlo rilevare agli americani, i quali ogni volta sono stati costretti a riconoscerne l’infondatezza. Dopo l’inizio di quelle conversazioni, però, il rimprovero rischia di diventare in parte giustificato, nel senso che, mentre gli inglesi informano minutamente gli americani per il tramite della loro ambasciata a Londra, noi non facciamo nulla di simile qui. Ho ricevuto, è vero, qualche segnalazione (il rapporto di Alessandrini sulla visita a Tripoli1, la nota britannica sull’Eritrea2 e qualche altra cosa); ma l’ho ricevuta per corriere e quindi con grande ritardo. Pertanto, non solo non ho avuto la possibilità di mettere al corrente gli americani sulle nostre più recenti reazioni, ma ne sono stato, invece, informato dagli americani stessi, i quali mi hanno fatto leggere i telegrammi della loro ambasciata a Londra, dove viene descritta la versione inglese dello sviluppo delle trattative. Così, ad esempio, ho appreso da loro le risposte da noi date ai quesiti postici dagli inglesi sulla forma da noi auspicata dei rapporti italo-tripolini ed ho appreso da loro che, nel parlare di indipendenza eritrea, abbiamo ammesso la possibilità che le provincie occidentali non facciano parte dell’eventuale Eritrea indipendente e siano invece annesse al Sudan3.

Tu vedrai se convenga riassumere ed esporre in forma organica agli americani le nostre idee, quali si sono maturate in seguito agli sviluppi delle conversazioni di Londra e se convenga, nel far ciò, commentare più a fondo il progetto americano. In ogni caso, però, penso sarebbe opportuno che io qui fossi tenuto al corrente telegraficamente, seppure sommariamente, di quanto accade a Londra, onde possa darne agli americani la versione nostra. Tra le altre cose, ho appreso al Dipartimento di Stato che Alessandrini ha preso recentemente contatto con l’ambasciata americana a Londra. Anche questo può essere un buon canale e sconsiglierei di troncarlo. Tuttavia non è un canale perfetto, anche perché quell’ambasciata non è sempre obiettiva.

Tornando al Perkins, oltre che di colonie, gli ho parlato di E.R.P. Mi è sembrato relativamente ottimista. Naturalmente, ha detto che tutti i paesi europei debbono attendersi forti riduzioni, a causa dei forti tagli cui il Congresso si accinge a sottoporre la somma globale degli aiuti. Però non crede affatto che la misura del taglio al programma italiano possa essere così forte come quella progettata dallo «Screening Committee» di Parigi. Anche lui mi ha fatto il solito discorso sulle riserve di dollari che abbiamo accumulato (oltre 400 milioni, di cui oltre 100 nel

2 Vedi D. 48.

3 Su questo punto Zoppi telegrafò (T. segreto 7075/404 del 18 agosto): «Informazione datalecostì secondo cui avremmo ammesso distacco da Eritrea indipendente delle provincie occidentali è contraria al vero. La smentisca».

primo semestre del 1949) e che non soltanto costituiscono la prova della nostra scarsa capacità di assorbimento degli aiuti, ma possono anche creare serî imbarazzi all’Amministrazione il giorno che qualche senatore o deputato si accorgerà della loro esistenza e domanderà spiegazioni4.

110 3 Il 1° agosto i capi di Stato Maggiore italiani si erano incontrati a Francoforte con i colleghistatunitensi per un primo esame delle proposte di organizzazione militare del Patto atlantico. La relazionesugli esiti dell’incontro del 3 agosto, non pubblicata, venne ritrasmessa alle ambasciate a Washington,Parigi e Londra con il Telespr. 3/3279/C. del 12 agosto. Con successivo Telespr. segreto 7097/3175 del 17agosto Luciolli precisò: «Rispetto alle informazioni fornite col rapporto sopracitato, alcuni elementinuovi meritano di essere rilevati: a) la costituzione di uno Stato Maggiore nord-atlantico, come emanazione del Comitato esecutivo; b) le indicazioni “present relationship maintained” e “partecipation asappropriate”, che figurano, per taluni paesi, nello schema di organizzazione dei Comitati regionali; c) lamenzione del Comitato dei capi di Stato Maggiore dell’Unione Occidentale, a proposito del Comitatoregionale dell’Europa occidentale». Per la risposta vedi D. 126.

111 1 Vedi D. 47.

112

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8907/162. Mosca, 13 agosto 1949, ore 15,40 (perv. ore 15,45).

Dopo aver pubblicato ieri in grande evidenza nuova nota di risposta sovietica al Governo jugoslavo, Pravda la commenta oggi con editoriale dal significativo titolo «Strappata la maschera». Editoriale ripete argomenti della nota e conclude sottolineando la dichiarazione che il Governo sovietico considera attuale Governo jugoslavo non come amico ed alleato, ma come ostile ed avversario dell’Unione Sovietica. Questa posizione violenta, che rasenta la denunzia del trattato jugoslavo-sovietico senza però formalmente attuarla, si accompagna ad acri vignette caricaturali contro Tito e fa seguito pure ad altre brevi notizie apparse in questi ultimi giorni circa possibili trattative politiche italo-jugoslave, analoghe a quella da me segnalata con mio telegramma 1511. Tutto ciò crea sensazione che, se mai sovietici si inducessero a fare un passo riguardante Trieste per sconcertare supposte manovre occidentali e per accelerare ritiro truppe anglo-americane, questo potrebbe essere momento adatto e manifestazioni di questi giorni potrebbero esserne il preludio. Qui autorevoli diplomatici occidentali vanno oltre e dichiarano apertamente di stupirsi che ciò non sia ancora avvenuto. Per mio conto pur considerando sintomatica la campagna attuale ritengo azzardata ogni recisa previsione, non potendo escludere che essa tenda invece a differenti obiettivi.

111 4 Per la risposta vedi D. 120.112 1 Vedi D. 94.

113

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. 8922/11. Strasburgo, 13 agosto 1949, ore 18,20 (perv. ore 21).

Tutto essendo posto ormai nella carreggiata delle procedure parto domani come la più parte dei ministri degli esteri. Assemblea lavorerà utilmente; sono stati molto esagerati dalla stampa i sintomi di dissidio fra Assemblea e Comitato dei ministri. Dai due lati si sa troppo bene che è un interesse comune andare d’accordo. Nelle mie conversazioni con Schuman e Bevin, conclusesi ieri con un ultimo colloquio con costui, abbiamo trattato con franchezza e spero con qualche vantaggio i nostri problemi ma preferisco scrivertene da Milano1 ove sarò lunedì mattina.

114

IL MINISTRO A CANBERRA, DEL BALZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO URGENTE 1485/010. Sydney, 13 agosto 1949 (perv. il 19).

Riferimento: Telegramma di V.E. n. 301 e mio n. 342.

Nella conversazione che ho avuto ieri con lui ho rimesso a Evatt pro-memoria schematico riassuntivo punto di vista italiano per Tripolitania, Eritrea e Somalia. Gli ho dato inoltre una traccia della nota verbale del 26 giugno u.s. diretta all’ambasciata britannica a Roma3 ed un estratto discorso di V.E. al Senato 29 luglio4.

Evatt mi ha detto che apprezzava molto nostro passo, tanto più che sue recenti occupazioni come procuratore generale (sciopero carbone, progetto nazionalizzazione banche, schema nazionale per esercizio professione medica) gli avevano fatto perdere contatto con molte questioni internazionali sulle quali si sta ora mettendo di nuovo al corrente.

Fra queste attribuisce speciale importanza al problema colonie italiane per suoi riflessi sui piano di collaborazione europea, sui rapporti italo-britannici e sull’autorità internazionale dell’O.N.U.

2 Del 12 agosto, con il quale Del Balzo anticipava il contenuto di questo documento.

3 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1134.

4 Vedi Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, 1949, vol. VII, seduta del 29 luglio 1949, pp. 10041-10105.

Scorrendo mio pro-memoria, Evatt ha ricordato e confermato, a proposito Tripolitania, sue precedenti favorevoli reazioni alla dichiarazione presidente De Gasperi, che offre — egli ha ripetuto — eccellente base morale e politica per un accordo. Ad un mio accenno circa futuri rapporti fra Cirenaica, Tripolitania e Fezzan ha risposto che essi potrebbero formare oggetto successivo studio da parte Commissione sei

o sette paesi (compresa Italia) nominata dall’O.N.U.

Per Eritrea ha riconosciuto forza logica nostro argomento essere impossibile negare a quest’ultima quanto si è disposti concedere Cirenaica e Tripolitania. Ha parimenti espresso suo consenso alla nostra analisi delle passate votazioni relative Eritrea sudorientale, aggiungendo che anche delegazione australiana era stata molto perplessa di fronte assegnazione mandato fiduciario all’Etiopia. Ha subito precisato, però, di non essere ora in grado esprimere giudizio circa probabilità accoglimento nostre ultime proposte e mi ha chiesto se conoscevo prime reazioni britanniche e arabe. Gli ho risposto che non ne ero informato ma che, appena ne fossi al corrente, avrei avuto premura comunicargliele. Mi ha detto che apprezzerà molto qualunque notizia io possa fornirgli al riguardo.

In special modo Evatt ha sottolineato importanza atteggiamento Stati arabi che

— usciti malcontenti da ultima Assemblea — potrebbero trovare soddisfazione e compensi nella prossima riunione di Lake Success attraverso creazione nuove unità statali indipendenti in Africa.

Quanto a Somalia è, a suo avviso, evidente che, se Stati arabi ed orientali saranno soddisfatti per Libia ed Eritrea, trusteeship italiano otterrà necessaria maggioranza senza difficoltà.

Evatt ha detto apprezzare valore nostre considerazioni relative inopportunità stabilire limiti di tempo all’amministrazione italiana, specie se irragionevolmente brevi, tanto più che rapporti annuali che potenza amministratrice è tenuta presentare al Trusteeship Council offrono mezzi controllare costantemente progresso del territorio verso indipendenza.

Concludendo Evatt mi ha detto che si ripromette di informare nei prossimi giorni Chifley del contenuto dei miei passi e di riparlarmi fra qualche tempo. Mi pregava frattanto di comunicare a V.E. che egli era stato «molto favorevolmente impressionato» dalla saggia presa di posizione del Governo italiano sul complesso dei problemi relativi alle nostre colonie.

113 1 Gli scrisse invece il giorno seguente, domenica 14, da Strasburgo: vedi D. 116.

114 1 Del 10 agosto con il quale si confermavano i telespressi di istruzioni del 23 e 26 giugno e del4 luglio: vedi serie undicesima, vol. II, DD. 1024 e 1088 e, in questo volume, D. 10.

115

IL CONSOLE GENERALE A WELLINGTON, DE REGE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 10156/45. Wellington, 14 agosto 1949, ore 20,53 (perv. ore 13,45).

Avendo visto questo segretario generale degli affari esteri alla vigilia partenza delegazione neozelandese O.N.U. egli mi ha confermato che il Governo neozelandese appoggerà proposte concessione indipendenza Tripolitania. Per quanto concerne Eritrea primo ministro intende appoggiare proposta che verrà avanzata da parte angloamericana pur rendendosi conto che ciò significa appoggiare spartizione che egli non approva. Circa Somalia le istruzioni sono di appoggiare trusteeship Nazioni Unite o subordinatamente italiano. Istruzioni generali a questa delegazione sono state per ora di non bloccare proposte anglo-americane con proposte od atteggiamenti particolari.

Secondo il sig. McIntosh anche questa volta tutto dipenderà da atteggiamento America latina. Il sig. Fraser si riserva tuttavia logicamente mutare oppure confermare predette istruzioni a seconda rapporti che gli perverranno circa sviluppi discussioni su questione coloniale.

116

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L.1. Strasburgo, 14 agosto 1949.

Dopo i miei primi contatti qui con Schuman e Bevin, mi resi conto che un colloquio a tre sarebbe stato fra sterile e reticente; lasciai quindi cadere una offerta di Schuman di provocarlo.

SCHUMAN

L’ultima più lunga e più formale conversazione l’ebbi con Schuman l’11 sera nel suo appartamento alla Prefettura.

Unione doganale. Egli rinnovò caldi ringraziamenti per avere noi compreso giorni fa a Roma la sua difficile posizione e avergli permesso di evitare «une crise dangereuse pour l’Union Douanière». Gli dissi che, poiché avevamo interessi comuni, la mia azione era stata naturale; ma che [in] un futuro troppo lungo procrastinare avrebbe potuto provocare dubbi e scetticismi che avrebbero agito contro di noi. Con un calore quale mai l’avevo sentito in lui, Schuman mi supplicò di non dubitare: che egli voleva l’Unione quanto me, che pigliava meco impegno d’onore di condurla in porto; che forse perfino più di me ne sentiva la necessità politica.

Presi atto aggiungendo: «D’ailleurs les Allemands par leur truculence réussiront peut-être bientôt a faire comprendre la raison, même à vos capitalistes les plus égoistes». Aderì.

Tripolitania. Mi disse che capiva come di fronte alle iniziative inglesi, a noi non restava che «miser sur l’independence»; che la Francia teneva tuttavia per naturali ragioni sue a che la nostra influenza in Tripolitania si affermasse a lungo; «dans l’intérêt même de nos rapports avec l’Angleterre — disse — nous ne voulons pas que les Anglais se rapprochent de la Tunisie». Mi confidò che la Francia farebbe presto riforme profonde nel beilicato e che ciò avrebbe evitato ogni futura influenza senussita.

Mi chiese chiarimenti sul come combineremmo la formula della «indipendenza» con una reale influenza italiana, che egli si augurava «même dans l’intérêt de la France» e che qualunque informazione gli farei avere in proposito egli la terrebbe per sé «car il est dangereux de dire certaines choses aux Anglais». Gli dissi che gli manderei copia, per lui solo, di un breve memorandum2 che avevo scritto per il nostro Consiglio dei ministri e che quindi egli avrebbe il nostro autentico pensiero.

Eritrea. Non se ne interessò ma gli dissi che caduto il compromesso BevinSforza3, noi dovevamo sostenerne la indipendenza.

BEVIN

Nella nostra prima conversazione alla sede del Comitato dei ministri, Bevin si lagnò meco, ma senza amarezza, che nel nostro Parlamento attacchiamo «the poor British Government», al che risposi: «You should be glad that we complain of the difficulties to find some understanding with you», ciò che prova quanto lo desidereremmo. E lui: «It is too wonderful to be true». Ma la cosa finì lì.

Nelle discussioni del nostro Comitato fui il più delle volte d’accordo con lui perché obiettivamente pensammo nella maggior parte dei casi allo stesso modo, ma qualche volta espressi parere diverso o opposto; nel complesso discreta reciproca atmosfera.

Il 12 sera avemmo una conversazione di un’ora e mezza alla British Delegation.

Churchill. Mi stupì la franchezza dello sfogo iniziale di Bevin contro Churchill. Non era il furore del laburista, del dirigista, contro il conservatore; era l’odio represso e popolaresco del povero contro il ricco «who speaks of freedom, of Europe, of peace and who believes in none of these words but only in the interests of a cast». Mi parve persino sentire nelle sue parole una minaccia o uno scherno lontano contro istituzioni che gli stranieri credono sacre in Inghilterra, ma che non furono niente sacre in certi periodi del regno di Victoria. Ma lasciamo ciò, benché tutto questo possa un giorno aver la sua importanza.

Tripolitania. Venendo alle cose immediate Bevin mi disse che sperava che io almeno credessi che l’Inghilterra non vuole affatto rimanere in Tripolitania, ecc. Interruppi le generalità e gli chiesi se ammetterebbe una Commissione mista che sorvegliasse tutto l’andamento delle cose ...

B. Chi vorreste come Stato arabo? E prima che aprissi bocca aggiunge: «Vi consiglio il Pakistan. Son gente onesta, sicura, non come gli indiani».

Eritrea. Presi atto che era favorevole all’organismo e gli dissi che anche per l’Eritrea dovevamo chiedere l’indipendenza.

B. No, noi siamo impegnati col negus. Del resto, è vero che io non posso più reclamare verso di voi il nostro compromesso; ma esso anche oggi tutelerebbe bene gli italiani di laggiù.

3 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 875.

Replicai che, alla peggio, il suo impegno col negus potrebbe essere mantenuto con una affermazione teorica ammettente in pratica la piena autonomia italo-eritrea, garantita da una locale Commissione internazionale.

B. È un’idea; ci penserò.

Trieste. Si interessò molto di quanto gli spiegai circa il nostro atteggiamento verso Tito, lo dichiarò «wise» e aggiunse: «Tutto ciò sarà comunque lento. Vi raccomando caldamente di non innovare nulla nel T.L.T. prima che sia accomodata la questione dell’Austria. Ve lo dico anche nel vostro interesse».

Africa centrale. Gli chiesi se era vero ciò che avevo letto circa piani di grandi lavori e investimenti britannici in Asia.

B. No, non si possono fare due cose alla volta; noi pensiamo solo all’Africa centrale.

Io. Ne son lieto; non solo perché ciò corrisponde alle nostre intese del settembre 19474 ma perché ciò può risolvere in parte il problema delle nostre sterline. Se le vostre imprese in Africa centrale cominciano presto, favorireste voi una collaborazione nostra (ferrovie, porti, strade, ecc.) diretta da nostri imprenditori e finanziata dai nostri fondi in Inghilterra?

B. Può essere una buona idea; ma, «I am frank with you», una eccessiva immissione di italiani là potrebbe un giorno avere dei pericoli.

Io. No, in questo caso si tratta di nostre imprese e di nostri tecnici; noi crediamo che il problema demografico italiano non si risolve in Africa ma in America latina attraverso il punto quarto di Truman. In Africa, solo imprese industriali.

B. In questo caso sarei favorevole. Ci penserò e vi farò sapere.

Circa la Germania, circa il Consiglio europeo, circa la permanenza a Strasburgo le nostre idee collimarono.

116 1 In Archivio De Gasperi.

116 2 Vedi D. 128, Allegato.

117

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3478/1666. Londra, 17 agosto 19491.

Ho incontrato a India House il 15 corrente l’ambasciatore sovietico Zarubin. Egli mi confermò come probabile la sua andata a Lake Success in settembre mostrandosi anche desideroso di rivedermi prima della sua partenza.

Naturalmente il discorso fu portato sull’argomento delle colonie italiane, presente l’ambasciatore di Cecoslovacchia che fungeva da interprete del russo (Zarubin parla stentatamente l’inglese).

Zarubin mi chiese subito a che punto noi eravamo con gli inglesi circa la soluzione del nostro problema coloniale. Comprendendo benissimo dove egli voleva tendere risposi che per il momento gli inglesi rimanevano fissi sulle loro posizioni.

Mi chiese allora spiegazione circa la nostra tesi sulla indipendenza e come la potessimo mettere d’accordo con le concessioni già accettate di spartizione dell’Eritrea. Anzi a questo proposito fece un fiero attacco sull’accordo Bevin-Sforza. Risposi mettendo le cose in chiaro su questi tre punti:

1) la proposta dell’indipendenza è quella più rispondente allo spirito democratico dell’Italia nuova e al pensiero del ministro Sforza e del Governo; ma se essa non ha potuto essere presa fin da principio come punto di partenza nel far valere i nostri diritti, ciò è dovuto all’opinione pubblica italiana contraria finora a qualunque volontaria rinuncia a diritti e posizioni storiche dell’anteguerra, e anche in vista del compromesso che era stato raggiunto sulla questione della Tripolitania;

2) quanto all’intransigenza dell’opinione pubblica essa è dovuta in gran parte allo stesso acceso nazionalismo colonalista del partito comunista che ha obbligato tutti gli altri partiti a seguirlo e a sopravvanzarlo su questa via. Di ciò egli poteva essere ragguagliato in modo sicuro dai suoi amici comunisti italiani;

3) le tesi migliori e più giuste per una equa soluzione del nostro problema si erano poi urtate finora e si sarebbero urtate domani contro una dura realtà: ossia che le nostre ex colonie erano purtroppo occupate e amministrate, anche per mandato della Russia sovietica, dal Governo britannico e che solo a scopo polemico poteva sostenersi che senza qualche accordo con gli occupanti avremmo potuto riprendervi il nostro posto. Giudicare in astratto dell’accordo Bevin-Sforza era perciò troppo facile e ingiusto. Vedesse lui come sarebbe stato possibile, anche con tutti i diritti, entrare in una casa già occupata e con le porte sbarrate, senza qualche compromesso.

A questo punto Zarubin sorrise un po’ imbarazzato quasi ammettendo le ragioni di un pratico realismo politico.

116 4 Si tratta delle intese raggiunte durante la visita di Sforza a Londra alla fine di ottobre 1947;vedi serie decima, vol. VI, DD. 660, 663, 664, 667, 668, 673, 674 e 677.

117 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

118

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’O.E.C.E., CATTANI

T. SEGRETO 7095/210. Roma, 18 agosto 1949, ore 23.

Suoi 366, 367, 3681.

Presidente Consiglio comunica da Venezia che in conferenza con Hoffman è stato da nostri ministri fatto rilevare che proposta Comitato Parigi non ci permetterebbe nemmeno di soddisfare impegni già presi dinanzi Parlamento circa investimen

ti sul fondo lire esercizio 1949-50, quali 120 miliardi ferrovie telecomunicazioni e lavori pubblici già inscritti bilancio, 55 miliardi agricoltura, 20 miliardi ulteriore quota case e corsi Fanfani, 5 miliardi turismo, 8 miliardi costruzioni navali. Ne risulta necessità svolgere massima energia contro tale eccessiva riduzione nonché contro utilizzo nostre riserve dollari per 50 milioni attenendosi direttive C.I.R.

118 1 Del 17 agosto, con i quali Cattani aveva comunicato le proposte del Comitato programmidell’O.E.C.E. di riduzione degli aiuti richiesti dall’Italia.

119

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9099/40. Lima, 18 agosto 1949, ore 21,46 (perv. ore 7,30 del 19).

Corso prolungate e ripetute conversazioni con presidente della Repubblica ministro degli affari esteri e delegato O.N.U. Belaunde abbiamo preso accordi per attività delegazione Perù Lake Success. Nostra attuale posizione ha piena adesione questo Governo. Inoltre abbiamo avuto esplicite assicurazioni che nostre ulteriori proposte e suggerimenti verranno favorevolmente accolti e tenuti presenti presso altre delegazioni. Belaunde parte 5 settembre prossimo per New York.

120

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI

L. SEGRETA 3/3352. Roma, 18 agosto 1949.

Ho la tua lettera n. 6993/3122 del 12 u.s.1. Ho già risposto telegraficamente per la questione delle provincie occidentali dell’Eritrea2, e ho telegrafato nello stesso senso a Londra perché smentiscano il malinteso eventuale.

Sono un po’ stupito di quanto ti hanno detto e di quanto tu ripeti. Le nostre tesi sono note e arcinote, anche pubblicamente. Risulano dalle istruzioni che vi abbiamo mandato per ogni singolo territorio e che voi avete illustrato al Dipartimento di Stato. Risultano altresì dalle successive comunicazioni e dalle dichiarazioni fatte dal ministro al Parlamento. Le ripeto ad ogni buon fine:

1) Tripolitania: indipendenza immediata ed accordo di collaborazione fra Governo di Roma e Governo di Tripoli. Questa tesi Alessandrini sta sostenendo a Londra con gli inglesi, e Fracassi al Cairo con gli arabi3.

2 Vedi D. 111, nota 3.

3 Da questo punto sino al penultimo capoverso relativo alla Tripolitania il testo è identico alpromemoria di Sforza per Schuman (D. 128, Allegato).

Le proposte formulate dal Governo italiano per la Tripolitania tendono, nella impossibilità ormai riconosciuta di stabilire in quel territorio un trusteeship italiano, a stabilirvi almeno una prevalente infuenza italiana.

Con l’indipendenza si dovrebbe ottenere la fine del regime di occupazione militare britannico per poter far leva sui sentimenti italofili ancora diffusi in molti strati della popolazione indigena alla scopo di sostituire all’attuale pressione inglese l’influenza italiana. Con l’accordo italo-tripolino si cercherebbe di realizzare tale infuenza: 1) stabilendo che gli italiani della Tripolitania debbano divenire cittadini del paese di pieno diritto con speciale statuto; 2) che la Tripolitania rimane nell’area della lira e unita economicamente all’Italia (ciò che è indispensabile per il suo sviluppo); 3) che per costituire il nuovo Stato e le sue amministrazioni tecniche la Tripolitania si valga di istruttori, tecnici e consiglieri italiani.

Riteniamo che, per poter realizzare questi due postulati (indipendenza e accordo), occorre:

1) che l’indipendenza sia immediata o quanto meno più rapida possibile. Se così non fosse, se cioè l’occupazione britannica dovesse prolungarsi a lungo dopo la dichiarazione d’indipendenza, si verrebbe ad avere praticamente una specie di trusteeship britannico, e durante questo periodo sarebbero le autorità britanniche a preparare l’indipendenza, a istruire e scegliere i quadri indigeni, a fornire gli esperti europei. Al termine di questo periodo il nuovo Governo della Tripolitania non avrebbe più alcun interesse né alcuna disposizione a concludere col Governo italiano un accordo del genere di quello sopra prospettato, e il massino che si potrebbe ottenere da uno Stato già organizzato e funzionante sarebbe un accordo per la semplice tutela degli interessi italiani in loco;

2) che si provveda alla costituzione di un Governo rappresentativo, mediante libere elezioni. Queste elezioni appaiono necessarie per poter ottenere una fotografia esatta della situazione e del reale stato d’animo delle popolazioni locali. Vi sono fondate speranze che in caso di libere elezioni i sentimenti delle correnti italofile possano affermarsi meglio che attraverso la costituzione di un Governo di notabili tra i quali vi sono varie personalità messe innanzi dall’attuale occupante ma che, a dire di molti, avrebbero scarso seguito nel paese. Naturalmente l’organizzazione e lo svolgimento delle elezioni dovrebbe avvenire sotto controllo internazionale. Inoltre la costituzione di un Governo che sia emanazione di libere elezioni offre maggiori garanzie per l’accordo che si vuole con esso concludere. Un Governo non rappresentativo, il quale prima o poi si dovrà presentare al corpo elettorale, difficilmente si assumerebbe la responsabilità di concludere un accordo con l’ex potenza sovrana, e quando anche lo concludesse, tale accordo rischierebbe di diventare poi argomento di speculazione nella lotta elettorale tra le varie correnti al momento delle elezioni. Non mancano esempi di ciò nella storia recente dei paesi arabi a proposito di accordi conclusi con le potenze ex-protettrici o mandatarie (es. Egitto, Siria, Iraq).

Come sai i francesi vedono con timore queste nostre proposte: essi vorrebbero al tempo stesso sostituire la nostra influenza a quella britannica e ritardare il più possibile la effettiva indipendenza. Perciò hanno escogitato l’idea di una amministrazione britannica che duri più di quanto noi vorremmo, correggendone gli inconvenienti con una Commissione internazionale di assistenza. Per ora una soluzione di questo genere non pare accettabile né agli arabi (Stati) né agli inglesi, né a noi. Noi potremmo accettarla, come ripiego, qualora la nostra tesi non potesse prevalere, e sempre che venisse accettata dagli arabi e dagli inglesi e sempreché il periodo di «tutela» previsto sia brevissimo e si dia inizio subito alla smobilitazione britannica e a sostituirvi gradualmente quelle forme di collaborazione italiana che gli arabi accettassero. Comunque sino a che durano i colloqui di Londra e di Cairo non conviene a noi prendere decisioni precipitate e discostarci dalla nostra tesi.

2) Eritrea: proponiamo la indipendenza e la integrità di questo paese con la costituzione di una Commissione internazionale per preparare questa indipendenza. Nel frattempo dovrebbe rimanere l’amministrazione britannica (è inevitabile!) che però dovrebbe fare a noi più larga parte. Si tratta di salvare il paese dalla spartizione e dalla rovina e di guadagnare tempo, il che non è difficile ad ottenersi perché se anche la nostra tesi, alla quale dovrebbero sottoscrivere sudamericani, arabi e asiatici, non dovesse prevalere, siamo tuttavia in grado di non far nemmeno prevalere quella del compromesso Bevin-Sforza4 alla quale gli inglesi restano fedeli allegando un impegno preso col negus. Essi pertanto ci hanno detto che per l’Eritrea noi e loro restiamo liberi e che deciderà l’O.N.U. Questo farà sì che, d’accordo con Londra, proporremo che si votino risoluzioni definitive territorio per territorio;

3) Somalia: manteniamo la richiesta di mandato italiano. Inglesi, americani e francesi si sono dichiarati favorevoli — ciò che dovrebbe assicurarci l’appoggio dei loro clienti europei e marginali — l’appoggio sudamericano lo abbiamo. Lavoriamo per ottenere, in cambio del nostro appoggio alla tesi della indipendenza per la Tripolitania e l’Eritrea, l’appoggio degli Stati arabi e asiatici o per lo meno la loro astensione per la Somalia.

Per la Cirenaica abbiamo detto agli inglesi che se ci aiutano per una soluzione soddisfacente della Tripolitania secondo le nostre proposte siamo disposti ad appoggiare presso i nostri amici quelle proposte che essi vorranno avanzare.

120 1 Vedi D. 111.

121

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA

T. 7112/76. Roma, 19 agosto 1949, ore 13,11.

Trattative con Spagna abbisogna siano condotte da alti funzionari cui competa possibilità immediate decisioni il che non sarebbe possibile se inviassimo costì, come ne saremmo costretti, funzionari subalterni.

Perciò conversazioni sono state qui riprese con ambasciata Spagna e sono giunte per quanto riguarda settore commerciale ad intesa per cui attendesi ora approvazione definitiva codesto Governo.

Si ringrazia V.E. per azione costà svolta che ha spianato strada.

Per quanto concerne quadro accordo pagamento questo ambasciatore Spagna si è impegnato trovare soluzione noi favorevole.

Si fa riserva ulteriori comunicazioni.

120 4 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 875. Per la risposta vedi D. 149.

122

LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA 2239/36435/486/3/2. Roma, 19 agosto 1949.

Nel maggio scorso quando il ministro Versbach fece ufficiosamente presenti a questa Presidenza alcune richieste del Governo di Vienna, le quali si concretarono poi nella nota verbale 5 luglio 1949 della legazione d’Austria, che formò a sua volta oggetto del telespresso 16/14349/281 del 26 luglio di codesto Ministero e della presidenziale 2085/36435/486/2/ del 31 luglio1, il capo dell’Ufficio per le zone di confine ebbe occasione, a titolo personale, di ritornare sull’argomento delle difficoltà create per ambedue i paesi dal noto provvedimento austriaco del 2 novembre ’482.

In quella circostanza il dr. Innocenti, sempre a titolo personale, avanzò l’idea di una possibile soluzione pratica della questione nel senso che, anziché mantenere a lungo bloccate le domande presentate dopo il 2 novembre ’48, in attesa di poterne accertare singolarmente la spontaneità, ci si accordasse per il respingimento di una quota di esse non superiore al 20%, in modo che le altre potessero avere celermente il loro corso.

Va rilevato che la proporzione suaccennata appariva molto vantaggiosa ai nostri fini ove si consideri che delle riopzioni di non emigrati, ormai quasi tutte esaminate, la misura di quelle respinte non giunge all’1%, pur avendone potuto fare oggetto di accurati accertamenti.

Il ministro Versbach si interessò alla proposta e si riservò di dare, sempre a titolo personale, una risposta.

Essa si è concretata poi in un progetto di gentlemen’s agreement qui rimesso ufficiosamente dall’anzidetto diplomatico il 21 luglio u.s. e di cui si unisce copia3; in esso però, mentre da un lato si accede alla proposta del respingimento di una quota delle riopzioni, in misura peraltro non superiore al 15%, dall’altro le si fa corrispondere una serie di concessioni da parte dell’Italia ai punti di vista del Governo di Vienna.

In tale occasione il ministro Versbach fece presente che, naturalmente, dell’argomento avrebbe interessato personalmente il Ministero degli affari esteri; sottolineava peraltro che prima di dare corso ufficiale a tali proposte avrebbe desiderato conoscere confidenzialmente se vi erano possibilità di entrare in trattative. Gli fu risposto

2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 769.

3 Non pubblicato.

che sarebbero stati interpellati ufficiosamente sia il Ministero degli affari esteri sia quello dell’interno, maggiormente interessati al problema, prima di sollecitare una indicazione di massima dallo stesso presidente del Consiglio.

Al che è stato provveduto per quanto concerne il Ministero dell’interno — Direz. Gen. Aff. Gen. e Pers., Div. Opzioni —, che, sempre ufficiosamente, ha comunicato il proprio avviso al riguardo con l’appunto di cui si unisce copia3.

Si gradirebbe ora conoscere in via di massima il parere di codesto Ministero prima di sottoporre la questione al presidente del Consiglio4.

122 1 Non pubblicati.

123

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 7196/3222. Washington, 19 agosto 1949 (perv. il 1° settembre).

Riferimento: Telegramma dell’osservatore italiano presso l’O.N.U. n. 214 del 3 corrente1.

Il Dipartimento di Stato ha testé ricevuto da codesta ambasciata americana copia del progetto di nota che il nostro Governo si proporrebbe d’inviare, al momento opportuno, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla questione dei provvedimenti valutari ed economici presi dalla Jugoslavia nella Zona B del Territorio Libero di Trieste. La predetta ambasciata americana avrebbe inoltre segnalato al Dipartimento di aver appreso che codesto Ministero stava attualmente studiando la possibilità di apportare alcune modifiche al progetto in questione.

Il Dipartimento aveva appena iniziato l’esame del testo del nostro progetto e non era quindi ancora in grado di esprimere alcun apprezzamento sia sugli argomenti da noi addotti sia sul tono della nota. In via del tutto preliminare ci è stato però espresso qualche dubbio sulla opportunità di riaprire, mediante la presentazione della nostra nota, una questione che il Dipartimento di Stato non gradirebbe fosse, almeno per il momento, oggetto di discussione da parte del Consiglio di sicurezza (rapporto di questa ambasciata n. 6099/2693 del 14 luglio e telegramma dell’osservatore presso l’O.N.U. n. 207 dell’11 dello stesso mese)2, tanto più che sembra risulti al Dipartimento che gli jugoslavi si siano in un certo senso pentiti del passo fatto a suo tempo presso il Consiglio di sicurezza e sarebbero anch’essi inclini ad evitare una discussione della loro nota.

Pur con la necessaria riserva per quella che potrà essere la decisione di codesto Ministero circa la presentazione o meno della nota in questione, è stato fatto presente

2 Non pubblicati.

al Dipartimento come fosse evidentemente difficile per il nostro Governo, nei confronti della propria opinione pubblica e nel quadro stesso dei suoi rapporti con la Jugoslavia, astenersi dal presentare al Consiglio di sicurezza anche il punto di vista italiano sull’argomento. D’altra parte si è aggiunto che, a quanto ci risultava, la presentazione di una nota italiana non avrebbe automaticamente comportato la discussione della questione da parte del Consiglio di sicurezza.

122 4 Vedi D. 151.

123 1 Non pubblicato.

124

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 7212/3238. Washington, 19 agosto 19491.

Sulla base delle informazioni raccolte la settimana scorsa e tenendo presente il rapporto dei nostri capi di Stato Maggiore sulle conversazioni di Francoforte2, mi sono intrattenuto con Achilles in merito alle imminenti conversazioni sull’organizzazione del Patto atlantico ed alla partecipazione italiana ai Comitati militari del Patto medesimo.

Sul primo punto, Achilles mi ha confermato che le conversazioni avranno inizio probabilmente martedì 23 corr., anche se per quella data non sarà ancora avvenuto il deposito delle ratifiche da parte dei paesi che non vi hanno ancora provveduto e se, per conseguenza, il Patto non sarà ancora formalmente in vigore. Circa il ritardo della prevista cerimonia di deposito delle ratifiche, Achilles mi ha accennato ad alcune difficoltà procedurali concernenti la Francia, le quali sarebbero in via di sistemazione. Da altra fonte, peraltro, mi risulterebbe che le difficoltà non sono formali, ma sostanziali. A quanto pare, il Governo francese, anche in relazione a quanto emerso nel corso delle discussioni in Parlamento, si proponeva di accompagnare gli strumenti di ratifica con una nota in cui si accennava alla connessione fra il Patto ed il programma di riarmo, la quale nota poteva interpretarsi come una riserva posta alla ratifica. Il Governo americano, com’è naturale, non intende accettare una ratifica con riserva e si è espresso chiaramente in tal senso con quello di Parigi.

Sul secondo punto (cioè sulla partecipazione italiana agli organi militari) ho domandato ad Achilles cosa significasse l’indicazione «participation as appropriate», che, sul grafico dell’organizzazione dei Comitati militari, è applicata a taluni paesi, là dove si prevede la loro partecipazione a taluni Comitati regionali (com’è noto, tale indicazione si applica, fra l’altro, all’Italia per quanto riguarda la sua partecipazione al Comitato dell’Europa occidentale). Achilles mi ha spiegato che quel-l’indicazione non ha, per ora, nessun significato preciso ed è soltanto la conseguenza del disaccordo tuttora esistente, fra le autorità militari dei vari paesi, in merito ai

2 Vedi D. 110, nota 3.

futuri rapporti fra gli organi dell’Unione Occidentale e quelli del Patto atlantico. In pratica, nel contrasto tra la tendenza che vorrebbe creare ex novo l’organizzazione del Patto atlantico e quella che vorrebbe utilizzare, per quanto possibile, la già esistente organizzazione dell’Unione Occidentale, non vi è stata né vittoria dell’una o dell’altra, né compromesso fra le due. Lo «schema B», verso il quale si sono orientate le autorità militari di quasi tutti i paesi interessati (compresa l’Italia) sancisce, tendenzialmente, il concetto della separazione. Tuttavia, l’intera materia essendo ancora allo stato fluido, vi è ancora chi vorrebbe che gli organi dell’Unione Occidentale entrassero a far parte di quelli del Patto, o fossero collegati ad esso, in guisa tale che il previsto Comitato regionale dell’Europa occidentale risultasse formato dal Comitato dei capi di Stato Maggiore dell’Unione Occidentale, con la duplice aggiunta degli osservatori americani e canadesi (che già sono accreditati presso tale Comitato), nonché dei rappresentanti dell’Italia e della Danimarca. La forma della partecipazione di questi ultimi dovrebbe essere studiata. Di qui le due indicazioni, che si trovano nel grafico: per gli Stati Uniti e per il Canada, «present relationship maintained»: per l’Italia e la Danimarca, «participation as appropriate». Lo stesso sistema sarebbe stato esteso, per analogia, ad altri paesi per altri Comitati regionali.

Achilles ha aggiunto che il Dipartimento di Stato, per quanto lo concerne, è nettamente favorevole alla separazione fra gli organi dell’Unione Occidentale e quelli del Patto di Bruxelles e, pertanto, ritiene che i paesi rappresentati nel Comitato regionale dell’Europa occidentale dovrebbero entrarvi uti singuli ed indipendentemente dalle posizioni occupate in seno all’Unione Occidentale. In tal caso il collegamento fra le due organizzazioni sarebbe assicurato esclusivamente mediante la presenza delle stesse persone nell’una e nell’altra. Tuttavia, secondo quanto Achilles mi ha detto, queste autorità militari non hanno ancora formato nettamente la loro opinione a tale proposito e, comunque, sono contrarie ad una piena partecipazione americana ai Comitati regionali dell’Europa occidentale e dell’Europa settentrionale.

Ho assicurato Achilles che avrei informato il Governo italiano di quanto da lui comunicatomi circa lo schema generale che, a seguito del viaggio dei capi di Stato Maggiore in Europa, servirebbe come base di discussione per l’istituzione degli organi militari del Patto atlantico. Gli ho detto inoltre che non ero ancora in grado di fargli conoscere le reazioni italiane, le quali del resto non potevano essere esplicate su tutti i punti, trattandosi finora di uno schema teorico e molte cose dipendendo dalla sua attuazione pratica. Ho aggiunto, però, alcune considerazioni personali di carattere generale, che riassumo qui di seguito.

L’Italia è entrata nel Patto atlantico col proposito di partecipare attivamente alla comune difesa. Il contributo ch’essa si accinge a dare è cospicuo, per la posizione geografica del nostro paese (la quale da un lato lo rende particolarmente vulnerabile e dall’altro mette a disposizione dei paesi del Patto atlantico posizioni di grande valore), nonché per l’insieme delle sue risorse umane, tecniche, industriali, ecc. D’altra parte, dopo alcune incertezze sorte durante le trattative che hanno condotto alla stipulazione del Patto, questo è stato formulato in modo da escludere ogni discriminazione fra i paesi partecipanti. Di conseguenza, una nostra partecipazione agli istituendi organi militari, che risultasse menomata nella forma o nella sostanza, sarebbe al tempo stesso ingiusta per l’Italia e dannosa per gli altri paesi.

Mi sono, nel dire ciò, richiamato ai colloqui fra V.E. e l’ambasciatore Dunn (di cui alle comunicazioni di V.E. all’ambasciatore a Parigi)3. Ho, inoltre, rilevato che, nello schema contemplato, l’Italia non soltanto sarebbe stata esclusa dal Comitato esecutivo (Steering and Executive Group), ma avrebbe anche potuto avere una posizione minorata in seno al Comitato regionale dell’Europa occidentale.

Achilles mi ha confermato che lo schema contemplato è soltanto una base di discussione, perché in questa materia si è ancora ben lungi da un accordo sia pure di massima ed anche perché le decisioni in proposito non potranno essere adottate che dal Comitato plenario, quando sarà regolarmente costituito, cosicché il Governo italiano avrà la più ampia facoltà di discussione, tanto durante le conversazioni preparatorie quanto in sede di Consiglio del Patto atlantico e di Comitato di difesa.

Egli mi ha confermato altresì le assicurazioni date dall’ambasciatore Dunn a V.E., non solo nel senso suindicato, ma anche sul fatto che il Governo americano esclude la possibilità di stabilire che qualche paese assuma la rappresentanza di altri. Ha poi ben precisato che ciascun paese sarà chiamato a far parte del Comitato esecutivo, quando si trattino questioni che interessano direttamente la sua zona.

Infine Achilles mi ha dichiarato di rendersi perfettamente conto delle esigenze pratiche e morali del Governo italiano ed ha promesso che, nel corso delle discussioni, gli Stati Uniti le terranno presenti con la massima simpatia.

124 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

125

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 7151/181. Roma, 20 agosto 1949, ore 19,30.

Mio 1711.

Ripetute segnalazioni pervenute in questi giorni stanno ad indicare che situazione italiani Zona B, lungi dal migliorare, ha subito ulteriore peggioramento. Così, ad esempio, secondo fonti degne di fede, sfratti famiglie italiani, per far posto famiglie provenienti dalla Jugoslavia, sarebbero in continuo aumento; tutti i registri parrocchiali sarebbero stati sequestrati rendendo impossibile rilascio certificati spesso indispensabili; infine giungono notizie di continui arresti di cui appare evidente il movente politico.

Tali fatti hanno prodotto impressione non soltanto in ambienti triestini ma in genere su opinione pubblica italiana. Richiami su di essi seria attenzione di codesto Governo rammentando che soltanto a fatica abbiamo potuto superare crisi in rapporti italo-jugoslavi determinata da misure monetarie in Zona B2. Con la conclusione del

2 Vedi D. 16.

l’accordo economico3 abbiamo inteso porre basi per uno sviluppo positivo e amichevole delle nostre relazioni; ma, venendo all’indomani conclusione accordo stesso e in così aperto contrasto con i propositi espressi alla S.V. dal maresciallo Tito4, persistente azione jugoslava contro elementi italiani Istria occidentale non mancherebbe di provocare reazioni psicologiche tali da rendere oltremodo difficile politica che il Governo italiano vuole perseguire.

Informiamo di quanto precede Washington, Londra e Parigi.

124 3 Vedi D. 7.

125 1 Dell’11 agosto, con il quale Zoppi aveva dato istruzioni di segnalare che, nell’attuale fasedistensiva dei rapporti tra i due paesi, il Governo italiano si attendeva un miglioramento della situazionedegli italiani d’Istria.

126

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI

T. S.N.D. 7174/410. Roma, 20 agosto 1949, ore 22.

Suo rapporto 3145 del 12 corrente1.

Posizione presa dei nostri capi di Stato Maggiore in riunione Francoforte le è stata già comunicata con telespresso 3/3279 del 12 corrente2.

Attuali proposte americane sono state subito comunicate a competenti organi Difesa, ma decisione è di tale importanza che verrà rimessa al Governo.

Né sembra essa possa essere costà discussa e decisa in riunione a livello consiglieri. In ogni caso S.V. vorrà riservare posizione italiana accettando se necessario di esaminare e discutere proposte, in riunione preparatoria, soltanto ad referendum. Come è già stato spiegato oralmente ad ambasciatore Tarchiani, è comunque necessario far presente con ogni chiarezza al Governo americano che eventuale esclusione Italia dal cosiddetto Comitato esecutivo provocherebbe sicuramente delusione e reazioni nostra opinione pubblica, susciterebbe aspri attacchi da parte opposizione e metterebbe Governo, che ha testé dovuto superare battaglia per ratifica, in posizione imbarazzante. Tanto più che assicurazioni datemi erano nel senso che Italia avrebbe fatto parte tutti gli organi che venissero creati per applicazione Patto.

A titolo personale potrà aggiungere che noi ci rendiamo conto che alcune questioni di strategia intercontinentale possono essere più utilmente discusse da certe potenze che abbiano una data posizione geografica propria e dei loro possedimenti coloniali; ma tali questioni, a nostro parere, possono benissimo essere trattate in via di fatto sia attraverso organizzazioni già esistenti (Combined staffs), sia tra gli Stati Maggiori più interessati, sia tra uffici esecutivi Comando supremo qualora si addivenisse a questa ultima soluzione che effettivamente era tra quelle prospettate a Francoforte.

4 Vedi D. 86.

2 Vedi D. 110, nota 3.

Perciò, mentre in linea di massima sembra potersi esaminare favorevolmente proposta cinque Comitati regionali (per sede di quello Mediterraneo occidentale sembrerebbe più opportuno scegliere Roma), S.V. vorrà riservare, con considerazioni svolte più sopra, ogni decisione per quanto riguarda Comitato esecutivo manifestando nostra esigenza farne parte e necessità trovare soluzioni pratiche che permettano superare eventuali difficoltà e resistenze3.

125 3 Vedi D. 88.

126 1 Vedi D. 110.

127

L’INCARICATO D’AFFARI A LIMA, SPALAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9140/42. Lima, 20 agosto 1949, ore 8,49 (perv. ore 17,30).

Missione onorevoli Aldisio Brusasca qui giunta sera quindici corrente per aereo proveniente Santiago considerata ospite onore Governo peruviano e città Lima stata oggetto accoglienze particolarmente fervide. Colloqui con presidente Giunta militare Governo e ministro esteri visite cardinale primate vari membri Governo titolari principali cariche e eminenti personalità politiche rispecchiando atteggiamento vivissima simpatia nostro paese e confermando antica amicizia peruviana hanno dimostrato piena solidarietà campo internazionale ammirazione progressi rinascente Italia democratica desiderio più intense relazioni.

Presidente generale Odria intervenuto pranzo ambasciata e offerto colazione palazzo Governo. Missione rivolto per radio saluto popolo peruviano visitato vari istituti associazioni italiane presieduto riunione nostra collettività sede ambasciata vibrante atmosfera entusiasmo. Stampa dedicato ampie interviste e calorosi articoli commento oltre diffusi notiziari cronaca. Soggiorno missione costituito avvenimento prevalente importanza nello interessamento opinione pubblica. Dopo tre giorni permanenza missione partita via aerea stamane venerdì per La Paz1.

126 3 Per la risposta vedi D. 136.

127 1 Con T. 9223/44 del 22 agosto Spalazzi aggiungeva: «Onorevoli Aldisio Brusasca tornati davisita La Paz hanno ieri domenica qui firmato con ministro esteri peruviano protocollo amicizia collaborazione fra Italia Perù. Discorsi pronunziati cerimonia hanno posto rilievo significato e finalità accordo;qui relativo comunicato ufficiale riprodotto tutti quotidiani stampa. Missione ripartita aereo stamanelunedì diretta Quito». Per il testo del protocollo vedi MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXX, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1976, pp. 571-519.

128

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAN

L. Roma, 20 agosto 1949.

Voici, l’aide-mémoire que je vous ai promis à Strasbourg1 sur nos vues concernant la Tripolitaine. Il résume de la façon la plus exacte ce que je déclarai au Conseil des Ministres, qui approuva.

Vous comprenez pourquoi je vous demande que le document et son contenu restent strictement pour vous personnellement et vos collaborateurs les plus intimes, sans devenir une pièce à circuler.

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAN

PROMEMORIA. Roma, 17 agosto 1949.

Le proposte formulate dal Governo italiano per la Tripolitania tendono, nella impossibilità ormai riconosciuta di stabilire in quel territorio un trusteeship italiano, a stabilirvi almeno una prevalente influenza italiana. Le proposte si basano sulla indipendenza della Tripolitania e sulla conclusione di un accordo di collaborazione tra il Governo italiano ed il Governo di Tripoli.

Con la indipendenza si dovrebbe ottenere la fine del regime di occupazione militare britannica per poter far leva sui sentimenti italofili ancor diffusi in molti strati della popolazione indigena allo scopo di sostituire all’attuale pressione inglese l’influenza italiana. Con l’accordo si cercherebbe di realizzare tale influenza: 1) stabilendo che gli italiani della Tripolitania debbono divenire cittadini del paese di pieno diritto con speciale statuto; 2) che la Tripolitania rimane nell’area della lira e unita economicamente all’Italia (ciò che è indispensabile per il suo sviluppo); 3) che per costituire il nuovo Stato e le sue amministrazioni tecniche la Tripolitania si valga di istruttori, tecnici e consiglieri italiani.

Il Governo italiano ritiene che per poter realizzare questi due postulati (indipendenza e accordo) occorre:

1) che l’indipendenza sia immediata o quanto più rapida possibile. Se così non fosse, se cioè l’occupazione britannica dovesse prolungarsi a lungo dopo la dichiarazione di indipendenza, si verrebbe ad avere praticamente una specie di trusteeship britannico, e durante questo periodo sarebbero le autorità britanniche a preparare l’indipendenza, a istruire e scegliere i quadri indigeni, a fornire gli esperti europei. Al termine di questo periodo il nuovo Governo

della Tripolitania non avrebbe più alcun interesse né alcuna disposizione a concludere col Governo italiano un accordo del genere di quello sopra prospettato, e il massimo che si potrebbe ottenere da uno Stato già organizzato e funzionante sarebbe un accordo per la semplice tutela degli interessi italiani in loco;

2) che si provveda alla costituzione di un Governo rappresentativo, mediante libere elezioni. Questa elezioni appaiono necessarie per poter ottenere una fotografia esatta della situazione e del reale stato d’animo delle popolazioni locali. Vi sono fondate speranze che in caso di libere elezioni i sentimenti delle correnti italofile possano affermarsi meglio che attraverso la costituzione di un Governo di notabili tra i quali vi sono varie personalità messe innanzi dall’attuale occupante ma che, a dire di molti, avrebbero scarso seguito nel paese. Naturalmente l’organizzazione e lo svolgimento delle elezioni dovrebbero avvenire sotto controllo internazionale. Inoltre la costituzione di un Governo che sia emanazione di libere elezioni offre maggiori garanzie per l’accordo che si vuole con esso concludere. Un Governo non rappresentativo, il quale prima o poi si dovrà presentare al corpo elettorale, difficilmente si assumerebbe la responsabilità di concludere un accordo con l’ex potenza sovrana e, quando anche lo concludesse, tale accordo rischierebbe di diventare poi argomento di speculazione nella lotta elettorale fra le varie correnti al momento delle elezioni. Non mancano esempi di ciò nella storia recente di paesi arabi a proposito di accordi conclusi con le potenze ex protettrici o mandatarie (es. Egitto, Siria, Iraq).

128 1 Vedi D. 116.

129

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9190/44. La Paz, 21 agosto 1949, ore 11,39 (perv. ore 23).

Firmato oggi protocollo amicizia collaborazione italo-boliviano1. Suggeriamo invio telegramma a questo presidente interinale Urriolagoitia. Questo Governo manifestato in conversazioni confidenziali e dichiarazioni pubbliche attribuire rilevante concreto interesse ad accordo come premessa ulteriori intese economiche emigrazione culturali. Parimenti è stato confermato proposito prestare pieno appoggio in prossima fase questione africana.

129 1 Testo edito in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXX, cit., pp. 502-503.

130

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 1536/S.N. Lima, 21 agosto 1949 (perv. il 29).

Corso prolungata conversazione avuta ieri La Paz quel ministro affari esteri ha tenuto ad assicurarmi che Bolivia «continuerà la sua politica deciso appoggio all’Italia» in ogni questione nostro interesse. Egli dichiaratomi poi che suo Governo fa molto assegnamento su nostra assistenza tecnica e culturale, su incremento interscambio commerciale e su creazione forte corrente emigratoria italiana, onde superare difficoltà carattere economico-sociale che attraversa paese e favorire suo progressivo sviluppo. Ministro ha fatto al riguardo concrete proposte suggerendo fra l’altro:

— -immediato studio sul posto effettiva possibilità colonizzazione italiana in Bolivia mediante invio due nostri esperti; - — -invio certo numero professori italiani che saranno retribuiti da Università boliviane.

Poiché tali richieste corrispondono effettive sostanziali necessità Bolivia ho da parte mia assicurato nostro massimo interessamento.

Su conversazione è stato diramato lungo comunicato ufficiale in termini assai cordiali ed espliciti.

Ritengo utile che suddette richieste facciano oggetto qualche nostra sia pur generica comunicazione a presidente delegazione O.N.U. Costa du Rels che sarà costì entro prima settimana settembre.

Ho intanto impartito istruzioni del caso a Giardini che ha svolto La Paz opera costruttiva e vi gode meritato prestigio.

131

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9220/171. Mosca, 22 agosto 1949, ore 20,14 (perv. ore 21,40).

Anche nuova nota sovietica a Belgrado pubblicata ieri vistosamente da tutti quotidiani è seguita oggi da ampia riproduzione commenti stampa estera. Essenzialmente si batte sul tema che Governo Tito è stato definitivamente smascherato come Governo di tipo poliziesco nazifascita. Incertezza e qualche preoccupazione aveva destato in un primo momento questi circoli frase finale contenente vaga minaccia di contro-misure la quale sembra impegnare Governo sovietico di fronte propria opinione pubblica ad una qualche azione. Accurata lettura testo ci ha convinti tuttavia che minaccia è condizionata ad ulteriore azione jugoslava e consente quindi ritardare o anche evitare effettiva sua traduzione in atto. D’altra parte ipotesi azione militare è qui tuttora esclusa.

Non apparendo probabile ricorso O.N.U. ed essendo praticamente già in corso ritorsione economica non resterebbe che ipotesi di rappresaglie su cittadini jugoslavi in U.R.S.S. o paesi satelliti. Anche questa appare tuttavia dubbia dato che jugoslavi qui residenti da tempo si sono dichiarati contro Tito. Rimane quindi incertezza su effettivi sviluppi, ma prevale qui opinione che nel suo insieme la nota è troppo diffusa e polemica, e la conclusione è troppo vaga perché si possa pensare a imminenti provvedimenti veramente preoccupanti.

132

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9235/681-682. Washington, 22 agosto 1949, ore 20,20 (perv. ore 7,40 del 23).

Dipartimento Stato si accinge comunicare a singoli paesi membri Nazioni Unite suo punto di vista circa colonie. Comunicazione avrà carattere confidenziale non impegnativo e servirà a registrare reazioni preliminari dei vari paesi onde permettere a Governo americano stabilire suo atteggiamento prima della riunione Assemblea.

Punto di vista Stati Uniti sarà descritto come segue:

1) Libia. Stati Uniti ritengono che Nazioni Unite debbano orientarsi verso indipendenza e unità, destinate realizzarsi (in tempo imprecisato il più breve possibile) attraverso libera manifestazione volontà abitanti; questa dovrebbe esprimersi sotto egida Nazioni Unite e con l’ausilio di un Comitato consultivo composto da Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Egitto.

2) Eritrea. Stati Uniti hanno osservato attentamente recenti manifestazioni a favore indipendenza, ma continuano favorire, almeno per ora, spartizione fra Etiopia e Sudan, con garanzia protezione minoranze e con speciale statuto municipale Asmara Massaua.

3) Somalia. Stati Uniti favoriscono trusteeship italiano per imprecisato «adeguato» periodo.

Ho chiesto a Dipartimento Stato se, in pratica, manifestazione volontà popolare libica e creazione nuovo Stato avverrebbero sotto controllo Nazioni Unite, oppure Consiglio consultivo oppure potenza amministratrice. Mi è stato risposto che, quantunque atteggiamento americano non vada per ora oltre linee generiche sopra descritte, principale responsabilità continuerebbe probabilmente gravare su potenza amministratrice, mentre Comitato avrebbe soltanto funzioni di assistenza consiglio e controllo.

Ho chiesto altresì se e quali speciali rapporti, secondo progetto americano, dovrebbero stabilirsi tra Italia e Tripolitania. Mi è stato risposto che Stati Uniti non (dico non) ritengono possibile inserire nelle deliberazioni Nazioni Unite nessun obbligo e neppure raccomandazione di stipulare trattato con Italia, tutt’al più si potrebbe enunciare un riconoscimento speciali interessi italiani in Tripolitania. Mi è stato aggiunto che, ciò nonostante, vi sarebbero per Italia buone prospettive stabilire strette relazioni con nuovo Stato, attraverso accordi che questo negozierebbe liberamente in seguito. Ho chiesto infine in qual modo unità libica potrebbe conciliarsi con eventuali speciali vincoli tra Italia e Tripolitania.

Mi è stato risposto che Tripolitania godrebbe comunque larga autonomia e che Italia potrebbe stipulare con Libia accordi di cooperazione economica applicantisi soltanto a Tripolitania.

Dipartimento Stato ha aggiunto aver motivo ritenere che sue idee incontrano, in linea di massima, approvazione inglese.

Ho fatto presente a Dipartimento Stato che suo progetto mi sembrava confuso e pericoloso in quanto, mentre è ormai pacifico che Tripolitania deve essere avviata rapidamente verso indipendenza, ciò non può avvenire con procedura che in pratica lascerà cura della trasformazione a potenza occupante né senza tempestiva garanzia che interessi italiani nella regione nonché vincoli fra regione medesima e Italia siano rispettati.

Per Eritrea ho ripetuto noti concetti1.

133

L’AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3983/460. Santiago, 22 agosto 1949 (perv. il 29).

Nel trasmettere all’E.V. l’accluso rapporto1 con la dettagliata cronaca del soggiorno in Cile della missione Aldisio-Brusasca e dei suoi incontri, ho l’onore di aggiungere alcune impressioni, commenti e considerazioni che valgano a inquadrarla politicamente nella atmosfera in cui si è svolta e nei risultati raggiunti.

Il Cile ha tributato alla missione straordinaria italiana accoglienze veramente fuori dell’ordinario. Quando dico «il Cile» non intendo riferirmi soltanto alle sfere ufficiali, ma anche e soprattutto all’opinione pubblica, e più specialmente al Parlamen

to ed alla stampa. Tanto il Senato quanto la Camera hanno voluta riceverla ufficialmente nell’Aula, durante una seduta ordinaria, facendo prender posto al sen. Aldisio, quale vice presidente del Senato, nel banco della Presidenza, e all’on. Brusasca negli scanni riservati ai ministri di Gabinetto. I giornali, senza eccezione di partito, hanno per circa una settimana dato il posto d’onore alle notizie sull’attività della missione, dedicandovi interessanti ed amichevoli editoriali e pubblicando numerose fotografie.

Era stata mia cura preparare con speciale impegno questa parte del programma, per l’importanza che hanno in questo paese di sana democrazia — anche se retto da regime presidenziale — il Parlamento e la stampa; ma devo subito aggiungere che il «crescendo» dei consensi entusiastici intorno alla missione si deve alla capacità dei nostri parlamentari — ottimamente coadiuvati dal dott. Sensi — al loro tatto, alla chiarezza e all’acutezza delle loro idee e dei loro giudizi, al calore della loro esposizione, al sentimento patrio che, senza scivolare in facile rettorica, trapelava in ogni loro atteggiamento.

Le accoglienze sono state bensì rivolte all’Italia tradizionale, culla di cultura, di arte e di civiltà, legata da fraterni legami di stirpe, di storia e di sangue all’America latina; ma anche, direi anzi soprattutto, all’Italia di ora, miracolosamente risorta in pochi anni da una tragedia che sembrava doverla aver sconvolta per sempre, all’Italia che sta rapidamente ricostruendosi materialmente e moralmente, all’Italia democratica decisa a difendere la civiltà cristiana ed occidentale. Questo volto dell’Italia è qui, attualmente, la nostra forza maggiore; nella varie manifestazioni ed anche nel brindisi ufficiale del ministro degli affari esteri si è plaudito alla coraggiosa politica svolta in tal senso dal Governo italiano; la necessità di sostenere la nostra giovane democrazia nella sua lotta contro i totalitarismi — e soprattutto contro il comunismo — è l’argomento che qui fa più presa e, forse, quello che veramente ci ha valso il fermo appoggio del democratico, ma fermamente anticomunista, Governo cileno.

Oso dire che uno dei principali risultati raggiunti dalla missione Aldisio-Brusasca è appunto quello di aver fatto conoscere, sentire ed apprezzare, attraverso i loro contatti, le loro conversazioni ed i loro discorsi, quest’Italia nuova, viva e vitale; se ne è parlato al Parlamento e nella stampa e l’eco di quanto si è detto e scritto nei giorni scorsi è destinato a non spegnersi per molto tempo.

Ma a questo risultato di carattere generale, occorre aggiungerne subito un altro, di carattere specifico e concreto: l’aver ottenuto ripetutamente l’assicurazione che potremo continuare a contare sull’appoggio del Cile nelle prossime riunioni internazionali, tanto in linea generale, quanto per la questione delle ex colonie. Fin dal primo giorno il ministro degli affari esteri nel colloquio avuto con la missione si espresse in tal senso, nel brindisi alla colazione ufficiale ripetette esplicitamente l’assicurazione che «il Cile seguiterà ad aiutare l’Italia nelle Assemblee internazionali». Al Senato, il presidente di quell’alto consesso — che nel suo discorso ricordò tra l’altro con amichevoli espressioni gli incontri avuti con V.E. e l’opera da lei svolta — volle anch’egli sottolineare l’appoggio dell’opinione pubblica e del Governo alla causa italiana, terminando col chiedere pubblicamente al ministro degli affari esteri

— presente nell’aula — di «seguitare invariabilmente in questa politica di pace, giustizia ed equità».

Infine il presidente della Repubblica, nell’udienza concessa alla missione, si espresse analogamente, assicurando che l’Italia poteva continuare a contare sul pieno appoggio del Cile, «salvo eventi imprevisti di forza maggiore, indipendenti dalla vostra e nostra volontà» e «sempre nel presupposto che l’Italia si mantenga ferma nel suo atteggiamento di difesa della civiltà occidentale».

Che valore e quale interpretazione devono attribuirsi a queste riserve? A mio avviso, la prima, di carattere generico, può assumere una portata concreta o in caso di complicazioni internazionali, ora imprevedibili, che possano capovolgere i vari aspetti del problema, o in caso di forti pressioni nordamericane, finora peraltro non verificatesi, alle quali il Cile — come sempre ho fatto rilevare — non potrebbe per ovvie ragioni rimanere indifferente. La seconda si interpreta da sé e va collegata a quanto dicevo innanzi (cioè: il Cile appoggia l’Italia per aiutarla a difendersi contro il comunismo; se questa difesa si indebolisse, verrebbe meno anche l’appoggio cileno).

Nel colloquio col primo magistrato, l’on. Brusasca, a proposito dei problemi italiani ed in particolare di quelli del lavoro, accennò ai noti progetti di collaborazione «triangolare» (terre cilene, capitale nordamericano, lavoro italiano); l’accenno fu accolto con particolare vivissimo interesse, dal presidente. Sono certo che, come scrivo più dettagliatamente in altro rapporto, progetti del genere incontrerebbero in Cile il massimo favore e le maggiori facilitazioni. A proposito di questa collaborazione «triangolare», non sfuggirà all’E.V. il significato della colazione che questo mio collega nordamericano ha voluto offrire in onore della missione, con l’intervento anche di alte personalità cilene di origine italiana (Alessandri, Rossetti, ecc.).

Il sen. Aldisio e l’on. Brusasca hanno avuto modo di incontrare membri del Governo, parlamentari, personalità politiche, giornalisti, uomini di affari, industriali, agricoltori e persone della società; ma i loro contatti, indirizzati principalmente

— come era opportuno — verso il Cile e i cileni, si sono naturalmente estesi anche alla non numerosa collettività italiana qui residente. Il banchetto del 13 corrente indetto dall’Istituto di cultura cileno-italiano con la collaborazione di quasi tutte le associazioni italiane della città ha riunito, intorno alla missione, cui facevano corona le più importanti autorità del paese ed i presidenti delle associazioni stesse, oltre duecento connazionali e figli di connazionali, che hanno entusiasticamente applaudito i nostri parlamentari e, ciò che è particolarmente significativo, i loro inviti all’unione e alla concordia. La loro visita alla Scuola italiana (la cui atmosfera era, sino a poco tempo fa, una delle più difficili) e allo Stadio italiano ha valso a far avvicinare ancor più la collettività all’Italia attuale. Anche il giorno passato a Valparaiso — dove, purtroppo, le associazioni italiane si sono astenute dal prendere parte alle accoglienze, per la nota situazione di quella collettività — e le commoventi e serene parole dette dall’on. Brusasca al gruppo di connazionali che partecipavano al ricevimento al consolato generale porteranno, senza dubbio, i loro buoni frutti ai fini della distensione degli animi.

In conclusione, mi sembra possa senz’altro affermarsi che il bilancio dei risultati ottenuti in Cile dalla missione Aldisio-Brusasca sia brillantemente attivo; in questo senso, del resto, si sono espressi meco, felicitandosene, tutte le personalità — a cominciare dal ministro degli affari esteri Riesco Errazuriz — che mi sono recato a visitare dopo la partenza degli illustri parlamentari, per ringraziarle, anche a nome del Governo, delle accoglienze a lei tributate.

132 1 Zoppi ritrasmise questo telegramma a tutte le rappresentanze presso gli Stati membri del-l’O.N.U. (T. segreto 3/3397/C. del 23 agosto) con le istruzioni di sottolineare ai rispettivi Governi diaccreditamento che: «Il Governo italiano mantiene il proprio punto di vista il quale ha il pregio di salvaguardare l’indipendenza e l’integrità della Eritrea (conformemente ai voti della maggioranza della popolazione) e di accelerare i tempi e semplificare le modalità dell’indipendenza e della liberazione della Tripolitania, senza compromettere il principio della unità della Libia».

133 1 R. 3979/456 del 20 agosto, non pubblicato.

134

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3137/668. Vienna, 22 agosto 1949 (perv. il 31).

Mi riferisco ai telespressi ministeriali, n. 16/14095/83 del 22 luglio u.s., n. 16/15218/91 dell’8 agosto e n. 16/15492/92 del 12 corrente1.

Riferii a suo tempo le disposizioni che si preparavano nonché infine i testi in questione, senza particolari osservazioni e commenti, perché in parte si ricollegavano a questioni ed elementi già noti (in buona parte risalgono al dicembre scorso in diretta connessione con le delibere ministeriali del novembre precedente e vedi in proposito il mio rapporto n. 15108/1431 del 17 dicembre u.s.2 e per le questioni generali e di principio gli altri rapporti ivi citati e su cui mi permetto richiamare l’attenzione) e in parte perché in realtà non mi sembrava che i testi medesimi richiedessero nel loro elemento dispositivo particolari chiarimenti e osservazioni. Ma vi è poi soprattutto un altro motivo e precisamente che per essere in grado di valutare criticamente e in senso pratico la situazione e il da fare e non limitarsi ad una trattazione teorica e quasi accademica occorrerebbe sapere quale sia il nostro pensiero e i nostri propositi circa il regolamento giuridico degli atti di revoca delle opzioni, dopo il fermo intervenuto nel febbraio scorso3 e la diffida che lo precedette e lo sottolineò. E le comunicazioni che mi sono pervenute in argomento in questi ormai ben otto mesi, saltuarie e in senso non sempre concorde e univoco, non mi hanno fornito alcun elemento di giudizio e di informazione utile. Col rapporto n. 1965/402 del 7 maggio u.s.4, avanzai alcune considerazioni e ipotesi a scopo direi «provocatorio», ma non ne ho ricevuto alcuna reazione: quelle considerazioni e ipotesi mantengono tuttavia un loro valore di attualità e corrispondono in parte anche a un insieme di riflessioni ed idee in materia di optanti e opzioni, che si sono venute maturando in questi mesi di raccolta e non inoperosa e soprattutto non inutile attesa.

Il problema è sempre lo stesso: come uscire dalla situazione attuale con vantaggio e quale l’atteggiamento da assumere e da svolgere in sede sostanziale e in sede tattica?

V.E. mi consenta che non svolga ulteriormente questi miei personali e unilaterali pensieri, che avrebbero bisogno d’altra parte, per definirsi, del contrappeso della conoscenza e valutazione di quello che si pensa a Roma, presso codesto Ministero e la Presidenza del Consiglio, sull’argomento principale. Mi limiterò a osservare assai succintamente:

2 Non pubblicato.

3 Vedi serie undicesima, vol. II, DD. 216, 225 e 233.

4 Ibid., D. 889.

a) le disposizioni attuali non introducono un elemento sostanzialmente nuovo, in quanto ci erano già note, né si poteva ormai presumere fossero molto diverse;

b) la situazione attuale è caratterizzata da due situazioni parallele: dal lato italiano sospensiva unilaterale nella delibazione delle domande di revoca, dal lato austriaco disposizioni varie in materia di acquisto di cittadinanza austriaca, che al tempo stesso facilitano e non facilitano l’acquisto medesimo. Situazioni parallele, ho detto: le parallele, è notorio che non si incontrano. Quando e come farle incontrare?

c) il valore di queste disposizioni è oggi, a revoche concluse col 3 febbraio, quando la consistenza cioè delle revoche si è disgraziatamente, almeno formalmente, consolidata e conclusa a nostro sfavore, completamente diverso da quello che sarebbe stato prima del 3 febbraio.

Da tutto quanto precede, verrei solo, per ora, ad una conclusione: per riacquistare una certa libertà tattica e di manovra, a fini prossimi o remoti, e per l’inevitabile sviluppo che la questione dovrà pure avere, mi limiterei ad una riserva assai sobria e generica, che in sostanza dica al massimo che si è presa conoscenza di tali provvedimenti, che ad un primo esame sembrano contrastare peraltro con lo spirito (e la lettera?) che dovrebbe regolare la materia, rilevando semmai che essi sono stati presi unilateralmente, senza consultazione con il Governo italiano, in materia che è in ogni caso di interesse comune: aggiungo io, a commento, con evidente scorrettezza formale e di procedura, che può giovare non fare passare inosservata.

Tutto ciò senza pregiudicare in nulla, ci dà respiro e ci fa guadagnare tempo, per riflettere e decidere sul da fare5.

134 1 Con tali comunicazioni erano state trasmesse a Cosmelli le osservazioni della Presidenza del Consiglio dei ministri (vedi D. 79) e del Ministero dell’interno circa il provvedimento austriaco del3 maggio.

135

IL CONSOLE GENERALE A WELLINGTON, DE REGE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1085/356. Wellington, 22 agosto 19491.

In adempimento alle istruzioni contenute nel telespresso ministeriale n. 61/9396/78 del 30 luglio u.s.2, ho chiesto confidenzialmente a questo segretario generale se la Nuova Zelanda sarebbe stata disposta ad addivenire con l’Italia ad uno scambio di rappresentanze diplomatiche.

Il signor McIntosh mi rispose che l’invio di una rappresentanza neozelandese in Italia è per il momento e per vario tempo ancora impossibile sia per la mancanza di personale di cui soffre tutta l’amministrazione neozelandese, sia per le difficoltà di carattere finanziario e psicologico: per quest’ultime si intendono le difficoltà che l’opposizione filo-britannica solleva al Governo laburista ogni qualvolta crede di poterlo accusare di allentare i legami con la madrepatria.

2 Non pubblicato.

Per quanto concerne l’istituzione di una legazione italiana in Nuova Zelanda, questo segretario generale, pur riservandosi di farmi sapere in seguito qualche cosa di più preciso, non ritiene che vi sarebbero difficoltà da parte neozelandese, sempreché l’Italia, per i motivi suaccennati, rinunci a chiedere la reciprocità.

Il signor McIntosh mi chiese ancora se, il giorno in cui la Nuova Zelanda potrà nominare un ministro a Parigi, l’Italia avrebbe difficoltà ad accettare l’accreditamento dello stesso anche a Roma e mi disse che il Belgio, l’Olanda e la Danimarca hanno accettato tale proposta. Mi disse che gli dispiaceva di dover chiarire così nettamente tutti questi punti, ma che era successo che un paese (evidentemente la Francia), col quale non si era provveduto a mettere tutto ben in chiaro in antecedenza, si era risentito per la mancata reciprocità ed aveva poi insistito tanto che il Governo aveva dovuto finire per cedere, malgrado ciò gli avesse costituito un peso di carattere amministrativo, finanziario e parlamentare.

Mi aggiunse che egli personalmente si rendeva conto della necessità che i quadri del servizio diplomatico così come le rappresentanze all’estero fossero sufficienti ai bisogni e alla posizione della Nuova Zelanda, ma che aveva le sue difficoltà a far capire, specialmente all’opposizione nazionalista, che non si può essere una nazione sovrana ed indipendente che pretende di avere una propria voce nelle conferenze internazionali e poi farsi rappresentare dalla Gran Bretagna «ingenerando all’estero pregiudizi e impressioni spiacevoli».

Mentre mi riservo di far conoscere a codesto Ministero le comunicazioni che il signor McIntosh mi farà ulteriormente in merito, mi richiamo, a proposito della reciprocità, a quanto avevo avuto occasione di riferire ultimamente con la mia lettera n. 920/284 del 18 luglio u.s.2 e prego di volermi far conoscere se e quale risposta possa dare a proposito dell’accreditamento a Roma del ministro di Nuova Zelanda a Parigi3.

134 5 Per il commento della Presidenza del Consiglio su queste valutazioni vedi D. 349.

135 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

136

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9271/684. Washington, 23 agosto 1949, ore 18,39 (perv. ore 8 del 24).

Suo 4101.

Mi sono nuovamente intrattenuto con Achilles su organi militari Patto atlantico.

In merito a Comitato esecutivo ho prospettato necessità che, qualora tale Comitato sia effettivamente istituito, Italia ne faccia parte, a causa ripercussioni che esclu

sione provocherebbe ed in vista contributo che nostro paese, per sua posizione geografica e per suo potenziale umano e industriale, sarà chiamato fornire a difesa comune.

Per Comitato regionale Europa occidentale ho rilevato necessità chiarire che partecipazione italiana sarà piena e identica a quella altri paesi.

Infine, per Comitato regionale Mediterraneo occidentale, ho fatto presente opportunità fissarne sede a Roma.

Su primo punto Achilles, pure apprezzando punto di vista italiano, ha confermato intenzione autorità militari restringere Comitato esecutivo a non più di tre membri ed ha espresso dubbi su possibilità aggiungervi Italia. Ho insistito su possibilità che, in caso di rinuncia a creazione suddetto Comitato, taluni problemi di strategia intercontinentale siano discussi di fatto in sede più ristretta. Achilles si è mostrato incerto se sia praticamente possibile operare in tal senso. Egli ha fatto presente che comunque decisioni su organizzazione militare come su ogni altro problema dovranno essere collettive ed ha suggerito che, pertanto, nostro punto di vista sia tempestivamente prospettato anche a altri Governi interessati.

Circa Comitato regionale Europa occidentale, Achilles ha ripetuto (vedi mio rapporto 3238 del 19 corr.)2 che tale materia è assolutamente fluida e aperta alla discussione e che, in ogni caso, Stati Uniti non (dico non) desiderano per sé piena partecipazione a detto Comitato.

Circa sede Comitato regionale Mediterraneo occidentale, Achilles ha detto che a suo giudizio personale Stati Uniti non hanno preferenze e vedranno con simpatia eventuale richiesta italiana per Roma.

Riunioni preliminari di cui a mie precedenti comunicazioni avranno luogo a partire da oggi3. Esse procederanno analogamente a quelle nelle quali fu discusso a suo tempo Patto atlantico. Pertanto partecipanti tratteranno ad referendum.

135 3 Con Telespr. 62/11119/11 del 10 settembre Zoppi rispose: «Nel corso di ulteriori conversazioni con il signor McIntosh la S.V. potrà assicurare che il Governo italiano, animato dal desiderio diveder stabilite al più presto relazioni diplomatiche tra i due paesi, non avrebbe nulla in contrario a unprovvisorio accreditamento a Roma del ministro di Nuova Zelanda a Parigi».

136 1 Vedi D. 126.

137

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9270/686-687. Washington, 23 agosto 1949, ore 20,27 (perv. ore 8 del 24).

Mio 6841.

Ha avuto oggi luogo prima seduta «Working Group» a livello consiglieri per organizzazione Patto atlantico. Da parte americana erano presenti Perkins e Achilles.

Perkins ha sottoposto elenco argomenti discussione affinché ne fosse iniziato esame preliminare ed affinché rappresentanti ciascun paese potessero riferire a rispettivi Governi e riceverne istruzioni.

3 Vedi D. 137.

È stata esaminata prima parte detto elenco, concernente Consiglio politico. Principali punti in discussione sono i seguenti:

1) Frequenza sessioni. Stati Uniti ritengono che il Consiglio dovrebbe riunirsi almeno una volta e non più di due volte all’anno, salvo riunioni speciali da convocarsi a richiesta della maggioranza e salvo casi di emergenza in cui operi articolo 4.

2) Tempo e luogo sessioni. Stati Uniti propendono stabilire che, per ragioni pratiche, Consiglio si riunisca poco prima o poco dopo Assemblee Nazioni Unite, nella stessa località o in località vicine.

3) Presidenza. È stata prospettata opportunità nominare presidente primo anno segretario di Stato americano (quale rappresentante potenza invitante prima sessione) ed effettuare anni successivi rotazione ordine alfabetico paesi membri.

4) Segretariato. Stati Uniti tendono a escludere opportunità costituire Segretariato permanente.

È stata inoltre discussa data della prima riunione ministri affari esteri a Washington ed è stato proposto 15 settembre.

È stata successivamente discussa data della prima riunione Comitato difesa (che si pensa dovrebbe essere composto da ministri difesa) ed è stato proposto essa abbia luogo da 10 a 15 giorni dopo Consiglio.

Infine, in vista future discussioni, Perkins ha sottoposto nuovo progetto organizzazione militare Patto. Esso differisce da «schema B» (allegato al mio telespresso 3175 del 17 corrente)2 in due punti:

1) prevede creazione Commissione speciale per questioni economico-finanziarie, alle dipendenze Consiglio e in collegamento con Ufficio rifornimenti;

2) prevede che paesi non membri Comitato esecutivo abbiano tuttavia rappresentanti accreditati presso di esso.

Tale ultima variante, cui effettiva efficacia non può naturalmente ricavarsi da semplice enunciazione, è stata evidentemente introdotta per tener conto obiezioni sollevate su composizione Comitato esecutivo da noi e forse anche da altri.

«Working Group» si riunirà nuovamente domani. Per prevenire speculazioni stampa, Dipartimento Stato ha diramato breve notizia di carattere non ufficiale. Essa annunzia inizio riunioni tendenti a formulare proposte da sottoporsi a rispettivi Governi circa organizzazione Patto nonché a concordare data e luogo prima riunione Consiglio.

Invio per corriere speciale documenti su menzionati accompagnati da rapporto dettagliato3.

Prego inviarmi appena possibile istruzioni su punti discussi oggi ed in particolare circa data riunione Consiglio e Comitato difesa4.

3 Non rinvenuto.

4 Per la risposta vedi D. 145.

136 2 Vedi D. 124.

137 1 Vedi D. 136.

137 2 Vedi D. 110, nota 3.

138

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A WASHINGTON, LONDRA E PARIGI

T. 7244/C. Roma, 24 agosto 1949, ore 15,40.

(Per Parigi e Londra) Ho telegrafato a Washington quanto segue:

(Per tutti) Segnalazioni da varie fonti confermano che azione autorità jugoslave contro italiani Istria continua con crescente asprezza. Abbiamo dato incarico nostro ministro Belgrado fare energico passo presso quel Governo1. Ne informi codesto Governo, richiamando sua più seria attenzione su tale situazione e rilevando che buona disposizione sinora dimostrata da Italia nel risolvere numerose questioni pendenti con Jugoslavia, facilitando in tal modo politica comune tendente sostenere Tito e agganciarlo a Occidente, non viene affatto corrisposta da parte Governo Belgrado il quale continua trarne vantaggi senza mostrare minima intenzione riconoscere e rispettare nostri diritti e interessi. Anche recente tensione fra Mosca e Belgrado e conseguenti apprensioni che essa suscita in talune capitali occidentali vengono abilmente sfruttate da Governo jugoslavo per fare intanto propri interessi nella fiducia che nessuna obiezione gli verrà mossa da predette capitali soprattutto preoccupate sostenere suo regime. Si viene quindi creando situazione che non può non destare reazione opinione pubblica italiana e viva preoccupazione Governo. Ci riserviamo esaminare il da farsi; ma intanto al Dipartimento di Stato non dovrebbero mancare certamente argomenti e mezzi per far capire a Tito quanto sia imprudente in questo momento aggiungere altri imbarazzi ai già numerosi derivanti da sua presente posizione e per indurlo più miti consigli2.

139

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO 891 SEGR. POL. Roma, 24 agosto 1949.

Il ministro Byington mi ha letto un telegramma giunto oggi stesso da Washington, relativo al nostro progetto di nota all’O.N.U. per la Zona B1.

Il Dipartimento di Stato lo aveva incaricato di dirci che, a suo parere, il momento attuale non è opportuno per un’ampia discussione (full-dress debate) sulla Zona B.

2 Con T. 9423/702 del 26 agosto Luciolli rispose: «Dipartimento Stato assicura che situazioneZona B è seguita attentamente da Governo americano, il quale in questi giorni ha chiaramente espressosue preoccupazioni a quello jugoslavo per tramite dell’incaricato d’affari a Belgrado».

A Washington si sa già che non è nostra intenzione di provocare automaticamente un dibattito pubblico; e che ci saremmo limitati a inviare la lettera al segretario generale dell’O.N.U. senza chiedere che la questione venga iscritta all’ordine del giorno. Si teme però che lo stesso Tito non resista alla tentazione di dare battaglia in pubblico su uno dei pochi argomenti per i quali il popolo jugoslavo, unito, è più o meno d’accordo con lui.

Inoltre, sul terreno tecnico, gli americani ci rammentano che noi abbiamo declinato, tempo fa, il loro suggerimento di offrire agli jugoslavi le lire necessarie per la Zona B (beninteso a condizioni inaccettabili agli jugoslavi; il Ministero era fortemente in favore di questa proposta che è caduta per l’opposizione del tesoro e del commercio estero). Ma dopo ciò il Governo americano non ci potrebbe sostenere sulla nostra posizione, che esso considera in difetto dal lato tecnico-giuridico.

Su questo e su altri punti ci sarebbe molto da dire, e ne ho detto una parte a Byington. Ma lui stesso mi ha fatto capire che la vera opposizione viene dall’ambasciatore d’America a Belgrado (che sarà qui di passaggio tra pochi giorni, ed è già inteso che lo vedremo)2, il quale ha sposato la causa di Tito, teme per lui e desidera evitare qualsiasi cosa che lo possa indebolire.

Ho comunicato allora a Byington il nostro recente passo a Belgrado3. Che almeno il Governo americano ci appoggi e faccia capire a Tito la pazzia di lasciare mano libera ai piccoli dittatori locali della Zona B, la cui azione contraddice apertamente, e può mettere in pericolo, la politica ufficiale e dichiarata dei due Governi. Mi ha promesso che avrebbe fatto di tutto per convincere Washington ad agire in questo senso.

Per l’invio della nota gli ho detto semplicemente che avremmo chiesto istruzioni a V.E.

138 1 Vedi D. 125.

139 1 Vedi D. 123.

140

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 1525/090. Atene, 24 agosto 1949 (perv. il 1° settembre).

Riferimento: Telespresso di codesto Ministero n. 15/15233/C. in data 9 agosto corr.1.

Questo sottosegretario permanente agli affari esteri, Pipinelis, al quale comunicavo ieri che il Trattato di amicizia di San Remo sarà presentato al nostro Parlamento per la ratifica alla riapertura delle Camere fissata nella seconda metà del mese di settembre p.v. e che sarebbe stata desiderabile una certa contemporaneità nella ratifica greca, mi rispondeva proponendo che, da una parte e dall’altra, Italia e Grecia, aves

3 Vedi D. 125.

sero proceduto alla contemporanea ratifica non solo del Trattato di amicizia di San Remo, ma anche dei vari accordi in corso di firma attualmente a Roma.

Mi aggiungeva che da parte greca la cosa sarebbe stata facile essendo possibile al Governo greco avvalersi della procedura eccezionale di ratifica da parte della Commissione dei pieni poteri nominata da questo Parlamento per compiere, durante la sospensione dei lavori parlamentari, atti del genere.

Noto che la ripresa dei lavori parlamentari è fissata qui per il 1° novembre; si eviterebbe quindi con questa procedura una discussione parlamentare in cui elementi ostili potrebbero avere buon gioco a sollevare inopportune obbiezioni.

Mi riserbo verificare con maggiore cura la capacità giuridica della suddetta Commissione per la ratifica degli atti in questione.

139 2 Vedi D. 155.

140 1 Non rinvenuto.

141

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 2280/800. Atene, 24 agosto 19491.

A seguito del mio rapporto n. 2211/781 del 16 agosto corr.2 riferisco una lunga e cordiale conversazione avuta con Pipinelis, dal quale mi recai ieri ad esprimere il rincrescimento per l’attacco personale fattogli dal giornalista Fucci come da mio telegramma filo n. 163 del 20 corr.2.

Dissi a Pipinelis che in realtà sin dai primi di luglio u.s. Fucci riferì alla legazione di avere negli ambienti giornalistici ateniesi raccolta la voce che Pipinelis fosse nemico dell’Italia e si opponesse sistematicamente al regolamento delle questioni italiane anche quando le soluzioni proposte erano vantaggiose per la Grecia.

Speravo che Pipinelis, personalmente a me, cogliesse in qualche modo quest’occasione per esprimermi le ragioni che hanno ispirata la sua politica nei riguardi dell’Italia, come già rivelato al mio amico e di cui al mio telespresso urgente n. 079 del 14 luglio u.s.2.

Potevo infatti supporre che Pipinelis nel parlare col suddetto mio amico, molto probabilmente desiderasse che io venissi a conoscenza del suo intimo pensiero ed è altresì da ritenere che le stesse voci raccolte da Fucci ad Atene siano state da Pipinelis stesso messe in circolazione, tanto ormai egli sa essere noto a troppe persone il suo punto di vista, dopo il cross-examination di quattro ore subito davanti al Comitato di coordinamento governativo per difendere l’ostruzionismo da lui esercitato durante questi venti mesi di lunghe e penose trattative per sfociare negli accordi che stanno per essere firmati.

Invece nulla di tutto ciò.

2 Non pubblicato.

Pipinelis evasivamente rispose che lui non s’interessava degli attacchi personali perché aveva la coscienza tranquilla per avere fatto sempre il suo dovere a favore di una politica di amicizia e di rapido riavvicinamento all’Italia. Citò a questo proposito l’articolo di Sulzberger, che, apparso sul New York Times del 18 corrente, tesse l’elogio di Pipinelis nella politica d’amicizia verso l’Italia; articolo molto probabilmente da Pipinelis stesso ispirato, per mettersi a posto con gli americani. Disse che qualunque attacco non lo interessava affatto anche perché a lui poco importava conservare il posto che occupava mentre pensava con piacere a un piroscafo pronto per condurlo in un lungo viaggio che finiva in Svezia (sic) (la moglie è svedese).

Prese poi lo spunto per dirmi che molto si rallegrava della recente campagna scatenata sulla stampa greca a proposito del ritorno degli italiani in Grecia3 essendosi così l’opinione pubblica sbizzarrita col vantaggio di togliere molto peso alle future numerose critiche che certamente sarebbero state formulate contro gli accordi non appena firmati.

Il discorso ha poi girato volutamente su Tito a proposito del quale Pipinelis mi espresse il suo punto di vista riguardo alla violenza dell’ultima nota russa e alla politica che la Russia persegue verso la Jugoslavia.

Convenne che la Russia non pensa di fare la guerra a Tito e mi spiegò che, a suo modo di vedere, la Russia evidentemente spinge Tito verso l’Occidente sperando di perderlo come individuo. Perché Tito avendo il completo dominio dell’esercito, della polizia e di tutti i gangli vitali del paese, fonda però su organismi che sono al cento per cento convinti d’assoluto comunismo e perciò vivono ora in un equivoco fra Cominform e Tito, equivoco che Mosca, con la sua violenza, tende sempre più a sviluppare sperando che nella sfera occidentale l’urto dei due mondi e dei due sistemi, attraverso i controlli che il capitalismo certo imporrà alla Jugoslavia, determinerà fatalmente la rivolta degli elementi comunisti jugoslavi a favore del Cominform e Tito risulterà perduto.

Accennai al pericolo che in questo caso rinasceva per la Grecia la di cui situazione interna richiede lungo tempo per riconsolidarsi. Egli mi rispondeva che la Jugoslavia non rappresenta alcun pericolo perché in Jugoslavia vivono perennemente in contrasto un milione di bulgari (macedoni), 700 mila albanesi (Kossovo), 500 mila tedeschi, più italiani, rumeni, ungheresi, al punto di contare quattro milioni di minoranze nazionali su sette di intera popolazione, tutta in una disastrosa situazione economica. Mi citò l’esempio del 1921, al momento dell’accordo bulgaro-greco che riconosceva in Grecia l’esistenza d’una minoranza bulgara. La Jugoslavia subito insorse denunciando il proprio accordo con la Grecia, protestando perché il riconoscimento di una minoranza bulgara in Grecia poteva, in parallelismo con la Macedonia del Vardar, condurre in Jugoslavia il disastro. Così gli era stato obbiettato — aggiungeva Pipinelis — dall’allora ministro jugoslavo in carica.

Ho riportato questa interessante conversazione di Pipinelis perché essa mostra anzitutto la preoccupazione che egli tradisce mirante ad evitare le concessioni che dagli occidentali possono venire fatte a Tito specie per un eventuale ritorno dell’Albania nella sfera d’influenza jugoslava. Mostra altresì come Pipinelis vuol prospetta

re il rischio che, con ogni concessione ad una Jugoslavia oggi titina, gli Alleati corrono domani con una Jugoslavia cominformista.

Così pure nell’affermazione che a cagione del mosaico nazionale minoritario interno in Jugoslavia non sia possibile una seria reazione, la mente di Pipinelis evidentemente mira in contrasto a valorizzare la saldezza della Grecia ai fini di quella solita megalomane e assurda speranza di divenire i greci gli organizzatori dei Balcani come lunga mano inglese attraverso l’O.N.U.; speranza che purtroppo ha tanto ritardata la conclusione degli accordi con noi.

Cito qui una recente e sintomatica frase detta da Diomidis giorni sono all’ammiraglio americano. Diomidis — che come accennavo nel mio ultimo rapporto risulta opportunamente «lavorato» alla tesi anti-italiana — diceva all’ammiraglio americano a proposito delle recenti manovre a Creta (mio telespresso n. 2213/783 del 18 corrente)2: «perché non siete venuti a far le vostre manovre più in su?». Rispondeva l’ammiraglio: «A Corfù?». «No — insisteva Diomidis — più a nord ancora!». Cito questa frase in relazione a quanto Tsaldaris confessavami lo scorso febbraio (mio telespresso urgente n. 012 del 9 febbraio u.s.)4, al momento della caduta di Markos, quando Tsaldaris, ammettendo di aver proposto a Bebler a Parigi la spartizione del-l’Albania, mi diceva che egli avrebbe voluto bloccare le coste albanesi con le forze nazionali greche trattenute soltanto dall’opposizione americana, mentre i francesi all’O.N.U. si erano dimostrati meno avversi a questa idea.

A mio parere Pipinelis si sforza di mettere in evidenza tutti i lati pericolosi di una politica che tenda ad aiutare la Jugoslavia, politica che evidentemente porta Pipinelis a considerare la nostra politica nei Balcani in contrasto con quella greca.

A me sembra invece che la Russia, scartata l’ipotesi d’una guerra che non ha evidentemente la forza politica di fare, spinge Tito in braccio agli occidentali non per distruggere personalmente Tito, ma per distruggere gli occidentali e così spinge la Jugoslavia come si spingerebbe un carico di dinamite in una fortezza avversa.

Tito infatti non potrà mai abbandonare il comunismo perché annullerebbe immediatamente se stesso all’interno del paese (e qui Pipinelis ha ragione). Tito, d’altra parte, esiste per un nazionalismo fondato su di un’isteria indipendentista. Appunto perciò la Russia, nello spingere Tito in braccio agli occidentali, si studia di esasperare questa reazione del sentimento d’indipendenza titina a cui l’Occidente dovrà per forza fare ogni concessione esistenziale. Così la Russia spera, arretrando il suo sipario di ferro, gettare a catapulta nel campo avverso uno dei satelliti maturi di comunismo per quella disgregazione attraverso la quale Mosca soltanto può sperare d’imporre al mondo il suo diabolico «Paradiso terrestre».

Ebbi in complesso l’impressione che Pipinelis non si sente più tanto sicuro dal suo scranno e me lo dimostrò anche l’arrendevolezza che alla fine della conversazione inusitatamente manifestò alla mia domanda di contemporaneità delle ratifiche del Patto d’amicizia (mio odierno telespresso urgente n. 090)5. Egli, dopo aver riflettuto, quasi maturasse qualche grosso pensiero ed essere perciò rimasto assolutamente silenzioso per qualche minuto, uscì col dirmi: «Mi viene alla mente una soluzione

5 Vedi D. 140.

molto più radicale e simpatica: siano ratificati insieme tutti i patti, quello d’amicizia e quelli attualmente in firma, contemporaneamente e subito da entrambe le parti contraenti, Italia e Grecia».

In questo momento della firma dei patti in corso di negoziazione, Pipinelis, se non fosse altro, apparentemente dimostra una inaspettata buona fede. Purché questa non sia il riflesso d’una premeditazione, quella cioè di volerci addormentare, per impegnarci decisi e fidenti nelle riparazioni e, una volta poi attanagliate queste dagli interessi particolaristici, ricominciare l’esasperante sabotaggio (mio telegramma filo

n. 150 del 5 corrente)6, sabotaggio che, dopo la firma degli accordi, sarà anche più deleterio ai fini dei buoni rapporti fra i due paesi.

Occorrerà perciò tenere gli occhi bene aperti, perché la mia esperienza di ben diciannove mesi consiglia il pessimismo. A meno che — com’è molto probabile — nei posti di comando, molto prossimamente, cambino in Grecia fisicamente le persone e moralmente le idee.

141 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

141 3 Vedi DD. 53 e 96.

141 4 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 274.

142

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9363-9364-9365/407-408-409. Londra, 25 agosto 1949, ore 22,10 (perv. ore 7,30 del 26).

Mio 4051.

Trasmetto aereo testo nota consegnatami stamane da Bevin che riassumo:

1) Governo britannico, pur dimostrando comprensione per problemi bilancio italiano, deve esprimere propria preoccupazione e delusione per quasi nulli progressi realizzatisi in diciotto mesi circa soluzione questione riparazioni.

2) Pur essendosi presa nota dell’inclusione nel bilancio fiscale italiano 1949/50 di capitoli intesi fare onore alcuni impegni derivanti da trattato, non risulta siasi ancora provveduto nomina organo destinato trattare claims basati su art. 78.

3) Governo britannico desidera essere assicurato che procedura soluzione claims sarà oggetto immediati provvedimenti e che questione sarà risolta entro ragionevole e determinato periodo, e che nostri futuri bilanci conterranno disposizioni atte dar seguito tutti impegni stabiliti da art. 78.

Bevin mi ha aggiunto che il Governo britannico, pur apprezzando i motivi esposti dal Governo italiano nella propria nota del 9 giugno scorso, non poteva approvare carattere dilatorio atteggiamento italiano e riteneva nostro interesse morale risolvere sollecitamente questione.

Ho risposto illustrando ampiamente i motivi che giustificavano la nostra richiesta specialmente con gli argomenti forniti da V.E. con i telespressi circolari 45/111202 e 111213 del 9 giugno scorso, ma Bevin sorridendo ha rilevato che «oggi l’Italia è un paese ricco». Ho controbattuto che se per merito degli sforzi del Governo e del popolo italiano la situazione generale era nel corso degli ultimi mesi migliorata, mi pareva ottimismo eccessivo considerare che nostri problemi economici fossero stati risolti e che appunto tale era il motivo che ci aveva indotti a fare appello a comprensione Governi occidentali su tale specifica questione specie nell’ambito delle più recenti solidarietà occidentali. L’Italia, ho aggiunto, vuole fare onore alla propria firma ed agli impegni ma chiede una comprensione amichevole e costruttiva che le consenta di giungere gradualmente a soddisfare le proprie obbligazioni particolari senza compromettere suo apporto ricostruzione europea.

Ministro esteri ha replicato affermando che difficoltà finanziarie impedivano al suo Governo di adottare atteggiamento maggior arrendevolezza verso nostri argomenti.

Mi domando se determinazione britannica odierna non sia in relazione con recenti sviluppi ed accoglienze fatte a nuove richieste presentate da Londra all’O.E.C.E. e particolarmente a reazione italiana.

Nell’odierno colloquio con Bevin fu anche fatto il punto sulla questione coloniale.

Tripolitania. Ministro esteri espresse soddisfazione circa prosecuzione trattative con Alessandrini lasciando intendere che da parte sua non vi erano da indicarmi differenze sostanziali su quanto già riferito a V.E. da Alessandrini stesso circa colloqui in corso al Foreign Office. Ripeté intenzione suo Governo «non rimanere in Tripolitania» e «opportunità per Gran Bretagna non essere confinante in Libia con francesi». Attirò mia attenzione su fatto che difficoltà maggiore è rappresentata da necessità ottenere consenso popolazione locale.

Somalia. Non fece obiezioni mia asserzione che non vi poteva essere ormai dubbio su opportunità nostro trusteeship.

Eritrea. Riaffermò energicamente impossibilità per Gran Bretagna recedere da noto suo progetto. Controbattei affermando che da parte nostra siamo decisi sostenere a fondo progetto indipendenza. Bevin ha risposto che ormai tutto era affidato, su questo punto, al voto dell’Assemblea e che egli aveva comunque fiducia nel successo della tesi inglese, che, secondo quanto egli afferma, comprenderebbe anche garanzie per la tutela degli interessi italiani.

Bevin si è infine lamentato del «canvassing» della stampa italiana circa le intenzioni britanniche nei riguardi delle nostre colonie.

Ho approfittato dell’occasione offertami dal colloquio di stamane con Bevin, che si imbarca il 31 corrente con Cripps per le conversazioni di Washington e non sarà di ritorno che a ottobre, per informarlo del nostro passo a Belgrado in conseguenza dell’azione jugoslava in Istria (telegramma V.E. 7244/C.)4.

3 Non pubblicato.

4 Vedi D. 138.

Bevin mi ha pregato di far pervenire al Foreign Office ogni utile documentazione circa l’azione predetta per appoggiare presso il Governo di Tito le richieste italiane. Non mi ha nascosto però che dubita, per il momento almeno, dell’efficacia di un intervento britannico nella questione data la grave situazione generale in cui trovasi esposto il Governo di Belgrado per l’offensiva sovietica; egli mi ha francamente dichiarato sue preoccupazioni per il possibile esito finale delle pressioni di Mosca. Mi ha comunque assicurato l’interessamento britannico a favore delle nostre ragioni.

Avendogli io richiesto alcune precisazioni circa il contenuto dei suoi prossimi colloqui di Washington, Bevin ha tenuto a precisarmi che le differenze d’opinioni fra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti concernevano soltanto questioni tecniche circa le proposte per risollevare il problema del dollaro, e che era completamente assente qualsiasi «misunderstanding» politico, su cui avrebbe tentato di speculare Churchill; ha poi dichiarato che il problema che si appresta a trattare con gli americani è non solo di interesse britannico ma di interesse europeo ed ha terminato esprimendo molta fiducia nell’esito delle conversazioni.

141 6 Vedi D. 96.

142 1 Pari data, con il quale Gallarati Scotti riferiva di aver ricevuto da Bevin una nota di risposta aquella italiana del 9 giugno (vedi serie undicesima, vol. II, D. 1049).

142 2 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1049.

143

IL MINISTRO A QUITO, PERRONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9373/29. Quito, 25 agosto 1949, ore 21,50 (perv. ore 9 del 26).

Telespresso urgente 13611.

Missione straordinaria giunta Quito lunedì 22, ripartendone giovedì 25; calorosa accoglienza autorità popolazione hanno chiaramente indicato non trattarsi semplici cortesie sottolineando notevole portata politica avvenimento. Onorevoli Aldisio Brusasca dichiarati ospiti onore Ecuador e cittadini onorari Quito. In occasione visite presidente Repubblica e ministro esteri nonché in speciali sedute Congresso nazionale e Municipio capitale vennero scambiati significativi discorsi inneggianti entusiasticamente tradizionale amicizia e solidarietà piena ed intera due paesi. Riunione collettività italiana, cui missione portato affettuoso saluto patria lontana, dimostrato unanime profondo attaccamento nostri connazionali paese natio. È stato particolarmente gradito gesto missione recatasi visitare Ambato per esprimere popolazioni provate recente terremoto e missionari italiani giuseppini simpatia dolore popolo Governo italiano. Giorno 24 firmato dichiarazione amicizia collaborazione italo-equatoriana2 con cui due paesi convengono agire di accordo per pace giustizia democrazia.

143 1 Non rinvenuto. 2 Testo edito in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXX, cit., pp. 520-521.

144

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA1

L. Sella di Valsugana, 25 agosto 1949.

Secondo alcuni informatori giuliani, coi quali ebbi contatti in questi giorni, la situazione della così detta Piccola Istria (Zona B del T.L.) si presenta come segue.

L’opera di slavizzazione continua sistematicamente e inesorabilmente ovunque. Tipica l’evoluzione di Capodistria. Essa contava nel 1945 abitanti 8.700 circa, tutti italiani. Oggi gli abitanti sono 10.600, di cui solo 2.800 circa sono vecchi capodistriani, cioè italiani, circa 2.800 sono militari «occupanti», collocati nelle caserme e in case private, circa 1.800 impiegati e impiegate slavi nei pletorici uffici burocratici e qualche migliaio di popolazione civile inurbata dall’interno. Ho visto una carta topografica della città che indica casa per casa lo spostamento della popolazione. La macchia rossa si allarga ormai in ogni direzione di calle in calle.

In questa città e negli altri centri minori gli «occupanti» non si sentono più vincola-ti da alcuna norma di legge internazionale: gli imprigionamenti (50 anche recentemente a Buie), gli sloggi forzati, le violazioni di proprietà e libertà sono quotidiane. A Trieste ogni tanto compaiono dalla Zona B dei messaggeri di sventura che hanno nel volto enegli occhi l’impronta del terrore. È nota l’imposizione fatta agli operai che vengono a lavorare nelle officine di Trieste: ogni mese devono versare 10 mila lire accettando in cambio mille dinari (mentre sul libero mercato di Trieste il dinaro vale una lira).

Dappertutto, anche là dove prima non esistevano, si impongono scuole elementari slave, così a Villanova, S. Lorenzo di Daila ecc. e i genitori italiani vengono forzati a mandarvi i figliuoli.

Nel settore ecclesiastico, la demolizione procede rapidamente. D’improvviso si cacciano frati e monache; il clero curato è vessato ed esposto ad ogni angheria, tanto che ogni tanto qualche prete — dopo quattro anni di sofferenze — si presenta al vescovo di Trieste, dichiarando di non poter più resistere. D’altro canto è già noto che il vescovo, dopo l’oltraggio patito, non può visitare più la zona occupata dagli slavi, che la predicazione è controllata e oggetto d’interventi polizieschi, che le associazioni cattoliche e perfino l’opera caritativa di S. Vincenzo sono interdette, che nelle scuole si sono introdotti dei testi atei, che si sono istituiti dei cosiddetti collegi promiscui, per ragazzi e ragazze dai 12 ai 17 anni, che divengono fatalmente centri di malcostume. Nella stessa Capodistria, la chiesa di S. Giacomo è diventata un magazzino di tabacchi, ad altro magazzino venne adibita la chiesa dell’Annunziata, il convento dei Cappuccini serve d’alloggio a privati e il convento di S. Anna si sta trasformando in carcere.

A tante sofferenze e a così generale angustia si è aggiunta in questi ultimi mesi la disperata impressione che si pensi ad abbandonare agli slavi la Zona B, in un compromesso che salvi all’Italia la città di Trieste. La stampa inglese ha coltivato tale

voce e in Capodistria stessa recentemente il «governatore» Beltram avallò in un pubblico comizio tale diceria, dichiarando che l’Italia avrà Trieste e un pezzo della valle del Vipacco (?) e il resto rimarrà alla Jugoslavia. I comunisti di Trieste (Cominform) insistono nell’affermare che siffatto negoziato è già in corso, anzi segretamente concluso. All’incontro esistono le mie dichiarazioni fatte a Trieste (dal Timavo a Quieto)2, le conferme pubbliche del generale Airey, le tue interviste, l’atteggiamento prudente ma fermo della nostra diplomazia.

Sento ora dalla tua ultima3 che le nostre relazioni con Belgrado peggiorano, Dio lo sa perché! Abbiamo firmato il trattato4, senza aver ottenuta alcuna soddisfazione, dopo la formale violazione monetaria5, se non si accetta per tale il colloquio MartinoTito6; eppure oggi gli slavi si comportano da creditori. Il condirettore del Giornale dell’Emilia ebbe revocato il permesso di visitare la Jugoslavia colla motivazione che «ora — dopo due settimane — la situazione è mutata». Che cosa avviene veramente al di là della cortina? I miei informatori di frontiera hanno l’impressione che Tito sia a terra. Non solo crescono i suoi nemici interni, ma la situazione economica e con ciòil regime minaccia di crollare per sostegno manco. È proprio così? Non lo so, ma è certo che pensano così anche al quartiere anglo-americano di Trieste. Si assicura che il prestito di 100 milioni di dollari stia per essere accordato e rappresenti comunque, per Tito, il solo scampo.

In tale situazione non avremo nulla da dire, nulla da tentare? Comprendo che la pressione della Russia potrebbe rovesciare la situazione, e in tale ipotesi la cosa dovrebbe considerarsi da un nuovo punto di vista. Ma fuori di tale ipotesi, non potremo farci sentire cogli americani?

Se è estremamente arduo e forse pericoloso affrontare il problema risolutivo del

T.L.T. in questo momento, l’atteggiamento della potenza occupante nella Zona B non potrebbe essere oggetto di dibattito o di un’inchiesta da parte dell’O.N.U., proposta da qualche Stato nostro amico (America latina, Irlanda ecc.)?

In ogni caso, poiché, se ben ricordo, tu hai già fatto attaccare il discorso colla diplomazia americana, bisognerebbe, a mio parere, riparlargliene con una certa forza, e secondo il favore delle circostanze.

Naturalmente astraggo qui da qualsiasi considerazione di una possibile ora X, che è ad ogni modo fuori della mia visuale odierna.

Te ne ho voluto scrivere fin d’ora, anche prima di rivederci, perché forse potrai farne parlare a Martino.

Domani sarà qui Andreotti e stabilirò il programma della ripresa. Auguriamoci ancora qualche giornata buona; l’auguro specialmente a te che l’hai doppiamente meritata7.

3 La lettera, del 20 agosto, non è stata rinvenuta; per il suo contenuto si veda DIEGO DE CASTRO, La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, vol. I, Trieste, Lint, 1981, p. 618.

4 Vedi D. 88.

5 Vedi D. 16.

6 Vedi D. 86.

7 Per la risposta vedi D. 165.

144 1 Autografo, in Archivio De Gasperi. Edito, con piccole varianti, in De Gasperi scrive, cit., pp. 113-116.

144 2 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1053, Allegato.

145

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI

T. SEGRETO 7299/415. Roma, 26 agosto 1949, ore 13,30.

Suo 6931 e precedenti2. Ho telegrafato Parigi, Bruxelles, L’Aja quanto segue: (riprodurre telegramma

n. 7304/C.)3. Approvo pienamente suo linguaggio. Per quanto riguarda Comitato regionale Europa occidentale preferiremmo che

paesi Patto Bruxelles vi fossero rappresentati singolarmente e non attraverso Comitato capi Stato Maggiore Unione Occidentale, beninteso a condizione piena partecipazione italiana, a meno che Italia non sia chiamata partecipare Patto Bruxelles. A questo proposito è bene ella sappia che già sin dal 28 luglio u.s. ad un sondaggio francese in tal senso abbiamo risposto essere favorevoli. Qualora si insistesse per rappresentanza collettiva ella potrebbe quindi suggerire che momento e occasione potrebbero essere favorevoli per suggerimento americano a potenze Bruxelles invitarci accedere Patto4.

146

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, ALL’INCARICATO D’AFFARI A PARIGI, GIUSTINIANI, E AL MINISTRO A L’AJA, CARISSIMO

T. SEGRETO 7304/C. Roma, 26 agosto 1949, ore 13.

Le verranno trasmesse per corriere comunicazioni relative organizzazione politica e militare Patto atlantico quale risulta da discussioni attualmente in corso a Washington1.

Due punti principali ci interessano. Il primo è Comitato esecutivo per il quale è prevista per ora partecipazione soltanto Stati Uniti, Inghilterra e Francia. Ora è evidente che, dato nostro proposito ed impegno partecipare attivamente comune difesa, dato contributo notevole che possiamo e vogliamo dare in basi e in potenziale umano, esclusione italiana da tale Comitato apparirebbe ingiustificata; chie

2 Vedi D. 137.

3 Vedi D. 146.

4 Per la risposta vedi D. 150.

diamo pertanto nostra piena partecipazione; in via sussidiaria potrebbe essere ammessa partecipazione a turno o a rotazione ma con eguali diritti. Qualora si opponesse che determinate questioni strategia intercontinentale possono essere utilmente trattate soltanto tra certe potenze che abbiano posizione geografica corrispondente, preferiremmo soppressione Comitato esecutivo e creazione Comando supremo (quest’ultima soluzione era tra quelle prospettate in riunione Francoforte)2 ove cooperazione ristretta tra alcune potenze potrebbe esplicarsi in via di fatto attraverso Uffici esecutivi Comando, senza per ciò addivenire ad esclusioni formali di alcuno.

Comunichi questo punto di vista a codesto Governo.

Poiché inoltre da comunicazione Washington risulta che Olanda chiederebbe partecipare Comitato esecutivo e Belgio sosterrebbe principio rappresentanza piccoli paesi, ambasciata Bruxelles e legazione L’Aja sono pregate svolgere particolare interessamento per concordare azione parallela riferendo.

Secondo punto è in un certo senso anche più importante del primo. Progetto americano prevede, accanto ad altri, Comitato regionale per Europa occidentale nel quale paesi Patto Bruxelles avrebbero piena partecipazione (probabilmente attraverso Comando unico già costituito) mentre ad altri paesi, tra cui Italia, sarebbe riservata soltanto partecipazione appropriate.

In questa posizione si riproduce concezione strategica inglese che vede in Patto Bruxelles, e in buona parte anche in Patto atlantico, principalmente copertura della Manica. Intera difesa Europa occidentale ne risulterebbe svisata. Inoltre, se anche si può ammettere in linea pratica minore interesse italiano in certe questioni strategia mondiale, nostra minorata posizione in difesa Europa occidentale della quale facciamo parte integrante in modo cospicuo e vulnerabile per territorio ed entità demografica, appare addirittura assurda.

In questo concetto dovranno essere concordi anche Governi francese e Benelux. Rappresentanze interessate sono pregate svolgere azione in questo senso3.

145 1 T. segreto 9336/692-693 del 24 agosto, con esso Luciolli aveva riferito sugli argomenti trattati nella seconda seduta del «Working Group».

146 1 Vedi DD. 110, 124, 136, 137 e 145.

147

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI

T. RISERVATO 7332/116. Roma, 26 agosto 1949, ore 18,30.

Testo accordo beni trasmesso da V.E. con telespresso 7791 è sottoposto esame Amministrazioni competenti e questo Ministero che faranno note quanto prima loro decisioni definitive.

3 Per le risposte vedi rispettivamente DD. 164, 159 e 180.

Affinché si possa tenerne dovuto conto agli effetti tali decisioni prego V.E., che trovandosi sul posto è meglio in grado valutare ogni aspetto accordo stesso, esprimermi preciso parere circa convenienza firma con particolare riguardo a quelli che potranno essere futuri sviluppi nostra emigrazione in Brasile e funzionamento previsto Ente per colonizzazione ed emigrazione, facendo anche conoscere se eventuale definitiva approvazione progetto Feliciano non finirà per accordare beni tedeschi trattamento forse identico se non migliore di quello che noi abbiamo così lungamente e faticosamente contrattato.

Questo Ministero ritiene oggi più che in passato che quanto il Brasile ha fatto e preteso da noi in tale materia costituisca una pagina nera nella storia dei rapporti italo-brasiliani tradizionalmente amichevoli e pertanto è deciso riflettere prima di consacrarla con una firma.

In sostanza Fernandes ha di poco modificato le pretese brasiliane in quest’ultima fase, salvo per quanto riguarda materia navi, per cui fondamento nostre richieste era evidente e resistenza brasiliana ci avrebbe apportato nuovo ingente danno senza profitto per Brasile. Da parte nostra si sono invece fatte nuove serie concessioni specialmente per quanto riguarda capitale costituendo Ente. Qualora V.E. ritenesse in definitiva conveniente o inevitabile agli altri fini della nostra politica col Brasile firma accordo predisposto sarebbe indispensabile ottenere almeno precisi impegni circa trattamento favore per trasferimenti necessari per servizio azioni e obbligazioni Ente colonizzazione e emigrazione, nonché circa percentuale coloni italiani in nuclei coloniali, da noi invano richiesti. Non è giusto che Fernandes, come V.E. ha telegrafato2, si trinceri dietro il fatto che trattasi innovazioni testi proposti Governo italiano come definitivi Parigi, giacché allora fu chiaramente precisato che non essendo possibile addivenire subito firma e mancando decisione definitiva Governo brasiliano, noi ci riservavamo diritto richiedere modifiche ed aggiunte che del resto ovviamente esiste durante ogni trattativa finché accordi non sono firmati3.

146 2 Vedi D. 110, nota 3.

147 1 Non rinvenuto.

148

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI

T. SEGRETO 7343/417. Roma, 26 agosto 1949, ore 21,30.

Suoi 695-6961 incrociatisi con mio 4152.

Approvo linguaggio da lei tenuto seduta 25 u.s. relativamente non indispensabilità Comitato esecutivo o permanente. Date difficoltà in atto per nostra partecipazio

ne detto Comitato, soluzione per noi preferibile sarebbe creazione Comando supremo cui Stato Maggiore potrebbe essere organizzato in modo da comprendere varie branche corrispondenti varie organizzazioni regionali. In tal modo si avrebbe una organizzazione pratica nella quale singole questioni potrebbero essere di fatto discusse a due, a tre o a quattro ecc. e secondo dei casi e senza esclusioni formali.

Sta bene per prima riunione Washington 17 settembre. Per località riunione Comitato difesa si consulti con francesi.

147 2 T. 9171/125 del 20 agosto, non pubblicato. 3 Per la risposta vedi D. 158.148 1 Del 25 agosto, con esso Luciolli aveva riferito circa le discussioni del «Working Group» suicompiti e composizione del Comitato esecutivo e dei Comitati regionali.2 Vedi D. 145.

149

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9426/704. Washington, 26 agosto 1949, ore 19,40 (perv. ore 8 del 27).

Ho nuovamente esposto a Dipartimento Stato nostra posizione sulla base lettera segretario generale 3/3352 del 18 agosto1.

Dipartimento Stato ha ringraziato e, richiamandosi anche ad offerta di eventuali chiarimenti fatta costà ad ambasciata Stati Uniti, mi ha posto seguenti quesiti:

1) in qual modo Governo italiano penserebbe conciliare unità libica con trattato italo-tripolino. (In proposito atteggiamento americano è quello indicato nel mio telegramma 6822: accordi con Libia, applicantisi soltanto a Tripolitania).

2) Cosa intendiamo per «speciale Statuto» italiani destinati a diventare, secondo nostre proposte, «cittadini di pieno diritto» del nuovo Stato.

3) Se, parlando di «integrità» Eritrea, ci riferiamo anche a zona Assab di cui in passato avevamo previsto cessione ad Etiopia3.

2 Vedi D. 132.

3 Per la risposta di Zoppi vedi D. 152.

149 1 Vedi D. 120.

150

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9424/705. Washington, 26 agosto 1949, ore 19,42 (perv. ore 8 del 27).

Suo 4151.

Ho rivisto Achilles e gli ho nuovamente illustrato nostra posizione.

Achilles mi ha detto che Stati Uniti non mancheranno dare massima attenzione a considerazioni da noi svolte, ma temono che nostre richieste abbiano scarse probabilità essere accolte.

Per Comitato ristretto, esigenza limitarne composizione a tre membri è fortemente sentita da Autorità militari americane e non appare contrastata da nessun altro paese. Qualora si potesse prevedere allargamento, Stati Uniti proporrebbero Canada. D’altra parte Comitato ristretto, per funzionare con piena efficienza, richiede investitura ufficiale. Tutto il possibile è stato e sarà fatto per chiarire limiti attività detto Comitato e garantire adeguato collegamento con rappresentanti accreditati dei paesi non membri.

Per Comitati regionali, piano in discussione prevede che Comitato Mediterraneo occidentale copra anche fronte terrestre italiano. Non si nega che tale fronte sia strettamente legato con quello occidentale ed infatti si prevede adeguata partecipazione italiana a Comitato Europa occidentale.

Ho preso atto, in pari tempo insistendo su nostro punto di vista.

Da successive conversazioni con collaboratori Achilles ho tratto indirettamente conferma dell’atteggiamento francese di cui al mio 6972. Infatti mi è stato accennato che Governo francese, per ragioni politica interna, tiene a rendere evidente sua posizione preminente in seno ad organi Patto atlantico.

151

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

TELESPR. RISERVATO 901. Roma, 26 agosto 1949.

Questo Ministero ha preso in attento esame il progetto trasmesso con la nota n. 2239 del 19 corrente1, e che risulta essere stato previamente sottoposto alla considerazione del Ministero dell’interno.

2 Dal 25 agosto, non pubblicato.

Come è noto, questo Ministero si era sempre opposto, per il passato, al proposito, sostenuto invece da codesto Ufficio, di emanare un provvedimento legislativo a carattere generale diretto ad invalidare tutte le domande di riopzione presentate dopo il 2 novembre 1948 come sospette di vizio nella manifestazione di volontà e comunque ad allargare i motivi di esclusione dalla cittadinanza italiana e i poteri del ministro dell’interno di cui agli artt. 5 e 13 del Decreto legislativo del 2 febbraio 1948. L’opposizione del Ministero era basata, come è stato ampiamente e ripetutamente illustrato, su due ordini di ragioni: l’uno giuridico, in quanto si riteneva un tale provvedimento difficilmente conciliabile con la lettera (non con lo spirito) degli accordi di Parigi; l’altro politico, perché si aveva ragione di temere che un simile provvedimento avrebbe sottoposto a forte tensione i rapporti italo-austriaci e avrebbe potuto eventualmente avere, data l’inclusione degli accordi di Parigi nel trattato di pace, indesiderabili ripercussioni anche nel campo della politica generale.

Si consigliava invece di esaminare attentamente qualsiasi altra possibilità di intesa e di rimedio, e di servirsi della minaccia imprecisata di un provvedimento generale unicamente come strumento di pressione sugli austriaci per indurli ad accettare una soluzione di compromesso.

Soltanto in un secondo tempo, e in seguito a rinnovate insistenze da parte di codesto Ufficio che sosteneva essere questa la sola soluzione possibile delle difficoltà esistenti, si era consentito a tale progetto: e ciò in un momento che coincideva, all’insaputa di questo Ministero, con l’inizio delle trattative dirette tra il consigliere di Stato Innocenti e il barone Versbach.

Tutto ciò premesso, si dichiara ora di apprezzare i fini che hanno ispirato la proposta del consigliere Innocenti e, proprio per le ragioni suindicate, ci si compiace anzi della possibilità che viene aperta di risolvere, sul terreno di un pratico compromesso, la complessa questione.

Si tralascia invece un esame dettagliato dei singoli punti del progetto austriaco, già compito dal Ministero dell’interno per la parte che lo riguarda, e ci si limita ad alcune osservazioni generali che qui sotto si riassumono:

1) La proposta del dott. Innocenti, quale risulta dal capoverso 2 della nota cui si risponde, partiva da una riduzione del 20% sul totale delle domande di riopzione. Il Governo austriaco, non soltanto ha abbassato tale cifra proporzionale al 15% ma ha approfittato dell’occasione per includere nel suo progetto (è infatti questo che ora si discute, e non già la proposta iniziale del consigliere Innocenti) una quantità di altre proposte alcune delle quali (ad esempio tutte le questioni patrimoniali) non hanno che un riferimento indiretto all’argomento principale.

2) Sembrerebbe perciò possibile e opportuno, come tattica di negoziato, ricondurre questo alla posizione di partenza (proposta di una riduzione del 20%); ed accettare la cifra minore proposta dagli austriaci soltanto dopo avere sgombrato il terreno dalle altre questioni secondarie, e sopratutto da quelle la cui proposta soluzione sembri inaccettabile. Inversamente, e qui soltanto codesta Presidenza ha gli elementi di giudizio necessari per decidere, si potrebbe cedere sulle altre questioni riconducendo la cifra della riduzione al 20%.

3) Un notevole interesse, agli effetti dei risultati pratici di un eventuale compromesso italo-austriaco sulla base progettata da codesta Presidenza, sembra presentare quanto è stato rilevato dal Ministero dell’interno circa il punto 1° del progetto di cui trattasi.

Pur ammettendo la facoltà del Ministero dell’interno, a mente dell’art. 13 del

D.L. 2 febbraio 1948 n, 23, di precludere il riacquisto della cittadinanza italiana agli optanti emigrati «che ne risultano indegni» anche per cause diverse da quelle indicate all’art. 5 del D.L. stesso, ed anche quando fosse pienamente riconosciuta come causa legittima di esclusione la presunzione del vizio di volontà da parte del rioptante (cosa che fu posta fortemente in dubbio nel corso della riunione interministeriale tenuta presso codesta Presidenza il 14 aprile u.s.)2, rimarrebbe sempre aperta a quest’ultimo la possibilità di ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione negativa adottata nei suoi confronti dal Ministero dell’interno e riuscirebbe nella maggior parte dei casi assai difficile comprovare la effettiva sussistenza di una simile causa di esclusione in quanto, come è noto, per effetto delle note decisioni del Consiglio dei ministri austriaco, la volontà espressa dall’interessato sarebbe da considerarsi viziata soltanto nel senso che egli ha fatto la dichiarazione di revoca della opzione non allo scopo di riacquistare definitivamente la cittadinanza italiana, ma per avere la possibilità di acquistare successivamente quella austriaca, possibilità riservata dal Governo di Vienna agli optanti che hanno esercitato il diritto di riopzione.

Alla luce di queste considerazioni, sembrerebbe profilarsi il pericolo che una parte più o meno notevole delle domande di riopzione respinte dal Ministero dell’interno in base ad un’intesa italo-austriaca del genere di quella proposta, possa formare oggetto di ricorsi al Consiglio di Stato e che l’eventuale accoglimento di un certo numero di essi valga in definitiva a ridurre ulteriormente la percentuale delle esclusioni previamente concordata tra i due paesi.

Per quanto concerne poi l’atteggiamento del Governo di Vienna — e delle organizzazioni politiche austriache che si occupano del problema delle riopzioni — sembrerebbe da porre in dubbio la possibilità di ottenere da parte loro, sulla base del proposto accordo, un effettivo disinteresse alla questione di questi ricorsi, e ancor più dubbia la possibilità di una loro azione intesa a scoraggiarli. Logico per contro sarebbe che, avendo condizionato, con le note decisioni del 2 novembre 19483, la eleggibilità per la cittadinanza austriaca degli optanti al previo respingimento della loro domanda di riopzione, si richiedesse loro la prova di non avere semplicemente presentato una richiesta platonica, ma di essersi valsi di tutti i mezzi consentiti dalla legge per ottenere la reintegrazione nella cittadinanza italiana, compreso quindi il ricorso al Consiglio di Stato.

Le difficoltà di cui sopra è cenno non sono forse del tutto insuperabili, ma appaiono meritevoli di attento esame da parte di codesta Presidenza la quale potrà, meglio del Ministero scrivente, valutarne l’importanza e le conseguenze in relazione alla realizzabilità pratica della progettata intesa italo-austriaca.

4) Tanto dal lato giuridico quanto da quello etico, sembra comunque, per le ragioni indicate anche dal Ministero dell’interno, preferibile non accettare le richieste austriache di cui ai punti 4, 5 e 6 quali sono state formulate nel progetto, in modo da lasciare facoltà agli organi italiani competenti di compiere la loro scelta secondo coscienza, e anche secondo gli interessi italiani.

3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 769.

5) Questo Ministero è d’avviso che la posizione dei 30 rioptanti indicati nella lista allegata al progetto austriaco (che non è stata trasmessa e di cui già è stata richiesta copia per telefono) come pure di quelli di cui al punto 5 del progetto stesso, possa e debba essere riesaminata con larghi criteri e tenendo presente il concetto tante volte espresso che, dati i contatti strettissimi e inevitabili tra Alto Adige e Tirolo, molte delle personalità ritenute indesiderabili possono essere più pericolose al di là della frontiera e come cittadini austriaci, che al di qua e come cittadini italiani. Tuttavia si esprime il parere che in nessun caso possa parlarsi di ammissione o di tacita revisione in blocco, bensì caso per caso; e si concorda con il Ministero dell’interno nel ritenere preferibile che i provvedimenti abbiano comunque luogo dopo e indipendentemente dalla procedura di riopzione.

6) I punti 7 e i seguenti del progetto austriaco non rientrano propriamente, a quanto può giudicare questo Ministero, nel negoziato condotto dal consigliere Innocenti. Potrebbero, come già detto più sopra, formare oggetto di contropartita nell’ambito dello stesso negoziato qualora si vedesse la possibilità di aumentare la percentuale o di influire sulla composizione delle domande da respingersi; oppure formare oggetto di separata e indipendente trattativa.

150 1 Vedi D. 145.

151 1 Vedi D. 122.

151 2 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 760.

152

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI

T. SEGRETO 7369/418. Roma, 27 agosto 1949, ore 20,45.

Suo 7041.

A punto primo può rispondere citando caso Marocco che può essere tenuto presente e adattato a ovviamente diversa situazione in quanto non trattasi protettorato bensì liberi accordi collaborazione.

A punto secondo può citare posizione cittadini U.S.A. di origine italiana, con particolari disposizioni circa statuto personale ciò che del resto è tradizionale in paesi islamici dove convivono varie religioni.

A punto terzo proposta cessione Assab era collegata a proposta amministrazione italiana nel resto Eritrea. Nella nuova situazione la consideriamo caduta tanto più che, come constatato anche da Commissione inchiesta quattro potenze, popolazione dancala è la più ostile all’Etiopia.

152 1 Vedi D. 149.

153

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9466/25. Bogotà, 27 agosto 1949, ore 14,50 (perv. ore 7 del 28).

Nel dare assicurazione continuare a prestarci appoggio circa questione Africa, presidenti e ministri affari esteri paesi finora visitati hanno generalmente manifestato desiderio essere da noi più completamente ragguagliati specie per quanto concerne indipendenza nostre ex colonie e naturalmente nostra futura collaborazione con esse. Ci è stato fatto osservare fra l’altro che rispettivi Governi sono disposti appoggiare qualsiasi richiesta italiana ma che efficacia relativa azione sarà tanto maggiore quanto più tempestivamente preparata.

Segnalo quanto sopra per opportuni provvedimenti circa nostre informazioni.

154

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. 15/172. Roma, 27 agosto 1949.

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 15/161 del 5 agosto 19491.

Poiché la questione albanese è stata recentemente oggetto di esame e contatti fra questo Ministero e le proprie rappresentanze all’estero e i Governi americano, inglese e francese, così come con le loro rappresentanze a Roma, si ritiene utile che le ambasciate a Washinton, Londra e Parigi, si mantengano sull’argomento stesso in rapporto col Dipartimento di Stato, col Foreign Office e col Quai d’Orsay sia per continuare a dimostrare il nostro interesse alla questione, sia per essere in grado di seguire gli eventuali sviluppi.

A tal fine le ambasciate a Washington, Londra e Parigi potranno:

1) ringraziare per le informazioni avute e per le assicurazioni ricevute circa il punto di vista delle potenze occidentali favorevole alla indipendenza e integrità del-l’Albania sottolineando che tale punto di vista coincide con quello tradizionale, e tuttora attuale, della politica italiana;

2) assicurare che ogni politica svolta a tale fine troverà la nostra piena e attiva collaborazione come lo abbiamo dimostrato anche col favorire la partecipazione di elementi albanesi al Comitato dei popoli balcanici a New York;

3) assicurare che la nostra legazione a Tirana cercherà di influire, nei limiti delle sue certo non grandi possibilità, per rappresentare a quel paese l’interesse anche suo ad una distenzione sulla frontiera greco-albanese. Ci proponiamo di mantenere al corrente i Governi amici di quelle informazioni che il nostro ministro a Tirana potrà raccogliere e inviare;

4) rappresentare il nostro parere sulla necessità di procedere con molta cautela negli eventuali tentativi di sostituire l’attuale Governo cominformista albanese ove la situazione non appaia matura per poter insediare in sua vece un Governo in grado di salvaguardare l’indipendenza del paese. A tale riguardo è da esservare che ove Enver Hoxa dovesse essere sostituito da un Governo filo-titino l’Albania sarabbe esposta a lasciarsi assorbire nella Repubblica federale jugoslava come già in passato, al tempo del conformismo titino, si era cercato di fare.

154 1 Non pubblicato.

155

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 27 agosto 1949.

Mi sono incontrato ieri sera con l’ambasciatore U.S.A. a Belgrado Cavendish Cannon. Mi ha detto di essere venuto a Roma per pochi giorni per «cambiare aria». Abbiamo parlato a lungo delle relazioni italo-jugoslave e della situazione nella Zona B. Gli ho detto come l’opinione pubblica italiana fosse amaramente colpita dalle rinnovate persecuzioni agli italiani di quella zona, e delusa pel compartamento di Tito dopo l’incontro dallo stesso avuto col nostro ministro1, dopo la firma dell’accordo commerciale2, dopo le dichiarazioni di V.E. e del presidente del Consiglio. Tutto ciò non poteva non avere ripercussioni sulla posizione del Governo tanto più se messo in rapporto con le delusioni nel campo coloniale. Per di più si andava diffondendo nell’opinione pubblica italiana l’impressione che l’interesse, che è anche italiano, a sostenere Tito di fronte al Cominform inducesse il Dipartimento di Stato a trascurare gli interessi italiani e a lasciare praticamente mano libera agli jugoslavi di approfittare del momento per creare dei fatti compiuti e irrimediabili: tale è infatti il forzato esodo di italiani dalla Zona B che si sta verificando in questi giorni. L’ambasciatore mi ha detto che ritiene in questo momento la sua influenza a Belgrado di peso sufficiente per poter intervenire in nostro favore e che anzi ciò aveva già fatto, prima di partire, su di una segnalazione della ambasciata americana a Roma. Aveva detto a Bebler quanto fosse nell’interesse della Jugoslavia e nel desiderio del Governo americano di non creare incidenti con l’Italia, ma anzi di proseguire nella politica di riavvicinamento fra i due paesi. Bebler aveva dichiarato non saperne nulla e rigettò

2 Vedi D. 88.

la colpa sui militari che agirebbero talvolta di loro iniziativa; ma aveva promesso di intervenire. Ritornando a Belgrado egli (Cavendish) avrebbe ripreso energicamente la questione. Era lieto di esser venuto a Roma perché ciò gli aveva dato modo di constatare l’importanza che questa questione ha sull’opinione pubblica italiana cosa di cui non aveva — mi ha detto — l’idea. Devo dire che proprio ieri, giorno del suo arrivo, la stampa italiana ha agitato vivacemente la questione.

Cavendish è quindi venuto a parlare della nostra nota di replica a quella jugoslava all’O.N.U. per il cambio delle jugolire. Ha ripetuto quello che già sappiamo che il suo Governo suggerisce di non rispondere perché la nostra posizione giuridica è debole e gli jugoslavi sono dei bizantini. Gli ho risposto che dopo quanto è accaduto in questi giorni nella Zona B avevamo di che sostanziare la nostra nota facendo anche passare in seconda linea la questione del cambio delle jugolire; che comunque pensavo V.E. non avrebbe avuto difficoltà a soprassedere nell’attesa di vedere se l’azione da lui intrapresa a Belgrado, e che si proponeva di continuare al suo ritorno, avrebbe condotto quel Governo a modificare la sua politica nella Zona B. Cavendish mi ha poi chiesto che idee avessimo circa il problema del Territorio Libero. Gli Stati Uniti — ha detto — sono fedeli alla dichiarazione tripartita3 e io stesso in questa questione desidero sostenere l’Italia, però non vedo come arrivare ad una soluzione. Mi ha detto di non aver discusso la questione con il Governo jugoslavo: una sola volta Bebler gli fece un accenno sulla base dell’antica proposta Togliatti (scambio GoriziaTrieste)4, ma egli rispose che una tale possibilità era da scartarsi completamente anche come sola ipotesi. Gli ho detto che da più parti si sente dire che i Governi di Roma e Belgrado dovrebbero risolvere la questione direttamente: ciò condurrebbe ad una spartizione, sulla base della situazione di fatto attuale, cosa che un Governo italiano non potrebbe sottoscrivere, il massimo cui si potrebbe decentemente giungere essendo un compromesso che avesse per oggetto la sola Zona B, ossia qualche concessione alla Jugoslavia in questa sola zona. Egli se ne è reso conto pur accennando alle difficoltà proprie dei regimi dittatoriali di rinuncie territoriali anche in cambio di vantaggi economici. Nel corso della conversazione su questo argomento, Cavendish Cannon mi ha detto ritenere che dopo la conclusione del trattato di pace con l’Austria il suo Governo intenderebbe poter porre fine alla occupazione di Trieste essendo tendenza generale negli Stati Uniti di ritirare le truppe ancora all’estero. Questa dichiarazione è la prima volta che ci viene fatta e, anche se fatta a titolo personale, merita la nostra attenzione. Da un lato infatti essa implica che potremmo trovarci a dover affrontare questo problema prima di quanto non si ritenesse (posto che nei prossimi mesi si addivenga ad un accordo per il trattato austriaco), dall’altra che, se effettivamente gli americani sono entrati nell’ordine di idee di andarsene, questa decisione verrebbe a costituire una carta che può essere giocata nei confronti del-l’U.R.S.S. sia in relazione ai negoziati per l’Austria, sia in relazione alla dichiarazione tripartita per Trieste. Toccherebbe in tal caso a noi fare in modo che lo sgombero venisse se mai negoziato contro l’adesione sovietica ad una equa soluzione della questione dal Territorio Libero.

4 Vedi serie decima, vol. IV, D. 478.

155 1 Vedi D. 86.

155 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

156

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 27 agosto 1949.

È venuto l’incaricato d’affari britannico a esprimermi la preoccupazione del-l’Amministrazione di Tripoli, di cui si fa eco il Foreign Office, per la attività del partito Istiqlal. Questo partito indipendentista e filo-italiano raggruppa le notabilità piùeminenti e moderate della Tripolitania, numerosi capi dell’interno e popolo minuto. È un po’ il partito dei signori e del popolo alieno dalla politica attiva e desideroso di lavoro e di benessere. Negli altri partiti si raggruppano invece elementi anche indipendentisti, ma mestatori e settarî nonché i gruppi attivisti del popolo. Non vi è quindi dubbio che non sarà mai il partito Istiqlal a promuovere incidenti. Tuttavia ci troviamo qua di fronte ad una di quelle tipiche ipocrisie britanniche per cui si dice che è arrabbiato il cane che si vuole uccidere. Questo ho chiarito al signor Ward pregandolo di informarne il Foreign Office.

Sempre a nome del Foreign Office, il signor Ward mi ha rappresentato i pericoli insiti nella nostra tendenza a voler favorire le correnti indipendentiste sia in Libia che in Eritrea; ha persino fatto appello a questo riguardo alla «solidarietà occidentale». A questo punto ho francamente perso la pazienza. Gli ho detto che gli ultimi a parlare di solidarietà europea in Africa devono essere gli inglesi i quali questa solidarietà hanno costantemente minato. Vi sono — gli ho detto — al Foreign Office dei nostri promemoria di due anni fa in cui appunto si faceva presente nell’interesse della solidarietà europea in Africa la necessità di inserire nuovamente l’Italia nelle sue antiche colonie. Ma questo è stato reso impossibile dall’atteggiamento ciecamente vendicativo del Foreign Office e dalla politica locale dei vari servizî i quali nel loro odio per l’Italia hanno spinto e sostenuto tutte le correnti nazionaliste e indipendentiste. Ora che queste correnti prendono il sopravvento e si avviano verso gli inevitabili sviluppi della situazione che gli stessi inglesi hanno creato, ora che l’Italia la sposato questa causa per avere almeno il vantaggio della amicizia araba, ci si viene a dire di collaborare a frenare questi movimenti. E ciò dovremmo fare a nostro esclusivo svantaggio e solo per favorire e realizzare progetti britannici tutti pervicacemente anti-italiani. Sicché, ho concluso, la grande propaganda inglese per l’indipendenza aveva il solo scopo di nuocere all’Italia; poi avrebbe dovuto fermarsi in tempo per non rivolgersi contro la Gran Bretagna. Gli ho detto che mi pareva ormai troppo tardi.

Il signor Ward mi ha risposto che si attendeva questa mia reazione, che tuttavia egli non aveva fatto che il portaparola delle istruzioni ricevute dal Foreign Office1.

156 1 In margine al documento Sforza ha annotato: «Bene. Informare Londra della conversazioneper telespresso inviato per posta se non c’è corriere».

157

L’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9488/80. Ottawa, 28 agosto 1949, ore 21,57 (perv. ore 8 del 29).

Telegramma di V.E. 251; miei telegrammi 52, 58, 592.

In previsione mio nuovo colloquio primo ministro ed in relazione anche di lui amichevole suggerimento ho intensificato azione persuasione sulla stampa ottenendo questa settimana parecchi editoriali favorevoli sia nostra emigrazione in generale sia nota questione 5 mila agricoltori finanziati.

Per mia norma gradirei conoscere se debba continuare insistere per effettuazione tale progetto che ormai questo Governo ed opinione pubblica sembrerebbero preparati discutere.

Nel caso vi siano difficoltà con E.R.P. potrei provare invece chiedere eventualmente primo ministro:

1) consenso iniziare trattative per immigrazione 5 mila nostri lavoratori agricoli con famiglie stabilendo possibilmente intesa analoga a quella tra Canada e Olanda. In base quest’ultima che non sarebbe definita un accordo vero e proprio agricoltori Olanda selezionati vengono impiegati in Canada quali braccianti a cura autorità locali;

2) un primo contingente almeno 2 mila lavoratori determinate categorie non previste da attuali disposizioni per immigrazione (quali domestiche ed infermiere di cui vi è qui richiesta, muratori, falegnami, etc.).

Prego V.E. telegrafare istruzioni3.

157 1 Dal 21 giugno, non pubblicato, ma vedi serie undicesima, vol. II, D. 1091. 2 Rispettivamente del 5, 19 e 20 luglio, con i quali Di Stefano aveva riferito sui colloqui avutial Ministero degli esteri in materia di emigrazione italiana in Canada.3 Per la risposta vedi D. 173.

158

L’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO 9533/131. Rio de Janeiro, 29 agosto 1949, part. ore 1,30 del 30 (perv. ore 9).

Suo 1161.

Notizia comunicatami che testo progettato accordo beni trovasi tuttora in esame competenti Amministrazioni, riservandosi conseguentemente codesto Ministero esteri farmi note definitive decisioni, mi mette ancora in serio imbarazzo di fronte Fernandes che ha sollecitato pressantemente risposta definitiva, vivamente attesa anche da stessa Presidenza.

Negoziati hanno ormai condotto a punto oltre quale è da ritenere che non si possano ottenere ulteriori modifiche salvo eventualmente qualche ritocco non sostanziale e qualche migliore chiarificazione. Quindi a mio fermo avviso è necessario e urgente dare risposta definitiva sul testo completo inviato 17 corr.

Poiché V.E. cortesemente richiedemi parere su convenienza firma, onoromi rispondere quanto segue:

1) Accordo comporta grave sacrificio tenendo presente anche impegni finanziari Ente colonizzazione cui capitale fu portato in negoziati con pareggio a 300 milioni cruzeiros e che Fernandes mostra considerare quale indiretta indennizzazione. Invero ripresa negoziati rinviati qua, non senza interruzione per le nuove trattative Roma, ha procurato e ottenuto, unicamente possibili allo stato delle cose in cui furono ripresi, taluni non (dico non) inefficaci miglioramenti, come risulta chiaramente dai miei telegrammi e rapporti. Ciò nonostante soluzione complessiva è sempre, ripeto, un onere che si aggiunge a quei tanti accordi politici, talvolta formidabili, che l’Italia ha subito e subisce dopo guerra.

2) Ma, al punto in cui sono le cose, ritengo doveroso approvare accordo che occorre considerare, anche per se stante, come chiusura di una trattativa complicata anche dal disordine amministrazione beni bloccati e dalla stessa situazione finanziaria difficile Brasile.

Se l’accordo, pur mancando di certe disposizioni giuste e desiderate e potendo sollevare dubbi in altre, non fosse approvato, si rimetterebbero in gioco vantaggi acquisiti e si ritarderebbe ancora, tra l’altro, restituzione beni dei cittadini italiani non residenti e associazioni nonché ripresa esercizio importanti aziende come le assicurazioni e si andrebbe incontro a nuove indeterminate lungaggini su un altro piano.

3) Altra intenzione del nostro Governo fu quella enunciata dalla E.V. di procurare che da soluzione del disaccordo si cercasse trarre base accordo per lo sviluppo delle nostre relazioni, accordi commerciali, ecc. Per quanto questi problemi, che

furono tenuti sospesi per l’agganciamento alla questione beni, si presentino oggi più complessi, è da ritenere che eliminazione tale questione agevolerà soluzioni.

In caso definitiva decisione favorevole firma accordo, che ritengo opportuna per ragioni esposte, confermo che farò mio possibile riuscire, pur senza impegno esito favorevole, compatibilmente con le possibilità, [ottenere] qualche ultimo ritocco.

Sento comunque dovere fare presente che, come ebbi già a dire, da un momento all’altro possono sempre verificarsi complicazioni col pretesto di pretese nostre incertezze e ritardo risposta, per quanto io abbia sempre cercato e cerchi ribattere al ministro Fernandes tali suoi costanti rilievi ed, essendo mio dovere, come ho fatto sempre da questo mio posto diplomatico, sostenere nostra azione2.

158 1 Vedi D. 147.

159

L’INCARICATO D’AFFARI A PARIGI, GIUSTINIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO URGENTE 0247. Parigi, 29 agosto 19491.

Riferimento: Telegramma ministeriale n. 7304/C.2.

Segretario generale cui ho illustrato nostro punto di vista in merito alla progettata organizzazione del Patto atlantico, mi ha fatto presente, con non mitigata franchezza, che ragione per cui Comitato esecutivo deve avere carattere ristrettissimo sta nel fatto che, essendo l’America in fondo l’unico firmatario del Patto in grado di fare qualche cosa di serio sul piano militare, era interesse evidente cercare di «agguantare» gli americani in fase preparatoria: cosa possibile soltanto se i partecipanti di un segreto tenuto molto gelosamente saranno soltanto altri due. In caso diverso, e qualsiasi aggiunta ne importerebbe di necessità anche altre, non è che i componenti del Comitato esecutivo sarebbero in più ad essere informati delle segrete cose: non ne sarebbe invece informato nessuno, prima conseguenza della o delle aggiunte essendo quella di svuotare il Comitato di contenuto. Su questo punto gli americani erano assolutamente intransigenti; avevano anzi pregato i francesi di intervenire amichevolmente presso di noi per farci intendere ragione, cosa che per ovvi motivi era stata declinata.

Ho replicato che da parte nostra ci era pervenuta invece qualche assicurazione rassicurante, che comunque, fermo restando la nostra presa di posizione di una partecipazione piena al Comitato, o, in via subordinata, con una forma di rotazione con parità di diritti, era anche da considerare la possibilità di escogitare un mezzo che pur tutelando le esigenze del segreto non arrivasse a sancire formalmente una esclusione non rispondente a quanto Governo e opinione pubblica italiana erano in diritto di

159 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 146.

attendersi dalla partecipazione dell’Italia al Patto. E gli ho citato la soluzione del Comando supremo di cui al telegramma di V.E.

Ha risposto che non si rendeva ben conto del come questa soluzione poteva concretarsi, che ci avrebbe pensato e che ne avrebbe parlato con Schuman. (Segnalo con l’occasione che Schuman parte il 5, ha in progetto di trattenersi in Canada circa una settimana prima di recarsi a Washington).

Parodi si è mostrato molto più aperto alla comprensione quando l’ho intrattenuto sul carattere della nostra partecipazione al Comitato regionale per l’Europa occidentale. Qui evidentemente gli interessi francesi coincidono maggiormente con quelli italiani. Anche di questo ha preso nota per intrattenere Schuman3.

158 2 Per il seguito della questione vedi D. 283.

160

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 7434/423. Roma 30 agosto 1949, ore 20,30.

Dal grafico trasmesso con il rapporto n. 7097/3175 del 17 agosto1 risulta che accanto al Comitato esecutivo, come sua emanazione diretta e presumibilmente con identica composizione, è previsto uno Stato Maggiore atlantico.

Ciò conferma che, nello spirito degli organizzatori, Comitato ha funzioni di vero e proprio Comando supremo. Esclusione dell’Italia da Comitato e dallo Stato Maggiore apparirebbe ancora più seria e vistosa; semplice mutamento di nome del Comitato non potrebbe mascherare situazione. D’altra parte mi rendo conto che ci troviamo isolati di fronte a posizioni volute dai militari e difficilmente mutabili in base a criteri politici.

Mentre per Comitato Europa occidentale confermo istruzioni di cui al mio telegramma 4152, per quanto riguarda Comitato ristretto nostra azione dovrebbe orientarsi verso seguenti soluzioni:

1) poiché Comitato è in realtà Comando supremo e poiché, già si fa questione di nomi, perché non chiamarlo così? Si avrebbe allora soluzione prospettata con telegramma n. 4173, e nessuna esclusione formale. Eventualmente potremo impegnarci riconoscere quel comandante supremo che venisse designato da Wa-shington.

2) In via sussidiaria far presente che sarebbe, oltre tutto, assolutamente illogico escluderci anche da Stato Maggiore. Comitato ristretto ha compiti di studio ed elaborazione piani che essendo generali e sottoposti a vaglio organi superiori, possono a ragione essere affidati a persone rappresentanti un numero limitato di paesi. Stato

2 Vedi D. 145.

3 Vedi D. 148.

Maggiore, essendo per definizione organo esecutivo ed operativo, ha invece compiti particolareggiati e tali da richiedere intimi contatti con autorità militari di ogni paese. Vi deve essere dunque un rappresentante italiano in posizione di piena parità con gli altri, e con funzioni che gli saranno assegnate e che potranno svolgersi nel modo già indicato in telegramma n. 4174.

159 3 Per la risposta vedi D. 178.

160 1 Vedi D. 110, nota 3.

161

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 9558-9559-9560/414-415-416. Londra, 30 agosto 1949, ore 21,13 (perv. ore 7 del 31).

Trasmetto seguente telegramma del ministro Alessandrini:

«Sono stato oggi ricevuto dal ministro Bevin. Egli mi ha rivolto cortesi parole di saluto e mi ha subito dopo detto che desiderava consegnarmi personalmente una nota confidenziale su questione colonie rappresentante risultato conversazioni italo-britanniche, nonché base per istruzioni a capo delegazione britannica a Lake Success. Ha aggiunto che, nel decidere e nel comunicarci suo progetto, Governo britannico ha fatto massimo sforzo per venire incontro, per quanto possibile, alle concezioni italiane e per fare cosa gradita a V.E.

Ministro Bevin mi ha letto lentamente tutta la nota di cui invio riassunto con telegramma successivo1 e di cui trasmetto testo originale in inglese e traduzione in italiano con corriere aereo in partenza domani mattina2.

Tripolitania. Durante lettura della nota, Bevin ha particolarmente sottolineato, con opportuni sorrisi, il paragrafo 2°, dando ad intendere come progetti senussiti siano rimandati alle calende greche. Ha tuttavia ricordato necessità mantenere, almeno formalmente, principio unità libica.

Bevin ha sottolineato necessità omettere parola «trattato» fra Italia e Tripolitania in decisioni Assemblea O.N.U. Ho risposto dicendogli essere tuttavia necessario provocare «raccomandazione» da parte Assemblea affinché Italia e Tripolitania provvedano adeguata sistemazione loro reciproci interessi e loro future relazioni. Ha acconsentito dicendo che ne avrebbe parlato al capo della delegazione britannica McNeil.

Per la data dell’indipendenza si è rimesso a trattazione uffici e ad opportunità che si riveleranno a Lake Success.

2 Telespr. segreto urgente 3606/1745 in pari data, non pubblicato, ma vedi nota 3.

Eritrea. Ha riaffermato intransigenza britannica su noto progetto spartizione offrendo collaborazione per presentazione a Lake Success di proposte relative Massaua ed Asmara.

Somalia. Ha riconfermato intendimento inglese appoggiare nostro trusteeship ed ha incidentalmente fatto rilevare che tale appoggio è stato deciso malgrado prevedibile opposizione Stati asiatici.

Consegnandomi nota, Bevin ha detto che confida Governo italiano «si renderà conto buona volontà Governo britannico». Secondo notizie pervenutegli — ha aggiunto — Governo e stampa italiana sono convinti che Gran Bretagna sta facendo lavorio diabolico per tentare rimanere Tripolitania. Ciò — ha continuato — è falso e Gran Bretagna lo dimostrerà. Gli ho risposto che me lo auguro.

Bevin ha infine aggiunto queste precise parole: «Questione coloniale rappresenta ultima sistemazione territoriale (“territorial adjustement”) e ultima nube (“last cloud”) fra Italia e Gran Bretagna».

Mi ha ringraziato per collaborazione data durante le conversazioni e mi ha incaricato porgere suoi personali saluti a V.E.

Dopo essere stato ricevuto da ministro Bevin, ho avuto un lungo colloquio con Strang. Egli si è particolarmente informato della durata (venti minuti) della mia conversazione con Bevin e delle osservazioni di quest’ultimo.

Ha detto che desiderava precisare un punto non compreso nella nota e cioè quello relativo al contenuto del futuro trattato tra Italia e Tripolitania. Benché tale contenuto debba «essere lasciato a libere trattative fra Italia e Tripolitania» Governo britannico desidera precisare fin da ora sue concezioni al riguardo:

l) trattato dovrà comprendere: a) garanzie per libertà e tutela persone ed interessi italiani nonché corrispondenti disposizioni nel campo giurisdizionale; b) collaborazione italiana nel campo tecnico agricolo, industriale e commerciale; c) rapporti culturali;

2) trattato non potrà contemplare: a) alcuna influenza italiana nel campo strettamente politico; b) alcuna nostra partecipazione ad organizzazioni di carattere militare od anche di polizia.

Ho attirato attenzione di Strang su necessità ammettere una larga, indispensabile collaborazione italiana alla futura vita tripolitana e di essere il più larghi possibile nel facilitarla.

Ho a mia volta posto a Strang due domande:

1) nella nota consegnatami da Bevin non si precisa la data desiderata effettivamente da Governo britannico per reale inizio della indipendenza tripolitana. Quale è essa?

2) Nella stessa nota non si parla della Commissione internazionale da noi proposta per soprassedere alle elezioni. Quale è il proponimento britannico al riguardo?

Strang mi ha risposto che, come già mi aveva detto in precedenza, tali due questioni, «in verità le sole e le ultime che differenziano il progetto italiano da quello britannico» dovranno essere decise «secondo le opportunità che si riveleranno a Lake Success».

Ha continuato dicendo che sotto la pressione delle nostre argomentazioni, Governo di Londra finirà per rinunciare al «periodo intermedio» di cinque anni sul quale l’amministrazione britannica di Tripoli aveva tanto insistito, ma che non ritiene che potrà essere accettato un periodo inferiore a due (dico due) anni.

Per quanto riguarda la Commissione internazionale per le elezioni ha riconfermato la «avversione» britannica alla sua nomina. Avendo io insistito rappresentando pericolo malintesi fra Italia e Gran Bretagna ove Commissione non sia nominata, ha fatto capire che Governo britannico potrà forse cedere anche su questo punto se a Lake Success negoziazioni lo esigeranno. Mi ha fatto a questo punto comprendere come Governo britannico sia preoccupato dover ammettere Commissione anche per Cirenaica.

Gli ho detto che noi non teniamo a proporre una Commissione per la Cirenaica, salvo inasprimenti della situazione. Sua domanda mi ha però offerto buona occasione per fargli nuovamente capire come nostro atteggiamento per Cirenaica dipenderà da reale atteggiamento inglese per Tripolitania.

Per Eritrea e Somalia ha ripetuto quanto mi aveva detto Bevin.

Mi risulta che Strang è stato, durante le conversazioni, uno degli assertori della necessità di un accordo con noi e che ha finito evidentemente per raggiungere, dopo discussioni e polemiche con il Colonial Office e con le autorità militari oltreché con altre correnti del Foreign Office stesso, una specie di compromesso che è ritratto dalla odierna nota di Bevin. Egli mi ha detto che Italia e Gran Bretagna non hanno concluso oggi un accordo ma che Gran Bretagna è disposta ad essere riservatamente «d’accordo» («not an agreement but in agreement») sulla base della nota di Bevin, con la elasticità che la particolare atmosfera di Lake Success comporta e consiglia.

Riassunto nota britannica consegnatami da Bevin:

Libia. 1) Governo britannico propone che Cirenaica e Tripolitania ottengano indipendenza appena possibile senza periodo intermedio trusteeship e che amministrazione britannica prenda opportune iniziativa in base articolo 23 trattato pace riferendone ad Assemblea O.N.U.

2) Questione unità Libia dovrà essere decisa da libici stessi quando si troveranno in posizione internazionale per farlo.

3) Governo britannico riconosce speciale posizione comunità italiana in Tripolitania e stretti legami economici territorio con Italia. Ritiene che di ciò dovrebbe tenersi conto in risoluzione circa destino territorio. Governo britannico è disposto interporre proprî buoni uffici presso futuro Governo tripolitano o libico circa desiderabilità concludere accordo con Italia di natura economica e tecnica. Tale materia è questione da negoziarsi fra Italia e futuro Governo e non si ritiene opportuno che Assemblea consideri la stipulazione di «trattato» nella sua decisione.

4) Data per realizzare indipendenza dovrà essere esaminata e discussa da Assemblea. Essa dovrà tenere conto immaturità tali territori.

5) Governo britannico non fa proposte circa Fezzan in attesa conoscere punto di vista francese.

Eritrea. 1) Governo britannico mantiene propria proposta cessione Etiopia provincie orientali, con necessarie garanzie, e incorporazione provincie occidentali a Sudan.

2) Governo britannico è contrario proposta indipendenza Stato eritreo in quanto territorio non possiede unità nazionale, razziale, linguistica o geografica sufficiente. Tale proposta sarebbe pericolosa per mancanza mezzi propria difesa e condurrebbe lotte civili e negherebbe soddisfazione desiderio 450 mila copti.

Somalia. Governo britannico mantiene precedente proposta favorevole trusteeship italiano3».

Libya

Eritrea

Italian Somaliland

His Majesty’s Government continue to support their previous proposal for Italian trusteeship ofthis territory.

160 4 Con T. segreto 9636/727 del 31 agosto Tarchiani rispose: «Circa Comitato ristretto, si negaqui che esso abbia funzioni Comando supremo. Comunque tutti sono assolutamente contrari usare taleespressione. Inoltre in seno ad eventuale Comando supremo sorgerebbe ugualmente questione formazione a tre, in quanto Gran Bretagna e Francia non rinuncerebbero avervi parte identica a Stati Uniti».

161 1 Si riferisce all’ultima parte del presente documento.

161 3 Il testo originale della nota era il seguente: «His Majesty’s Government in the United Kingdom, since the last meeting of the General Assembly, have had opportunity to review their policy regarding the disposal of the former Italian Colonies and to consult other governments in the matter. The following represents their present views:

(1)- In view of the passage of time and events, His Majesty’s Government no longer considertrusteeship to be the appropriate solution far either Cyrenaica or Tripolitania. They, therefore, proposethat both territories should achieve independence as soon as practicable without any intervening period oftrusteeship and that the administering authorities should take immediate steps to this end in accordancewith His Majesty’s Government’s obligations under Article 23 of the Italian Peace Treaty and report tothe Assembly on the action that has been taken. (2)- His Majesty’s Government consider that while nothing should be done by any of the administering authorities to prejudice Libyan unity this question should be decided by the inhabitants of Libyathemselves when they are in an international position to do so. (3)- His Majesty’s Government recognise the special position of the Italian community in Tripolitania and the territory’s close economic ties with Italy. They consider that due note of this should betaken in any resolution about the disposal of the territory adopted by the General Assembly and they areprepared to use their good offices in drawing the attention of any future Tripolitanian or Libyan Government to the desirability in their economic and social interests of concluding some agreement or Treatywith Italy of an economic and possibly technical nature. On the other hand, His Majesty’s Governmentregard the question of this Treaty as a matter to be negotiated between Italy and a future Tripolitanian orLibyan Government and they would not think it appropriate to advocate in the Assembly any stipulationthat a future Tripolitanian or Libyan Government should conclude such a Treaty. (4)- His Majesty’s Government consider that the question of the exact date by which Tripolitania and Cyrenaica shall achieve independence is a matter for careful consideration and discussion bydelegations at the General Assembly. In view of the immaturity of the territories, His Majesty’s Government think special care should be taken to ensure that independence is based on stable foundations. (5)- His Majesty’s Government are not making any proposals regarding the Fezzan until theFrench Government have expressed their views. (1)- His Majesty’s Government adhere to their former proposal that the Eastern provinces of thisterritory should be ceded to Ethiopia with the necessary safeguards, and that in default of a better solutionthe Western province should be incorporated in the neighbouring Sudan. (2)- His Majesty’s Government are opposed to any proposal for the creation of an independentEritrean state because the territory, besides not being economically viable, possesses neither the national,racial, linguistic or geographical unity which is essential for the creation of an independent statal entity.Such a proposal would in their view be dangerous since the proposed state would have no means of selfdefence and would be a prey to civil strife. Such a proposal would also deny the 450,000 odd Coptic Christians satisfaction of their declared desire of incorporation within Ethiopia.
162

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9562/27. Bogotà, 30 agosto 1949, ore 21 (perv. ore 7 del 31).

Ventotto corrente avuto luogo solenne cerimonia firma protocollo amicizia collaborazione. Accordo viene qui considerato come sostanzialmente impostato su basi particolarmente favorevoli ulteriore sviluppo rapporti italo-colombiani. Siamo rimasti pertanto d’accordo con queste autorità che attraverso normali vie diplomatiche saranno riprese prossimamente conversazioni per stipulazione trattato di commercio e accelerati studi circa possibilità incremento nostra emigrazione e scambi culturali. Secco Suardo riferirà al riguardo1. Suggeriamo consueto scambio telegrammi tra capi di Stato2.

163

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 7449/424. Roma, 31 agosto 1949, ore 11,30.

Con telegramma a parte trasmettole dichiarazione fatta da nostro delegato

O.E.C.E. relativamente cifra aiuti concessici.

Faccia presente codesto Governo e E.C.A. profonda delusione Governo italiano il quale non ha respinto decisioni O.E.C.E. unicamente per evitare ripercussione dannosa nei riguardi collaborazione europea.

Non si può fare a meno rilevare:

1) nostro paese è stato penalizzato per avere seguito politica di produzione invece che politica consumi come altri Stati: dal che ne è conseguito obbligo impiegare parte nostre riserve;

2) nostra ortodossia in materia cambi ci ha condotto accumulo sterline non immediatamente utilizzabili; dal che nostra bilancia pagamenti è in realtà assai meno favorevole di quanto possa superficialmente apparire;

3) tra altri paesi, Francia riceve somma aiuti (704 milioni) e diritti attivi traenza (258) realmente sproporzionati effettiva consistenza sua economia. Ciò mal

2 Per il testo del Protocollo di amicizia e collaborazione tra l’Italia e la Colombia, firmato il 27 agosto, vedi MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXX, cit., pp. 525-526.

grado situazione estremamente favorevole sue riserve monetarie che in queste ultime settimane sono cresciute oltre 100 milioni dollari malgrado che politica dirigista sin qui da essa praticata abbia favorito fuga o imboscamento divise e oro. Tale incoraggiamento a politica volutamente debitoria non sembra morale;

4) situazione peculiare nostro paese (eccessivamente basso tenore vita; eccedenza demografica; aumento disoccupazione; ecc.) non è stata minimamente tenuta in conto; dal che deducesi che sistema prendere bilancia pagamenti unica base stima necessità aiuti conduce risultati falsati e va necessariamente mutata;

5) già scorso anno documentammo ragioni per cui Italia abbisognava maggiore somma aiuti nel secondo anno; è quindi irragionevole che nostro deficit indicato in 565 milioni venga arbitrariamente stimato in 433: ciò può produrre conseguenze su svolgimento politica investimenti e ricostruzione;

6) in favore Gran Bretagna è stata proposta dichiarazione particolare per attirare attenzione su sua speciale situazione che abbisogna aiuti maggiori di quelli concessi. Non comprendesi perché analoga raccomandazione non sia stata fatta favore Italia la cui situazione è stata ignorata nelle sue fondamentali caratteristiche che dovrebbero fare del problema italiano un problema europeo. In conclusione nostro non rigetto decisione dovuto unicamente nostra volontà collaborazionista non può alcun modo essere interpretato come accettazione anni futuri dei criteri applicati anno corrente né come rinuncia approfittare ogni eventuale miglioramento che potesse prodursi nel frattempo1.

162 1 T. 9571/26 da Bogotà in pari data, non pubblicato.

164

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9594-9613/115-116. Bruxelles, 31 agosto 1949, ore 13,45 (perv. ore 24).

Telegramma di V.E. 7304/C.1.

Ho conferito a mia richiesta con ministro Van Zeeland. Egli mi ha ascoltato con attenzione ma non mi è sembrato mostrarsi convinto dalle mie argomentazioni. Egli ha infatti detto che l’organizzazione prevista gli sembrava la più saggia e ragionevole. Mediante la loro partecipazione su piede di piena uguaglianza al Consiglio consultivo tutte le potenze avranno modo di esporre il loro punto di vista e tutelare i loro legittimi interessi, mentre si comprende che pei sub-comitati regionali (i quali dovranno occuparsi precipuamente di questioni di ordine tecnico e di carattere locale) siano in prima linea rappresentati, e vi abbiano la preponderanza, gli Stati geograficamente maggiormente interessati; le potenze del patto di Bruxelles nel sub-comitato dell’Europa occi

164 1 Vedi D. 146.

dentale, e l’Italia nel sub-comitato pel Mediterraneo. Conviene altresì tenere presente che si tratta di sub-comitati che avranno poteri limitati e principalmente compiti di studio precitati mentre ogni decisione definitiva spetta poi al Consiglio consultivo in seno al quale è assicurata la assoluta parità legale di tutti. Quanto sub-comitato esecutivo è ovvio che per rendere possibile e sollecito il funzionamento dell’organismo esso debba essere composto da un numero ristretto di delegati e che questi siano scelti fra le potenze che hanno maggiori responsabilità internazionali e che al momento attuale rappresentano il maggior problema europeo militare.

Van Zeeland ha peraltro chiesto che in seno al Comitato esecutivo sia in qualche modo riconosciuto e rappresentato il gruppo delle potenze di Bruxelles come entità a sé stante e come un fattore capitale per la difesa dell’Europa. Egli ritiene che non si possa negare l’importanza nel momento attuale dell’organizzazione militare messa in piedi dalle potenze del Patto di Bruxelles; né si possa pensare seriamente alla preparazione della difesa dell’Europa trascurando la somma di studi, di esperienze, e la concreta collaborazione militare già stabilitasi fra le cinque potenze di Bruxelles.

Egli ha chiesto dunque che nel Comitato ristretto la Francia e la Gran Bretagna, una delle due indifferentemente, oltre che poteri effettivi per conto proprio, vi abbiano nello stesso tempo anche la rappresentanza formale di tutto il gruppo delle potenze di Bruxelles.

Ho osservato che una simile richiesta appariva una soluzione elegante per ottenere la partecipazione, sia pure per via indiretta, del Belgio e dell’Olanda ai lavori del Comitato esecutivo; ciò avrebbe reso ancora più stridente la posizione di inferiorità fatta all’Italia, e rafforzata impressione che il problema della difesa della Manica e non quello di tutta l’Europa costituisca la preoccupazione principale delle potenze del Patto atlantico.

163 1 Per la risposta vedi D. 171.

165

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI1

L. Roma, 31 agosto 1949.

La tua del 252, che ricevetti qui avant’jeri, mi confermò, coi dati che mi comunichi, quanto necessario agire per la Zona B. Già dalla Lunigiana avevo scritto a Zoppi che:

a) dovevamo trasformare la nota all’O.N.U. da protesta per la valuta (ove vi son lati contro di noi) in una protesta per le violenze contro gli italiani,

b) ma che per ciò fare ci occorrevano informazioni non smentibili.

Zoppi chiese subito a Trieste e spero domani avere il materiale per scrivere.

2 Vedi D. 144.

Appena qui giunsi, il 29, venne a casa mia per una conversazione di due ore Cannon, ambasciatore degli Stati Uniti a Belgrado. Di ciò ti dirò a voce, e come la tua lettera mi giovò. Gli dissi (è uomo di alta cultura, sposato a una von austriaca): «Voi sapete quanto io voglia la pace con Belgrado. Ma vi son casi d’onore su cui non si può transigere. Per poche confische a nobili lombardi, Cavour pose in bocca al re di un piccolissimo Stato il “grido di dolore” cui non era insensibile. E fu la guerra. Noi mai faremo un atto che può portar pericoli di guerra. Ma quello che vien dall’Istria è un grido di dolore ben più angoscioso. Noi dobbiamo raccoglierlo».

E gli proposi di suggerire a Tito un atto spontaneo, cioè deplorare atti compiuti «contro i suoi ordini». (Ai dittatori non si può parlare che così).

Cannon comprese, impressionato.

Oggi è giunto a Belgrado, dopo dodici ore di sosta a Trieste. Aspettiamo; poi decideremo.

Tu riconosci «forse pericoloso» affrontare la rivoluzione del T.L.T. Io andrei ancor più in là. Guai se in un’Europa che si muove provocassimo la partenza degli anglo-americani da Trieste! Non ti pare?

Ho ordinato a Martino di interrompere il congedo in Austria e tornar subito a Belgrado; e che passi da Roma.

Spero giunga oggi3; lo spedirò subito a Belgrado perché appoggi Cannon. Poi vedremo insieme.

Ti mando il testo della dichiarazione che ho prescritto a Cattani di fare all’O.E.C.E.4.

E ti mando copia di una lettera di Acheson5, che l’incaricato d’affari americano mi consegnò jeri. Era vecchia, ma disse che i suoi ordini erano di porla in mano mia. Non c’era di che6.

Io dovrei essere a Washington il 17. Partendo per mare, dovrò forse lasciar Roma per Cherbourg il 6 mattina.

Come vederci? Ti converrebbe che volassi a Venezia e fossimo insieme mezza giornata. O si può volare a Trento?

(Cerco anche di prendere un peggior piroscafo che parte dall’Havre il 10 e mi permetterebbe lasciar Roma l’8. Ma arriva a New York l’alba del 17. Cioè con rischio di ritardo).

Ti informerò ancora.

4 Non pubblicato, ma vedi D. 163.

5 Vedi D. 106.

6 Per il colloquio di Sforza con Byington vedi D. 182.

165 1 Autografo, in Archivio De Gasperi.

165 3 Vedi D. 183.

166

L’AMBASCIATORE A TEHERAN, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2056/416. Teheran, 31 agosto 1949 (perv. il 6 settembre).

Riferimento: Telespr. min. n. 15/15706/C. del 18 corrente1.

Le dichiarazioni fatte nel luglio scorso dal ministro degli esteri di Turchia al giornale Cumhuriyet2, a proposito della progettata costituzione di un’unione fra gli Stati musulmani, non sono state riportate da questa stampa che non mi risulta vi si sia neppure in alcun modo riferita.

Ciò è probabilmente dovuto al fatto che l’atteggiamento di Ankara verso il resto del mondo islamico è qui ben noto e non si è quindi portati a interpretare troppo facilmente qualche platonica manifestazione turca in favore di una collaborazione islamica come un indizio di probabili cambiamenti della politica di Ankara.

Ancora di recente questo Governo aveva conferma dell’atteggiamento della Turchia a tale riguardo quando, in occasione delle recenti visite del reggente dell’Iraq e di re Abdallah a Teheran, questo ambasciatore di Turchia ha chiarito che la Turchia non era favorevole ad un allargamento del Patto di Saad Abad (mio telespresso 1685/286 dell’8 luglio scorso)3. Mi risulta inoltre che detto ambasciatore, consultato da questo ministro degli affari esteri, espresse allora il parere che non fosse neppure opportuno di menzionare comunque il Patto stesso nel comunicato ufficiale emanato al termine della visita dell’emiro Abdul Illah a Teheran. E tale consiglio venne seguito da parte iraniana.

Si nutre infatti molta comprensione per la prudenza di Ankara perché essa corrisponde in larga misura alla politica seguita da Teheran, anch’essa molto guardinga quando si tratti di assumere nuovi impegni verso il mondo islamico e decisamente diffidente per quanto concerne gli Stati arabi per i quali, come ho avuto più volte occasione di segnalare, non si nutre qui alcuna simpatia e nelle cui rivalità intestine non si desidera lasciarsi trascinare.

Anche l’azione politica di Teheran, come quella di Ankara, è determinata nei suoi rapporti con il restante mondo islamico piuttosto dalle circostanze che da un programma stabilito anche se, specialmente per motivi di politica interna, si proclami il desiderio di vedere realizzata una solidarietà islamica e si abbia pure il naturale desiderio di conservare rapporti di buon vicinato con gli Stati musulmani fra i quali, in seguito alla costituzione del Pakistan, l’Iran è venuto a trovarsi in una posizione centrale.

Le stesse informazioni qui recentemente pervenute circa un movimento che si è iniziato per una tale unione, sotto il nome di «Islamistan», rivelato dal giornale Vatan di Istanbul, sono praticamente passate inosservate in questi ambienti politici responsabili che si esprimono al riguardo con marcato scetticismo e che da tale scetticismo

2 Telespr. 1334/564 del 20 luglio da Istanbul, non pubblicato.

3 Vedi D. 25.

non si sono dipartiti neppure quando quest’ambasciatore del Pakistan ha tentato di fare qualche giorno fa della pubblicità al movimento stesso allorché, facendosi interpellare dal locale giornale Atteche, ha dichiarato che trattasi d’importante iniziativa, anche se essa non abbia carattere ufficiale, che il promotore del movimento Tchatroui al Zaman è una delle maggiori personalità del Pakistan e che il medesimo visiterà quanto prima i paesi dell’Islam per fare opera d’incitamento e di coordinazione.

166 1 Non pubblicato.

167

IL MINISTRO A BUDAPEST, BENZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2972/659. Budapest, 31 agosto 1949 (perv. il 9 settembre).

Riferimento: Rapporto di questa legazione n. 2676/596 del 10 agosto u.s.1.

Com’ebbi a segnalare col rapporto citato in riferimento il Rákosi, che è stato l’ispiratore della nuova Costituzione, è stato pare colui che, il 17 agosto u.s., nel presentarla alla Camera, l’ha commentata ed illustrata: col discorso che ad ogni buon fine si allega in copia tradotto1.

La dichiarazione che a guisa di preambolo precede la Costituzione non è stata oggetto di un commento diretto dall’oratore: la drasticità stessa in cui vi viene sottolineato il ruolo autonomo e determinante esercitato dall’U.R.S.S. nella rivoluzione ungherese consigliava forse di non insistere su un motivo che non può essere di particolare soddisfazione per gli stessi comunisti locali.

Com’era prevedibile il Rákosi non ha fatto una esegesi della nuova Costituzione, non ha spiegato quelle che, pur col precedente russo, sono grosse innovazioni al diritto pubblico moderno ed anzi rispetto a questo sono forme «involutive di tale diritto»: così, per esempio, il principio dell’unità del potere legislativo e di quello esecutivo che nella Costituzione si presenta consequenzialmente dal Parlamento fino ai consigli locali.

L’oratore invece comincia col dirci che, secondo il detto di Stalin, «il programma si riferisce all’avvenire e la Costituzione al presente e che non bisogna confondere i due concetti»: quasiché fosse possibile confondere il programma, idea puramente politica e che non può non riferirsi all’avvenire, con il termine «Costituzione» strettamente giuridico nel quale si inquadra anche ma non solo un programma.

Comunque l’intuitivo distinguo sembra doversi mettere in relazione al susseguente rilievo dell’oratore in cui egli dice che «la nostra democrazia popolare è robusta, ma è una pianticella, e è ancora all’inizio dello sviluppo socialista. La Costituzione non può non tener conto della realtà attuale e così quindi Rákosi giustifica alcune concessioni che ad essa vi vengono fatte, ma che in futuro dovranno scomparire. Tra queste vanno di certo incluse quelle in cui si dichiara che «i mezzi di produzione possono anche essere di proprietà privata» ovvero che «viene riconosciuta e tutelata la proprietà acquisita col lavoro ecc. ecc.».

Ma il Rákosi non ha voluto privarci dell’impressione che la nuova Costituzione sia stata liberamente dibattuta ed ha quindi comunicato all’Assemblea che alcune modifiche da apportare alla Costituzione stessa gli sarebbero giunte da varie parti.

Secondo la prima di tali proposte si sarebbe voluto definire la Repubblica popolare come «lo Stato degli operai, dei contadini lavoratori e degli intellettuali progressisti». L’oratore ha spiegato l’impossibilità di accettare tale estensione della classica definizione richiamandosi alla pura dottrina staliniana che considera gli intellettuali non già una classe ma una «stratificazione» nelle classi, vale a dire che essi vengono reclutati in tutte le classi. Affinché tuttavia non si avesse l’impressione che nello Stato ungherese non si desse a tali stratificazioni la dovuta importanza, egli ha letto un nuovo paragrafo da aggiungere all’articolo 53, che dovrà essere inserito nella Costituzione (vedi Allegato n. 2)1.

Altra modifica sarebbe stata quella di citare nella Costituzione le singole unità organizzative degli organi locali del potere statale. Tale modifica è stata rifiutata perché non si desidera mutare in questo momento il sistema attuale che pur un giorno andrà riveduto.

Ma il più vistoso dei soi disants emendamenti sarebbe pervenuto dal Partito democratico indipendente (padre Balogh), del tenore seguente: per assicurare la libertà di coscienza dei cittadini, la Repubblica popolare ungherese separa la Chiesa dallo Stato e tiene presente gli accordi già intervenuti fra singole Chiese e lo Stato e desidera concludere eguale accordo con la Chiesa cattolica.

La proposta è stata rifiutata dalla Commissione, ma ciò ha dato modo al Rákosi di dichiarare quanto segue:

«Va da sé che gli accordi conclusi dallo Stato della democrazia popolare con alcune Chiese restano in vigore. E così va da sé che la nostra democrazia, come è stato ripetutamente dichiarato nel passato, concluderebbe volentieri anche in avvenire un accordo di analogo significato, sulla base di un vicendevole accordo ed arrendevolezza, se ciò non venisse fatto fallire dalla forze antidemocratiche che tuttora esistono nella Chiesa cattolica e dai suoi sostenitori stranieri».

Tutto considerato, il discorso di Rákosi, per quanto si riservi sugli sviluppi avvenire, è per quanto concerne il presente relativamente moderato: moderazione forse dettata dalla preoccupazioni del momento.

167 1 Non pubblicato.

168

L’INCARICARO D’AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, WARD, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA PERSONALE. Roma, 31 agosto 1949.

I have been instructed by Mr. Bevin to convey to Your Excellency the following message:

«You will remember that when we discussed on 13th August the question of Trieste, I offered the advice that it would be best to let the question lie for the time being. Since my return to London I have been considering this matter in the light of our most recent reports from Yugoslavia. It seems to me that it is quite possible that the Yugoslav Government may approach you with a view to reaching a compromise solution of the Trieste problem.

I feel that I must make it clear that I did not for a moment mean to suggest by my advice that, if such an approach were made, you should not respond favourably to it and follow it up»1.

169

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 7474/99. Roma, 1° settembre 1949, ore 10,30.

Ieri è stato firmato Accordo italo-greco di collaborazione economica e regolamento questioni derivanti da trattato di pace1. Accordo prevede Commissione mista in Grecia per esecuzione clausole economico-finanziarie. Colitto rientra costà quale delegato per preparazione lavori in attesa esperti che giungeranno in settembre.

170

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, A PANAMA

T. SEGRETO 7476/7. Roma, 1° settembre 1949, ore 14,20.

Suo 24 e lettera da Lima1.

Riunione Patto atlantico avrà inizio Washington giorno 17 p.v. e non so prevedere quanto potrà durare mia permanenza colà. Naturalmente è necessario ambedue conduciate insieme a termine missione come previsto. Ad evitare qui ed in America inopportune speculazioni stampa è desiderabile, anche in relazione riunione O.N.U., soprassedere ad iniziative contatti con Unione panamericana ed attività politica Stati Uniti.

168 1 Annotazione autografa di Sforza su foglio spillato a questa lettera: «Ho risposto all’incaricatod’affari (che mi ha rimesso questa lettera) che ero d’accordo; che avrei ascoltato con interesse, anche se conpoca speranza, qualsiasi «approach» del Governo iugoslavo; che dicesse però a Bevin che v’era un problema ancora più urgente, quello della persecuzione degli italiani nella Zona B, e che questo è uno scandaloche noi non possiamo tollerare». Questo documento, insieme all’annotazione del ministro, venne trasmessoalle ambasciate a Washington, Londra e Parigi con Telespr. riservato personale 15/185 del 7 settembre.

169 1 Ed. in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXX, cit., pp. 541-604.

170 1 Rispettivamente del 27 e 21 agosto, con i quali Brusasca aveva tra l’altro avanzato l’ipotesiche la missione facesse tappa a Washington e riferito il suggerimento di don Sturzo di una visita al Canada in quanto membro dell’Unione panamericana.

171

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9665/728. Washington, 1° settembre 1949, ore 19,48 (perv. ore 7,30 del 2).

Suo 4241.

Ho oggi comunicato a Hoffman testo dichiarazione nostro delegato O.E.C.E. circa ripartizione aiuti e svolto considerazioni di cui telegramma citato.

Hoffman mi ha detto in via confidenziale che è in preparazione comunicato stampa con cui E.C.A. annuncierà che ripartizione O.E.C.E. verrà adottata come base operazioni E.C.A. primo semestre 1949/50 mentre assegnazioni secondo semestre saranno fatte in relazione effettivo utilizzo aiuti da parte paesi partecipanti. Hoffman tenuto assicurarmi che rimane così aperta possibilità aumentare assegnazioni programma italiano, delle cui caratteristiche ci è parso rendersi perfettamente conto. Ha peraltro insistito su assoluta necessità dimostrazione congruo utilizzo aiuti da parte nostra, oltre che su opportunità intensificazione programma investimenti e messa in opera adeguati provvedimenti per aumento esportazioni italiane ed acquisizione dollari. Su tale ultimo punto ha dichiarato che da parte tutti paesi partecipanti non si erano fatti sufficienti progressi e mi ha pregato rinnovare con nostre autorità competenti esortazioni da lui fatte Venezia.

Ho colto occasione colloquio per riparlargli problema nostra emigrazione e per suggerirgli discretamente che in suoi contatti con inglesi e canadesi (e possibilmente con Bevin) prossimi giorni egli trovi modo di marcare suo interessamento a tale nostro problema, in relazione possibilità assorbimento Africa Australia Canada.

Hoffman ha promesso che cercherà cogliere occasione per attirare attenzione inglesi su tale questione.

172

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

TELESPR. SEGRETO 3/3529/C. Roma, 1° settembre 1949.

Avvicinandosi l’inizio della quarta Assemblea generale delle Nazioni Unite, che è chiamata a prendere una decisione sulla sorte delle antiche colonie italiane, è opportuno riassumere ed illustrare dettagliatamente (per quanto è possibile, dato che sono tuttora in corso con varie Cancellerie scambi di idee al riguardo) la posizione

che il Governo italiano intende assumere a Lake Success su tale questione, per la quale i nostri amici latino-americani ci hanno già dato nella terza Assemblea un appoggio che certamente non mancherà nella prossima riunione.

Il punto di vista italiano resta quello fissato nella dichiarazione del Governo del l° giugno, dichiarazione che io stesso ho illustrato alla Camera ed al Senato1. (Mi richiamo in particolare alle istruzioni contenute nei seguenti telespressi: n. 3/2383/C. del 3 giugno; n. 3/2384/C. del 10 giugno; n. 3/2547/C. del 14 giugno; n. 3/2479/C. del 9 giugno; n. 3/2491/C. dell’11 giugno2; n. 3/3079/C. del 30 luglio3; n. 3/3114/C. del 2 agosto4; n. 3/3141/C. del 4 agosto3; n. 3/2741/C. del 4 luglio5).

Ai Governi dell’America latina si possono fornire i seguenti ulteriori chiarimenti:

1) Per la Somalia. Manteniamo la richiesta di amministrazione fiduciaria, come era stata presentata alla Assemblea dell’aprile scorso, ma possibilmente senza limiti di tempo.

Se ritenuto necessario, si può fissarne la durata ad almeno 20-25 anni; le condizioni infatti in cui si trova quel territorio, specialmente dopo otto anni di amministrazione militare provvisoria, rendono necessario un largo respiro per poter procedere gradualmente allo sviluppo del paese e richiedono l’impiego di ingenti capitali italiani e stranieri che difficilmente verrebbero colà investiti se non potessero contare su un periodo abbastanza lungo di stabile amministrazione.

2) Per l’Eritrea. Proponiamo che venga sancito il principio della sua indipendenza e quello della sua integrità territoriale nei suoi attuali confini (corrispondenti a quelli anteriori alla guerra di Etiopia).

Se necessario, si potrà ammettere che, salvo restando il riconoscimento immediato del principio dell’indipendenza completa della Eritrea, la sua realizzazione possa essere rinviata per qualche anno. In tal caso, durante il periodo transitorio l’amministrazione del paese dovrebbe essere assistita da una Commissione dell’O.N.U. la quale dovrebbe anche avere l’incarico di preparare i progetti per la costituzione del nuovo Stato.

È da tener presente che ove la nostra tesi non dovesse prevalere, e ove, come augurabile, non dovesse prevalere nemmeno quella della spartizione (e ogni sforzo deve esser fatto a tal fine), la questione verrebbe rinviata. Ciò che sarebbe facilitato dal fatto che nella prossima Assemblea non si avrebbe più il voto su di una risoluzione unica, ma singoli voti per ogni singolo territorio. Nella eventualità del rinvio pertanto occorre aver presente la convenienza di provvedere almeno alla nomina di una Commissione di studio e ciò per non lasciare alla amministrazione occupante piena libertà di creare stati di fatto contrari ai nostri interessi e a quelli del territorio.

Per quanto concerne l’integrità territoriale, è noto che la grande maggioranza dei partiti locali tiene a che nessun lembo di territorio eritreo venga ceduto agli Staticonfinanti. È vero d’altronde che il Governo italiano dichiarò più volte nel passato

2 Ibid., rispettivamente DD. 1024, 1089 nota 4, 1050 e 1115 nota 1. Il Telespr. 3/2384/C. non è pubblicato.

3 Non pubblicato.

4 Non rinvenuto.

5 Vedi D. 10.

che esso era disposto a cedere all’Etiopia il porto di Assab con un limitato hinterland ed un corridoio che ne assicurasse la contiguità con l’Impero, ma ciò era un impegno che l’Italia prese subordinatamente e nella eventualità che le fosse assegnata l’amministrazione fiduciaria su tutto il resto dell’Eritrea. Ora che non si tratta più di mandato italiano, ma di Stato indipendente, la posizione italiana è che si debba rispettare il punto di vista e il desiderio delle popolazioni interessate. Pertanto Governo italiano non ritiene di assumere su tale questione un atteggiamento che possa essere deplorato dalle popolazioni stesse. D’altra parte è da considerare che nel frattempo è intervenuto un accordo anglo-francese (maggio 1949) che prevede una analoga concessione per il porto di Zeila.

3) Per la Libia. In mancanza di un preciso ed impegnativo accordo con le potenze anglosassoni da una parte e con gli Stati arabi dall’altra, è opportuno presentarci all’inizio dei dibattiti con progetti abbastanza elastici per conservare la maggiore libertà d’azione per eventuali trattative nel corso delle discussioni. Naturalmente base di questi progetti deve essere sempre il riconoscimento del principio dell’indipendenza per tutta la Libia, e la riaffermazione del principio che qualsiasi decisione possa essere ora adottata per i tre territori essa non dovrà in alcun modo pregiudicare la possibilità di realizzare sotto una forma o in un’altra, l’unità di tutto il paese.

Nell’esaminare il problema della Libia nel suo complesso occorre poi tener presente le diverse caratteristiche ed il diverso grado di maturità politica ed economica dei tre territori che la costituiscono, dei quali la Tripolitania è il più evoluto ed il solo che possa attualmente considerarsi maturo per l’indipendenza. Sicché preoccuparsi sopratutto del principio dell’unità della Libia trascurando tale situazione di fatto, può avere come conseguenza di sacrificare al concetto della unità quello della indipendenza, gli interessi, cioè particolari della Tripolitania. Ciò naturalmente non significa che non si possano adottare fin da adesso le misure atte a rinsaldare i legami che uniscono i tre territori e ad articolare le rispettive strutture costituzionali in modo da lasciare la via aperta ad una futura unità.

In modo particolare il Governo italiano ha a cuore la sorte della Tripolitania e per questa esso propone un progetto di indipendenza immediata: entro sei mesi cioè dalla decisione dell’O.N.U. dovrebbero essere indette delle libere elezioni per la nomina di una Assemblea nazionale costituente; questa a sua volta dovrebbe nominare un Governo responsabile che assumerebbe immediatamente tutti i poteri e l’amministrazione del paese, realizzando con ciò tutti i presupposti di uno Stato sovrano. Durante questo breve periodo transitorio potrebbero restare le attuali autorità britanniche per provvedere all’amministrazione ordinaria; ma il controllo della amministrazione stessa e in modo particolare tutto quanto si riferisce alle elezioni dell’Assemblea costituente, alla loro procedura e al loro svolgimento dovrebbe essere confidato ad un Comitato internazionale con la partecipazione di due rappresentanti delle popolazioni locali (un arabo ed un italiano).

La mozione relativa alla Tripolitania dovrebbe infine raccomandare la conclusione di accordi diretti fra il Governo italiano e il futuro Governo della Tripolitania, perché possa essere assicurata non soltanto la tutela degli interessi italiani, ma anche una efficace collaborazione tra i due paesi per il proseguimento dello sviluppo economico di quella regione e l’appoggio tecnico dell’Italia alla formazione strutturale del nuovo Stato.

Va richiamata l’attenzione dei Governi amici sul fatto che apparentemente il progetto fatto di recente circolare dal Dipartimento di Stato6 e quello che probabilmente verrà presentato da parte britannica sembrano essere assai simili a quello italiano, mentre in realtà se ne differenziano in due punti di sostanziale importanza: il rinvio di vari anni per la realizzazione di una completa indipendenza, e gli scarsi poteri che verrebbe ad avere l’organo internazionale di controllo (nel progetto americano si parla di «Consiglio consultivo»). Il Governo italiano ritiene invece essenziale ridurre al minimo il periodo transitorio e dare all’organo internazionale poteri quanto più possibile vasti, sopratutto in materia di elezioni. Ne è evidente la ragione: ogni mese che passa le nostre posizioni in loco, sottoposte in condizioni particolarmente difficili ad un continuo logoramento, si indeboliscono, mentre la nostra collettività va riducendosi per numero e per importanza; continuando l’attuale regime per vari anni ancora, gli interessi italiani andrebbero ulteriormente soffrendo. Si tratta cioè delle stesse ragioni per le quali è nostro interesse che sia ad ogni costo evitato un nuovo rinvio della questione. Analoghe considerazioni ci inducono poi ad insistere a che le progettate elezioni siano fatte sotto il diretto controllo dell’organo internazionale ed in regime di piena libertà, giacché solo in tal modo potranno farsi valere quelle correnti filo-italiane che tuttora esistono nel paese e che sino ad oggi sono state compresse. È quindi essenziale che i due punti della immediatezza della indipendenza e dei poteri del Comitato di controllo vengano efficacemente difesi in quanto hanno importanza sostanziale pur sotto il loro aspetto procedurale e formale.

Per quanto riguarda la Cirenaica ed il Fezzan, il Governo italiano è pronto, in linea di massima, ad accettare un accordo che abbia l’approvazione delle potenze rispettivamente amministranti i due territori e degli Stati arabi. Su tale punto tuttavia sembra opportuno rinviare ogni decisione definitiva a quando si potrà conoscere quale sarà l’atteggiamento di tali Stati nei riguardi della questione della Tripolitania: i nostri amici sudamericani potranno, come in passate occasioni, opportunamente far leva sul loro atteggiamento rispetto a questi territori per tutelare i nostri interessi negli altri.

È opportuno infine richiamare l’attenzione di codesto Governo sulla importanza che per i risultati delle discussioni a Lake Success può presentare la procedura. (Tra l’altro, per quanto riguarda l’Eritrea e la Libia, poiché difficilmente si potrà apertamente combattere il principio dell’indipendenza da noi sostenuto, è lecito prevedere che si cercherà soprattutto attraverso emendamenti di svuotare il contenuto delle concessioni accordate per tali principî). La procedura migliore da adottarsi sia davanti alla Commissione politica che nelle sedute plenarie dell’Assemblea generale dovrà quindi essere decisa di volta in volta sul posto dalle delegazioni degli Stati amici, con le quali i nostri osservatori si manterranno in stretto contatto. Tuttavia sarà utile far presente fin da ora l’opportunità che nel presentare i vari progetti di mozione si cerchi fin dal-l’inizio di seguire l’ordine Somalia, Eritrea, Tripolitania, Cireanica e Fezzan affinché lo stesso ordine possa essere mantenuto in sede di votazione, e ciò per consentire di conoscere il risultato delle votazioni sulle questioni che a noi più direttamente interessano prima che si proceda alla votazione di quelle che interessano gli altri.

Quanto precede precisa dettagliatamente il punto di vista italiano. Nel metterne al corrente codesto Governo, la E.V. (S.V.) può aggiungere che il nostro punto di vista è stato comunicato anche ai Governi di Londra, Washington, Parigi ed a quelli degli Stati arabi. Sono tuttora in corso degli scambi di idee con le suddette Cancellerie ed è lecito prevedere che essi continueranno fino all’inizio dell’Assemblea e sul loro risultato i Governi amici verranno messi da noi al corrente attraverso le rispettive delegazioni a Lake Success.

Della avvenuta comunicazione a codesta Governo e delle dichiarazioni che le verranno fatte in tale occasione prego riferire subito, salvo casi di speciale urgenza, sia a questo Ministero che all’Ufficio dell’osservatore all’O.N.U. per telespresso urgente cifrato inviato per posta aerea7.

171 1 Vedi D. 163.

172 1 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 1003.

172 6 Vedi D. 132.

173

IL DIRETTORE GENERALE DELL’EMIGRAZIONE, VIDAU, ALL’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO

T. SEGRETO 7508/37. Roma, 2 settembre 1949, ore 15,30.

Suo 801.

Secondo informazioni da fonte confidenziale non vi sarebbe possibilità finanziamenti E.R.P. per nostra emigrazione in codesto Dominion.

In caso V.E. riscontrasse buone disposizioni verso tale formula presso autorità canadesi e locale opinione pubblica si potrebbe esaminare eventuale possibilità finanziamento con altri mezzi, perdurando nostro interesse ad aumentare afflusso nostri lavoratori in Canada. Proposta accennata da V.E. incontra approvazione questo Ministero e viene ritenuta opportuna anche onde utilizzare azione preparatoria già compiuta da V.E. Potrà pertanto essere proposta apertura conversazioni per invio contingente 5 mila o più lavoratori agricoli, anche eventualmente quali braccianti, all’inizio anche non accompagnati dalle famiglie, a condizione tuttavia che tale immigrazione avvenga in aggiunta a quella attualmente svolgentesi su atto richiamo, e abbia comunque carattere permanente. Circa punto 2) telegramma in riferimento, manodopera categorie accennate sarebbe disponibile. Tuttavia occorrerebbero speciali condizioni lavoro e garanzie per manodopera femminile.

172 7 I rappresentati diplomatici in tredici dei paesi latino-americani (Argentina, Bolivia, Brasile,Cile, Costarica, Repubblica Dominicana, Ecuador, Guatemala, Messico, Panama, Perù, Salvador, Uruguay) risposero assicurando circa l’intenzione dei rispettivi Governi di accreditamento di appoggiare letesi italiane in sede O.N.U.

173 1 Vedi D. 157.

174

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9698/119. Bruxelles, 2 settembre 1949, ore 13,40 (perv. ore 16,10).

Delegazione belga alla prossima riunione dell’O.N.U. sarà presieduta da Van Zeeland. L’ho quindi intrattenuto sulle questioni delle nostre colonie. Mi ha detto che, essendo al Governo soltanto da pochi giorni non era al corrente dei diversi aspetti e degli ultimi sviluppi delle questione; non poteva quindi nulla dirmi oggi circa atteggiamento Belgio. In via personale mi assicurava invece di tutta la sua simpatia e comprensione; conosceva molto bene il nostro paese, dove era state molte volte, e si rendeva conto delle nostre necessità, di ordine politico, economico e demografico. In attesa di definire atteggiamento ufficiale Belgio, che sarebbe stato certamente per quanto possibile comprensivo ed amichevole, si dichiarava pronto ad adoperarsi fin da ora «personalmente» per illustrare ed appoggiare la nostra tesi nelle conversazioni e contatti che sarà per avere con personalità politiche di ogni paese. In occasione del prossimo incontro a Washington con il conte Sforza gli avrebbe confermato le sue buone disposizioni, chiedendogli di indicargli presso chi ed in qual senso la sua amichevole opera di personale interessamento sembrasse poter riuscire maggiormente utile1.

175

L’AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9861/77. Nanchino, 2 settembre 1949 (perv. ore 20 del 6)1.

Suo 382.

1) Per collegamento con Governo nazionalista dopo caduta Canton soluzione meno compromettente parmi essere istituzione consolato Chungking, ovvero a Formosa qualora servizi Ministero esteri vengano fin d’ora colà trasferiti, e inviarvi funzionario con qualifica di console.

2 Del 24 agosto, con esso Zoppi aveva comunicato l’intenzione di destinare un funzionario aFormosa, nel caso vi si trasferissero alcuni servizi del Ministero degli esteri, mantenendo l’attuale rappresentante a Chungking.

2) Ove a tal fine si invii fin d’ora funzionario a Formosa non parmi vi sia necessità inviarne uno anche a Chungking, dove qui non si prevede permanenza nazionalisti possa essere durevole.

3) Per ora non mi risulta che altre potenze oltre Stati Uniti abbiano deciso invio a Chungking segretario ambasciata. Francesi e particolarmente inglesi mi sembrano propensi servirsi dei rispettivi consoli sul posto, nella preoccupazione che invio agente diplomatico sia pure di rango modesto possa arrecare pregiudizio qui e costituire imbarazzo quando sarà momento trattare con Governo che comunisti costituiranno. Se tale dovrà essere in definitiva atteggiamento francesi ed inglesi (e se maggioranza altre potenze cesserà dopo caduta Canton avere presso nazionalisti rappresentanza di sorta), parmi non convenga a noi spingerci oltre; a meno naturalmente che lo si faccia in vista concreta contropartita in campo diverso da quello nostri interessi qui.

4) Circa persone escluderei Varalda cui libertà azione potrebbe essere limitata dall’avere padre e beni a Pechino. Cippico potrebbe provvisoriamente trattenersi Hong Kong.

Prego tenermi informato decisioni codesto Ministero3.

174 1 Con T. 9753/121 del 4 settembre Diana riferiva che, in successivo colloquio con il segretariogenerale agli esteri, questi gli aveva lasciato intendere che l’atteggiamento belga si sarebbe modellato suquello francese.

175 1 Manca l’indicazione dell’orario di partenza perché trasmesso «tramite alleato».

176

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 7649/3467. Washington, 2 settembre 19491.

I telegrammi di questi ultimi giorni2 hanno messo V.E. al corrente dello svolgimento delle discussioni in seno al cosiddetto «Working Group».

Da parte mia ho presenti le istruzioni telegrafiche di V.E.3 nonché il rapporto del generale Trezzani, allegato al telespresso ministeriale n. 904 del 27 agosto

u.s.4. È ormai possibile, credo, formarsi un’idea abbastanza esatta sulla impostazione generale che sarà data agli organi militari del Patto atlantico.

I capi di Stato Maggiore americani erano partiti per l’Europa, circa un mese fa, con un certo bagaglio di idee generali. Nei loro incontri coi colleghi europei hanno precisato queste idee, fino a formulare lo schema di organizzazione, che è stato presentato al «Working Group» come base di discussione.

2 Vedi DD. 137 e 150.

3 Vedi DD. 145, 148 e 160.

4 Non pubblicato.

La questione, che principalmente interessa l’Italia, è, naturalmente, quella della sua inserzione nell’organo direttivo supremo e nei raggruppamenti regionali interessanti la difesa strategica del nostro paese.

Nella composizione dell’organo direttivo supremo, le autorità militari americane avevano, inizialmente, formulato tre ipotesi: in base alla prima, si sarebbe trattato di un organo collegiale comprendente tutti i paesi membri del Patto; in base alla seconda si sarebbe trattato di un Comando supremo affidato agli Stati Uniti (con la partecipazione degli altri membri, forse in diversi gradi di subordinazione); e in base alla terza si sarebbe trattato di un organo collegiale ristretto.

Non era difficile prevedere che, in definitiva, gli Stati Uniti si sarebbero orientati verso la terza ipotesi ed è perfino lecito supporre che le prime due siano state prospettate senza molto convincimento. Infatti l’una andava contro evidenti esigenze di snellezza ed efficienza dell’organizzazione e l’altra sollevava ovvie opposizioni, sostanziali e formali, da parte britannica e francese.

Nella scelta dei paesi, destinati a formare l’organo ristretto, le autorità militari americane hanno creduto fermarsi al minimo occorrente per dargli il voluto carattere di collegialità.

Posto il problema in questi termini, la situazione italiana diventava immediatamente assai difficile.

Non v’è dubbio che l’Italia abbia molti titoli per partecipare a qualunque organo direttivo, anche se ristretto, dell’apparato militare creato dal Patto atlantico: basta citare il suo potenziale industriale, la massa di uomini mobilitabile e la posizione strategica mediterranea e continentale.

D’altra parte, di fronte alla ferma decisione americana di restringere al massimo grado la formazione dell’organo ristretto, la candidatura italiana non può avere molta probabilità di successo. Essa incontra scarso favore da parte americana, fra l’altro perché, in caso di allargamento del gruppo, si vorrebbe anteporle quella canadese. Essa è inoltre osteggiata dall’Inghilterra, per motivi evidenti. La Francia avrebbe interesse ad appoggiarla, per non trovarsi sola di fronte ai due alleati anglosassoni ed anche per essere da noi assistita nella lotta contro le concezioni strategiche insulari della Gran Bretagna. Senonché la Francia (come appare evidente da varie indiscrezioni di funzionari della sua ambasciata a Washington e del Dipartimento di Stato) preferisce soddisfare esigenze di prestigio e di politica interna, le quali sembrano esigere che la parte preminente della Francia sia messa in pieno risalto, anche mediante l’esclusione dell’Italia da una parte analoga. Infine, nessun appoggio possiamo attenderci da altri paesi. (In proposito, le discussioni di Washington non lasciano dubbi: la sola Olanda ha formulato una riserva, ma a suo proprio favore e probabilmente senza speranza di successo).

Per quanto concerne, dunque, la partecipazione italiana al Comitato ristretto, le speranze di successo sono assai scarse. Da ciò scaturisce automaticamente un nostro interesse a far sì che i poteri del Comitato ristretto siano più limitati possibili, nella sostanza e nella forma. Sotto questo aspetto, lo sviluppo della situazione è stato abbastanza favorevole, anche perché, come è provato dai lavori del «Working Group», abbiamo potuto beneficiare dell’atteggiamento parallelo di qualche altro paese: il Canada, l’Olanda e, in grado minore, il Belgio. (Gli altri paesi, per contro, non hanno mostrato finora nessuna aggressività). In conseguenza di ciò gli Stati Uniti hanno acconsentito a molte modifiche e concessioni, rispetto alla primitiva impostazione della struttura e dei poteri da attribuirsi al Comitato ristretto.

A parte il mutamento di nome (non più «Comitato direttivo ed esecutivo», bensì «Gruppo permanente») è stato affermato chiaramente che il Comitato ristretto è un sottocomitato del Comitato militare, riceve le direttive da quest’ultimo e gli sottopone i piani militari affinché esso li approvi.

Sono stati, inoltre, ampliati e precisati i termini della partecipazione saltuaria di altri paesi ai lavori del Comitato ristretto ed è stata prevista la nomina di rappresentanti permanenti di altri paesi presso di esso.

Infine è stata risolta in modo soddisfacente la questione dello «staff». È, difficile dire con esattezza che cosa avessero inizialmente in mente gli americani, nel parlare di «Stato Maggiore nordatlantico, con direttore». È probabile, però, che pensassero a qualche organo di una certa importanza. Adesso, per contro, è stato chiarito trattarsi di una semplice segreteria, destinata a servire non solo il Comitato ristretto, ma anche quello militare e quello di difesa, e tale, cioè, che logicamente tutti i paesi possono esservi rappresentati. (Eventuali successivi tentativi di restringerne la composizione potranno, a suo tempo, essere validamente combattuti).

Questi emendamenti del primitivo progetto possono, è vero, rivelarsi illusioni in quanto tutto dipenderà dal funzionamento pratico dell’organizzazione ed in quanto, per ciò che riguarda l’Italia, non eliminano del tutto gli inconvenienti psicologici del-l’esclusione. Tuttavia ci offrono lo spunto, da un lato per resistere contro eventuali eccessi di potere del Comitato ristretto e dall’altro per conquistare gradatamente terreno in seno all’organizzazione se sapremo darle un contributo di competenza ed un esempio di efficienza (per questa ragione, la scelta dei nostri futuri rappresentanti riveste un’importanza decisiva).

La situazione è completamente diversa per quanto concerne i Comitati regionali.

In questo campo ci troviamo di fronte all’intenzione britannica di valorizzare per quanto possibile l’Unione Occidentale, facendo di essa il nucleo essenziale del sistema difensivo europeo. A questa intenzione, cui sembrano associarsi i paesi del Benelux, si deve il progetto di escludere l’Italia dalla piena partecipazione al Gruppo regionale dell’Europa occidentale.

Tale esclusione (come giustamente osserva il generale Trezzani) falserebbe interamente l’impostazione della difesa strategica dell’Italia. Infatti tale difesa sarebbe concepita prevalentemente in termini peninsulari e insulari, mentre per la parte continentale sarebbe considerata quasi come elemento accessorio e esterno della difesa dell’Europa occidentale.

L’interesse italiano ad evitare siffatto svisamento riveste un valore così capitale da non consentire di transigere sulla piena partecipazione italiana al Comitato del-l’Europa occidentale. La Francia ci ha già, in proposito, accordato il suo appoggio: occorre che lo mantenga e che, possibilmente, contribuisca ad eliminare le riluttanze degli altri membri dell’Unione Occidentale. Per parte nostra, credo, dobbiamo chiaramente far comprendere che non potremo dare il nostro consenso a nessuna organizzazione militare che non tenga conto di questa vitale esigenza.

Come ho telegrafato oggi, il Dipartimento di Stato si attende che i singoli Governi siano in grado di far conoscere i rispettivi punti di vista la settimana ventura, quando il «Working Group» si riunirà nuovamente. Pertanto sarò grato a V.E. se vorrà farmi pervenire istruzioni appena possibile sui singoli punti del rapporto che il «Working Group» si ripromette di sottoporre al Consiglio dei ministri degli affari esteri5.

175 3 Con T. 7760/39 del 9 settembre Sforza rispose: «Suggerimenti V.E. saranno tenuti presentisecondo sviluppo situazione».

176 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

177

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A BRUXELLES, DIANA, E AL MINISTRO A L’AJA, CARISSIMO

T. SEGRETO 7545/C. Roma, 3 settembre 1949, ore 12,15.

Ambasciata Washington, riferendo circa riunione «Working Group» 31 agosto, comunica quanto segue relativamente «Gruppo regionale Europa occidentale»:

«Luciolli ha confermato desiderio italiano piena partecipazione, rappresentante francese ha dichiarato che su esplicite istruzioni testé pervenutegli, appoggiava piena partecipazione italiana.

Rappresentante belga, olandese e britannico hanno dichiarato che istruzioni rispettivi Governi sono contrarie ad allargare piena partecipazione oltre limiti paesi membri Unione Occidentale»1.

Pregola continuare a svolgere attivo interessamento nostra piena ammissione Gruppo Europa occidentale, richiamando attenzione codesto Governo suo interesse farci partecipare organizzazione difesa settore del quale siamo parte integrante sia quale punto terminale fronte occidentale sia quale punto saldatura tra settore stesso e quello Mediterraneo.

Sarà opportuno anche valorizzare posizione assunta Francia nostri riguardi2.

2 Per le risposte da Londra e da L’Aja vedi DD. 199 e 196.

176 5 Con T. segreto 7741/443 dell’8 settembre Zoppi rispose: «Circa proposte emendamento perrapporto “Working Group” voglia tener presente quanto segue: 1) Consiglio: possiamo essere d’accordointrodurre preambolo affermante importanza preminente Consiglio. 2) S.E. il ministro si propone sostenerecostì partecipazione italiana Gruppo permanente e nostra ammissione piena Comitato Europa occidentale.Occorre quindi mantenere posizione da noi precedentemente assunta e cercare ottenere che rapporto finalefaccia menzione divergenze vedute relativamente Gruppo permanente, anche valendosi osservazioni portoghesi. 3) Occorre possibilmente far omettere parole “in the work of formulating such recommendations”alla fine paragrafo 4 documento n. 3 telespresso 3436. 4) Per Segretariato, si richiama ad ogni buon finetelegramma ministeriale n. 435. 5) È infine da insistere affinché partecipazione americana Comitati Europaoccidentale e Mediterraneo sia sul medesimo piano degli altri componenti Comitati stessi».

177 1 T. segreto 9641/723-724-725 del 31 agosto.

178

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’INCARICATO D’AFFARI A PARIGI, GIUSTINIANI

T. SEGRETO URGENTE 7554/490. Roma, 3 settembre 1949, ore 15.

Suo telespresso urgente n. 0247 del 29 agosto1.

Ambasciata Washington telegrafa che Bonnet, su istruzioni Parigi, ha appoggiato piena partecipazione italiana Comitato regionale Europa occidentale.

Ringrazi codesto Governo. Aggiunga che questione, che riveste per noi importanza capitale, è ancora tutt’altro che decisa, e si prevede anzi dura battaglia. Saremo perciò grati se Governo francese vorrà appoggiarci sino in fondo e con tutta l’energia necessaria2.

179

L’INCARICATO D’AFFARI A PARIGI, GIUSTINIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9756/441. Parigi, 3 settembre 1949, ore 14,50 (perv. ore 18,30).

Punto di vista francese su questione coloniale è stato definito e sarà ufficialmente comunicato a V.E. da codesta ambasciata di Francia. Riassumo concetti fondamentali:

Somalia: Si constata accordo quattro principali interessati;

Eritrea: Francia si assocerà alla soluzione che sarà concordata da principali interessati (essa stessa non si considera tale); è pronta appoggiare statuto speciale italiani ivi residenti;

Libia: Francia ammette principio indipendenza «territori» della Libia, indipendenza di là da venire e considerata di maturazione lenta; per la sola Tripolitania istituzione di un Comitato consultivo a cinque che dovrebbe preparare indipendenza. Con Italia trattato da stipulare da Stato nascituro dovrebbe assicurare oltre tutela diritti italiani residenti, interessi economici, assistenza tecnica, anche ritorno italiani già anteriormente stabilmente residenti. Della unità della Libia non dovrebbe farsi parola per ora: al termine evoluzione dei tre distinti territori potrebbe essere considerata possibile federazione.

In conclusione punto di vista francese coincide col nostro soltanto su Somalia.È da ritenere che per Somalia, dato che sia necessario, avremo appoggio francese molto fermo: Somalia rappresenta infatti unica remora effettiva farci schierare nel campo anticolonialista. Per Eritrea posizione francese non è mutata: tiene conto suoi interessi in Etiopia. In Tripolitania poi, come era da aspettarsi, francesi insistono loro posizioni: d’accordo con gli inglesi nel respingere unità Libia proposta da americani, d’accordo con noi ed americani nella proposta di un Comitato consultivo, decisi sempre a lasciare nel vago data in cui elezioni ed indipendenza potrebbero diventare fatti concreti: perché immature le popolazioni ed impreparati essi stessi.

Da tutto questo si può dedurre impressione che, mancando unità di vedute tra i Quattro, posizione tattica sarà a tutto vantaggio di chi è sul posto.

178 1 Vedi D. 159. 2 Giustiniani riferì (Telespr. urgente 0256 del 5 settembre) di aver intrattenuto sull’argomentoMargerie che, pur assicurando l’appoggio francese, aveva sottolineato le difficoltà della situazione.

180

IL MINISTRO A L’AJA, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9758/60. L’Aja, 3 settembre 1949, ore 13,32 (perv. ore 18,30).

Nei primi contatti con questo Ministero affari esteri dopo arrivo in sede ho eseguito istruzioni di V.E. contenute telegramma circolare 73041.

Mi hanno confermato Olanda aveva chiesto partecipazione Comitato esecutivo però senza successo; d’altra parte si era trovata handicappata perché Canada non aveva più insistito propria partecipazione.

A questo Ministero affari esteri risulta in sede trattative Washington è stata proposta nuova formula secondo cui membri Comitato regionale avrebbero diritto di intervenire Comitato esecutivo ogni qualvolta quest’ultimo intendesse modificare raccomandazione formulata da Comitato regionale interessato; in tal caso è escluso che [componenti] Comitato regionale siano rappresentati nel Comitato esecutivo da una tre potenze ad esso partecipante.

Sarebbe inoltre prevista creazione speciale organo di collegamento tra il Comitato esecutivo e Comitato regionale. Ambedue proposte sarebbero ritenute soddisfacenti da questo Governo.

180 1 Vedi D. 146.

181

IL MINISTRO A PANAMA, MARIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9782/19. Panama, 3 settembre 1949, ore 13,25 (perv. ore 7,30 del 4).

Missione straordinaria giunta qui con un giorno ritardo causa guasto apparecchio. È stata ricevuta ieri da presidente Repubblica che tenutala colazione nonostante lutto qui vigente per decesso presidente Diaz e manifestato vivo interesse per sviluppo collaborazione fra due paesi. Missione ricevuta inoltre Assemblea legislativa Suprema corte giustizia Università e Municipio dichiarata ospiti illustri Panama. Firma protocollo amicizia collaborazione avuto luogo grande solennità1. Organi responsabili e stampa attribuiscono a documento sostanziale portata come base sviluppo rapporti italo-panamensi. In serata per iniziativa istituzioni italiane e panamensi avuto luogo grande manifestazione cui largamente partecipato nostra collettività. Missione recatasi visita autorità americane zona Canale accolta saluto onore passato rassegna truppe con comandante in capo. Questi offertole poi ricevimento assieme governatore e generali comandanti tutte armi. Ten. generale Ridgeway tenuto sottolineare solidarietà popoli statunitense italiano e loro fraternità armi derivante guerra liberazione.

182

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO. Roma, 3 settembre 1949.

Ho ricevuto il 30 agosto il signor Byington al quale ho detto che capivo, e apprezzavo pienamente, le ragioni di politica generale che consigliavano il Governo americano a usare in questo momento tutti i possibili riguardi verso la Jugoslavia.

A tal punto che, quando il Governo americano, ritenendo il momento inopportuno, mi aveva chiesto di non mandare per ora la nota all’O.N.U. con la quale volevamo soltanto esercitare il nostro diritto legittimo di replica alla nota del Governo jugoslavo, contenente una presentazione molto unilaterale della sua arbitraria introduzione del dinaro nella Zona B1, avevo dato immediatamente ordine di sospenderne l’invio.

Su un solo punto, però, dovevo, per impegno d’onore, mostrarmi intransigente: le persecuzioni contro gli italiani della Zona B. Ho detto perciò chiaramente al ministro Byington che mi attendevo dal Governo americano e da quello inglese un interessamento serio presso Tito perché cessasse al più presto questo scandalo. Altrimenti mi sarei visto costretto a inviare alle quattro grandi potenze, cioè anche alla Russia, una nota con la quale avrei denunciato questo insopportabile stato di cose.

181 1 Per il testo del protocollo, firmato il 2 settembre, vedi MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXXI, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1978, p. 3.

182 1 Vedi D. 16.

183

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO. Roma, 3 settembre 1949.

Ho ricevuto il 31 agosto il ministro Martino. Gli ho detto che avevo trovato necessario, e anzi opportuno, interrompere il suo congedo a Kitzbühel e pregarlo di rientrare subito a Belgrado, perché ciò sarebbe stato risaputo e avrebbe dato maggior rilievo al passo del quale volevo incaricarlo.

Gli ho detto poi: vada a trovare Kardelj1 e lo preghi di dire al maresciallo Tito, a mio nome, che le persecuzioni delle autorità locali contro gli italiani della Zona B costituiscono un’offesa intollerabile alla coscienza nazionale. Nessun Governo italiano può ignorarle, è anzi un impegno di onore per noi dimostrare che non lasceremo nulla di intentato per alleviare la loro situazione.

Abbiamo provato la nostra volontà di andare d’accordo con la Jugoslavia in mille modi: e siamo stati lieti ogni volta che abbiamo potuto constatare, non molto spesso, a dire il vero, che anche il Governo jugoslavo dà prove concrete di avere gli stessi sentimenti. Anche recentemente, all’indomani del suo incontro con il maresciallo Tito2, ho deciso di sospendere l’invio di una nostra nota diretta all’O.N.U. e che era già pronta, con la quale si denunciava l’illegalità dell’introduzione del dinaro nella Zona B3. E ho fatto ciò per non inasprire la polemica. Ma dica a Tito che se le persecuzioni nella Zona B continueranno sarò costretto ad inviare una nota alle quattro potenze, cioè anche alla Russia, con la quale denuncerò l’inumano trattamento degli italiani nell’Istria occidentale.

Desidero non farlo. Ma Tito, se mi vuol venire incontro, deve fare tre cose: 1) far cessare immediatamente gli arresti e le espulsioni; 2) permettere agli espulsi e ai liberati dal carcere di far ritorno nelle loro case; 3) riprovare l’operato delle autorità locali e richiamarle alla legalità.

183 1 Vedi D. 193. 2 Vedi D. 86. 3 Vedi D. 16.

184

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A WASHINGTON, TARCHIANI, A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO 7607/C. Roma, 4 settembre 1949, ore 15,30.

Consegnerò domani a titolo confidenziale a questi rappresentanti U.S.A., Gran Bretagna e Francia, memorandum1 inteso attirare attenzione rispettivi Governi su situazione che si viene creando in Zona B e su reazioni che arbitraria azione jugoslava suscita nell’opinione pubblica italiana. Ho loro detto quanto dissi a Martino prima sua partenza Belgrado2 e cioè «essere necessario far sapere a maresciallo Tito che persecuzioni contro italiani Zona B costituiscono una offesa intollerabile alla coscienza nazionale che nessun Governo italiano può ignorare e che anzi è per noi impegno d’onore dimostrare che non lasceremo nulla intentato per alleviare loro situazione». Confidiamo in attivo intervento anglo-franco-americano a Belgrado nello stesso senso, riservandoci formale ricorso ai Quattro ove azione nostra e dei Governi amici non sortisse esito auspicato.

Ripeta costì quanto precede e telegrafi3.

ALLEGATO

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLE AMBASCIATE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, DI GRAN BRETAGNA E DI FRANCIA A ROMA

MEMORANDUM. Roma, 5 settembre 1949.

Il Governo italiano ha il penoso dovere di richiamare l’attenzione del Governo di ... sulla situazione che si è venuta sviluppando nella Zona B del Territorio Libero di Trieste, situazione che lungi dall’essere migliorata ha subito negli ultimi tempi un allarmante peggioramento.

Tale peggioramento dipende dalla violazione sistematica, con scopi politici ben definiti, da parte dell’Autorità militare jugoslava, dei limiti delle proprie attribuzioni, in dispregio di ogni più elementare principio giuridico.

Il trattato di pace, prevedendo che il funzionamento effettivo del Territorio Libero si realizzasse entro breve tempo, aveva stabilito che «pending assumption of office by the Governor, the Free Territory shall to be administered by the Allied military commands within their

2 Vedi D. 183.

3 Con il T. segreto 9992/756 del 9 settembre, Tarchiani rispose che il Dipartimento di Stato siera messo in contatto con i Governi britannico e francese per concordare i passi da effettuarsi a Belgrado.Quaroni assicurò (T. segreto 9812/444 del 5 settembre) di aver eseguito le presenti istruzioni e GallaratiScotti riferì sulla questione con il D. 216.

respective zones» (art. 1° dell’istrumento relativo al regime provvisorio del T.L.T.). La portata giuridica di questa clausola è chiara; essa significa che, nel periodo decorrente dall’entrata in vigore del trattato di pace alla costituzione effettiva del T.L.T. sarebbe continuata in entrambe le zone la situazione preesistente, cioè l’amministrazione militare con i suoi compiti ed i suoi limiti quali sono universalmente riconosciuti da universali norme di diritto internazionale.

Ciò è del resto confermato dall’istrumento relativo al regime provvisorio del T.L.T., il quale, all’art. 10, dispone che le leggi e regolamenti esistenti — cioè leggi e regolamenti italiani — resteranno in vigore, a meno che non siano abrogate o che la loro applicazione non sia sospesa dal governatore. Non essendo intervenuta la nomina del governatore del T.L., questo potere di abrogare le leggi esistenti non poteva essere esercitato da nessuno.

In contrasto con tali principî, le Autorità di occupazione jugoslave hanno attuato una serie di trasformazioni di cui qui di seguito si dà un elenco parziale a titolo esemplificativo, trasformazioni che hanno profondamente alterato la fisionomia economica, amministrativa, giuridica e sociale della Zona B.

1) Nel campo amministrativo il vecchio ordinamento provinciale e comunale italiano è stato soppresso e sostituito con un nuovo ordinamento basato su principî completamente diversi. Tale nuovo orientamento è costituito da una Assemblea legislativa, eletta a suffragio teoricamente universale e denominata «Comitato popolare circondariale» e da un Comitato esecutivo che accentra i normali poteri di Governo. Nella comunicazione indirizzata in data 2 novembre 1948 dal Governo jugoslavo al Consiglio di sicurezza dell’O.N.U. si pretende di giustificare tali «riforme» con le esigenze di democratizzare il paese in conformità ai principî fissati a Yalta e sanciti nella Carta delle Nazioni Unite, ma non si comprende come possa essere definito democratico un ordinamento nel quale tanto poco posto viene fatto alla volontà popolare; le liste dei candidati nelle elezioni del 1945 furono infatti uniche, e le funzioni dei nuovi organi si esplicano ignorando completamente il principio della distinzione dei poteri che negli Stati democratici è presidio della libertà dei cittadini.

2) Trasformazioni nel campo giudiziario e giuridico. Le più radicali riforme sono state apportate all’amministrazione della giustizia e alla sostanza stessa delle norme legislative. Senza voler entrare in particolari, basterà ricordare che in taluni casi si è stabilita esplicitamente la retroattività della legge; che il principio della certezza del diritto penale — una delle maggiori conquiste delle moderne Costituzioni per cui nessun cittadino può essere condannato per figure di reato non esplicitamente definite — è conculcato da un decreto che commina pene sino a 20 anni di carcere per chiunque «danneggi gli interessi popolari» oppure «metta in pericolo la politica popolare».

L’attività trasformatrice non si è arrestata neanche dinanzi ad istituti e materie che non avevano alcuna connessione col settore politico. Così nel codice di procedura italiano è stata sostituita la vecchia procedura austro-ungarica; i rapporti di famiglia, quali definiti dal codice civile italiano, sono stati completamente modificati; la compravendita dei beni immobili è stata subordinata all’autorizzazione di un Comitato regionale e ad altri requisiti, tra cui il comportamento politico delle parti contraenti; i rimedi di diritto amministrativo sono stati soppressi ed in conseguenza i privati sono ora lasciati senza difesa nei rispetti degli atti della pubblica amministrazione; del pari è stata abolita tutta la legislazione italiana in tema di assicurazioni sociali e sostituita da una legislazione di nuovo tipo.

3) «Riforma agraria». È noto che la maggioranza dei cittadini di lingua italiana costituiva una classe di piccoli proprietari terrieri; con una serie di provvedimenti emanati sotto il nome fittizio di riforma agraria, si mira a sostituire ai proprietari italiani una nuova classe di proprietari slavi, molti dei quali ora venuti nella Zona dalla Jugoslavia. L’Amministrazione jugoslava ha decretato l’espropriazione senza indennizzo di quasi tutte le proprietà fondiarie ed in ispecie di quelle non coltivate direttamente dal proprietario. Si aggiungano le confische ordinate dalle Autorità jugoslave per motivi politici, nonché i sequestri dei beni degli assenti (assai numerosi a causa degli espatri clandestini di italiani che si sottraggono alle angherie e persecuzioni) e si avrà un quadro del capovolgimento operato nella Zona B.

4) Trasformazioni nel campo culturale. Oltre alla manipolazione dei programmi scolastici ed alla educazione della gioventù con particolari scopi ideologici, si registra la riduzione delle scuole italiane da 70 a 40.

5) Trasformazioni economiche. Nel settore economico l’Amministrazione jugoslava sembra essersi proposta come obiettivo la rescissione di ogni vincolo tra le Zone A e B.

Tra le misure introdotte dall’Amministrazione jugoslava in tal campo, oltre alla già menzionata «riforma agraria» basterà ricordare: a) la costituzione di cooperative che, monopolizzando il commercio dei beni di consumo, ha stroncato la classe dei commercianti e, con l’introduzione di buoni di acquisto, ridotto la preesistente economia di scambi alle proporzioni di una primitiva economia di baratto; b) l’introduzione della jugolira e poi del dinaro quale circolante; c) l’asportazione arbitraria dalla Zona B verso la Jugoslavia di macchinari ed attrezzature per un valore approssimativo di cinque milioni e ottocentomila dollari con conseguenze fatali per l’industria locale.

Nonostante le conseguenze di tali misure, che hanno portato le ristrettezze economiche dove prima era la prosperità e soffocato il libero esercizio dei più fondamentali diritti umani, la popolazione di lingua italiana ha dato prova di uno spirito di sopportazione ed abnegazione, degno del più alto riconoscimento da parte di ogni popolo libero ed è rimasta nella stragrande maggioranza fedele alla propria terra, fidando che il senso di giustizia possa un giorno prevalere e riportare ad essa la serenità e la fiducia nell’avvenire. Ma le Autorità jugoslave continuano ad agire per stroncare la fede degli italiani e eliminarli dal territorio. Difatti alle misure di carattere generale che così profondamente incidono sulla vita della maggior parte dei cittadini della Zona B, si sono recentissimamente aggiunte misure di carattere personale che della legalità non conservano neppure l’apparenza e assumono di più in più l’aspetto del più assoluto arbitrio.

Si segnalano, tra gli altri, i seguenti episodi:

1) il clero è sottoposto a procedimenti vessatori sempre più frequenti: i parroci di Villanova e di Umago, sottoposti a quotidiane intimidazioni e minacce, sono stati costretti ad abbandonare le loro parrocchie. In molte località i registri parrocchiali sono stati asportati con conseguente intralcio al rilascio dei certificati alcuni dei quali sono spesso indispensabili anche agli usi civili.

2) Gran numero di famiglie di lingua italiana di Capodistria hanno ricevuto intimazioni di sfratto motivate con la necessità di mettere a disposizione della popolazione «attiva» le case da esse occupate. Tale provvedimento si basa, oltre tutto, su una ingiustificata discriminazione, in quanto alla categoria colpita qualificata «passiva» appartengono famiglie di professionisti, agricoltori e artigiani che esercitano la loro attività nella Zona B oppure di lavoratori occupati nella Zona A; né potrebbe essere scusato nella sua aperta illegalità, neppure da una reale crisi di alloggi, poiché la città di Capodistria non ha subito bombardamenti e gli immigrati jugoslavi hanno già trovato possibilità di sistemazione in alloggi disponibili. L’esecuzione degli sfratti ha avuto già inizio e le prime famiglie colpite, non avendo la possibilità di trovare un’altra sistemazione locale, si sono in genere trasferite nella Zona A.

3) Il traffico dei passeggeri tra la Zona B e la Zona A è stato reso praticamente impossibile dalle nuove disposizioni di controllo valutario e fiscale e pertanto i residenti della Zona B che si recavano a lavorare nella Zona A si trovano nella condizione o di dover abbandonare l’attuale residenza nella Zona B, oppure di rimanere disoccupati, con la prospettiva nel secondo caso di rientrare nella categoria di popolazione considerata passiva e quindi passibile dei sopra citati provvedimenti di sfratto.

4) Coloro che sono ancora in grado nonostante tutte le difficoltà frapposte di esercitare il loro mestiere in Zona A sono obbligati a versare un contributo mensile di lire 10 mila per «contribuire al generale sviluppo ed incremento delle attività politiche e culturali della Zona B».

5) Nel campo della religione cristiana in particolare si deve rilevare che si cacciano frati e monache; che il clero è vessato ed esposto ad ogni angheria tanto che talvolta qualche sacerdote dopo quattro anni di sofferenze si presenta al vescovo di Trieste, dichiarando di non poter più resistere; che la predicazione è controllata e oggetto di interventi polizieschi; che le Associazioni cattoliche e perfino l’Opera caritativa di S. Vincenzo sono interdette; che nelle scuole si sono introdotti dei testi atei; che si sono istituiti dei cosiddetti collegi promiscui per ragazzi e ragazze dai 12 ai 17 anni che divengono fatalmente centri di mal costume; che in Capodistria la Chiesa di San Giacomo è diventata un magazzino di tabacchi; che ad altro magazzino venne adibita la Chiesa dell’Annunziata; che il Convento dei Cappuccini serve di alloggio a privati, e il Convento di Sant’Anna si sta trasformando in carcere.

6) Infine nelle località di Buie, Lamiano, Nerischie di Lamiano e Verteneglio sono stati arrestati numerosi cittadini senza che le autorità di polizia fornissero spiegazioni sui motivi del provvedimento. Fino ad oggi nessuno degli arrestati è stato posto in libertà né di essi si ha alcuna notizia, il che determina nei familiari ed in genere in tutta la popolazione della Zona B uno stato di legittima ansia e di incertezza per quella che potrà essere la propria sorte.

Il Governo italiano, nell’attesa che il problema del Territorio Libero venga integralmente risolto secondo i principî di giustizia enunciati nella dichiarazione tripartita del 20 marzo 19484, ha fatto quanto era in suo potere per stabilire rapporti cordiali e fiduciosi con la Jugoslavia, sperando che da una reciproca osservanza dei doveri di buon vicinato derivasse anche un più comprensivo atteggiamento delle Autorità jugoslave nei confronti dell’elemento italiano della Zona B. Basti ricordare la buona volontà con cui, malgrado dolorosi incidenti, il Governo italiano ha stipulato con quello di Belgrado un importante accordo commerciale5 che permette il ristabilimento e lo sviluppo dei tradizionali traffici fra i due paesi.

Il Governo italiano vorrebbe, anche per la politica di pace che egli ovunque persegue, continuare a favorire i migliori rapporti con Belgrado ma esso non può, senza mancare ad un suo preciso dovere, rimanere insensibile di fronte ad atti che colpiscono una popolazione che nella sua grande maggioranza è italiana di lingua e di sentimenti.

Il Governo italiano nel portare quanto sopra a conoscenza del Governo di ... non dubita che esso vorrà agire d’urgenza perché una situazione legale sia ristabilita nella Zona B del Territorio Libero di Trieste.

5 Vedi D. 88.

184 1 Vedi Allegato.

184 4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

185

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA,

AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 7632/205. Roma, 5 settembre 1949, ore 18,30.

Suo 253 e ultima parte suo 2541.

Accordo aereo rientra nel quadro rapporti politici fra due paesi che, come le è ben noto, è nostra ferma intenzione normalizzare sempre più. Ma ciò ci viene reso difficile se da parte jugoslava continuano alternarsi gesti che, sia pure su questioni minori, sono da noi apprezzati, con altri che, per la loro gravità, nostra opinione pubblica risente profondamente. Atmosfera propizia sviluppo rapporti amichevoli deve dunque essere mantenuta da entrambe le parti con uguale cura e senso responsabilità.

186

IL MINISTRO A IL CAIRO, FRACASSI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 9838/85-86. Alessandria, 5 settembre 1949, part. ore 0,15 del 6 (perv. ore 9).

Azzam pascià ha accolto favorevolmente promemoria trasmessomi con tua lettera 3/3479 del 29 agosto1, che gli ho diffusamente illustrato oggi. Anche progetto di mozione circa Tripolitania ha incontrato sua approvazione. Suggerisce soltanto a titolo amichevole, ed allo scopo evitare malintesi circa effettive intenzioni italiane per indipendenza paese, di non troppo precisare modalità del trattato da stipularsi fra l’Italia e futuro Governo Tripolitania. A suo avviso ciò che interessa soprattutto ad Italia è di ottenere che Assemblea raccomandi stipulazione trattato. A questo fine suggerisce (e resta in attesa nostro urgente benestare al riguardo) che punto 2 mozione per Tripolitania si concluda con seguenti parole: «omissis ... speciali interessi dei due Stati e dei loro cittadini nei due paesi».

Per Eritrea ha dichiarato sua adesione personale a nostra tesi in favore indipendenza o alternativamente amministrazione internazionale O.N.U.

Egli attribuisce infatti massima importanza ad affermazione principi generali libertà dei popoli che corrispondono a finalità Lega araba. Non esclude tuttavia possibilità che taluni Stati arabi assumano in sede di Assemblea atteggiamento favorevole tesi spartizione, a seguito soprattutto di altri interventi. A titolo personale e confi

denziale egli ha aggiunto aborrire idea che Eritrea possa cadere sotto la dominazione Etiopia che è la più retrograda del mondo.

Quanto a Somalia egli non ha sollevato particolari obiezioni, pur osservando che richiesta amministrazione fiduciaria è in contrasto con principi sopra enunciati. Questa considerazione potrebbe a suo avviso determinare voto contrario o astensione di qualche delegazione araba od asiatica, malgrado desiderio di procedere d’accordo con l’Italia. Azzam mi ha infine comunicato che prevista riunione Lega araba è stata rinviata sine die, causa note divergenze circa riconoscimento nuovo Governo siriano. Aderendo ciononostante proposte, di cui ultimo capoverso tuo promemoria, farà pervenire ai membri della Lega nostro progetto. Suggerisce altresì che esso venga contemporaneamente rimesso e illustrato ai singoli Governi arabi dai nostri rappresentanti diplomatici.

Resto in attesa istruzioni telegrafiche2.

185 1 Del 4 settembre, con essi Martino aveva segnalato il disappunto del Governo jugoslavo perl’interruzione dei negoziati relativi ad una convenzione aerea.

186 1 Non rinvenuto.

187

L’AMBASCIATORE A CARACAS, CASSINIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 5840/1223. Caracas, 5 settembre 1949 (perv. il 13).

A seguito dei telegrammi stampa nn. 29 e 301 inviati in base alle istruzioni impartitemi, credo opportuno trasmettere per documentazione di codesto superiore Ministero una serie di ritagli dei quotidiani più importanti ed il programma concordato con questo ufficio del Protocollo2.

Sulla base di tali elementi risulta evidente come il Governo venezuelano e l’opinione pubblica abbiano accolto l’annuncio dell’arrivo della missione con un senso di deferente simpatia, mentre si può pure constatare come durante il breve soggiorno della missione stessa gli organi statali, la stampa, gli esponenti politici più significativi nelle attuali contingenze e la colonia italiana unitamente a notevoli gruppi di simpatizzanti, in gran parte di origine italiana, abbiano voluto approfittare di questa felice circostanza per confermare le ottime e cordiali relazioni esistenti fra i due paesi e ribadire — per quanto riguarda i nostri connazionali — i sentimenti di profondo attaccamento e fedeltà alla madrepatria.

A prescindere peraltro dal giudizio e dalle impressioni molto più autorevoli dei membri della missione e che di conseguenza superano il contenuto di questo mio rapporto, non ritengo fuor di luogo mettere in rilievo alcune circostanze ed alcune manifestazioni che possono rappresentare un indice promettente anche per l’avvenire.

2 Gli allegati non si pubblicano.

Per quanto riguarda il programma della visita, alcuni contrattempi hanno determinato all’ultimo momento un cambio nel primitivo progetto, ma ciò si è potuto verificare senza gravi intoppi non solo per le amichevoli relazioni esistenti fra questa rappresentanza e le autorità locali, ma ancor più per il desiderio del Governo venezuelano di rendere gradevole la visita nel miglior modo possibile. A tale scopo i membri della missione sono stati considerati ospiti d’onore, hanno avuto a loro disposizione tre automobili e il personale che si usa aggregare alle ambascerie straordinarie.

A causa dell’involontario ritardo verificatosi nel giorno dell’arrivo, e dell’assenza del ministro delle relazioni esteriori, ricoverato in clinica per una grave operazione, venne soppressa una visita al monumento nazionale del Carabobo ed al campo degli emigranti del Trompillo, nonché ad alcune imprese agricolo-industriali italiane, sostituendo l’escursione nell’interno con contatti diretti e più efficaci col Ministero dell’agricoltura e col nuovo Istituto agrario nazionale, in modo da chiarire egualmente i difetti del noto assillante problema dell’emigrazione e facilitare le basi per un prossimo ulteriore sviluppo in tema di colonizzazione.

Comunque l’infermità del dr. Gomez Ruiz non ha modificato la parte essenziale del programma e nelle conversazioni col suo sostituto il sen. Aldisio ha avuto modo di accennare alle pendenze in corso in base alle istruzioni contenute nel telegramma

n. 26 del 19 agosto3 circa la vertenza per le petroliere sequestrate nel 1942, di cui riferirò con separato rapporto.

D’altra parte se l’assenza del dr. Gomez Ruiz ha consigliato di non entrare in merito ad una pubblica dichiarazione congiunta di ideali politici, come era stata progettata in precedenza, il ricevimento alla Casa Amarilla (Ministero degli esteri) ha avuto un carattere solenne ed eccezionale che di fatto ha dimostrato anche esteriormente la identità di vedute e di propositi dell’attuale Governo venezuelano e degli illustri rappresentanti del Governo e del Parlamento italiano.

È infatti da notare che — data la situazione provvisoria del regime qui istauratosi dopo il colpo di Stato del novembre scorso — manifestazioni di questo genere assumono un carattere diverso dai consueti ricevimenti in occasione di missioni estere ufficiali e per quanto ci riguarda più direttamente la partecipazione di una numerosa rappresentanza della nostra collettività e dei figli di italiani insieme a personalità politiche ed alla società locale è un indice chiaro non soltanto di un atto di omaggio, ma di qualcosa di più che specifica l’intenzione di affermare pubblicamente quel senso di amalgamento e di intesa cordiale concretizzatosi in questi ultimi tempi secondo le direttive politiche di cui sopra è cenno.

A mio subordinato avviso questa constatazione, nel quadro sia pure modesto di tutte le attività venezuelane e misurato nelle sue giuste proporzioni, dovrebbe considerarsi soddisfacente.

Inoltre, lasciando da parte i vari argomenti trattati nelle singole conversazioni e che avranno certamente ulteriore seguito (vedi pure mio telespresso odierno4 circa la visita del dr. Rafael Caldera, capo del Copei, al sen. Aldisio, per quanto concerne l’intercambio culturale e la concessione di borse di studio), in questa breve rassegna

4 Non rinvenuto.

non voglio dimenticare un accenno fatto dal presidente Delgado Chalbaud all’on. Brusasca a proposito della ripresa dell’industria italiana e della possibilità di mettere in cantiere unità navali, perché ho ragione di ritenere che tale accenno debba essere messo in relazione con la proposta relativa all’acquisto di una nave da guerra, tuttora allo studio (vedi telespresso riservato 15451/C. del 12 agosto 19494, a1 quale rispondo contemporaneamente).

Passando ai commenti della stampa è da tener presente che ben di rado in casi analoghi vi sono pubblicate interviste con tanto interesse e riprodotte così numerose fotografie come in questa circostanza. Il contenuto delle interviste e di alcuni articoli editoriali riflette il colore dei vari quotidiani, ma nonostante qualche nota stonata, nel complesso devesi ammettere un diligente impegno da parte dei redattori nell’informare il pubblico secondo la propria capacità professionale, che a dire il vero non è molto elevata.

Se si tiene poi conto di recenti altre interviste concesse da membri di Governi stranieri qui di passaggio (leggi anche Stati Uniti) e delle puntate più o meno di spirito, ma certamente ironiche, di alcuni giornali di sinistra, si deve ammettere che il contegno della stampa è stato corretto e riguardoso verso la missione, prendendo anche lo spunto per esprimere sentimenti di ammirazione per l’Italia.

Infine per quanto riguarda i contatti avuti dalla missione con la colonia italiana, desidero mettere in speciale evidenza come nella riunione tenutasi nella Casa d’Italia si sia verificata per la prima volta dopo la guerra una lusinghiera unanimità di consensi, dimostrata dalla presenza di elementi dell’antica nostra emigrazione in perfetta armonia con le varie classi sociali dei nuovi arrivati in questi ultimi anni. Questi gruppi di connazionali, in fraterna cordiale intesa con numerose famiglie di origine italiana e notevoli rappresentanti dei ceti più colti venezuelani, che conservano sacro il culto della nostra civiltà latina, hanno calorosamente applaudito il brillante discorso dell’on. Brusasca — nel quale sono stati toccati tutti gli argomenti di palpitante attualità — e le parole vivamente apprezzate e sentite del sen. Aldisio. I due oratori non solo si sono cattivate imperiture simpatie, ma essendosi intrattenuti anche in benevole conversazioni con tutti quelli che desideravano chiedere spiegazioni e consigli, hanno senza dubbio ancor meglio cementato quelle spirito di concordia che si sta concretizzando giorno per giorno e che rafforza con crescente continuità il sentimento patriottico di questa ottima colonia, la quale — passato il noto periodo di temporaneo disorientamento degli scorsi anni — ha oramai riacquistato un sobrio equilibrio.

Questo equilibrio è stato accentuato dal fatto che tra i presenti vi erano persone di idee politiche e di partito diverse o assolutamente opposte a quelle dei membri della missione. Ciononostante tutti hanno conservato un contegno educato, in netto contrasto con precedenti manifestazioni clamorose e violente di altri tempi.

Anche da questo punto di vista il soggiorno della missione ha pertanto tracciato direttive e suscitato entusiasmi che porteranno certamente ottimi risultati di sempre più vasta portata. Mi permetto pertanto di ringraziare per l’invio della missione a nome di tutti i connazionali e del personale dell’ambasciata.

186 2 Con T. s.n.d. 7733/101 dell’8 settembre Zoppi rispose: «Sta bene in massima al punto 2 progetto mozione per Tripolitania. Devesi tuttavia tener presente che tale progetto costituisce più che altroindicazione nostre intenzioni costì».

187 1 Del 1° settembre, non pubblicati.

187 3 Non pubblicato.

188

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 2407/846. Atene, 5 settembre 1949 (perv. il 7).

Dopo la conversazione avuta con questo sottosegretario permanente agli affari esteri, signor Pipinelis, di cui al mio rapporto n. 2280/800 del 24 agosto u.s.1, in un secondo lungo e cordiale colloquio gli ho francamente manifestato il mio convincimento che in lui sussistesse un preconcetto contro l’Italia accusata di fare nei Balcani una politica contraria agli interessi greci. Egli mi disse che non raccogliessi voci contrarie ad ogni realtà, al che io obbiettai che la mia persuasione non era basata su voci raccolte ma sul fatto che lo stesso Diomidis, mesi or sono, mi aveva detto che, sin dai tempi di Sangiuliano e Sonnino, la politica italiana nei Balcani era sempre stata contro la Grecia (mio rapporto n. 2211/781 del 16 agosto u.s.)2. D’altronde la stessa teoria mi era stata manifestata anche da Sofulis circa due anni or sono, al momento del mio arrivo in Grecia (mio rapporto n. 42 del 9 gennaio 1948)3.

Pipinelis ebbe allora l’aria di confidenzialmente aprirsi con me e, per togliermi dalla mente simili pensieri, mi espose tutt’una sua personale teoria che ritengo interessante brevemente riassumere a V.E.

In passato, egli mi disse, per ragioni storiche la politica greca fu realmente basata su di un espansionismo a cui la Grecia aveva titolo anche per circostanze di fatto che allora sussistevano.

Infatti i trattati di Santo Stefano, Berlino, ecc. — secondo lui — non erano per la Grecia che armistizi per i quali la Grecia non rinunciava al diritto di aspirare ad una politica di preminenza fra popoli non maturi alla civiltà, tanto in Asia Minore come nei Balcani. Col 1923 le basi logiche di questi programmi espansionistici greci vennero per sempre a sparire. La sconfitta subita dalla Grecia in Asia Minore, la trasformazione politica e sociale realizzata da Kemal in Turchia, l’evoluzione dei paesi balcanici, avevano fatto cadere, una volta per sempre, le premesse sulle quali una politica espansionista greca era basata e la Grecia ormai non pensava più che alla propria esistenza nei limiti del proprio territorio statale.

L’interesse evidente dell’Italia in Adriatico era d’altronde quello di avere sul-l’opposta riva entità statali politicamente amiche per cui oggi fra Italia e Grecia non poteva più esservi che un parallelismo assoluto.

Mi citò come nel comunicato ufficiale, che mi disse di aver redatto lui stesso per gli accordi testé firmati (mio telespresso 2363/826 del 1° corrente)2, dopo avere messo l’accento sulla parte utile alla Grecia per evidenti ragioni di opportunismo interno, egli, con l’ultima frase, aveva voluto marcare questo suo pensiero facendo cenno all’opera di ravvicinamento amichevole che è l’intenzione comune dei due Governi.

2 Non pubblicato.

3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 93.

E fin qui Pipinelis.

La sostanza dell’inatteso discorso di Pipinelis non mi ha però lasciato troppo tempo perplesso.

So — infatti — in modo positivo e fuori di dubbio alcuno, che egli si è espresso in modo radicalmente opposto ed anche relativamente poco tempo addietro, con persona di mia assoluta fiducia, così come a suo tempo riferii col mio telespresso urgente n. 079 del 14 luglio u.s.2.

So pure in modo positivo che la sua influenza pesa in misura determinata nei riguardi, per lo meno, del presidente del Consiglio.

La teoria — così remissiva — che egli ha voluto abbozzarmi è d’altra parte in pieno contrasto con la mentalità di questi circoli dirigenti populisti con cui Pipinelis idealmente divide metodi, passioni, convincimenti ed è altresì in contrasto con quello che traspare dal «rumore di fondo» che ronza agli orecchi di chi segue la stampa greca.

Vengo, pertanto, alla conclusione che egli anche questa volta abbia cercato, specialmente attraverso la mia persona (e forse anche in vista della mia prossima fine di missione), di addormentare il senso di vigilanza che non dovrà mai abbandonare l’opera di chi sarà preposto dopo di me ad osservare gli sviluppi della politica greca ed a sorvegliare l’esecuzione degli accordi testé firmati.

Faccio notare che gli stessi infingimenti egli credette potessero essergli fruttuosi quando nel settembre dello scorso anno 1948, ritenendo poter firmare a Roma per le riparazioni un patto particolarmente favorevole alla sua politica, per addormentarmi scrisse a mio privilegio la lettera2 che — immodestamente — mi permisi allora d’inviare personalmente a V.E.

188 1 Vedi D. 141.

189

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9881/747. Washington, 6 settembre 1949, ore 19,30 (perv. ore 7,30 del 7).

Ho visto assistente segretario Stato Medio Oriente-Africa.

Con riserva eventuali precisazioni risultanti da comunicazioni preannunciate con suo 4361, ho illustrato a Mc Ghee nostra posizione. Da parte sua, mi ha confermato che Governo americano si attiene a principi recentemente esposti nelle varie capitali, ma è pronto considerare punti di vista altri Governi onde raggiungere compromesso soddisfacente.

Inoltre, basandosi su reazioni delegazioni vari paesi a Lake Success, in parte già segnalate da questa ambasciata, mi ha detto essere sua impressione che Governi arabi accetterebbero limite due o tre anni per effettiva indipendenza Libia, purché annunzio sia immediato.

Mc Ghee mi ha poi domandato quale sarebbe nostra reazione a rinvio soluzione questione Eritrea, dandomi sensazione che Dipartimento stia già esaminando tale possibilità. Ho risposto, ripetendo noti argomenti, che mie istruzioni erano di insistere per immediata indipendenza quel territorio, ma che era mia impressione che a spartizione Eritrea, ingiusta e dannosa popolazioni locali, Governo italiano avrebbe preferito rinvio.

Ho visto anche Bonnet che, su istruzioni Quai d’Orsay, si prepara comunicare a Dipartimento di Stato posizione francese su questione coloniale. Francesi ammetterebbero in sostanza possibilità indipendenza ed unità Libia, pur insistendo perché non vengano fissati troppo rigidi e solleciti limiti tempo e troppo precisi concetti unità, la quale non (dico non) dovrebbe comunque compiersi sotto egida senusso. Compito avviare popolazioni ad indipendenza dovrebbe spettare per Cirenaica ad Inghilterra, a Francia per Fezzan, e per Tripolitania (che resterebbe sotto amministrazione inglese) a Commissione consultiva composta Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Italia, Egitto e un rappresentante popolazione locale. Assemblea generale O.N.U. dovrebbe inoltre raccomandare conclusione accordo tra nuovo Stato Tripolitania e Italia che affidi a quest’ultima compiti assistenza tecnica ed economica. Per Somalia Governo francese favorisce trusteeship italiano senza limitazioni. Per Eritrea si impegna sostenere soluzione più accetta a paesi maggiormente interessati2.

189 1 T. 7644/436 (Washington) 146 (New York) del 5 settembre, con esso Zoppi aveva richiesto aMascia di intensificare i contatti con le delegazioni sudamericane in attesa dell’arrivo di Alessandrini eCastellani e di ulteriori comunicazioni in proposito.

190

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1882/604. Mosca, 6 settembre 19491.

Dal 25 al 30 agosto si è svolto a Mosca il Congresso pansovietico dei partigiani della pace, o dei combattenti della pace, come pure si usa dire per esprimere più nettamente che questa forma di propaganda per la pace non è altro che un’arma di lotta.

Il Congresso si è svolto alla sala delle colonne del palazzo dei sindacati, sede abituale di simili congressi; vi partecipavano circa mille delegati di tutta l’Unione Sovietica, scelti specialmente fra gli stakanovisti, i colcosiani più rinomati, gli scienziati, i tecnici, i letterati e gli artisti di grido. Esso è stato preceduto ed accompagnato dalla solita propaganda di stampa, con articoli d’occasione e riproduzione vistosa di tutti i discorsi pronunciati.

190 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

Esso è stato fiancheggiato da meeting all’aperto, svoltisi la sera del 27 agosto (sabato) a Mosca, a Leningrado e a Kiev; a Mosca il comizio si svolse al parco di cultura Gorki e vi parteciparono diecine di migliaia di persone.

Tutto il Congresso si è svolto senza partecipazione del corpo diplomatico — le domande di alcuni diplomatici per avere biglietti di invito furono declinate con pretesti — né di stranieri che non fossero orientati in senso comunista o filocomunista.

Al Congresso partecipavano in qualità di invitati delegazioni straniere; alcuni delegati stranieri pronunciarono discorsi di saluto. Partecipavano per gli Stati Uniti un delegato negro, per la Francia lo scrittore Jean Laffitte e Jean d’Arbusier, per l’Inghilterra il solito decano di Canterbury Giulietto Johnson, che sfoggiò per molti giorni all’albergo Nazionale i suoi arcaici pantaloni corti e il suo viso gioviale teso alla ricerca della popolarità, nonché il prof. Bernal il quale non esitò a dichiarare che la guerra contro il Giappone non fu vinta dagli americani ma dai sovietici.

La delegazione italiana comprendeva l’on. Pietro Nenni, il sen. Sereni, il pittore Guttuso e il cristiano-comunista Montesi.

Il discorso dell’on. Nenni fu riprodotto il 29 agosto, e ne unisco la traduzione italiana per documentazione (All. 1)2.

L’onorevole Nenni parlò pure al comizio del 27 agosto, dove pare sia stato salutato da una grande ovazione, ottenendo un particolare successo; pur non avendo potuto inviare alcuno al comizio, che non fu in alcun modo preannunciato, non esito a ritenere la notizia esatta. Infatti l’on. Nenni è senza dubbio, dopo l’on. Togliatti, l’italiano più conosciuto e più popolare nell’Unione Sovietica.

La delegazione italiana, che alloggiava all’albergo Nazionale, fu oggetto di infinite cortesie da parte dei sovietici, e non mancarono i rituali accompagnamenti all’Opera e al Balletto, visite ad un’officina tessile e a un kolcos, ecc.

Mentre l’on. Nenni mi fece visita e ricevette da me le cortesie dovutegli, il sen.Sereni e gli altri membri della delegazione non si fecero vedere. È ormai diventata una regola fissa delle autorità comuniste quella di ignorare la esistenza degli ambasciatori del loro paese all’estero. Essi volutamente dimenticano che l’ambasciatore non è rappresentante di un Governo né di un partito, ma della Repubblica italiana, per mandato del suo presidente; e si pongono così deliberatamente in una posizione che si potrebbe definire formalmente rivoluzionaria di fronte a quello Stato, di cui sono tuttavia senatori e deputati, e furono spesso ministri. Segnalo la cosa dal punto di vista obiettivo.

Ritengo inutile riferire il contenuto del Congresso: dopo un rapporto piuttosto bellicoso del signor Tixonov, si sono letti i soliti discorsi di occasione, ove ogni delegato cercava di infondere un po’ di personalità nella retorica d’obbligo. In definitiva, i congressi della pace hanno nella Unione Sovietica una importanza relativa; la loro importanza consiste tutta nell’effetto psicologico che essi riescono ad avere all’estero, dove hanno la specifica funzione di minare lo spirito delle masse popolari e quindi il potenziale bellico, sia offensivo sia difensivo, dei paesi occidentali.

A questo proposito, taluno, rilevando la particolare frequenza di questi congressi (ve ne saranno altri in vari Stati di Europa fino ad ottobre, ed uno per l’America

latina) sollevava l’ipotesi che si trattasse di uno speciale fuoco di sbarramento, diretto a coprire eventuali azioni verso la Jugoslavia ed a rendere difficile o impossibile la reazione degli Stati occidentali in caso di complicazioni in quel settore.

Per le ragioni ripetutamente svolte, ed anche nel mio telespresso odierno

n. 1859/5932, non ritengo vi sarà un’azione preordinata verso la Jugoslavia dall’esterno, e quindi non penso che questo intensificarsi di congressi della pace, evidenti strumenti di guerra fredda, sia coordinato ad un’azione simile. Tuttavia, poiché i sovietici continuano a contare sul rovesciamento di Tito dall’interno, e sono disposti certamente ad appoggiarlo, non è affatto escluso che, nel caso della tensione internazionale che ne deriverebbe, l’intensificarsi della propaganda per la pace comunista sia concepita come un mezzo di paralizzare le reazioni ostili degli Stati occidentali.

Quel che è certo si è che i sovietici attribuiscono notevole importanza a questa loro grande organizzazione, e la considerano come un efficace strumento per rompere dall’interno la forza dei paesi capitalistici; la esaltano in tutta la loro propaganda e cercano di convincere i loro cittadini circa la sua reale utilità. Benché a un osservatore straniero questi congressi ove si ripetono sempre le stesse frasi, parlando di pace in tono minaccioso e combattentistico, e compaiono sempre le stesse persone, quasi in veste di attori di una grande tournée internazionale, possano essere oggetto di facile ironia, tuttavia essi sono concepiti qui molto seriamente, come un’arma metodicamente adoperata nella lotta contro il fronte capitalistico.

189 2 Per la risposta di Zoppi vedi D. 194.

190 2 Non pubblicato.

191

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9914/140. Sofia, 7 settembre 1949, ore 20 (perv. ore 23).

Questo ministro esteri Poptomov in colloquio odierno mi ha detto essere sua opinione che voci circa possibili complicazioni nei Balcani siano di origine americana, avendo Truman necessità giustificare davanti riluttante Congresso ed opinione pubblica americana programma riarmo Europa occidentale. Secondo lui, U.R.S.S. coerente suo programma pace non adotterà contro Tito alcuna misura militare, ma aiuterà svolgere pressione economica, ritirando altresì da Jugoslavia tecnici sovietici che tuttora vi sarebbero. Ha aggiunto non prevedere sostanziali cambiamenti nell’attuale situazione dei rapporti tra Bulgaria e Jugoslavia.

Segue rapporto1.

191 1 Non rinvenuto.

192

L’INCARICATO D’AFFARI A DAMASCO, TONCI OTTIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9948/50. Damasco, 8 settembre 1949, ore 16,20 (perv. ore 20,30).

Rappresentanti Inghilterra e Francia già autorizzati riconoscere nuovo Governo Siria1. Per procedere riconoscimento attendesi che rappresentante U.S.A. riceva autorizzazione già chiesta Washington.

Sarà più o meno adottata analoga procedura che per riconoscimento ex Governo Zaim.

Prego telegrafare cortese urgenza istruzioni2.

Svizzera proceduto riconoscimento ieri.

193

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9956/260. Belgrado, 8 settembre 1949, ore 15 (perv. ore 8 del 9).

Conferito per un’ora e mezza con Kardelj seguendo personali istruzioni V.E.1. Kardelj ha anzitutto deplorato speculazioni stampa e circoli sciovinisti per fatti «legittimi» in zona B spiegando fatti stessi nei termini di cui al mio telegramma

n. 258 del 6 corrente2. Ha confermato che provvedimenti non sono stati dettati da politica discriminatoria tra slavi ed italiani. Dei trentun arresti a seguito aggressioni e

2 Con T. 7753/23 del 9 settembre Zoppi rispose: «Riconosca senz’altro. Con telespresso odierno le comunico nostro punto di vista su questione riconoscimento in genere Governi che si succedono incodesti paesi».

ferimento soldati jugoslavi quindici sarebbero croati. Degli arrestati quattro sono stati rilasciati: probabilmente altri saranno rilasciati in questi giorni. Kardelj mi ha comunicato che sfratti sono stati sospesi meno naturalmente per famiglie che già hanno raggiunto Trieste.

A mia specifica richiesta Kardelj, per quanto riluttante, mi ha comunicato essere state date istruzioni ad autorità Zona B di astenersi in avvenire da azioni che per quanto legittime possano essere oggetto di speculazione propagandistica anti-jugoslava da parte circoli sciovinistici e avversari Jugoslavia.

Riluttanza Kardelj a farmi questa comunicazione dovuta desiderio Governo jugoslavo che essa sia tenuta riservata onde non essere considerata segno di debolezza da parte di questo Governo e perciò incoraggiante dette persone e gruppi interessati a fomentare azioni atte a turbare ordine in Zona B e irredentistiche. D’altra parte se dovessero continuare azioni di turbamento da parte di detti gruppi amministratore jugoslavo non potrebbe esimersi dal prendere misure adeguate.

Kardelj mi ha confermato volontà Governo jugoslavo stabilire con l’Italia relazioni buon vicinato. Kardelj mi ha comunicato che dopo uccisione guardia di finanza italiana sono state date precise istruzioni onde evitare in avvenire fatti luttuosi. Inoltre Kurulj, presente al colloquio, mi ha comunicato che pratica opzione due marittimi «Tergeste» può considerarsi conclusa favorevolmente e che devesi soltanto attendere esaurimento formalità.

Riterrei opportuno non diramare presente telegramma.

192 1 Sugli avvenimenti siriani il ministro Cortese aveva così riferito con T. urgente 8957/47 del14 agosto: «Questa notte un comitato militare guidato dal colonnello Sami Esve Hannaui ha compiuto uncolpo di Stato impossessandosi Governo e fucilando presidente della Repubblica Zaim e capo del Governo Barazi dopo breve giudizio sommario. In una comunicazione al corpo diplomatico colonnello esercitoHannaui garantisce mantenimento ordine interno e osservanza impegni internazionali e si impegna diconsiderare in vigore libertà costituzionali nelle attuali condizioni e a formare il più presto possibile unGoverno costituzionale». Con successivo T. 8976/48 del 15 agosto Cortese aveva poi precisato: «Giuntamilitare a 24 ore distanza dal colpo di Stato ha trasmesso poteri a un Governo provvisorio costituitosiquesta notte presieduto da Hascem Bey el Atassi capo dello Stato siriano sotto il mandato. ComponentiGoverno sono tutti uomini politici in maggioranza indipendenti ovvero appartenenti partiti del popolo. Intutta Siria calma assoluta».

193 1 Vedi D. 183. 2 Con il quale Martino aveva comunicato le prime reazioni jugoslave alla protesta italiana perla situazione nella Zona B.

194

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. SEGRETA 3/3658. Roma, 8 settembre 1949.

Mi riferisco al tuo telegramma 747 del 6 corrente1.

Il rinvio della questione eritrea può essere evidentemente da noi considerato accettabile per evitare un male peggiore, cioè la sua spartizione fra Etiopia e Sudan. Ma un rinvio puro e semplice converrebbe accettarlo soltanto in mancanza di meglio. Se abbiamo la sicurezza — e secondo me dovremmo averla — di far respingere il progetto anglo-sassone sulla spartizione, ci converrebbe provocare il voto, in quanto è ovvio che vi è una radicale differenza se alla quinta Assemblea la questione dell’Eritrea dovesse venire rappresentata dopo un puro e semplice rinvio o dopo che alcune soluzioni siano state definitivamente eliminate ed altre, anche se non abbiano avuto la maggioranza dei due terzi, abbiano tuttavia raccolto l’approvazione della maggioranza semplice; e soprattutto se la decisione del rinvio è accompagnata da una raccomandazione che fissi fin da adesso, anche in termini assai vaghi e non impegnativi,

alcuni principi ed alcuni sistemi cui dovrebbe ispirarsi la futura decisione definitiva. Ciò è tanto più importante anche in relazione alla situazione in loco. Se infatti il progetto di spartizione venisse bocciato all’O.N.U. i suoi sostenitori in Eritrea si adatterebbero ad altre soluzioni, se invece questa questione fondamentale rimane sospesa, si continuerà a ripresentare.

Da lontano e prima ancora di conoscere l’orientamento delle singole delegazioni è difficile determinare, soprattutto in materia di procedura, una precisa direttiva. Tuttavia ti accenno quella che, a mio parere, potrebbe essere la procedura che potrebbe forse maggiormente corrispondere ai nostri interessi, se la situazione consentirà di svolgerla.

1) Presentazione e respingimento alla Commissione politica del progetto anglosassone di spartizione. (Secondo dati in nostro possesso, questo progetto non dovrebbe ottenere neanche la semplice maggioranza, se decisamente combattuto dai sud-americani).

2) Presentazione e votazione del nostro progetto sulla indipendenza, con o senza l’emendamento previsto per un Comitato internazionale di controllo durante il periodo transitorio. (Sempre secondo i dati incompleti che noi abbiamo, questo progetto, anche se non potrà conseguire la maggioranza dei due terzi, ha una certa probabilità di ottenere la maggioranza semplice, e, in ogni modo, una votazione migliore di quella sul progetto anglo-sassone).

3) Presentazione allora di un progetto di rinvio, nel preambolo del quale però venga possibilmente accennato al principio dell’indipendenza che contempli espressamente la nomina di una Commissione di studio (di cui naturalmente noi dovremmo far parte), incaricata di esaminare la questione, di recarsi possibilmente sul posto per accertare le reali condizioni dell’Eritrea e le reali aspirazioni delle sue popolazioni e di preparare un progetto concordato da sottoporre alla quinta Assemblea.

Tale mozione, non soltanto eliminerebbe definitivamente il pericolo dell’annessione all’Etiopia ed ipotecherebbe in qualche modo l’orientamento della decisione futura, ma gioverebbe sensibilmente al miglioramento della situazione in loco, sia sotto il profilo della sicurezza pubblica, che sotto quello economico; poiché tanto gli italiani che i nativi potrebbero finalmente orientarsi e sarebbero liberati dall’incubo, che li paralizza, di una possibile amministrazione etiopica.

194 1 Vedi D. 189.

195

IL MINISTRO A KARACHI, ASSETTATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO URGENTE 3885/369. Karachi, 8 settembre 1949 (perv. il 14).

In occasione della presentazione delle mie credenziali, il ministro degli esteri, al termine della cerimonia, mi ha chiamato da parte e, ripetendomi quanto già precedentemente dettomi, stargli cioè particolarmente a cuore la questione dell’indipendenza immediata e integrale dell’Eritrea, mi ha detto che, a suo avviso, sarebbe opportuno che alla prossima Assemblea, da qualche delegazione venisse presentato un progetto di risoluzione contenente il ben preciso e definito quesito, se cioè le popolazioni del-l’Eritrea preferiscano l’indipendenza immediata e integrale oppure un’annessione all’Abissinia. Tale progetto di risoluzione dovrebbe limitarsi pertanto a questa semplice alternativa, con esclusione di qualsiasi altro riferimento a trusteeship, partizioni ecc. Di fronte ad una risoluzione così formulata, la delegazione pakistana voterebbe senz’altro per l’indipendenza. Questo mi è stato da Zafrullah Khan ribadito su mia precisa domanda.

Alla mia richiesta poi, perché egli stesso non si facesse promotore di tale progetto, il ministro mi ha risposto di aver pensato a prendere l’iniziativa, ma aveva poi dovuto rinunciarvi per ragioni che non potevano sfuggirmi e che si è astenuto dal precisarmi. E tali ragioni ritengo vadano ricercate nell’atteggiamento di taluni gruppi arabi favorevoli all’annessione all’Abissinia di parti del territorio eritreo e, al tempo stesso, nel desiderio di non urtare degli interessi inglesi, egualmente favorevoli, almeno a quanto qui può risultarmi, ad uno smembramento dell’Eritrea, con parziali annessioni all’Abissinia e al Sudan.

Nel riferire quanto precede, desidero attirare l’attenzione di codesto Ministero sul fatto che Zafrullah Khan mi ha tenuto, di sua iniziativa, tale discorso, mentre, come già comunicato, trovasi a Karachi il ministro d’Etiopia al Cairo (vedi miei rapporti n. 3826/359 del 31 agosto 1949 e n. 3880/366 dell’8 corr.)1, il quale, a quanto risulta, sarebbe venuto qui sopratutto per perorare presso il Governo pakistano la causa etiopica nella questione delle nostre colonie.

196

IL MINISTRO A L’AJA, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9991/62. L’Aja, 9 settembre 1949, ore 13,43 (perv. ore 22,10).

Riferimento telegramma circolare 75451.

A questo Ministero degli affari esteri (che in assenza ministro degli affari esteri partito per Washington è retto di fatto dal segretario generale) mi si è fatto comprendere che, pur apprezzando argomentazione italiana in favore piena partecipazione dell’Italia a costituendo Comitato regionale Europa occidentale, non è possibile a questo Governo andare al di là formula compromesso cui sarebbe pervenuto «Working Group» a Washington e nostra proposta partecipazione appropriata va intesa nel senso che l’Italia avrà diritto intervenire Comitato ogni qualvolta trattansi questioni

196 1 Vedi D. 177.

che la interessano direttamente. Non sembra poi atteggiamento francese appoggiare pienamente partecipazione italiana valga indurre questo Governo scostarsi atteggiamento Governo britannico.

195 1 Non pubblicati.

197

L’INCARICATO D’AFFARI A MONTEVIDEO, SOLARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2935/543. Montevideo, 9 settembre 1949 (perv. il 14).

Ho avuto recentemente conversazioni circa la questione delle colonie italiane col nuovo ministro degli esteri, dr. Cesar Charlone, col sottosegretario di Stato al Ministero degli affari esteri, Luis Tammaro — il quale ha assunto le sue funzioni mercoledì scorso — e con diversi funzionari dello stesso Dicastero. Ad essi ho, a seguito di quanto già fatto in precedenza, esposto ed illustrato il nostro punto di vista sulla questione delle colonie in base alle istruzioni ed alla documentazione inviata a questa ambasciata da codesto Ministero, mettendo da ultimo anche in rilievo — in relazione al telespresso ministeriale n. 3/3397/C. del 23 agosto u.s.1 — come e perché di fronte al progetto statunitense il Governo italiano mantenga il proprio punto di vista.

Questo ministro degli affari esteri, Charlone, si è dimostrato molto interessato di conoscere nei dettagli il nostro punto di vista nella questione, particolarmente per quanto riguarda l’Eritrea: gli ho quindi lasciato alcuni appunti e copie di studi e articoli. Nell’ultimo colloquio che ho avuto con lui, egli ha dimostrato di essere al corrente del progetto statunitense e — pur non esprimendo un preciso giudizio sul progetto stesso — mi ha ripetuto che grandemente lo interessava il punto di vista italiano, di cui egli desiderava essere tenuto al corrente in tutti i suoi aspetti ed eventuali sviluppi.

Alla conclusione del colloquio, il ministro Charlone mi ha affermato nella maniera più recisa che i noti sentimenti di simpatia e di favore dell’Uruguay per l’Italia rimangono immutati e che la delegazione uruguayana all’O.N.U. svolgerà, come in passato, un’azione in quanto possibile favorevole all’Italia e alle sue aspirazioni.

Mi ha poi detto che il capo della delegazione uruguayana sarà l’ambasciatore a Washington, dott. Dominguez Campora, mentre non è ancora stabilito quali siano gli altri membri della delegazione stessa.

Il nuovo sottosegretario, Luis Tammaro, che ho rivisto oggi, si è espresso sulle stesse linee del suo ministro, ma dimostrando il suo favore per l’Italia con maggior calore. Egli mi ha premesso, in via confidenziale, che sarà lieto di poter dare tutto il suo personale appoggio affinché l’Italia e gli interessi italiani siano sostenuti dalla delegazione uruguayana all’O.N.U. dalla azione più efficace: «... sono figlio di italia

ni e ne sono orgoglioso: su di me potete contare come su di un italiano». Il dott. Tammaro — dichiarandosi pure al corrente del progetto statunitense — mi ha detto di apprezzare le nostre tesi nei riguardi delle colonie; tesi che egli ha voluto considerare specialmente sotto l’aspetto di quanto esse permettano, nel confronto di altre possibili al momento attuale, la salvaguardia della popolazione e degli interessi italiani. Circa l’Eritrea il dott. Tammaro ha dimostrato di valutare in modo particolare qual regresso di civiltà costituirebbe per tale paese l’annessione all’Impero etiopico.

Il sottosegretario Tammaro mi ha confermato che il ministro Charlone condivide i suoi sentimenti in favore dell’Italia, e anch’egli mi ha pregato di tenerlo il più possibile al corrente degli sviluppi della questione.

Dei funzionari del Ministero degli affari esteri ho avuto conversazioni al riguardo, in particolar modo con il segretario generale dott. Pacheco e con il f.f. di direttore generale degli affari politici (Asuntos Diplomaticos) ministro plenipotenziario Federico Grunwaldt Cuestas.

Quest’ultimo è stato esplicito nell’esprimere il proprio personale punto di vista sul progetto statunitense. Per quanto riguarda la Libia — ha detto il ministro Grunwaldt — la formula proposta dal Dipartimento di Stato appare assai complicata, e sembra aver lo scopo di differire la soluzione della questione, evidentemente per avvantaggiare della situazione la potenza occupante: essa non sembra dare nessuna garanzia alla tutela degli interessi italiani. Ancor peggio — egli ha convenuto — sarebbe per gl’interessi italiani la proposta spartizione dell’Eritrea; gli statuti speciali proposti per le città di Asmara e Massaua non avrebbero praticamente che poco valore: «quando nel paese dominassero gli etiopici e vi si impiantasse il regime feudale e praticamente ancora schiavistico del negus, tutta l’Eritrea sarebbe riportata indietro di un secolo».

Il f.f. di direttore degli affari politici ha poi detto di ritenere come nella questione delle colonie italiane gli Stati Uniti non facciano che seguire una linea di condotta stabilita dall’Inghilterra la cui posizione essi considerano loro primo interesse rafforzare. E la Gran Bretagna, secondo quanto ritiene il ministro Grunwaldt, manterrebbe nella questione un’ispirazione in senso anti-italiano. Sarebbe sua impressione infatti che l’Inghilterra non voglia rinunciare al vantaggio, avuto con la vittoria, di eliminare l’Italia come potenza africana nel Mediterraneo e nel Mar Rosso. È vero che la situazione dell’Italia e del mondo dopo la guerra è ben cambiata, «ma gli inglesi sono lenti a cambiare le loro idee e i loro sentimenti». Il mio interlocutore ha confidenzialmente asserito che dell’insistenza inglese nelle sue tesi dirette sostanzialmente a ridurre al minimo la presenza dell’Italia nell’Africa settentrionale e ad escluderla dal Mar Rosso, il Ministero degli affari esteri uruguayano è al corrente da diverse fonti.

Circa la delegazione uruguayana all’O.N.U., ripetendo quanto già detto dal ministro Charlone circa la nomina del capo della delegazione nella persona dell’ambasciatore in Washington, dott. Dominguez Campora, il f.f. di direttore degli affari politici mi ha aggiunto che quali altri membri della delegazione sono stati proposti l’ex ambasciatore a Buenos Aires, dott. Mac Eachen, il dott. Carlos Pittaluga e il sig. Tejera: ma che per la loro nomina vi sono alcune difficoltà e potrebbero esservi quindi dei cambiamenti (tali nomi sono apparsi sui giornali e hanno infatti suscitato attacchi da parte della stampa di opposizione).

Il segretario generale dott. Alfredo Pacheco mi ha espresso un particolare interesse per le tesi italiane, affermandomi che la nostra proposta per l’immediata indipendenza si ispira ad un principio che trova una grande rispondenza nei sentimenti sudamericani. Egli mi ha detto che la segreteria della delegazione all’O.N.U., già formata e abbondantemente documentata, partirà per New York nella prossima settimana: i membri della delegazione seguiranno non appena ne sarà concretata la nomina. Anche il dott. Pacheco mi ha dato assicurazioni per le favorevoli disposizioni dell’Uruguay in occasione dei prossimi dibattiti all’O.N.U.

Continuerò a tenermi in stretto contatto con questo Governo nella questione, anche in base alle ulteriori istruzioni che codesto Ministero vorrà far pervenire a questa ambasciata. Non mancherò inoltre di continuare a svolgere la necessaria azione in questi ambienti politici e nella stampa, alla quale già vado man mano fornendo un’adeguata documentazione.

197 1 Vedi D. 132, nota 1.

198

L’INCARICATO D’AFFARI A NEW DELHI, CARROBIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 10028/69. New Delhi, 10 settembre 1949, ore 13,15 (perv. ore 18,30).

Segretario generale degli affari esteri mi ha detto che istruzioni di carattere generale date delegazione indiana in merito colonie sono:

1) sostenere indipendenza per tutte colonie considerando Libia tutto unico;

2) per le colonie africane considerate ancora immature indipendenza immediata e poiché principio amministrazione diretta Società delle Nazioni non è stato accettato da maggioranza, aderire principio trusteeship individuale a condizione che Nazioni Unite determinino inequivocabilmente termine e condizioni amministrazione e che potenza mandataria sia sotto il controllo costante ed effettivo Società delle Nazioni.

Segretario generale soggiunto che eventuali modifiche tale linea di condotta generale dipendono atteggiamento altri paesi. A mia richiesta se, parlando di unità libica, India intendeva non (dico non) accettare «fatto compiuto» Cirenaica, segretario si è limitato confermare che, secondo India, unità Libia va assicurata. Ho poi chiesto se India sarebbe disposta appoggiare candidatura italiana per trusteeship ad esempio Somalia ed ha risposto a titolo personale che non vedeva ostacoli ma che avrebbe dovuto studiare questione più tardi alla luce informazioni circa finale posizione di grandi potenze. Ho ribadito punto di vista italiano sulla base istruzioni impartite ed elementi forniti in questi ultimi tempi tenendo particolarmente presente telespresso ministeriale 3397 del 23 agosto scorso1.

198 1 Vedi D. 132, nota 1.

199

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 10040/434. Londra, 10 settembre 1949, ore 20,22 (perv. ore 23,30).

Mi sono intrattenuto con Strang e con Jebb nel senso indicato da V.E. con telegramma 7545/C. del 3 corr.1 illustrando ampiamente motivi che fondano nostra richiesta e lasciando loro breve appunto.

Jebb, che s’imbarca oggi per New York, mi ha detto che opinione britannica potrebbe forse essere suscettibile modifica soltanto in sede Consiglio dei ministri Washington quando si esaminino proposte che vengono ora raccolte nel rapporto presentato da «Working Group».

Egli mi ha ripetuto che atteggiamento britannico non può non tener conto speciale situazione italiana derivante da trattato di pace, ma che ciò non significa che dobbiamo considerarci «in minorità» perché nostra posizione (salvo esclusione da Comitato ristretto) corrisponderà quella altri paesi partecipanti.

Mi ha aggiunto che Foreign Office desidera sia assicurata nostra piena partecipazione questioni che interessano nostro settore anche se ritiene difficile nostra ammissione Gruppo regionale Europa occidentale. Ha concluso esprimendo viva speranza incontrarsi con S.E. il ministro per cooperare rafforzamento nostri rapporti politici generali.

200

IL MINISTRO A CIUDAD TRUJILLO, G. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 479/347. Ciudad Trujillo, 10 settembre 1949 (perv. il 16).

Ho avuto ieri un lungo colloquio con questo ministro degli affari esteri.

Nell’imminenza della riunione a Flushing Meadow della quarta sessione del-l’Assemblea generale della O.N.U. ho ritenuto opportuno di conoscere l’atteggiamento che assumerà la delegazione dominicana alla O.N.U. sui problemi che a noi interessano e che verranno discussi in tale riunione.

Il signor Diaz Ordóñez mi ha confermato che l’atteggiamento del Governo dominicano non ha subito mutazioni e che quindi sarà, in linea di massima, a noi completamente favorevole.

Ho creduto in maniera particolare d’illustrargli ancora una volta il nuovo orientamento del Governo italiano per ciò che concerne il futuro delle colonie italiane, specialmente a seguito del non raggiungimento di una intesa nella terza sessione del-l’Assemblea generale, sulla base dell’accordo Bevin-Sforza.

Ho fatto presente al mio interlocutore la necessità che un accordo di massima sia raggiunto sulla Somalia nel senso di concedere il trusteeship all’Italia e che non fossero imposti vincoli di tempo od altri, pur non tralasciando di tener presente la possibilità di concedere a suo tempo l’indipendenza a tale territorio.

Per quanto riguarda la Libia e l’Eritrea, gli ho nuovamente fatto presente come tali territori debbono considerarsi, per evidenti ragioni, come unità indivisibile, e che quindi il Governo italiano non avrebbe potuto accettare in principio una ripartizione di parte di essi e che era quindi da augurarsi che nell’Assemblea si riconoscesse il principio dell’integrità di tali territori e che si tenessero in conto i desideri espressi in ripetute occasioni dalle popolazioni locali di giungere alla loro indipendenza e autonomia di governo.

Ho fatto comprendere al ministro degli esteri di essere al corrente dell’attività che il Governo degli Stati Uniti sta svolgendo nei riguardi dell’assegnazione delle colonie italiane (telespresso ministeriale n. 3/3397/C. del 23 agosto 1949)1.

Il signor Diaz Ordóñez mi ha fatto ancora una volta intendere che l’atteggiamento della Repubblica Dominicana ci è favorevole e che la sua orientazione non si sposterà da quella che verrà assunta dal blocco delle repubbliche latino-americane.

Mi ha prospettato l’opportunità di avere prima della discussione dei problemi che c’interessano, un pro-memoria circa i punti di vista del Governo italiano, promemoria che verrebbe trasmesso alla delegazione dominicana presso la O.N.U. con particolari raccomandazioni. Gli ho risposto che non avrei mancato di documentarlo nuovamente ed opportunamente circa eventuali sviluppi del punto di vista italiano e che in ogni caso, secondo informazioni in mio possesso, la questione delle colonie dovrebbe essere discussa non prima del principio del prossimo ottobre.

199 1 Vedi. D. 177.

201

IL MINISTRO AD ASSUNZIONE, FERRANTE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10071/44. Assunzione, 11 settembre 1949, ore 21,20 (perv. ore 8 del 12).

Nuovo presidente della Repubblica Federico Chavez è senza dubbio personalità che a giusto titolo gode maggiore influenza e considerazione in tutti i ceti per serietà carattere onestà ed intelligenza. Varie volte ministro degli affari esteri, egli ha sempre dimostrato più viva simpatia nostro paese ed alla sua azione è dovuta atteggiamento a

noi favorevole del delegato Paraguay in seno a O.N.U. Noto è anche atteggiamento a noi favorevole nella questione nostri crediti verso Paraguay. Rimpasto da lui operato con nomina ministro Mendez Paivaal Giovanni e specialmente di Bottner al Ministero dell’educazione nazionale offre anche migliore garanzia serietà. In vista dunque imminenza inizio nuova sessione O.N.U. permettomi suggerire immediato riconoscimento del nuovo Governo da parte nostra, indipendentemente atteggiamento Nord America che certamente sarà ad esso favorevole1.

200 1 Vedi D. 132, nota 1.

202

L’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 10099/83. Ottawa, 12 settembre 1949, ore 14,08 (perv. ore 7 del 13).

Mio 80 e telegramma di V.E. 371.

Ho avuto nuovo colloquio di oltre un’ora col primo ministro, in gran parte dedicato nostra emigrazione. Abbiamo discusso dettagliatamente note richieste di cui telegrammi suddetti. Riassumo risposte Saint Laurent:

1) per agricoltori non muniti già contratto lavoro: mi ha detto che il colonnello Fortier prima di partire ha conferito col presidente Governo provincia Quebec (nazionalista franco-canadese tipo estrema destra). Duplessis, già decisamente contrario ogni immigrazione straniera, si sarebbe ora dichiarato disposto accogliere agricoltori selezionati purché cattolici anticomunisti. Fortier riferirà poi a Quebec risultati suo viaggio in Europa. Avendogli accennato possibilità esistenti sarebbero pari nelle province inglesi Ovest, Saint Laurent mi ha confidato esplicitamente sua preferenza che l’emigrazione latina e cattolica vada rafforzando maggioranza francese Quebec. Né attende ritorno Fortier. Intanto idee concludere accordi del tipo di quello con l’Olanda andranno qui facendosi strada;

2) per lavori di cui punto secondo mio telegramma 80 Saint Laurent ha ammesso senz’altro immigrazioni domestiche per le quali ha accennato opportunità particolari garanzie. Del pari ha consentito ingresso Canada contingente muratori in relazione importante programma costruzioni edili qui previsto anno prossimo; al riguardo ho anche preso qualche diretto contatto presidente «Associazione costruttori canadesi» che tiene in questi giorni suo congresso nell’Alberta.

È favorevole anche immigrazione nostri falegnami, purché provetti, essendovene richiesta specie da parte Governo provincia Nuova Scozia, nonché alcuni nostri

«meccanici» per costruzioni. Al riguardo è stato vivamente colpito da lettura ottima recentissima corrispondenza da Roma del direttore del giornale Ottawa Citizen (persona qui nota per sua indipendenza e sincerità) che esalta arte nostri falegnami, intenso lavoro nostre maestranze, prodigiosi risultati agricoltori ortofrutticoli.

Mi ha assicurato che ne avrebbe intrattenuto al più presto ministro lavoro. Mi ha chiesto però se spese di viaggio sarebbero sostenute da noi e se potessimo provvedere trasporti. Gli ho subito dato al riguardo qualche assicurazione.

201 1 Con T. 8075/15 del 18 settembre Zoppi autorizzava il riconoscimento del nuovo Governo paraguayano.

202 1 Vedi DD. 157 e 173.

203

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 7892/220. Roma, 13 settembre 1949, ore 16.

Mentre sono stati iniziati costà, in modo finora soddisfacente, lavori per valutazione beni italiani1 Governo jugoslavo sollecita presso codesta legazione partenza per Belgrado delegazione Romano per trattative già previste e presso questo Ministero inizio Roma trattative per riparazioni che si vorrebbe avesse luogo 15 corrente e che, come a suo tempo convenuto, dovrebbero estendersi anche altre questioni che noi ci siamo riservati di trattare contemporaneamente.

Questo Ministero ritiene che presenza Belgrado due nostre delegazioni ed altra delegazione Roma importi dispendio forze e renda difficile chiara visione di tutto il complesso delle questioni ancora pendenti con la Jugoslavia in relazione al trattato di pace.

Ci sembra d’altra parte giunto il momento di cercare risolvere, quanto prima, in una atmosfera di reciproca comprensione, tutte indistintamente tali questioni come felicemente si è fatto con la Grecia, sia pure in diversa situazione. Proporremmo pertanto l’inizio a Roma ad una data che potrebbe approssimativamente essere quella del 15 ottobre, di opportune trattative a tale ampio scopo.

Pregasi informare di quanto precede codesto Governo, facendo conoscere se esso è d’accordo2.

203 1 Si riferisce ai lavori della Commissione mista italo-jugoslava iniziati il 13 agosto con l’arrivo a Belgrado della delegazione italiana presieduta dal ministro Scaduto Mendola.2 Il 20 settembre (T. 10469/281) Martino comunicò l’adesione del Governo jugoslavo alla proposta qui formulata.

204

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 3769/1816. Londra, 13 settembre 1949 (perv. il 15).

Mentre sono in corso le conversazioni tripartite di Washington1 giova ricapitolare brevemente l’opera e le posizioni del Governo laburista che entrano nella loro fase cruciale, quali mi risultano attraverso contatti personali con le personalità più atte a difenderle o a farne la critica sia da parte laburista come da parte conservatrice.

Indipendentemente invero dalle conseguenze economiche immediate dei colloqui tripartiti, questi ultimi sono destinati ad avere una influenza essenziale sull’ulteriore volgere della politica britannica, poiché non pare dubbio che in base ai risultati dei colloqui stessi il Governo dovrà prendere la decisione se sciogliere la Camera e convocare ad ottobre comizi elettorali o disimpegnare il mandato fino al termine della presente legislatura ossia a tarda primavera del 1950.

Conviene però dire subito che dall’andamento dei primi contatti a Washington è impensabile che si addivenga ad una rottura politica fra Gran Bretagna e Stati Uniti. La presenza simultanea di Bevin e Cripps nella capitale americana, sebbene la presidenza del convegno sia stata deferita da Acheson al ministro del tesoro Snyder, permette di concludere che la Gran Bretagna e con essa, o forse per suo consiglio, la Francia (missione Schuman-Petsche agli Stati Uniti) è riuscita a indurre l’America ad affiancare a negoziati strettamente economico-finanziari (quali furono le conversazioni Cripps-Snyder-Douglas Abbott, Londra 8-10 luglio) negoziati di natura politico-diplomatica. Non è difficile capire che l’argomento che impressiona e quindi convince gli americani della ineluttabilità di una stretta collaborazione con la Gran Bretagna è il pericolo comunista.

Per Londra il fronte anticomunista è una precondizione essenziale. Ma mentre, nel suo senso difensivo, esso è oramai divenuto una concezione comune alle democrazie occidentali tutte, i laburisti lo vedono e lo attuano altresì nella sua funzione positiva, e cioè nella equa ridistribuzione della ricchezza, nell’incremento del tenore di vita, nella sicurezza sociale e nella pianificazione economica per assicurare, dal punto di vista interno, il pieno impiego e la produzione in quantità sufficiente di determinati generi essenziali.

Mentre pertanto gli americani si professano liberisti in economia e conservatori in politica, appoggiando le forze semi-capitaliste in Europa (per esempio Adenauer in Germania) e militariste in Giappone, gli inglesi appoggiano (o vorrebbero in cuor loro appoggiare) i pianificatori socialisti, nonostante incidenti elettorali sostanzialmente transeunti ma fonte di conseguenze gravi, come il dissidio Bevin-Schumacher. In altri termini, il pianismo laburista assai più che un principio economico, secondo esso viene

solitamente inteso e frainteso in Europa, è per l’Inghilterra d’oggi un principio politico, un metodo, uno strumento pratico e concreto di resistenza positiva al comunismo.

Questo principio ha fin qui governato in vasta misura anche le relazioni internazionali e la politica interna ed estera dell’attuale Governo britannico e non è perciò da credere che da esso il Governo attuale intenda dipartirsi anche a costo di sacrifici e di una eventuale crisi nelle relazioni anglo-americane.

La pianificazione laburista importa all’interno i seguenti oneri e vantaggi per la popolazione tutta e per quella meno abbiente in ispecie:

— -sostanziale scomparsa della disoccupazione, oggi di pochissimo superiore al 1% su una massa di quasi 28 milioni di operai registrati, il 60% circa della popolazione complessiva del Regno Unito; — -garanzia, oltreché dell’impiego, dei generi alimentari di prima necessità in misura sufficiente, razionale ed economica grazie al prezzo politico dei generi stessi (con una incidenza di circa 470 milioni di sterline annue sul bilancio statale); — -un sistema di assicurazioni sociali (comprendente disoccupazione, malattia, infortuni, maternità, vecchiaia, infanzia, istruzione, assistenza medica gratuita, sicurezza di un reddito minimo in qualsiasi caso) che può essere definito, senza alcuna esitazione, il più progredito del mondo; — -riduzione della settimana lavorativa a una media di 5 giorni (da 44 a 48 ore secondo i settori economici) senza che la produzione sia diminuita, ma ottenendo anzi notevoli aumenti in quasi tutti i settori2.

Conseguenza politica essenziale di questa esperienza: il comunismo britannico è ancorato alla sua quota di 40 mila iscritti, non costituisce un pericolo, non dispone di una massa di manovra fra i disoccupati o i malcontenti, è frenato anche in ambienti sindacalisti nonostante la relativa frequenza delle controversie fra operai e datori di lavoro siano essi privati o lo Stato stesso; ed è oramai deliberatamente fuori dell’orbita nazionale sia per i ricordi sempre vivi del 1940 sia per la politica post-bellica della Russia.

Ma l’altra conseguenza politica di non minore importanza è che l’abitudine al «welfare state» e a questa pianificazione di carattere evolutivo e non rivoluzionario, ha fatto sì che gli stessi conservatori si siano visti costretti a fare propria tanta parte del programma laburista e a contendere con gli avversari sul loro stesso terreno riconoscendo perciò l’intrinseco valore nazionale dell’esperimento laburista almeno ai fini elettorali. L’uno e l’altro partito si sono dunque trovati al punto di doversi impegnare a una politica sostanzialmente simile ed è un errore degli stranieri credere che i conservatori facciano,

o possano fare domani, se tornassero al potere, una politica antilaburista nell’essenza. La tentassero, anche in violazione delle loro promesse elettorali, le conseguenze sarebbero tragiche nel senso che si metterebbero contro tutta l’Inghilterra lavoratrice.

E questo è quanto mi viene affermato da parte degli uomini più intelligenti del partito conservatore.

È vero che il principio della pianificazione e delle perequazioni fu bandito già dal Governo Churchill ed ebbe nome da Beveridge. Ma è anche vero che il laburismo solo riuscì ad attuarlo ed ha il merito di averne fatto oramai assai più che un programma elettorale, ne ha fatto un abito e modo di vita per l’intera nazione.

Discendono di qui le conseguenze, che possono sembrare spiacevoli, dell’atteggiamento di freddezza assunto dal Governo laburista nei confronti dell’unità europea non solo perché iniziativa churchilliana ma, e sopratutto, perché l’unità dell’Europa implica organizzazione unitaria di essa (sia pure della sola Europa occidentale) sul fondamento di un metodo e di un principio comuni che non possono essere per i laburisti inglesi se non il loro metodo e il loro principio: donde il tanto criticato e sostanzialmente incontrovertibile aforismo del ministro Dalton, che gli Stati Uniti d’Europa non possono essere se non gli Stati Uniti laburisti del continente e dell’Occidente. Ciò che ha portato l’Inghilterra ad una incomprensione circa l’affiorare di forze democratiche ispirate a principio ed a metodi diversi quali le democrazie cristiane.

Dobbiamo anche notare da parte dell’attuale Governo laburista una eccessiva insistenza sul momento pratico ed economico a detrimento del fattore spirituale o sentimentale o genericamente umano o umanistico. Tale insistenza ha talvolta paralizzato l’opera dei laburisti e segnatamente di Bevin, come ho avuto più volte ragione di constatare io stesso nei miei rapporti con lui. Qui è il limite della loro politica, tutt’una coi limiti della loro educazione sindacalistico-organizzativa e della loro formazione e provenienza dalle Trade Unions piuttosto che dalle Public Schools e dalle Università di Oxford e Cambridge, ciò di cui Bevin stesso è del resto consapevole e me lo ha espresso più volte in termini di constatazione realistica. Sono tipici esempi di tale tendenza, per quanto riguarda i nostri rapporti: lo Stato Libero di Trieste, concepito assai più come un emporio internazionale e un punto di convergenza dei due blocchi (nel 1946 ancora non apertamente discordi) che come Stato in se stesso e, in quanto tale, parte viva dell’Italia avulsa dalla penisola; e la tendenza britannica nella soluzione del problema delle nostre colonie, studiato quasi unicamente in funzione economico-strategica anziché nei suoi addentellati di politica internazionale e di sentimento nazionale.

D’altra parte però la libertà dalle vecchie tradizioni dell’imperialismo vittoriano ha permesso al laburismo di procedere con risolutezza alla trasformazione dell’impero britannico in un Commonwealth aperto e fondato su vincoli politico-ideali e nemmeno di obbedienza e fedeltà dinastica dopo la dichiarazione di Attlee del 27 aprile 1949. I tre nuovi Domini asiatici (India, Pakistan e Ceylon) implicano l’esistenza del-l’eguaglianza fra le razze componenti l’impero inglese che fu (ma ormai non è più)un impero di razza bianca minoritaria con dominio su popoli di colore. È perciò da ritenere che nonostante il razzismo del nuovo Governo sud-africano del dottor Malan, il decentramento e livellamento imperiale inglese continuerà; altri Domini si formeranno gradualmente, come il Dominion dell’Asia sud-orientale in seguito alla vittoria sul comunismo in Birmania e Malesia, e poi forse il Dominion dell’Africa centro-orientale (Kenya, Tanganyka, Rhodesia). Il processo che la guerra mondiale aveva reso inevitabile in Asia, a tal punto che il principio laburista è stato con riluttanza, ma in ultima analisi con successo, accolto e seguito dalla Francia in Indocina e dall’Olanda in Indonesia, accenna così ad affermarsi anche nel continente nero su cui frattanto si sposta l’asse del colonialismo inglese.

Oltre dunque all’organizzazione dell’Europa occidentale mediante l’O.E.C.E., il Patto di Bruxelles, il Patto atlantico e il Consiglio d’Europa, l’altro apporto storico del Governo britannico all’evoluzione del mondo è l’organizzazione del Commonwealth a fini indipendentistici di superamento razziale.

Ma entrambi questi apporti sono stati resi possibili dalla maggiore e fondamentale intrapresa del Governo laburista pure fra dissidi necessari e non evitabili: il richiamo europeo e l’intervento degli Stati Uniti, grazie sopratutto al piano Marshall e al Patto atlantico. Questa politica estera il cui fine supremo è il superamento del comunismo è conquista che può forse venire proseguita pure nell’eventualità che il laburismo quale partito venga sconfitto alle prossime elezioni e debba cedere il posto ai conservatori.

È dubbio però che in un capovolgimento della situazione (a mio parere improbabile) un Governo conservatore possa disporre di altrettanto sostanziale consenso all’interno e sia disposto a svolgere una politica di effettiva liberalità all’esterno. Si moltiplicherebbero inoltre le difficoltà di controllare da parte del Governo i sindacati e le masse operaie, di comporre gli scioperi ed evitarne il propagarsi (difficoltà non indifferente anche oggi per un Governo laburista) in quanto che l’opposizione parlamentare, per ovvi motivi di gioco politico, farebbe causa comune con i lavoratori, ne appoggerebbe le rivendicazioni, e favorirebbe l’agitazione scioperistica. Il comunismo e la Russia sarebbero perciò i beneficiari indiretti ma sostanziali di un eventuale mutamento di Governo, anche a prescindere dall’influenza politica di un inevitabile dilagare della disoccupazione qualora si togliessero o si tagliassero le sovvenzioni annonarie e si abrogasse il principio del lavoro per tutti.

Non mancano anzi taluni che dalla presente frequenza di scioperi derivano la conseguenza opposta a quella che sogliono dedurre gli stranieri in genere. Per questi ultimi è assiomatico che gli scioperi screditano il Governo laburista e portano quindi acqua al mulino dei conservatori. Per gli inglesi invece, e tra i più intelligenti dei conservatori (sia pure ammettendolo a bassa voce) sarebbe vero invece il contrario, l’opinione pubblica si renderebbe cioè conto, almeno gradualmente, che l’ondata scioperistica sarebbe infinitamente più grave in regime di Governo conservatore e che perciò la riconferma del mandato ai laburisti è in ultima analisi il male minore. Certo i conservatori sono i primi a riconoscere che il passaggio dall’economia di guerra all’economia di pace sarebbe stato assai più duro, come fu dopo la prima guerra mondiale, se Churchill fosse rimasto al timone. Ed è forse lo stesso Churchill a doverlo riconoscere nell’intimità. Persona infatti che è in grado di conoscere l’intimo suo pensiero in questi momenti mi diceva confidenzialmente che l’aspirazione vera del grandissimo leader conservatore non sarebbe il capovolgimento della situazione a favore del suo partito, ma il raggiungimento bilanciato delle forze opposte che non creando la necessità di un Governo di coalizione imponesse tuttavia, lui, Churchill, come perno della situazione ed arbitro3.

Di fronte a questa analisi del partito laburista e dei suoi oppositori noi ci chiediamo ora a quando la grande prova delle elezioni. Il problema ritorna così al suo punto di origine, poiché al fatto politico delle conversazioni di Washington si connette il fatto delle elezioni inglesi, cioè la minaccia di sciogliere la Camera se il Governo statunitense imponesse od esigesse oneri che il Governo di Londra non potrebbe accettare senza una sostanziale minaccia ai suoi principi e alle sue promesse elettorali e post-elettorali onde la sola corretta soluzione costituzionale, e la sola nel contempo conforme all’interesse immediato del partito, sarebbe appunto l’appello al verdetto degli elettori per ottenerne eventualmente un nuovo mandato. Ora non è dubbio, a giudizio innanzi tutto dei conservatori più eminenti come quelli con i quali ho avuto occasione di conversare negli ultimi tempi, che una elezione imperniata sul principio dell’indipendenza della Gran Bretagna dall’America e a titolo di protesta per una eventuale arbitraria interferenza statunitense nella politica interna inglese, contro la pianificazione laburista, si risolverebbe in una segnalata vittoria governativa, nel senso che l’immensa maggioranza del paese voterebbe non per il partito ma per il Governo al potere.

Dalle notizie che tuttavia mi giungono tutto lascia supporre che a Washington si sia raggiunto un modus vivendi per risolvere, almeno provvisoriamente, gli aspetti più urgenti del problema dollaro-sterlina. Tale decisione non potrà che rafforzare l’accordo delle democrazie occidentali al fine comune della riorganizzazione unitaria ed anticomunista del mondo non comunista e permetterà probabilmente al Governo laburista di continuare l’opera sua fino al termine della presente legislatura4.

204 1 Si riferisce alle conversazioni sulla crisi finanziaria britannica che si svolsero a Washingtonda 7 al 12 settembre tra i ministri degli esteri e del tesoro di Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna.

204 2 Annotazione a margine di grafia non identificata: «Tutto bene; ma il bene non si deve conseguire e non dura chiedendo l’elemosina agli S.U.A.; e per di più chiedendola con l’aria di superiorità chesi davano gli inglesi fino al 18 settembre. I romani per dare panem et circenses alla plebe portavano via idenari con la forza; i laburisti stendendo la mano e cercando di sbattere via le mani tese dei paesi piùpoveri».

204 3 Annotazione a margine di grafia non identificata: «Pare, a leggere, che si intenda applicare la teoria dell’appeasement, così mal riuscita con Hitler all’interno. Il fatto avvenuto della svalutazione del 30% della sterlina fa presumere una migliore riuscita all’interno che all’estero? L’Inghilterra deve scegliere non fra laburisti e conservatori, cosa secondaria; ma tra una politica di innalzamento sociale deimolti ed una politica di panem et circenses. II crollo della sterlina non è l’indice che si era varcato il limite tra la prima e la seconda? I provvedimenti del 24 settembre basteranno?».

205

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 7925/446. Roma, 14 settembre 1949, ore 15.

Dunn è venuto a dirmi che Foreign Office ha comunicato costà impressione di Bevin secondo cui Governo italiano sarebbe disposto promuovere soluzione Territorio Libero Trieste sulla base spartizione due Zone fra Italia e Jugoslavia. Secondo Dipartimento di Stato, mentre non (dico non) converrebbe da parte nostra lasciar cadere eventuali richieste jugoslave discutere questione, nemmeno converrebbe che assumessimo noi attualmente iniziativa conversazioni. Ho detto a Dunn che nell’impressione di Bevin doveva evidentemente esservi un malinteso e che concordiamo con punto di vista Dipartimento di Stato; che del resto ministro Sforza avrebbe esposto ad Acheson in questi giorni nostro punto di vista in proposito1.

205 1 Per il colloquio di Sforza con Acheson vedi D. 206.

204 4 Per la risposta vedi D. 379.

206

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. SEGRETO 10186/772. Washington, 14 settembre 1949, ore 21,49 (perv. ore 8 del 15).

Oggi conversazione di due ore con Acheson. Estrema reciproca franchezza. Te ne mando rendiconto analitico per corriere1. Finii per dirgli che non era per prestigio ma per ragioni di sicurezza nazionale in casi sia pur lontani di invasione che noi non potevamo accettare di essere solo nel Gruppo sud europeo ma che dovevamo trovarci anche nel Gruppo occidentale. Ciò era tanto più necessario dopo che egli mi aveva dichiarato assoluta impossibilità di allargare a quattro il Gruppo permanente.

Fu mia impressione e anche di Tarchiani, presente al colloquio, che Acheson trovò impressionanti i miei vari argomenti politici militari morali.

Pur trincerandosi dietro sentimento contrario dei componenti del Gruppo occidentale accettò che domattina presto si riuniscano suoi e miei rappresentanti con istruzione trovare una soluzione. Ho già dato da parte mia consegne opportune ed ogni elemento di discussione a Guidotti e Luciolli. Ti avverto che abbiamo deciso mantenere stretto segreto sulle nostre discussioni.

207

L’AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10193/34. Città del Messico, 14 settembre 19491 (perv. ore 8,40 del 15).

Soggiorno missione Aldisio Brusasca continua svolgersi2 in atmosfera fervida amicizia per Italia particolarmente celebrata in occasione visita presidente Repubblica e colazione offerta da ministro esteri nonché da unanime linguaggio stampa. Presidente Aleman ha caldamente elogiato contributo italiani a vita e sviluppo e ha auspicato sempre più intimi rapporti tra due paesi. Ministro esteri ad interim ha salutato missione definendo Italia una delle più sorprendenti sintesi del genio umano ed esaltando vincoli di civiltà latina che la uniscono a queste repubbliche. Stampa ricorda che Italia è la madre sempre giovane della comune cultura. In editoriale intitolato «Itala Abuela» ed in altri articoli quotidiano Excelsior definisce rinascita Italia e sua

2 La missione era giunta a Città del Messico la sera dell’11 settembre.

vittoria anticomunista come un esempio per tutto il mondo. Collettività italiana interamente raccolta ieri ambasciata italiana intorno missione ha unanimamente acclamato esposizione situazione italiana fatta da sottosegretario Brusasca e appello concordia e collaborazione. Maggiori personalità mondo economico finanziario questa capitale in pranzo offerto da Rotary Club hanno espresso loro entusiastica approvazione concetti sociali nuova Italia esposti sottosegretario. Condizioni salute senatore Aldisio migliorate riprende oggi partecipazione manifestazione.

206 1 Non rinvenuto.

207 1 Manca l’indicazione dell’ora di partenza.

208

L’AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 3501/740. Buenos Aires, 14 settembre 1949 (perv. il 19).

Riferimento: Circolare di V.E. n. 3/3397/C.1.

Ho approfittato del mio primo colloquio col nuovo ministro degli affari esteri, dr. Paz, per far un breve giro di orizzonte dei rapporti italo-argentini, ed in questo campo per sottolineare da un lato il nostro apprezzamento per l’azione svolta in passato dall’Argentina nella questione delle antiche colonie italiane, dall’altro lato l’affidamento che noi facciamo sul continuato suo appoggio nella nuova fase delle discussioni. Gli ho quindi illustrato l’evoluzione della questione e dei nostri orientamenti nei riguardi dei vari aspetti del problema ed ho infine chiarito il nostro punto di vista in relazione alle recenti proposte fatte circolare dagli Stati Uniti. In proposito gli ho anche rilasciato i due appunti confidenziali di cui unisco copia2.

Il ministro Paz mi ha confermato che le direttive del Governo argentino in merito alla questione permangono quelle a suo tempo stabilite dal presidente Peròn: pieno appoggio alle aspirazioni ed all’azione dell’Italia ed intima collaborazione con i rappresentanti italiani per la migliore realizzazione di questo proposito.

Nell’occasione mi ha anche informato che il ministro degli esteri abissino, Wolde, al momento del suo passaggio per Buenos Aires, aveva chiesto di essere ricevuto: ma che lo stesso presidente ha respinto la richiesta osservando che un gesto del genere sarebbe stato in contrasto con la natura dei rapporti tra Italia ed Argentina.

208 1 Vedi D. 132, nota 1. 2 Non pubblicati.

209

IL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2351/438. Guatemala, 14 settembre 19491.

Ho già fatto cenno, nei miei telegrammi del 9 e 12 corrente2, alle cordiali accoglienze che la missione straordinaria italiana ha ricevuto nelle cinque Repubbliche dell’America centrale.

Le parole indirizzate dai presidenti delle varie Repubbliche o, come nel Salvador, dai membri del Consiglio di Governo alle LL.EE. Aldisio e Brusasca, i discorsi pronunziati dai presidenti dei Congressi di Costarica e Guatemala riuniti, in loro onore, in sessione straordinaria, quelli ad essi rivolti in banchetti e riunioni, tutti indistintamente improntati alla più grande simpatia verso il nostro paese, i numerosi, spontanei atti di cortesia ricevuti, i commenti dei giornali, dimostrano che il viaggio della missione è stato un successo e che sono state consolidate le basi di quella vecchia reciproca amicizia che permetterà una sempre più stretta ed efficace collaborazione fra l’Italia e questi paesi, disgraziatamente da noi troppo poco conosciuti.

Com’è noto, queste Repubbliche non hanno firmato il trattato di Parigi, ma hanno ristabilito direttamente con noi lo stato di pace o con scambio di note o con un trattato (Guatemala)3.

Esse ci hanno tutte validamente appoggiato nella questione delle colonie, dandoci il loro voto, e sono pronte a darci ancora il loro aiuto nelle prossime discussioni all’Assemblea della O.N.U.

Hanno dimostrato e dimostrano apprezzamento e stima per le nostre collettività che vanno fondendosi nella loro vita sociale e politica. Desiderano un più intenso intercambio commerciale e culturale e alcune di esse ci prospettano la possibilità di collocare nel paese, anche se non subito, dei nostri lavoratori.

Noi, non abbiamo fatto nulla per loro; non abbiamo neppure preso in considerazione il loro desiderio, tante volte espresso, di avere un rappresentante diplomatico stabile del nostro Governo nelle loro capitali.

Guatemala, l’unica Repubblica dove esiste una legazione d’Italia coperta da titolare, è considerata ingiustamente preferita.

Ritengo quindi, e credo che sia questa anche l’opinione delle LL.EE. Aldisio e Brusasca, che sarebbe opportuno rivedere la nostra organizzazione diplomatica, nel Centro America, zona che senza dubbio ha un avvenire che potrebbe essere profittevole anche per noi.

È mia opinione che in tutte le Repubbliche dell’America Centrale noi dovremmo avere del personale di carriera, o più precisamente degli incaricati d’affari, sia

2 TT. 10057/55 e 10102/54, rispettivamente del 10 e 12 settembre, non pubblicati.

3 Per il testo del Trattato di pace, amicizia e cooperazione tra l’Italia e il Guatemala, firmatoil 10 settembre, vedi MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXXI, cit., pp. 77-79.

dipendenti da questa legazione, secondo il sistema adottato dai francesi e da noi, per quanto riguarda il Costarica, e, prima della guerra, il Salvador, sia dipendenti direttamente da codesto Ministero.

Un progetto concreto, potrà essere da me sottoposto, ove ne fossi richiesto, nei limiti e secondo le direttive che mi si vorranno indicare.

209 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

210

IL MINISTRO A LISBONA, DE PAOLIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 796/375. Lisbona, 14 settembre 1949 (perv. il 5 ottobre).

«La Russia, col suo veto, ha onorato ancora una volta il Portogallo». Sotto questo titolo, il Diario di Manhâ, organo e portavoce del Governo, annuncia in poche righe il nuovo veto opposto a Lake Success all’ammissione di nuovi membri.

La notizia non ha qui prodotto né sorprese, né disappunto. Anzi una diversa, e del resto improbabile soluzione, avrebbe causato un certo imbarazzo. Ciò che più qui si teme è una distensione internazionale, una durevole e sincera intesa delle democrazie con l’U.R.S.S. E i motivi appaiono evidenti. Anche per quanto riguarda la questione spagnuola, che tanto appassiona i portoghesi e alla quale la stampa dedica giornalmente lunghi articoli, si considera — e a giusto titolo — che le probabilità di una soddisfacente soluzione aumentino col peggiorare dei rapporti tra Oriente e Occidente. Ove un fiducioso spirito di collaborazione venisse a stabilirsi tra America e Russia, la posizione di Franco diventerebbe di contraccolpo assai precaria. E precaria diventerebbe anche la posizione del collega portoghese. Se infatti le democrazie occidentali preferiscono continuare nei riguardi del Portogallo la politica fino ad oggi seguita, non è presumibile che in un tal giuoco fatto di piccole finzioni e di piccoli calcoli sarebbero disposti a entrare i dirigenti di Mosca. Il problema dell’ingresso del Portogallo nell’O.N.U. non sembra pertanto preoccupare questo Governo e questa opinione pubblica, e del resto è un problema che, nelle condizioni attuali, risulta praticamente rinviato sine die.

211

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATISSIMO 3329/724. Vienna, 14 settembre 1949 (perv. il 19).

Riferimento: Mio telegramma odierno n. 1801.

Mi riferisco al dispaccio di V.E. del 5 corr. n. 16/16860/1082.

Ho esaminato con ogni più accurata attenzione il progetto di gentlemen’s agreement rimesso dal ministro Versbach, come pure le osservazioni e i pareri espressi dal Ministero dell’interno nonché la comunicazione di codesto Ministero all’Ufficio zone di confine della Presidenza del Consiglio del 26 agosto u.s. n. 9013.

Come V.E. sa, io ero da tempo più o meno al corrente della proposta lanciata a suo tempo dal consigliere Innocenti e che qui fu interpretata come proveniente ed autorizzata dal presidente del Consiglio: ed ero sempre in attesa di vederne ufficialmente gli sviluppi.

Mi limiterò ad alcune osservazioni assolutamente preliminari:

a) è stato considerato che dal punto di vista numerico le percentuali del 20 o 15% corrispondono ad un massimo di 6.000 e ad un minimo di 4.500 unità, a cui andrebbero ulteriormente sottratte le domande già respinte in Alto Adige e che dovrebbero viceversa venire accolte? Si tratterebbe quindi di alcune migliaia di unità sopra un totale di 46 mila rioptanti residenti in Austria, di 65 mila circa optanti originari sudtirolesi residenti in Austria e su un totale, ritengo, di circa 180 mila tedeschi alto atesini. Sono ordini di grandezza che possono meglio far valutare le contropartite.

In questa connessione debbo fare un’osservazione e precisamente che mentre nella proposta originaria del consigliere Innocenti si parla del 20% di domande, nella controproposta austriaca si parla del 15% di optanti. La formula che parla di una percentuale di domande mi sembra la sola logica possibile, però ciò comporta allora dei risultati numerici che non coincidono con quelli sopra accennati; occorre vedere infatti per ogni domanda quanti sono i membri della famiglia che seguono le sorti del capo rioptante. Le domande presentate dopo il 27 novembre sono circa 13 mila; col 20% si ha così un minimo teorico possibile di 2600 rioptanti da respingere, se ad esempio i respinti non avessero persone a carico: ipotesi naturalmente estrema e quindi limite.

b) L’Ufficio per le zone di confine allega alla sua nota del 19 agosto n. 22394 l’appunto del Ministero dell’interno contenente osservazioni sul progetto. La nota dell’Ufficio per le zone di confine non fa nessuna osservazione circa quanto scrive il Ministero dell’interno, e sembra in sostanza raccomandare la proposta transazione.

agreement.

3 Vedi D. 151.

4 Vedi D. 122.

Se ho ben compreso, la principale obiezione di carattere giuridico del Ministero dell’interno è nel senso che ai respinti rimane sempre aperta la via del ricorso al Consiglio di Stato e che quindi in definitiva è da supporre, anche per la giurisprudenza che sarebbe venuta prevalendo, che una buona parte almeno dei casi che verrebbero respinti sulla base del nuovo accordo finirebbero per essere viceversa accolti, in seguito al ricorso presentato al Consiglio di Stato.

Faccio osservare incidentalmente che nel testo delle osservazioni del Ministero dell’interno, trasmessomi in allegato, alla pagina 1 dove si dice «circa il punto 1» viene riprodotto all’incirca quanto è scritto nel noto verbale italo-austriaco del 22 novembre 19475 con l’aggiunta di un «eccetera», che non esiste nel testo originale di tale verbale al punto, dove dice: «sull’art. 11. 1) l’esclusione dal riacquisto della cittadinanza italiana ...» aggiunta che altera completamente la portata giuridica di tale testo, in relazione all’art. 13 della legge sulle opzioni. Prego controllare i testi e vedere le conseguenze ovvie che ne derivano.

Ad ogni modo l’argomentazione del Ministero dell’interno va oltre, in un certo senso, questo testo, e quindi ha per se stessa un valore autonomo. Ora domando, ritiene la Presidenza del Consiglio, ritiene codesto Ministero che le obiezioni del Ministero dell’interno siano valide? Se lo sono, la proposta di compromesso proposta agli austriaci minaccia di svuotarsi di contenuto. Può perfino perdere ogni senso. Oppure l’obiezione del Ministero dell’interno non è valida, e allora occorre pronunciarsi perché si ritiene che non lo sia, e quale eventualmente siano i mezzi giuridici da escogitare, nel quadro delle leggi italiane e della Costituzione italiana, perché un eventuale accordo di modifica della legge delle opzioni non venga poi all’atto pratico eluso per impossibilità legali, in base alle leggi interne italiane, di raggiungere gli scopi che sarebbero impliciti nella transazione.

Posso prendermi la libertà di osservare se non sembrerebbe che sarebbe stato necessario, prima di avanzare qualsiasi proposta di transazione, sia pure a titolo personale, e sappiamo che cosa significa e quale valore ha nelle trattative diplomatiche il cosiddetto «a titolo personale», di chiarire e decidere questo punto?

Queste osservazioni hanno un valore puramente preliminare, tralasciando per ora numerose altre osservazioni, anch’esse assai gravi, che sorgono spontanee ad un attento esame dei documenti trasmessi. E intendo parlare solamente delle osservazioni diciamo così critiche, di critica in un certo senso negativa, dato che, nell’ordine di idee ripetutamente svolto in miei precedenti rapporti, anche abbastanza remoti, nonché in altri più recenti e magari recentissimi, vi è anche un ordine di pensieri di carattere positivo su quello che si sarebbe potuto e dovuto fare e su quello che ancora si può fare in questo spinoso e complesso argomento. Non vedo ad esempio fatta alcuna menzione delle cosiddette disposizioni interne austriache in materia di cittadinanza degli optanti, di cui anche da ultimo al mio rapporto del 22 agosto u.s. n. 3137/6686 così strettamente connesse, al regolamento italiano delle opzioni e verso le quali sembrerebbe aver prevalso costì un atteggiamento assolutamente negativo. Mi sembrerebbe necessario parlare anche di questo.

6 Vedi D. 134.

Non vedo mai neppure menzionato in nessun modo il problema degli optanti residenti in Germania, che evidentemente è fuori del quadro delle trattative con il Governo austriaco, ma non può essere completamente ignorato in sede di un esame ulteriore del problema, dato che originariamente unitaria è stata la soluzione datavi con la nostra legge sulle opzioni.

Per tutte queste ragioni, io penso che occorra approfondire il riesame di tutto il problema, ciò che è stato sempre nei miei voti. Ed è anche per questo che mi sono permesso di telegrafare, per mettere una nota di arresto nella ulteriore trattazione della questione almeno nei confronti austriaci, nonché nella procedura per un eventuale affrettata approvazione di massima del progetto di compromesso da parte di

S.E. il presidente del Consiglio, che costituirebbe evidentemente una ulteriore difficoltà pratica, almeno morale e disciplinare, per l’ulteriore studio dell’insieme di tutto il problema e in primo luogo delle conclusioni già ora raggiunte, in sede di proposte e controproposte con gli austriaci, e che a mio avviso l’interesse pubblico impone di profondamente riesaminare e rielaborare.

Dal punto di vista del modus procedendi mi permetterei pertanto di proporre di riesaminare, tanto per cominciare, la questione alla luce delle osservazioni che sopra ho prospettato, e di pensare fin d’ora a preparare una riunione tra Amministrazioni interessate e con l’intervento di abili giuristi, e a cui sarebbe forse opportuno che intervenissi anch’io, per studiare e discutere tutto il problema nei suoi così molteplici riflessi politici, giuridici, amministrativi. Si potrebbe pensare a data da fissare per l’ottobre prossimo e nel frattempo, ripeto, soprassedere a ulteriori contatti con il ministro Versbach e con la legazione d’Austria, in modo che il consigliere Innocenti possa dare a suo tempo una risposta che sia al tempo stesso, se risulterà opportuno e necessario, una nuova impostazione del problema, secondo certe linee che meglio corrispondono ai nostri interessi. Credo che non potrebbe che esserne facilitato il suo compito, alleggerita la sua grave responsabilità e reso più proficuo e più sicuro il negoziato.

Di proposito non ho toccato minimamente il cosiddetto problema delle questioni patrimoniali, circa il quale, sciogliendo la riserva che mi ero fino ad ora più o meno imposta, dovrei prospettare osservazioni tanto di carattere meritorio, e tattico, quanto di rapporto con il problema più specifico delle opzioni, osservazioni che non possono anch’esse che ispirarsi a perplessità e riserva su quanto è stato fatto in argomento dal dicembre in poi, almeno fino a quando i miei dubbi non vengano dispersi con più validi argomenti, il che sarei ben lieto che fosse.

211 1 Non pubblicato.2 Con il quale Guidotti aveva richiesto il parere di Cosmelli sul progetto di gentlemen’s

211 5 Vedi serie decima, vol. VI, D. 762, Allegato.

212

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE AL CONSIGLIO D’EUROPA, CAVALLETTI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1055. Parigi, 14 settembre 19491.

L’Assemblea di Strasburgo ha chiuso la sua prima sessione2 in un’atmosfera di soddisfazione; coloro che hanno partecipato ai suoi dibattiti sono partiti con la convinzione di aver fatto un buon lavoro ed effettivamente chiunque sia stato a Strasburgo in questo agosto non può non essere rimasto impressionato dalla maniera con cui l’Assemblea ha lavorato. Il primo Parlamento europeo non è stata una farsa, è stato un vero e proprio Parlamento, animato da spirito democratico e da ferma volontà unitaria.

Questo è già di per sé un risultato apprezzabile, ma studiando i testi che l’Assemblea ci ha lasciato a conclusione dei lavori, essi sembrano sproporzionati al successo della riunione. Viene fatto di domandarsi se l’impressione favorevole sopraccennata corrisponda ad una realtà o non sia piuttosto il risultato di un’atmosfera, importante certo ma transitoria, formatasi a Strasburgo grazie alla presenza e ai discorsi dei più eminenti parlamentari di Europa.

Come si sa i risultati dei lavori della Assemblea sono condensati in alcune raccomandazioni, che essa presenta al Comitato dei ministri, i quali, se le approvano, dovrebbero poi farsene norma nella loro azione di Governo. Quale è il valore e l’importanza di queste raccomandazioni? Tale è il punto che bisogna approfondire per decidere, indipendentemente dalle impressioni personali o locali, se la prima sessione della Assemblea abbia o no fatto fare un passo avanti alla organizzazione unitaria dell’Europa.

Il settore in cui l’Assemblea ha prodotto delle raccomandazioni più concrete è quello organizzativo interno, creando delle Commissioni e proponendo delle riforme dello Statuto. Qui i desiderata della Assemblea sono chiarissimi. Per dare continuità ai lavori si è creata una Commissione permanente o Piccola assemblea di ventotto membri che, oltre a specifici compiti, avrà quello della coordinazione dei lavori e del collegamento fra l’Assemblea e il Comitato. Varie altre Commissioni, quella degli affari generali, quella economica, quella culturale hanno anche manifestato la tendenza a continuare i lavori senza interruzione, fra una sessione e l’altra della Assemblea.

Sempre nel campo interno l’Assemblea ha poi proposto delle precise ed importanti riforme dello Statuto: ha chiesto fra l’altro che l’Assemblea abbia libertà nella fissazione del suo ordine del giorno, che, con determinate garanzie, possa autoconvocarsi, che i supplenti vengano inclusi nella Assemblea facendo un solo corpo, ecc. Tutte proposte queste alquanto rivoluzionarie, che non so se potranno essere integralmente accettate dal Comitato dei ministri. Comunque sono proposte concrete a cui il Comitato non potrà non dare una risposta per il sì o per il no.

Anche abbastanza concreti sono i risultati a cui si è pervenuti nel campo giuridico. La definizione di dieci diritti dell’uomo, l’instaurazione di una Commissione e di una Corte per tutelarli, rappresentano delle proposte ben definite, di contenuto abbastanza pratico e costituiscono un inizio da un lato di una effettiva limitazione della sovranità nazionale, dall’altro di una unificazione istituzionale europea.

Se passiamo però al campo economico le raccomandazioni pratiche e realizzabili a più o meno breve scadenza diminuiscono. Il risultato più importante del rapporto economico e delle discussioni che l’hanno accompagnato è stata una affermazione generica ma categorica di volontà autarchica europea nei confronti dell’America, accompagnata dalla proposta di inviare un gruppo di rappresentanti del Consiglio a trattare con il Governo americano per il risanamento della situazione economica europea, dopo aver constatato il fallimento dell’O.E.C.E.

Peraltro la soluzione dei principali problemi economici viene rinviata allo studio e alle decisioni di altri organismi: a una conferenza economica e una conferenza industriale che i Governi dovrebbero convocare oppure ad alcuni Comitati speciali.

Questa tendenza di rinviare allo studio di Commissioni o di altri organi i problemi più importanti, senza sul momento prendere alcuna decisione, si è manifestata in molti altri campi, non solo nell’economico. La importantissima questione della riforma strutturale politica dell’Europa e della creazione di un potere politico unico è stata rinviata alla Commissione degli affari generali con l’incarico di presentare un rapporto entro il 30 aprile; il problema della cittadinanza europea, la questione della convocazione della prossima sessione della Assemblea (sia essa ordinaria o straordinaria) sono stati rinviati alla Commissione permanente; la questione dell’emigrazione in vista di realizzare in Europa il «pieno impiego», alla Commissione degli affari sociali, ecc.

Infine per gran parte dei più importanti problemi la Assemblea non ha formulato proposte concrete, nemmeno di rinvio ad altri organi per lo studio, ma si è limitata a manifestare dei voti e indicare delle direttive, quasi sempre non nuove e non originali. A formulazione di voti si riducono molte delle raccomandazioni della Assemblea nel campo economico e quasi tutte quelle nel campo sociale e culturale. Arrivare alla interconvertibilità delle monete europee, elevare la sicurezza e la giustizia sociale, sviluppare la conoscenza delle lingue, mettere in comune il patrimonio artistico europeo, istituire un passaporto europeo ecc. ecc. sono tutti voti formulati alquanto astrattamente, senza dire come e quando essi si potranno realizzare.

È questa la debolezza dei risultati dei lavori della Assemblea: che in molti campi, per i maggiori problemi, non vi sono proposte concrete, ma solo delle affermazioni piuttosto vaghe e in fondo non dissimili, formalmente, da quelle che, nel passato, sono state enunciate da convegni interparlamentari e da riunioni dei movimenti europei.

Senonché vi sono alcune osservazioni da fare. Anzitutto bisogna tener presente che l’Assemblea è formata da politici e non da tecnici; che l’Assemblea, per ragioni di principio, ha voluto avere un ordine del giorno vastissimo, abbracciante tutti i dominî; che il periodo dei lavori è stato, relativamente alla materia, brevissimo; che i delegati sono venuti tutti fatalmente non preparati, né hanno trovato a Strasburgo possibilità di documentarsi. Quindi, per forza di cose, non ci si poteva aspettare dei risultati molto differenti da quelli che ci sono stati.

In secondo luogo le affermazioni e i voti che l’Assemblea di Strasburgo ha prodotto sono solo apparentemente simili a quelli fatti in precedenti riunioni inter-europee. Anche se formalmente risuonano nello stesso modo, vi è una differenza fondamentale. Le deliberazioni di Strasburgo sono delle direttive politiche che cento autorevoli parlamentari, riuniti solennemente in Assemblea, propongono ai loro Governi; essi sono suscettibili di divenire un impegno fra i Governi e i parlamentari. I cento delegati di Strasburgo, riuniti collettivamente o separatamente nei Parlamenti nazionali, potranno chiedere ai Governi le ragioni per cui essi, eventualmente, abbiano declinato le loro raccomandazioni e, una volta che i Governi le abbiano accettate, essi potranno esigere che le eseguano, come direttive della loro politica di Governo.

È questo l’elemento che può, col tempo, trasformare il modesto successo di oggi dell’Assemblea di Strasburgo in un importante e concreto risultato, tale da costituire effettivamente l’inizio di una nuova epoca di collaborazione europea. Le sorti del Consiglio di Europa, quale efficace strumento di unificazione, sono forse ancora indecise; esse sono affidate alla fede e all’impegno con cui i parlamentari di Strasburgo seguiteranno a combattere per le loro idee in sede europea e in sede nazionale. Tutto fa credere però — ed i testi di varie risoluzioni prese a Strasburgo lo attestano — che i parlamentari non intendono affatto venir meno al loro compito e che già si preparano a chiamare al redde rationem i Governi, qualora essi volessero sottrarsi alle raccomandazioni che sono state fatte.

Per quel che riguarda gli specifici interessi italiani, non si può dire che le risoluzioni della Assemblea apportino risultati pratici e immediati. Ho a suo tempo riferito che il nostro principale problema, quello dell’emigrazione, ha corso grave rischio di essere rinviato ad una altra sessione. Si deve alla tenacia con cui ci siamo battuti, se si è riusciti a far sì che il problema venisse almeno posto. Tuttavia esso è uno di quelli, per cui nessuna soluzione pratica e concreta viene prospettata, ma solo si indicano auspicabili linee direttive.

Le risoluzioni di Strasburgo non sono comunque in nessun punto contrario ai nostri interessi ed anzi, da un punto di vista generale, sono intonate alla nostra politica, che è di sviluppare e di accelerare il processo unitario europeo. Esse vanno in ogni modo attentamente esaminate dai Ministeri e dagli Uffici competenti, per preparare tutti gli elementi di giudizio per V.E. che nel prossimo Comitato dovrà prendere posizione. Mi permetto di ricordare che la riunione del Comitato dovrebbe avere luogo ai primi di novembre; il lavoro di esame dovrà essere fatto quindi con ogni urgenza.

In tale lavoro sarebbe utile tener presente che in linea di massima le raccomandazioni dell’Assemblea al Comitato dei ministri, anche per quel che riguarda la parte strutturale ed organizzativa, non andrebbero troppo malmenate. Mi sembrerebbe infatti necessario di evitare che l’Assemblea, vedendosi bocciata dai ministri la maggior parte delle sue raccomandazioni, abbia l’impressione di aver lavorato invano. Sarebbe questa una umiliazione che potrebbe essere fatale per le sorti del Consiglio e forse della stessa unità europea.

212 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.2 I lavori dell’Assemblea erano iniziati il 10 agosto e si erano conclusi il 9 settembre.

213

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. SEGRETO 10224/773-774. Washington, 15 settembre 1949, ore 20,54 (perv. ore 8,10 del 16)1.

In due riunioni tenute oggi, alla seconda delle quali partecipavano rappresentanti britannico francese e Benelux, sono state discusse varie formule, tutte intese assicurare stretta cooperazione italiana ai piani di difesa Europa nel suo insieme e in particolare per settore occidentale come avevo chiesto ieri2.

Rappresentante inglese su istruzioni ricevute oggi ha confermato che suo Governo non (dico non) può ammettere piena partecipazione formale italiana a Gruppo Europa occidentale e ciò non certo contro Italia ma per l’idea fissa che tal gruppo deve avere come membri permanenti solamente paesi Patto Bruxelles. Purtroppo francesi si sono dovuti allineare Patto di Bruxelles. Eventuale adesione belga, che in lungo cordialissimo colloquio mi era stata quasi promessa da Van Zeeland, non potrebbe più realizzarsi.

Di fronte a questa situazione miei rappresentanti hanno, su mie istruzioni, detto con tutta chiarezza che io mantengo gravi dubbi circa possibilità accettare formula di compromesso. Unicamente ad referendum e con la più esplicita riserva hanno accettato una nuova formula che inglesi ed americani considererebbero, non senza sforzo, accettabile e che verrebbe inclusa tanto in decisione Consiglio atlantico quanto in comunicato ufficiale. Formula sarebbe la seguente:

«In particolare i Gruppi regionali dell’Europa del Nord, dell’Europa occidentale e dell’Europa del Sud-Mediterraneo occidentale avranno comuni problemi di pianificazione della difesa. Pertanto sarà necessaria una stretta e continua cooperazione fra i predetti Gruppi. Misure dovranno pertanto essere prese perché due, o qualora necessario, i tre gruppi si riuniscano nel caso si presentino tali comuni problemi».

Questo risultato, per quanto possa apparire modesto, rappresenta sensibile progresso di fronte a situazione che fino al mio arrivo era considerata da tutti estremamente rigida. Tutti mi assicurano impossibile ottenere di più. Se tu concordi mi proporrei perciò sabato prossimo, alla prima sessione Consiglio atlantico, accettare tale formula precisando però con un mio molto serio personale intervento che Governo italiano considera non solo ingiusta ma pericolosa nell’interesse comune la non accettazione di una ancor più piena partecipazione Italia al Comitato Europa occiden

2 Vedi D. 206.

tale e che pertanto ci auguriamo che tale errore verrà riconosciuto e corretto nel prossimo futuro. L’alternativa a questa soluzione sarebbe un irrigidimento che mentre non migliorerebbe nostra posizione nuocerebbe certamente a quella atmosfera di ricostruzione fuori della quale abbiamo tutto da perdere senza contare che daremo armi ai comunisti nella loro lotta contro Patto atlantico.

Ti dico ciò dopo matura riflessione e malgrado mio impulso di attaccare pubblicamente la ristrettezza tecnica e militare che impedisce di vedere con quanta più larghezza morale dovrebbe impostarsi la possibile lotta di domani.

Urge una tua risposta per domani a mezzogiorno al più tardi (ora di Washington)3.

213 1 Poiché De Gasperi si trovava a Sella di Valsugana, Canali provvide a telegrafargli questodocumento alle 12,25 con la seguente premessa: «Telegramma del ministro Sforza al presidente. Attendiamo la risposta del presidente entro stasera perché deve essere poi trasmessa a Washington entro stanotte. La riunione dei ministri avrà luogo domani mattina. Zoppi, interpellato, dice che vi è poco da commentare o da aggiungere. A Washington i nostri ottengono tutto quello che possono, ed essi sono, nelleattuali circostanze, migliori giudici di quanto si possa esserlo al Ministero».

214

IL SEGRETARIO PARTICOLARE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, CANALI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI1

T. RISERVATO URGENTISSIMO Roma, 16 settembre 1949, ore 14,40.

Ho ricevuto ora Byington latore di messaggio personale a lei dall’ambasciatore Dunn, (attualmente a Bari alla fiera): la formula escogitata sarebbe quanto di meglio si possa raggiungere, in quanto conferisce all’Italia piena parità di posizione con le altre potenze. Tale parità si deve intendere in questo senso (come del resto indica il testo della formula in suo possesso): l’Italia di pieno diritto fa parte del gruppo Sud Mediterraneo occidentale e, quindi, gode la piena parità con le altre potenze del gruppo Europa occidentale quando i due gruppi (con o senza il terzo) si riuniscano per lo studio di problemi comuni. (Per quanto riguarda il gruppo Europa occidentale, l’Italia ne parteciperebbe alle riunioni solo in quanto chiamata come parte interessata).

Dati gli sforzi fatti da tutte le parti per superare, con questa formula, le questioni di prestigio, l’ambasciatore prega personalmente il presidente di voler accogliere la soluzione.

Egli (Dunn) ritiene che nel caso che alla riunione di domani non si raggiungesse l’accordo su questo ultimo tentativo, la situazione si presenterebbe estremamente grave, anche per le ripercussioni che un eventuale indiscrezione susciterebbe.

Byington trasmette ora al Dipartimento di Stato (segretario di Stato) notizia del-l’avvenuta comunicazione al presidente e gradirebbe poi poter dare la risposta a Dunn.

213 3 Vedi DD. 215 e 225.

214 1 In Archivio De Gasperi. Canali trasmise questa comunicazione per telegrafo trovandosi DeGasperi a Sella di Valsugana.

215

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A WASHINGTON

T. SEGRETO URGENTISSIMO 8009/450. Roma, 16 settembre 1949, ore 18,20.

Suoi 773-7741.

Presidente del Consiglio telefona da Sella e fa avvertire che vi sono gravi obbiezioni. Domattina sentirà qualche collega a Roma dove rientra appositamente stanotte, in modo poter dare risposta in mattinata2. Mi sto interessando per chiarire qui situazione come prospettata da V.E.

216

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 10262/440. Londra, 16 settembre 1949, ore 15,25 (perv. ore 19,20).

Telegrammi di V.E. 7607/C. del 4 corrente1 e 7916/C. del 13 corrente2.

Ho ripetuto a Strang le preoccupazioni e l’ansietà del Governo italiano per la situazione nella Zona B. Egli mi ha dichiarato che era al corrente della questione e che era a conoscenza del passo dei giorni scorsi del ministro Martino presso Kardelj3. Circa l’azione svolta dal Governo britannico, egli mi ha informato che il ministro britannico a Belgrado si è intrattenuto in un lungo colloquio confidenziale con il vice ministro degli esteri Mates, ricevendo assicurazione che da parte jugoslava si desiderava dar soddisfazione alle richieste italiane. Mates aveva affermato esplicitamente che sarebbero state date subito opportune disposizioni per evitare nuovi attriti nella Zona B.

In considerazione pertanto delle assicurazioni di Mates e di quelle di Kardelj a Martino, il Foreign Office era desideroso che da parte italiana si mantenesse un’attesa «attenta ma paziente» per esaminare se la Jugoslavia avrebbe tenuto fede a quanto promesso, e consigliava di evitare che l’Italia investisse formalmente della questione le quattro potenze soprattutto nell’intento di non fornire al Governo sovietico un nuovo mezzo di interferenza.

2 Vedi D. 225.

2 Del 13 settembre diretto a Londra, Parigi, Washington e Belgrado, con esso Zoppi avevainformato circa l’intenzione anglo-franco-statunitense di un passo comune a Belgrado per la situazionenella Zona B del T.L.T. e aveva pregato di seguirne gli sviluppi.

3 Vedi D. 193.

Strang ha particolarmente insistito sulla delicatezza del momento politico nei rapporti fra l’Ovest e la Jugoslavia, raccomandando con calore di temperare le nostre giuste reazioni. Ho risposto che il Governo italiano si rendeva pienamente conto dei motivi che determinavano il consiglio britannico, ma che vi erano dei limiti che non ritenevamo superabili e che la nostra azione sarebbe stata regolata dalla realtà della situazione nella Zona B. Che confidavamo pienamente nell’efficacia dell’intervento amichevole degli occidentali appunto perché le tre potenze erano ora in posizione di far ascoltare la loro voce a Belgrado. Strang ha terminato assicurandomi continuazione interessamento del Foreign Office.

215 1 Vedi D. 213.

216 1 Vedi D. 184.

217

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 10275/453. Parigi, 16 settembre 1949, ore 19,57 (perv. ore 23).

Suo 7916/C.1.

Quai d’Orsay ha in via confidenziale assicurato che verrà effettuato a Belgrado passo nel senso da noi desiderato, su cui formulazione non è stato peraltro in grado di fornire precisazioni essendo questione ancora allo studio.

Scambio idee in proposito avrebbe luogo a Washington.

Quale anticipazione, ci è stato detto che intervento si riferirà solo ai fatti ultimi mesi, non ritenendosi poter sollevare oggi obiezioni circa misure di carattere generale adottate da jugoslavi in Zona B ormai da troppo tempo e facenti in certo senso parte del bagaglio delle cosiddette democrazie progressiste.

Si è fatto presente che Jugoslavia è solamente paese occupante di un territorio che non le appartiene.

217 1 Vedi D. 216, nota 2.

218

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. SEGRETO 10283/779. Washington, 16 settembre 1949, ore 17 (perv. ore 7 del 17).

Recatomi oggi da Bevin dietro suggerimento americano, di cui capii tosto la ragione, questi mi disse che non solo i capi militari ma il Gabinetto gli avevano poco prima telefonato che disapprovavano la formula raggiunta ad referendum dai rappresentanti italiani ed americani e di cui al mio telegramma di iersera1.

Risposi subito che almeno in un punto ci trovavano d’accordo perché anche a me non piaceva sia pure per ragioni opposte.

Dopo una conversazione assai dura nella quale gli ripetei talune delle osservazioni fatte ad Acheson2 e dopo dettogli che non cercavamo successi di prestigio ma garanzie di una collaborazione che ci preservi da pericoli imprevisti, gli gettai giù una nuova formula migliore per noi della prima.

Egli parve ammansito e mi promise rimandarmela con certe sue varianti, impostegli dalla necessità di non offendere greci e turchi accettando una mia frase circa Adriatico, e di non creare nuovi uffici. Per quanto già telefonato a Zoppi ti riporto la formula corretta da Bevin poco fa ricevuta:

«Si riconosce che vi sono certi problemi strategici comuni per la difesa dei Gruppi nord europeo, ovest europeo, e sud europeo-ovest mediterraneo.

Occorre quindi, allo scopo di facilitare lo studio di quei problemi comuni, che degli accordi siano presi per assicurare piena cooperazione fra due Gruppi e se occorre fra tre. In particolare degli incontri saranno di tempo in tempo tenuti a questo scopo».

Dal punto di vista della garanzia dei Comitati mi pare che la formula è accettabile. Quello che conta politicamente è che essa è stata strappata a Bevin non solo dai miei argomenti ma anche dalla pressione americana. Poiché ti debbo tutta la verità, ti aggiungerò, per te solo, che nella prima parte della conversazione Bevin mi domandò se volevamo uscire da Patto atlantico. Finsi di non udire e passai ad altro argomento3.

2 Vedi D. 206.

3 Per la risposta vedi D. 225.

218 1 Vedi D. 213.

219

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 10284/442. Londra, 16 settembre 1949, ore 18 (perv. ore 8 del 17).

Mi sono intrattenuto ieri successivamente con Mayhew e con Strang sulla questione delle colonie, chiedendo le loro impressioni personali sulle nostre rispettive proposte e sulle chances delle medesime a Lake Success.

Mayhew (che non vedevo da qualche tempo a causa della sua assenza da Londra) mi ha dichiarato che al Foreign Office si considerano soddisfacenti le intese raggiunte con noi salvo per l’Eritrea. Si ritiene qui infatti — e ciò è stato espresso a quest’ambasciata anche al livello uffici — che la proposta britannica non è la soluzione «ideale» del problema ma la più accettabile nel conflitto dei contrastanti interessi. La proposta italiana, in caso di successo, potrebbe portare conseguenze gravissime creando immediatamente una situazione locale di aperto conflitto che si vuole ad ogni costo evitare. Come vuolsi evitare la possibilità di interventi politici sovietici. Ho ribattuto da parte mia con tutti i noti argomenti, rilevando inoltre che mi pareva curioso che un Governo laburista patrocinasse una soluzione che, se fosse accettata, sarebbe semplicemente un assurdo storico e che mi pareva degno delle deliberazioni del Congresso di Vienna.

Egli mi ha aggiunto che personalmente dubitava che la nostra tesi potesse essere accettata all’Assemblea, ma non ha mostrato nessuna sicurezza circa probabilità accettazione tesi britannica, accennando a possibilità nuovo rinvio. Ho allora osservato a titolo personale che ritenevo che, pur di evitare la partizione, da parte nostra sarebbe stato forse accettabile un rinvio ad una Commissione di studio che ci garantisse una soluzione più accettabile per i nostri interessi nell’antica colonia e che evitasse il grave errore della partizione.

Anche Strang mi ha manifestato soddisfazione per i progressi raggiunti a Londra con la missione Alessandrini1, affermando che ora però la soluzione è rimessa a Lake Success, ed esprimendo la speranza che, essendo ormai chiarite le opinioni dei Quattro, in quella sede riesca possibile raggiungere un’intesa compromissoria che ottenga l’appoggio sufficiente dell’Assemblea.

Mi ha poi dichiarato che da parte britannica si sta svolgendo presso gli arabi opera di moderazione, consigliando loro di evitare di creare difficoltà e imbarazzi al raggiungimento di una soluzione che si possa considerare reciprocamente soddisfacente.

219 1 Vedi da ultimo D. 161.

220

L’AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10304/39. Città del Messico, 16 settembre 1949, ore 21,06 (perv. ore 11,20 del 17).

Festeggiamenti missione Aldisio Brusasca hanno culminato 14 corrente in solenne seduta Congresso messicano e in colazione successivamente offerta da legislatori messicani a loro colleghi italiani. Con una manifestazione, che ha pochissimi precedenti nella storia questo paese, Camere messicane riunite in presenza intero corpo diplomatico e folto pubblico hanno accolto missione italiana con calorosa ovazione e con discorsi rappresentanti singole Camere che hanno esaltato gloriosa tradizione libertà e civiltà Italia come motivo storico e permanente fraternità italo-messicana. Sen. Aldisio e sottosegretario Brusasca hanno risposto con vibranti parole amicizia ed affetto per Messico che hanno profondamente commosso uditorio.

Quotidiano Excelsior scrive che raramente sonosi udite nel recinto Camera parole così sincere in favore Messico e che manifestazione italo-messicana che ha coronato riunione rimarrà indimenticabile. Tutti altri organi stampa danno eguale rilievo ad avvenimento nonché a colazione offerta dal Congresso con partecipazione di oltre settanta parlamentari e durante la quale sono stati pronunziati nuovi fervidi discorsi da parte presidente Camera e vice presidente Senato Messico oltre che da rappresentanti italiani. Ieri 15, missione italiana visitato sede associazioni italiane e assistito a colazione offerta da oltre trecento connazionali cui sottosegretario Brusasca ha rivolto acclamatissime parole. In serata missione partecipato al Palazzo nazionale a solenne celebrazione indipendenza messicana1.

221

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1946/622. Mosca, 16 settembre 1949 (perv. il 22).

Come si è saputo qui attraverso l’ambasciata americana il 13 corr., Vyshinsky è partito quella sera stessa in treno, quale capo della delegazione sovietica alla imminente Assemblea dell’O.N.U.

Egli aveva accettato in precedenza, secondo mi disse l’ammiraglio Kirk l’11, un invito a colazione all’ambasciata degli Stati Uniti per il giorno stesso della sua partenza; tacendo però gelosamente agli americani, fino al mattino del 13, che a New York sarebbe andato egli stesso.

Poiché qui va data la debita importanza anche ai piccoli indizi, senza dubbio ha un significato sia il fatto che sia questa volta Vyshinsky, e non Gromyko, a presiedere la delegazione sovietica; sia inoltre il fatto che nella imminenza della partenza Vyshinsky abbia voluto accettare una colazione privata a Spaso House, il che da quando io sono qui a Mosca, non era mai avvenuto.

Non mi risulta se e quali discorsi di carattere politico si siano trattati nell’occasione; l’ambasciatore Kirk lo esclude, ma questa volta vi è da dubitare ch’egli lo faccia per ragioni di riserbo.

Ad ogni modo, i sovietici aprono la nuova sessione dell’Assemblea attribuendole una considerevole importanza, col farvi ritornare Vyshinsky; e segnalando con un atto di cortesia inconsueto, di voler quantomeno considerare l’atmosfera diplomatica generale, se non proprio come serena, almeno come rasserenabile.

Tutto lascia prevedere che i sovietici andranno a New York sopratutto allo scopo di riallacciare, se possibile, le fila delle trattative per la Germania; o almeno con lo scopo di dimostrare ch’essi hanno fatto a tal fine tutto il possibile.

A questo riguardo è abbastanza significativo l’articolo «Politica antiposdamica delle potenze occidentali nella questione germanica» apparso su Novoe Vremia del 14 settembre. Vi si ripete l’accusa alle potenze occidentali di avere, colle elezioni tedesche e colla costituzione del Governo di Bonn, violato la lettera e lo spirito del compromesso di Parigi e dato un nuovo colpo alla politica di unità della Germania, convenuta a Potsdam.

Nello stesso tempo tuttavia si ha cura di aggiungere che «di tutte le potenze, che presero parte alla redazione del comunicato di Parigi, soltanto il Governo sovietico traduce in atto senza ondeggiamenti le raccomandazioni in esso contenute, e difende colle parole e coi fatti i principii della storica decisione di Potsdam. Questa posizione dell’Unione Sovietica le assicura l’appoggio di tutta l’opinione pubblica democratica mondiale, e le crescenti simpatie del popolo tedesco, che desidera vedere la sua patria una, democratica e pacifica».

Qui è esposta abbastanza chiaramente la posizione che i sovietici prenderanno a New York, e con quali scopi. Vyshinsky si rifarà certamente all’o.d.g. di Parigi per insistere sulla convocazione di un nuovo Consiglio dei ministri: e lo farà non tanto nella speranza di riuscirci, quanto nel desiderio di riaffermare la volontà di pace e di unità dei sovietici di fronte all’opinione pubblica mondiale in genere, e a quella germanica in ispecie.

Comunque, sembra chiaro che almeno inizialmente, l’atteggiamento sovietico dovrebbe tendere piuttosto alla conciliazione, che ad una combattiva intransigenza; salvo poi ritornare alla solita pugnace propaganda, in caso di un molto probabile insuccesso.

220 1 Il 15 settembre Aldisio, Brusasca e il sottosegretario agli esteri messicano Tillo avevanoanche proceduto alla firma dell’Accordo commerciale italo-messicano (T. 10235/38 del 15 settembre). Iltesto dell’Accordo è edito in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, Vol. LXXI, cit., pp. 80-86.

222

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1949/625. Mosca, 16 settembre 19491.

Avendo ricevuto a suo tempo i varii telespressi relativi alla nostra nuova posizione circa le ex colonie italiane, e dato comunicazione di volta in volta al Governo sovietico in conformità alle istruzioni ricevute, avrei voluto trovare il modo di parlare al delegato sovietico all’Assemblea delle Nazioni Unite per riassumergli il punto di vista italiano e per sentire le sue impressioni.

Ma Vyshinsky è partito per New York il giorno stesso in cui si è saputo della sua qualità di presidente della delegazione sovietica (13 settembre) e quindi non ho potuto parlargli.

Ho tuttavia potuto incontrare Gromyko al quale ho riassunto accuratamente il punto di vista italiano tenendo anche conto del telespresso 3/3530/C. del 1° settembre

u.s.2 beninteso soltanto nei punti che potevano essere utilizzati nei riguardi dei sovietici.

Mio scopo era di cercare di avere una notizia o una impressione circa la posizione sovietica; ma purtroppo Gromyko dopo avermi ascoltato a lungo e attentamente e avermi posto alcune domande, non mi ha lasciato capire molto delle intenzioni sovietiche.

Egli si è limitato a dire al riguardo «la posizione sovietica sarà esposta all’Assemblea» aggiungendo che «fra i nostri suggerimenti e le proposte sovietiche vi è ancora una grande differenza» (egli si riferiva alle ultime proposte sovietiche, relative alla tutela collettiva).

Fra le domande fattemi, vi fu quella se proponendo la indipendenza della Tripolitania e della Eritrea noi avremmo escluso senz’altro la possibilità di una tutela. Gli ho risposto che, dal momento che noi desideravamo effettivamente l’indipendenza dei due territori, la tutela sembravami (a titolo di interpretazione personale) incompatibile con quella posizione. Ho avuto da questa domanda, e dal modo come mi fu fatta, la impressione che Gromyko pensasse sempre nei termini di una tutela, e, naturalmente, di una tutela collettiva, colla inclusione, bene inteso, della Unione Sovietica fra le potenze amministratrici.

Ed è probabile che questo sia, almeno in via iniziale, il rinnovato atteggiamento della delegazione sovietica all’Assemblea.

222 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.2 Non rinvenuto.

223

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

TELESPR. SEGRETO 8084/3651. Washington, 16 settembre 1949 (perv. il 26).

Riferimento: Telespresso ministeriale 11976/C. del 27 agosto u.s.1.

Ho preso nota delle comunicazioni di codesto Ministero e della nostra delegazione a Parigi relative al progetto sopra riferito e ai contatti che si erano avuti in argomento con gli altri esponenti europei.

Nel telegramma da me inviato a codesto Ministero per il ministro Pella, in data 31 agosto u.s.2, avevo segnalato che anche a quest’ambasciata sembrava molto probabile che durante i lavori del Fondo e della Banca si sarebbe verificata un’offensiva sia da parte americana e sia da parte europea, in merito al progetto stesso.

In realtà la conferenza del Fondo e della Banca internazionale hanno immediatamente dato luogo a delle prese di contatto da cui è risultata una rinnovata insistenza franco-belga per l’accettazione da parte nostra del progetto, eventualmente con qualche modifica e subordinatamente al verificarsi di certe condizioni, e una serie di aperte sollecitazioni da parte americana dirette nello stesso senso.

Ritengo opportuno segnalare brevemente i contatti in cui la questione è stata trattata nelle sue linee generali e ai quali anche questa ambasciata ha partecipato.

Nei primi colloquii coi francesi e gli inglesi, questi ultimi hanno mostrato un tale interesse alla realizzazione del progetto che, di fronte alle nostre obiezioni — motivate sulla base delle ragioni esposte nel verbale della riunione del 26 agosto u.s. — essi sono giunti a far perfino presente che, occorrendo, si poteva chiaramente porre il pro

2 T. segreto 9640/722, non pubblicato.

blema delle cross-rates ed eventualmente concordare un’azione per indurre gli inglesi all’esame di tale problema. Ora, dato che in tutto il corso delle riunioni del Fondo, il problema delle cross-rates, ovviamente collegato con quello della svalutazione della sterlina, è stato — come riferisco a parte — sempre soltanto sfiorato, e anche da parte americana ha fatto oggetto di dichiarazioni sempre estremamente prudenti e misurate, ovviamente i nostri delegati hanno risposto che si sarebbe potuto considerare la eventualità di un esame del problema cross-rates in dipendenza dall’accettazione o meno del progetto Guinday, soltanto se ci si fosse potuto assicurare del completo aiuto americano nella questione e di un forte intervento di questo Governo, ove se ne fosse manifestata la necessità.

Questa ambasciata aveva intanto organizzato per il ministro Pella e il governatore della Banca d’Italia un incontro con Bissell che, nelle intenzioni originarie, doveva dare occasione ai nostri rappresentanti di fare col predetto un largo giro d’orizzonte su tutti i problemi che interessano i programmi italiani. Tale colloquio faceva seguito a un altro incontro che i predetti nostri rappresentanti avevano avuto con un largo numero di funzionari, e nel corso del quale era stato ampiamente dibattuto il problema delle riserve valutarie e quello della nostra politica degli investimenti e del credito. Non so se è perché già tali argomenti erano stati sviscerati in tale precedente incontro. Il fatto si è che Bissell dopo i primi convenevoli d’uso, ha immediatamente attaccato il problema del progetto Guinday. E su questo ha intrattenuto i delegati italiani per tutta la durata del colloquio. Egli ha ribadito argomenti già noti a codesto Ministero. Si è riferito alle gravissime difficoltà che l’E.C.A. ha incontrato e continua a incontrare con il Congresso per l’approvazione degli stanziamenti del secondo anno finanziario. Ha dichiarato che occorreva mettersi al più presto possibile sulla via di complete realizzazioni di cooperazione europea e che occorreva in ogni modo dare un inizio di esecuzione a qualche progetto che tale cooperazione attuasse.

D’altra parte, ha detto Bissell, ci si rendeva conto qui che il chiedere o lo sperare una più profonda integrazione europea da tutti i paesi partecipanti era, allo stato attuale, cosa alquanto utopica: conveniva quindi procedere per gradi e cercare di realizzare qualche primo gruppo, costituendo aree inizialmente limitate in cui attuare la tanto auspicata liberalizzazione degli scambi e dei rapporti monetari. Per questo il progetto Guinday assumeva la massima importanza per l’E.C.A. la quale sperava che i paesi interessati avrebbero fatto di tutto per raggiungere qualche conclusione positiva. Bissell, di sua iniziativa, ha peraltro riconosciuti i difetti del progetto e mostrato di essere già pienamente consapevole delle nostre obiezioni e delle difficoltà che il progetto presenta per l’Italia. Egli ha aggiunto che, d’altra parte, il problema delle cross-rates sarebbe stato un giorno ineluttabilmente affrontato, o perché gli avvenimenti ne avrebbero forzato lo studio, o perché i paesi interessati — compresa l’America — avrebbero potuto decidere di affrontarlo col Governo britannico. Egli proponeva quindi di porre all’esame al più presto il progetto Guinday, dividendone eventualmente la realizzazione in due fasi: una prima per preparare tutte le modalità e per predisporre il funzionamento del progetto, una seconda che avrebbe dovuto verificarsi dopo l’auspicata soluzione del problema cross-rates, in cui il progetto avrebbe potuto entrare in esecuzione in pieno. Bissell raccomandava, in ogni caso, che il problema venisse senz’altro affrontato, approfittando della presenza a Washington dei rappresentanti di tutti i paesi interessati. Egli ha anche spontaneamente accennato al noto «dollar pool» di 150 milioni, di cui alle ultime decisioni del Congresso, dichiarando che l’utilizzo di una parte di esso avrebbe potuto facilmente esser collegato con la esecuzione del progetto, a seguito di motivazioni e richieste da parte dei paesi europei che avrebbero potuto essere concordate al momento opportuno.

Il ministro Pella ha riposto a Bissell ribadendo le difficoltà che il progetto presenta per l’Italia, affermando peraltro la piena consapevolezza del Governo italiano della necessità di realizzare una maggiore cooperazione nell’ambito europeo e assicurando che avrebbe cercato di far porre allo studio il problema da parte dei nostri tecnici insieme con quelli degli altri paesi, se non altro per un primo lavoro esplorativo. Egli ha peraltro osservato che il progetto comportava elementi di tale delicatezza che occorreva mantenere anche tali contatti del tutto segreti, lasciando ad essi un carattere preliminare.

Bissell ha mostrato di apprezzare la dichiarazione fattagli.

Anche con Hoffman avrà luogo nei prossimi giorni un colloquio che presumibilmente avrà per oggetto lo stesso problema: di esso si è fatto iniziatore lo stesso Hoffman.

Domani avrà luogo una nuova presa di contatti sul piano prettamente tecnico con francesi, belgi e forse olandesi. Avranno certamente luogo anche colloqui tra il ministro Pella e i ministri delle finanze dei tre paesi.

È indubbio che tali intensi contatti verranno costantemente seguiti e sostenuti da questo Governo ed è indubbio anche che, dato l’interesse dimostrato dai più alti esponenti della E.C.A. e del Dipartimento di Stato per la conclusione di un accordo sul progetto, ci conviene, in ogni caso, evitare di apparire come i soli recalcitranti. Per questo si sta svolgendo da parte nostra anche un intenso lavorio di contatti con elementi americani perché vengano da essi soppesati in tutta la loro gravità gli elementi che costituiscono per noi motivo di obiezione.

Di tale consapevolezza mi sembra di avere avuto in questi ultimi giorni piena prova, in quanto che mi risulta, in via del tutto confidenziale, che ieri ha avuto luogo negli uffici della E.C.A. un incontro con Harriman e altri funzionari dell’Organizzazione, proprio per l’esame delle difficoltà italiane. Tale esame potrà forse in definitiva rivelarsi utile, dato che con esso viene automaticamente a porsi in evidenza il problema dei nostri saldi in sterlina. D’altro canto anche sul tema della cooperazione europea è in corso in questi giorni un’attivissima serie di contatti con le delegazioni presenti a Washington, contatti che si sono evidentemente intensificati dopo la conferenza tripartita. Sia su questo e sia sugli sviluppi di ordine tecnico del piano Guinday mi riservo di riferire più minutamente col prossimo corriere, trasmettendo anche eventualmente la relazione degli esperti.

223 1 Diretto a Parigi e, per conoscenza, alle ambasciate a Bruxelles e Washington. Con essoZoppi aveva chiarito le motivazioni della decisione italiana di respingere il progetto Guinday, presentatoil 2 luglio e riproposto con alcune modifiche (Progetto C) il 22 agosto, sulla liberalizzazione degli scambie dei pagamenti tra Francia, Italia e Belgio. In particolare Zoppi aveva precisato: «... come esso progettonon conduca ad una liberazione effettiva e all’allargamento degli scambi (cosa questa che deve stare allabase di ogni progetto del genere, poiché non si tratta di ricorrere a espedienti contabili destinati soltanto afornire una prova di semplice buona volontà, bensì di migliorare sostanzialmente il futuro delle relazionieconomiche europee), ma al contrario conduca se non ad un restringimento di essi, per lo meno ad unaartificiosa loro distorsione. In secondo luogo, il progetto condurrebbe inevitabilmente a due risultati pernoi dannosissimi: l’accumulo ulteriore delle sterline, già eccessive, in nostro possesso, e la probabile fugadi capitali all’estero, incoraggiata dalle speciali condizioni, diverse da quelle italiane, che essi troverebbero in Francia e nel Belgio. La questione più grave è indubbiamente la prima; e l’Italia verrebbe ad esserepenalizzata per essere stata all’avanguardia nella regolarizzazione del sistema della quotazione dellemonete forti, nei confronti della Francia la quale continua in questo campo in un sistema di eterodossia.Né è supponibile oggi che l’Italia modifichi il suo sistema di quotazione sul mercato libero, poiché ciòrappresenterebbe un regresso, andrebbe contro le disposizioni attuali di Bretton Woods, e sconvolgerebbel’economia del paese ormai assestata sull’attuale quota del dollaro. Senza contare poi che le relazionilira-sterlina sono regolate da un accordo di pagamento il quale scadrebbe al più presto il 31 dicembre p.v.e che non si può del resto pensare ad una azione autonoma italiana di denuncia della cross-rate con la sterlina quando, almeno fino ad ora, gli americani stessi non sono riusciti a tanto e quando il farlo ci porrebbe di fronte a conseguenze gravissime (congelamento dei nostri averi in sterline ecc.)».

224

IL REGGENTE LA LEGAZIONE A SAN JOSÈ, PORTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 7831. San José, 16 settembre 1949.

In vista della partenza imminente della delegazione di Costa Rica per la O.N.U. ho avuto stamane una intervista con il segretario della Giunta di Governo, il quale attualmente si occupa delle questioni internazionali, dato che il Ministero degli esteri è stato assunto dallo stesso presidente Figueres.

Dopo avergli confermato i punti di vista del nostro Governo circa il destino dei territori africani, ed aver ben messo in evidenza che qualunque procedura per giungere alla autonomia ed alla indipendenza tanto della Eritrea che della Tripolitania non deve essere, per ovvi motivi, affidata alla potenza amministratrice, ho fatto comprendere secondo le istruzioni del dispaccio ministeriale n. 3/3397/C. in data 23 agosto u.s.2, giuntomi solamente ieri, di essere al corrente del progetto statunitense comunicato confidenzialmente agli Stati membri della O.N.U.

Il signor Oduvber, dopo aver preso accuratamente nota di quanto espostogli ed avermi anche confermato la comunicazione statunitense, mi ha detto che le istruzioni per la delegazione erano le seguenti:

1) Somalia: trusteeship italiano senza limitazioni di tempo.

2) Tripolitania: trusteeship italiano. Nessuna difficoltà però a sostenere la autonomia e la indipendenza della Tripolitania qualora tale fosse il desiderio del Governo italiano e la opinione degli altri Stati latino-americani, salvaguardando naturalmente gli interessi italiani, e con la garanzia di una effettiva e libera manifestazione popolare.

3) Eritrea: il progetto statunitense di spartizione non è ben visto; nessuna risposta è stata data a tale riguardo dal Governo di Costa Rica, il quale preferisce attenersi alla opinione della maggioranza degli Stati latino-americani, che dovranno pertanto essere presentiti alla stessa O.N.U.

Ho motivo pertanto di ritenere che la delegazione si atterrà in sostanza al punto di vista espresso dalla maggioranza degli Stati latino-americani e non a quello prospettato dagli Stati Uniti se quest’ultimo differisca sostanzialmente da quello. L’azione del nostro osservatore presso la O.N.U. non dovrebbe pertanto incontrare difficoltà, qualora necessario, a determinare il definitivo avvicinamento della delegazione ai nostri punti di vista sulle questioni prospettate.

224 1 Trasmesso tramite la legazione a Guatemala (Telespr. 2420/458 del 21 settembre, pervenutoil 12 ottobre).2 Vedi D. 132, nota 1.

225

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A WASHINGTON

T. SEGRETO 8024/451. Roma, 17 settembre 1949, ore 12,15.

Tuoi 773, 774 e 7791.

In una riunione confidenziale cui parteciparono ministri Saragat, Giovannini e Pacciardi si sono manifestate fortissime preoccupazioni circa testo della ultima proposta e soprattutto circa tendenza troppo evidente di trascurare gli interessi per la difesa totale dell’Europa e in particolare di mettere in seconda linea difesa dell’Italia e in ispecie della pianura padana che pure è parte integrante del settore occidentale.

Siamo persuasi che tu avrai fatto tutti gli sforzi possibili e che li rinnoverai fino all’ultimo.

In caso estremo suggeriamo la formula seguente:

«Si riconosce che vi sono problemi strettamente comuni alla difesa dei Gruppi regionali dell’Europa del nord, della Europa occidentale e dell’Europa del sud e Mediterraneo occidentale.

È perciò importante che siano presi accordi per assicurare piena cooperazione fra due e se necessario fra i tre Gruppi suddetti.

A questo scopo sarà creato un Comitato militare di coordinamento alle dipendenze del Comitato militare del Patto atlantico e composto dai rappresentanti dei tre Gruppi regionali».

Come risulta da tale proposta (una volta malauguratamente esclusa nostra partecipazione Gruppo occidentale) si vuole almeno assicurato collegamento organico dei tre Gruppi per la comune difesa, presente naturalmente anche l’Italia.

Qualora questa o una simile formula si dimostrasse impossibile, è preferibile suggerire un rinvio ad un altro organo, forse al Comitato dei ministri militari.

Il mio intervento parallelo presso Dunn2 rafforzerà tua energica azione in questo senso.

Con molti cordiali ringraziamenti e auguri per la buona battaglia3.

225 1 Vedi DD. 213 e 218. 2 Nella stessa mattina del 17 De Gasperi aveva incontrato Dunn facendogli uguale comunicazione: vedi Foreign Relations of the United States, 1949, vol. IV, cit., p. 329 ma si veda anche pp. 337-338. 3 Per la risposta vedi D. 226.

226

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. SEGRETO URGENTE 10331/784. Washington, 17 settembre 1949, ore 14 (perv. ore 0,15 del 18).

Conversazioni avute stamane sulla base della comunicazione telefonica di Zoppi ore 7 di Washington1, prima della riunione Consiglio, hanno confermato assoluta impossibilità fare accettare ad inglesi e perfino americani creazione nuovo organo militare sotto qualsiasi forma.

Ciò stante è necessario ripiegare sulla consigliatami variante consistente nel demandare a Comitato difesa compito stabilire modalità realizzazione cooperazione prevista da prima parte della formula comunicata da Zoppi.

Pertanto, in seduta, previo accordo con Acheson, Bevin, Schuman, ho presentato tale formula medesima nella seguente dizione:

«È riconosciuto che vi sono problemi i quali sono chiaramente comuni alladifesa delle aree coperte dai tre Gruppi regionali europei. È perciò importante che accordi siano presi da Comitato difesa in vista assicurare piena cooperazione tra due

o se necessario fra tutti e tre Gruppi anzidetti».

Formula è stata adottata all’unanimità.

Ho quindi preso la parola per fare dichiarazione che ti avevo preannunciato e che ti trasmetto con telegramma parte2.

Acheson ha quindi voluto rispondermi a nome di tutti nei termini seguenti:

«Tutti noi ci rendiamo pienamente conto che intervento italiano non è stato dettato da mere considerazioni di prestigio. Ci rendiamo anzi conto che ministro Sforza è stato ispirato da sincero desiderio aiutarci nel nostro compito. Sua magnifica reputazione, che si estende per più anni di quanti molti di noi possano ricordare, è garanzia di ciò. Posso assicurare Sforza che sue parole ci saranno sempre di guida nel nostro lavoro».

Tuo telegramma pervenuto quando era già stato votato accordo per rinviare a Comitato difesa decisioni sulle modalità concernenti cooperazione militare fra Gruppi regionali europei. Ma gli scopi essenziali da noi perseguiti sono raggiunti. A questo proposito ti segnalo che anche collega olandese ha sottolineato necessità piena solidarietà fra tutti paesi membri per difesa rispettivi territori e che Acheson, interpretando proposito comune e disposizioni Patto, ha dato piena assicurazione in tal senso.

ALLEGATO

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO URGENTE 10332/785. Washington, 17 settembre 1949, ore 14,45 (perv. ore 0,15 del 18).

Trasmetto testo dichiarazione ministro a Consiglio atlantico3:

«Signor presidente, ritengo mio dovere fornire a lei e ad altri colleghi poche parole spiegazione circa motivi che, prima e dopo mio arrivo Washington, hanno ispirato nostre argomentazioni e riserve circa mezzi più sicuri per permettere piena e più fruttuosa partecipazione italiana in Gruppo regionale Europa occidentale.

Governo italiano non ha mai voluto sollevare questione prestigio: è vero che noi crediamo che nostra forza demografica e nostra posizione geografica renderebbero naturale che Italia avesse posto permanente nello «Standing Group», ma pienamente consapevoli dei nostri superiori doveri europei, noi ci inchiniamo, per il momento, alle attuali necessità. Ciò che noi richiedevamo era di essere in costante contatto e costante scambio di vedute con le altre potenze associate, su tutti i problemi che riguardano l’organizzazione della nostra difesa e di quella dei nostri vicini. Sono lieto essere ora in grado di dichiarare che le prolungate e molto franche conversazioni che ho avuto con alcuni di voi durante scorsi giorni, i risultati delle quali voi troverete inclusi brevemente nel rapporto, hanno contribuito a chiarire un punto fondamentale che io vorrei definire con le seguenti parole: organizzazione che noi stiamo per creare non è fine a se stessa ma mezzo per raggiungere un fine. Se per motivi pratici si è ritenuto opportuno dividere pianificazione tra differenti organi incaricati di diversi settori, scopo da ottenere è uno soltanto, la pianificazione strategica è e può essere soltanto unica, e deve coprire tutti i settori nella piena consapevolezza che essi sono tutti egualmente vitali dal punto di vista morale, politico, militare; questo è il solo modo per raggiungere nostri scopi comuni: mantenimento pace e difesa contro aggressione.

Permettetemi ultima parola circa sviluppi nostri comuni sforzi per mantenimento pace. A mia opinione nessuno di noi, uomini di Stato e capi militari, che ci prepariamo contro la guerra, dovrebbe per un solo momento dimenticare che tale guerra sarebbe di una natura differente e persino più terribile delle altre due che hanno lacerato l’Europa e il mondo; sarebbe guerra che andrebbe combattuta non solo con eserciti ma anche con tutte forze morali disponibili da parte di tutti uomini e donne buona volontà. Questo è motivo per cui noi pensiamo che ogni azione che possa provocare una sensazione di delusione e insicurezza in uno qualsiasi membri nostra organizzazione, conterrebbe pericoli molto più gravi di qualsiasi difficoltà pratica.

Noi riteniamo onestamente aver compiuto nostro dovere nei confronti di noi tutti se saremo riusciti a rendere nostra solidarietà più attiva e più efficace in tutti i settori».

226 1 Anticipava il D. 225.2 Vedi Allegato.

226 3 Ed. in CARLO SFORZA, Cinque anni a palazzo Chigi. La politica estera italiana dal 1947 al1951, Roma, Atlante, 1952, pp. 274-276.

227

IL MINISTRO A CANBERRA, DEL BALZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1668/012. Sydney, 17 settembre 1949 (perv. il 23).

Riferimento: Mio telespresso urgente 010 del 13 agosto1.

Mi esprimerò nei prossimi giorni con Evatt nel senso indicato nel telespresso ministeriale n. 3/3397/C. del 23 agosto2, pervenutomi oggi.

Evatt ha frattanto dovuto rinunziare ad ogni progetto recarsi New York per Assemblea dell’O.N.U. ed ha annunziato pubblicamente in questi giorni che suoi impegni parlamentari non gli consentono nemmeno intervenire seduta inaugurale che sarà presieduta in sua vece da ambasciatore Makin, capo delegazione australiana.

Di questa faranno parte altresì ambasciatore Hood e console generale Kellway, nominato recentemente ministro a Roma.

Delle disposizioni di Makin nei nostri riguardi so poco, di Hood abbiamo già sperimentato il gretto spirito ostruzionistico e legalitario. Ritengo invece che Kellway, per quello che conta, cercherà di esserci utile nell’interesse sua futura missione in Italia.

Lo stesso Evatt, del resto, me lo ha accennato in occasione richiesta gradimento.

Ad ogni modo rimane certo che, anche da lontano, Evatt farà sentire tutto suo peso sulla delegazione australiana e che atteggiamento di quest’ultima sarà, come sempre, ispirato dalla duplice ansia di favorire gli inglesi e di figurare in primo piano nelle discussioni.

228

L’INCARICATO D’AFFARI A DAMASCO, TONCI OTTIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1975/427. Damasco, 17 settembre 1949 (perv. il 26).

Faccio seguito al mio telegramma n. 51 del 15 corrente1.

Sono stato lungamente ricevuto stamani dal ministro degli affari esteri, dott. Nazem el-Qudsi (el Qodsi). Egli appartiene a cospicua famiglia musulmana di Aleppo, ha fatto i suoi studi in Svizzera e conosce bene l’Italia del nord. Ha, degli svizzeri, l’aspetto fisico, il lento gestire e l’eloquio parco. Riflette visibilmente molto prima

di esprimersi. La vera antitesi dell’orientale di queste zone, generalmente agitato e dal verbo torrenziale e vacuo. Egli — che non ha ancora 50 anni — è stato il primo ministro di Siria a Washington ed è deputato di Aleppo.

Dopo una conversazione generica durante la quale il ministro ha esposto giudizi che mi sono sembrati sensati (necessità per le nazioni, specie per le minori, di non essere arroganti ma di cercare, pur assicurando la giusta tutela dei propri diritti, la cordiale intesa e collaborazione con tutti, vicini e lontani), si è passati ad esaminare le questioni attualmente pendenti con la nostra legazione. Ciò che mi ha permesso di accennare senz’altro alla questione delle colonie, svolgendo i concetti di cui alle istruzioni ricevute dall’E.V. (telespresso del 17 agosto u.s. n. 3/3345/C.)2.

El Qudsi mi ha ascoltato attentamente ed ha manifestato, direi, una lieta meraviglia, quando ha saputo (non mi è però sembrato particolarmente informato dell’argomento) che si trattava ormai della sola Somalia per la quale l’Italia chiede il mandato fiduciario.

Egli, allora, premesso che «i tempi che corrono impongono la più chiara franchezza», mi ha risposto che non mi poteva promettere di accedere a quanto chiedevo. Cioè il «sì» o, per lo meno, l’astensione del Governo siriano. Quello che poteva assicurare era la nessuna preconcetta ostilità da parte della Siria, la quale, però, avrebbe aderito alla decisione adottata dagli altri Stati arabi: «che il Governo italiano svolgesse quindi opera di persuasione presso i Governi di questi Stati». All’uopo, egli ha proseguito, in mancanza della riunione della Lega araba, le delegazioni a Lake Success si sarebbero accordate direttamente.

Mi attendevo più o meno questa risposta ed ho chiesto: «E se le delegazioni a Lake Success non raggiungessero l’accordo unanime?». El Qudsi ha prontamente risposto: «Allora vi prometto che riesaminerei sollecitamente la questione e darei nuove istruzioni alla nostra delegazione, informandovi».

Non c’era, per il momento, da insistere.

Si è riparlato della situazione siriana e gli ho rinnovato gli auguri per la felice riuscita dell’opera intrapresa dal nuovo Governo. Egli ha fiducia che le elezioni si svolgeranno normalmente, senza scosse né sorprese. «La Siria ha bisogno di lavorare in pace». Si è come illuminato quando ha saputo che io ero già stato in Siria e un po’ in tutto l’Oriente e che conoscevo l’arabo, molti personaggi arabi e le cose islamiche (gli orientali risentono sempre vivissimo compiacimento quando si trovano di fronte ad uno straniero familiarizzato con le cose loro).

Mi ha detto più volte, manifestamente soddisfatto, che egli ringraziava con calore il Governo italiano e l’E.V. per il gesto «di simpatia e di benevolenza» compiuto verso il Governo siriano, aggiungendo che le eccellenti relazioni esistenti tra i due paesi «non potranno modificarsi che in meglio».

Posso concludere affermando (anche per informazioni avute dall’entourage del ministro) che questo nostro passo (annunciato da tutti i giornali), che questa volta ha preceduto quello degli Stati Uniti, dell’Inghilterra e della Francia, è stato utile e non può che giovarci per ovvie ragioni. Infatti, oltre all’avermi subito consentito di accennare alla questione coloniale (valga quel che varrà) è da rilevare che l’Italia è

la prima grande nazione che ha ripreso ufficialmente le relazioni. Gli attuali componenti del Governo, inoltre, che sono tra i più noti esponenti politici, torneranno, in gran parte, a comporre la futura compagine; conserveremo la loro gratitudine e la loro simpatia.

Peraltro, i rappresentanti inglese e francese — quando li preavvisai — manifestarono senza ambagi il loro rammarico per dover ancora attendere la risposta, ripetutamente sollecitata a Washington, dal loro collega americano e si sono rallegrati del passo italiano «che avrebbe servito di spinta». (Mi vien riferito che anche nei circoli locali si è fatto quest’ultimo commento).

Gli Stati Uniti, però, per tutelare i loro importanti interessi impegnati qui, giudicano opportuno tenere la dragée haute anche per concedere una semplice ripresadelle relazioni ufficiali. È — nel loro caso — un modo di far pressione allo scopo di pre-ottenere garanzie.

227 1 Vedi D. 114. 2 Vedi D. 132, nota 1. 228 1 Con il quale Tonci aveva comunicato di aver proceduto al riconoscimento del nuovo Governo siriano.

228 2 Non rinvenuto.

229

L’AMBASCIATA A WASHINGTON AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

PROMEMORIA SEGRETO. Washington, [17] settembre 19491.

ORGANIZZAZIONE DEL PATTO ATLANTICO

I. Lo schema originario.

La prima sessione del Consiglio nord-atlantico, tenutasi a Washington il 17 settembre, rivestiva una importanza fondamentale perché era chiamata a creare lo schema dell’organizzazione politica militare ed economica di collaborazione fra le parti contraenti.

L’art. 9 del Patto prevedeva che il Consiglio (composto dei dodici ministri degli affari esteri) istituisse un «Comitato di difesa» nonché quegli organi ausiliari che apparissero necessari.

Non appena il Patto fu ratificato dal Senato degli Stati Uniti, lo Stato Maggiore americano formulò quattro possibili schemi di organizzazione. Essi non differivano

sostanzialmente gli uni dagli altri, salvo su un punto: quello concernente l’organo militare supremo. Su questo punto erano previste tre diverse soluzioni: la prima prevedeva la designazione di un comandante supremo, la seconda affidava praticamente tutte le funzioni direttive ad un Comitato dei dodici capi di Stato Maggiore, la terza comportava la creazione di un organo collegiale ristretto.

Non era difficile prevedere che, fra le tre, l’ultima sarebbe stata preferita. Infatti, la prima avrebbe posto gli Stati Uniti in una posizione preminente, non accetta alla Gran Bretagna e alla Francia; e la seconda mancava dei necessari requisiti di efficienza e di segretezza.

La previsione fu confermata dai risultati delle conversazioni che ebbero luogo in Europa al principio di agosto fra i capi di Stato Maggiore americani e i loro colleghi europei, cosicché il cosiddetto «schema B» costituì la base delle successive discussioni in seno al «Working Group», formato dai consiglieri delle ambasciate a Washington, presieduti dall’Assistant Secretary Perkins.

Lo «schema B» prevedeva che fossero creati i seguenti organi (oltre, beninteso, al Consiglio e al Comitato di difesa, già espressamente previsti dal Patto e composti rispettivamente dai ministri degli affari esteri e dai ministri della difesa):

a) un Ufficio militare delle forniture, composto dai rappresentanti di tutte le parti contraenti e posto alle dipendenze del Comitato di difesa;

b) un Consiglio consultivo militare, composto anch’esso dei rappresentanti di tutte le parti contraenti e posto anch’esso alle dipendenze del Comitato di difesa;

c) un Gruppo direttivo ed esecutivo, composto dai rappresentanti degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia;

d) uno Stato maggiore militare nord-atlantico, con un direttore, alle dipendenze del Gruppo direttivo ed esecutivo;

e) i seguenti Gruppi regionali di pianificazione:

aa) Stati Uniti-Canada, composto dei rappresentanti di questi due paesi;

bb) nord-atlantico, composto dei rappresentanti degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, del Canada e del Portogallo, con la partecipazione limitata dei rappresentanti della Francia, della Norvegia, della Danimarca e dell’Islanda;

cc) Europa settentrionale, composto dei rappresentanti della Norvegia e della Danimarca, con la partecipazione limitata degli Stati Uniti e della Gran Bretagna;

dd) Europa occidentale, composto dei rappresentanti della Gran Bretagna, della Francia, del Belgio, dell’Olanda e del Lussemburgo, con la partecipazione limitata dell’Italia e della Danimarca nonché con la presenza di osservatori degli Stati Uniti e del Canada;

ee) Mediterraneo occidentale, composto dei rappresentanti dell’Italia, della Francia, degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, con la partecipazione limitata del Portogallo.

II. La posizione dell’Italia.

In presenza dello schema sopradescritto, l’interesse (e le preoccupazioni) dell’Italia si concentravano naturalmente su tre punti: il Gruppo direttivo ed esecutivo, da cui l’Italia appariva esclusa; lo Stato Maggiore che, dipendendo dal Gruppo direttivo ed esecutivo, sembrava dover essere composto dagli stessi paesi; ed il Gruppo regionale dell’Europa occidentale, nel quale la partecipazione dell’Italia era prevista con una formula estremamente vaga («as appropriate»: nella forma che apparirà adeguata).

Il Gruppo direttivo ed esecutivo era chiaramente concepito come l’organo direttivo supremo di tutto il sistema, munito di vasti poteri e dotato di un organo esecutivo (lo Stato Maggiore) adatto a permettere di esercitare agevolmente i poteri medesimi.

Il Gruppo regionale dell’Europa occidentale appariva destinato a formare il nucleo essenziale dell’organizzazione militare dell’Europa continentale.

L’esclusione totale dell’Italia dal primo organo e la sua esclusione parziale dal secondo minacciavano, pertanto, di negare al nostro paese la posizione cui ha diritto nel processo di formulazione dei piani difensivi dell’area coperta dal Patto atlantico.

Conformemente alle istruzioni via via pervenute da Roma, il punto di vista italiano fu chiaramente e ripetutamente prospettato a Washington, tanto presso il Dipartimento di Stato quanto nelle discussioni svoltesi in seno al «Working Group».

Per quanto concerneva il Gruppo direttivo ed esecutivo fu fatto comprendere che la posizione geografica, il potenziale demografico e industriale e, in breve, il futuro contributo italiano alla difesa comune giustificavano la partecipazione italiana ad ogni organo militare, anche se ristretto.

Per quanto concerneva il Gruppo regionale dell’Europa occidentale fu rilevato che il previsto schema di organizzazione sembrava prendere in considerazione l’Italia soltanto per i suoi aspetti mediterranei (cioè peninsulari e insulari); e che, per contro, era necessario concepire con criteri unitari la difesa dell’intero fronte terrestre, dal Mar del Nord all’Adriatico, cosicché il Gruppo regionale dell’Europa occidentale avrebbe dovuto occuparsi di tutto il fronte anzidetto e, pertanto, avrebbe dovuto accogliere la piena partecipazione italiana.

Per entrambi i punti (Gruppo direttivo ed esecutivo e Gruppo regionale dell’Europa occidentale) furono incontrati ostacoli assai forti.

Per il Gruppo direttivo ed esecutivo esisteva evidentemente una ferma intenzione americana di ridurlo al minimo necessario per dargli un carattere di collegialità, cioè ai tre membri rispettivamente in grado di fornire il massimo contributo nel campo degli armamenti aerei (Stati Uniti) navali (Gran Bretagna) e terrestri (Francia). La richiesta italiana di partecipazione non incontrava alcun favore, né presso i tre paesi anzidetti né presso gli altri, alcuni dei quali (Canada, Belgio, Olanda) se si fosse addivenuti ad un allargamento del Gruppo, avrebbero chiesto di beneficiarne direttamente.

Per il Gruppo regionale dell’Europa occidentale l’ostacolo principale era costituito dal proposito britannico di identificare, di fatto, tale Gruppo con gli organi della già esistente Unione Occidentale. Gli Stati Uniti non erano disposti di appoggiare energicamente la nostra richiesta di piena partecipazione perché essi stessi non desideravano assumere in quel Gruppo una parte attiva; e neppure la Francia era in grado di sostenerci in pieno, perché gli altri paesi europei interessati facevano appello alla «solidarietà di Bruxelles».

III. Le discussioni di Washington.

Le discussioni preliminari in seno al «Working Group», svoltesi ad referendum e con carattere non ufficiale, non permisero di raggiungere un accordo per nessuno dei due punti sopraindicati, cosicché il rapporto del «Working Group»2 al Consiglio dei ministri degli affari esteri menzionò due esplicite riserve italiane.

Nell’imminenza della sessione ufficiale del Consiglio, le due questioni interessanti l’Italia erano, dunque, ancora aperte. Tuttavia le possibilità di risolverle con completa soddisfazione dell’Italia (cioè con la partecipazione al Gruppo permanente e con la piena partecipazione al Gruppo regionale dell’Europa occidentale) apparivano assai scarse.

Nel lungo colloquio Sforza-Acheson del 14 settembre3, il punto di vista italiano fu riaffermato e ampiamente illustrato con considerazioni politiche, morali, pratiche e psicologiche.

Apparve subito evidente che, per quanto concerneva il Gruppo permanente, Acheson era rimasto bensì impressionato dagli argomenti addottigli, ma si trovava nella impossibilità di patrocinare l’inclusione dell’Italia perché ne sarebbero derivate non soltanto la presentazione di altre analoghe richieste da parte di altri paesi, ma anche una trasformazione della natura dell’organismo in questione. Su questo punto, pertanto, conveniva sforzarsi di limitare considerevolmente, nella forma e nella sostanza, i poteri del Gruppo ristretto.

Di conseguenza, fu espressamente stabilito trattarsi non già di un organo autonomo bensì di un Sottocomitato del Comitato militare (composto dai capi di Stato Maggiore di tutte le parti contraenti), destinato ad assolvere funzioni di coordinamento e non già funzioni direttive. Ciò risulta dalle seguenti disposizioni:

a) il Gruppo ristretto non può formulare direttive generali, ma soltanto: impartire ai Gruppi regionali direttive «specifiche», «in armonia con le direttive di politica generale fornitegli dal Comitato militare»; coordinare e amalgamare i piani difensivi formulati dai Gruppi regionali e raccomandare i piani medesimi al Comitato militare; agire in nome del Comitato militare, su questioni indicategli da quest’ultimo e nel quadro della politica generale, previamente approvata;

b) la responsabilità principale della formulazione dei piani difensivi spetta ai Gruppi regionali;

c) ogni qualvolta una «raccomandazione» del Gruppo ristretto comporti l’uso di forze o di risorse di un paese che non sia membro del Gruppo medesimo, quel paese deve essere chiamato a partecipare ai lavori del Gruppo;

d) ciascun Gruppo regionale può far presentare e illustrare i suoi piani al Gruppo ristretto, anche per il tramite di un paese che non sia membro del Gruppo medesimo;

e) il costante contatto tra il Gruppo ristretto e i paesi che non ne fanno parte è assicurato dalla presenza a Washington di un rappresentante speciale permanente di ciascun paese.

3 Vedi D. 206.

Per sanzionare le limitazioni di cui sopra, il nome del Gruppo ristretto è stato mutato da «Gruppo direttivo ed esecutivo» a «Gruppo permanente».

Per quanto concerneva l’organo chiamato inizialmente «Stato Maggiore militare nord-atlantico, con direttore», fu chiarito trattarsi di un semplice organo di segreteria. Pertanto, quella denominazione è stata abbandonata e si è soltanto stabilito che «il Comitato di difesa e i suoi organi ausiliari prenderanno ciascuno gli accordi opportuni per la formazione del personale e dei servizi di segreteria rispettivi che appariranno necessari».

Per quanto concerneva i Gruppi regionali, la fermezza dell’atteggiamento italiano persuadeva Acheson della necessità di rimuovere, con qualche emendamento sostanziale, la causa delle nostre preoccupazioni.

Come detto sopra, l’ostacolo che si opponeva alla piena partecipazione italiana al Gruppo regionale dell’Europa occidentale, era costituito dal proposito britannico di non allargare detto Gruppo oltre i limiti di competenza territoriale e di composizione dell’Unione Occidentale. Occorreva pertanto assicurare per altre vie quella unitarietà di concezioni strategiche, che rappresenta per l’Italia una esigenza vitale.

In seguito a ciò, fu stabilito innanzi tutto che il Gruppo regionale del Mediterraneo occidentale fosse denominato «dell’Europa meridionale e del Mediterraneo occidentale». Con ciò si è voluto espressamente dichiarare che il suo compito, nella formulazione dei piani di difesa, non si limita agli aspetti mediterranei del problema italiano, ma si estende invece agli aspetti continentali.

Inoltre fu riconosciuto il carattere unitario della difesa continentale europea e, pertanto, fu prevista una speciale coordinazione fra i Gruppi regionali europei e, in particolare, fra quello occidentale e quello meridionale. Si sarebbe voluto, da parte italiana, affidare il compito di coordinazione ad un apposito organo, dipendente dal Comitato militare. Senonché tale soluzione non soltanto avrebbe urtato contro la riluttanza generale a creare altri organi, ma avrebbe anche sottratto al Gruppo permanente la sua funzione specifica. Di conseguenza, affermata chiaramente la necessità della coordinazione, fu demandato al Comitato di difesa il compito di stabilirne lemodalità. È bene a questo proposito tener presente che fra queste modalità dovrà figurare la possibilità di riunioni congiunte dei due Gruppi, la quale è stata esplicitamente menzionata nelle conversazioni dei giorni scorsi. È bene altresì ricordare che siffatta collaborazione non si sostituisce, ma invece si aggiunge, alla parziale partecipazione italiana ai lavori del Gruppo regionale dell’Europa occidentale, già prevista dallo schema originario dell’organizzazione.

L’accordo sopradescritto è stato sanzionato dalla decisione unanime del Consiglio nord-atlantico. In seno a questo, il punto di vista italiano è stato ancora una volta esposto in termini sobri, ma fermi. A sua volta il segretario di Stato americano, nel rispondere a nome di tutti i presenti, ha usato espressioni di simpatia e di comprensione, chiaramente eccedenti i limiti della cortesia tradizionale.

IV. Conclusione.

L’accordo raggiunto a Washington non contiene tutto ciò che l’Italia avrebbe voluto includervi per acquistare fin da ora, in seno all’organizzazione del Patto atlantico, posizioni atte ad assicurare la piena tutela delle sue esigenze morali e pratiche.

Esso è infatti il frutto di un compromesso cui hanno contribuito la fermezza dell’atteggiamento italiano, la comprensione del Governo americano e le amichevoli pressioni fatte da questo sulla Gran Bretagna.

L’accordo anzidetto assicura il rispetto dei principi generali, nell’ambito dei quali le nostre necessità potranno esser fatte valere con tanto maggior successo quanto più grande sarà l’efficienza di cui sapremo dar prova mano a mano che l’organizzazione comincerà praticamente a funzionare.

229 1 Questo documento, proveniente dall’Archivio privato di Sforza, è stato da lui datato «20 settembre 1949». È però probabile che esso sia stato redatto e consegnato al ministro prima della sua partenza per New York la sera del 17. Sforza lo pubblica nelle sue memorie (Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 263-272) con alcune varianti minori da lui introdotte a mano sul testo dattiloscritto per farlo apparirecome da lui redatto, e con la soppressione del quarto punto. Tale cancellazione è seguita da questa annotazione: «Il 20 settembre stesso così scrivevo in una lettera al presidente De Gasperi». La quale sembrerebbe indicare che l’oggetto della lettera sia stato solo la conclusione e non tutto il promemoria. Di unaprecedente lettera a De Gasperi, databile dal suo contenuto al 18 settembre, riportata nelle citate memorie(pp. 277-279) non se ne è trovata traccia né nell’Archivio personale di De Gasperi (da dove proviene lalettera pubblicata al D. 234) né in quello privato di Sforza.

229 2 In Foreign Relations of the United States, 1949, vol. IV, cit., pp. 330-337.

230

IL CONSOLE GENERALE A FRANCOFORTE, GALLINA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10349/75. Francoforte, 18 settembre 1949, ore 14,30 (perv. ore 17,50).

Messaggio felicitazioni presidente della Repubblica italiana a presidente nuova Repubblica federale tedesca è stato particolarmente gradito sia per suo tono elevato e insieme cordiale come pure per essere giunto tra i primi.

Capo protocollo Herwath ha tenuto significarmi viva soddisfazione Heuss e ha rilevato che telegramma presidente della Repubblica italiana è giunto una ora prima di quello del presidente della Repubblica francese1.

231

L’AMBASCIATORE DELL’U.R.S.S. A ROMA, KOSTYLEV, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. 422. Roma, 19 settembre 1949.

In risposta alla nota del 27 luglio u.s.1 circa l’adesione dell’Italia al Patto nord atlantico il Governo sovietico ritiene necessario dichiarare che esso conferma pienamente la propria posizione in merito al carattere aggressivo del Patto stesso, secondo quanto già esposto con la nota del 19 luglio u.s.2, e che pertanto l’adesione dell’Italia al Patto è in contrasto col trattato di pace.

Il Governo italiano nella sua risposta conferma che l’assistenza da esso chiesta agli Stati Uniti d’America ha l’unico scopo di portare le Forze armate italiane al livello autorizzato dal trattato di pace. Al riguardo il Governo italiano fa riferimento

alle dichiarazioni del ministro della difesa, signor Pacciardi, al Senato l’8 ottobre 1948. Tali dichiarazioni non possono essere riconosciute fondate in quanto, nel suo intervento al Senato, il signor Pacciardi affermò che il Governo italiano intendeva organizzare le Forze armate in modo da porle in grado di fare dell’Italia, in qualsiasi momento, una nazione armata. L’aiuto militare chiesto dal Governo italiano a quello degli Stati Uniti d’America dovrebbe servire, come il signor Pacciardi ha apertamente dichiarato, a raggiungere tale scopo. Le finalità organizzative delle Forze armate italiane sono in completa contraddizione col trattato di pace il quale ne limita l’entità. Le dichiarazioni del signor Pacciardi sono pertanto diametralmente l’opposto di quanto il Governo italiano, con la sua nota del 27 luglio, si sforza di provare.

Al contrario le dichiarazioni suddette confermano come la richiesta italiana d’«assistenza», rivolta al Governo degli Stati Uniti, abbia come scopo fini che superano i limiti posti dal trattato di pace di cui costituiscono pertanto una violazione.

Indipendentemente da qualsiasi legame con l’argomento il Governo italiano ha ritenuto opportuno accennare alla questione della ammissione dell’Italia all’Organizzazione delle Nazioni Unite. Esso si sforza così di presentare le cose in modo da far apparire che l’Italia non è stata accolta tra i membri dell’O.N.U. in seguito all’atteggiamento assunto dall’Unione Sovietica, il che non corrisponde a verità poiché il Governo sovietico non si è mai opposto all’ammissione dell’Italia all’O.N.U. unitamente a quella degli altri Stati che ne avevano ugualmente fatto richiesta.

Il Governo italiano, nella sua nota, si richiama alla questione dei prigionieri di guerra la quale peraltro non ha connessione alcuna con la nota sovietica del 19 luglio; il Governo sovietico ritiene pertanto necessario dichiarare che il rimpatrio dei prigionieri di guerra italiani dall’U.R.S.S. è stato effettuato fin dall’agosto del 1946, cioè oltre un anno prima dell’entrata in vigore del trattato di pace.

Il Governo sovietico attira l’attenzione del Governo italiano sul fatto che avendo aderito al Patto atlantico esso ha violato le norme del trattato di pace ed è incorso nella responsabilità che tale violazione comporta, secondo quanto è già stato indicato dal Governo sovietico con la nota del 19 luglio3.

230 1 Con T. 10690/89 del 25 settembre Gallina trasmise il testo del messaggio di ringraziamentodel presidente Heuss.231 1 Vedi D. 78. 2 Vedi D. 52.

232

IL MINISTRO A L’AVANA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER CORRIERE 10811/05. L’Avana, 20 settembre 1949 (perv. il 28).

Riferimento telespresso ministeriale 3/3529/C. 1° settembre1.

Questo ministro esteri partito ieri presiedere delegazione cubana apertura Assemblea O.N.U. nel ricevere comunicazione punto di vista italiano ebbe a dichia

232 1 Vedi D. 172.

rarmi che richiesta indipendenza immediata Tripolitania ed Eritrea nella sua integrità riceverebbe appoggio Governo cubano collimando perfettamente principi basilari politica questo paese. Ciò, malgrado la divergente comunicazione ricevuta da U.S.A. e Francia. Poiché ministro Hevia nell’assicurarmi senso predetto ha ripetutamente espresso vivo consenso per opera politica ministro Sforza specie relazione delicatezza attuale fase problema colonie italiane, permettomi far presente che, ove possibile, contatto personale tra conte Sforza ed Hevia riuscirebbe gradito ed opportuno. Informo ad ogni buon fine che predetto rimarrà costì solo alcuni giorni. Comunicato quanto precede Italnation.

231 3 Per la risposta vedi D. 303.

233

L’INCARICATO D’AFFARI A CARACAS, SAVORGNAN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE SEGRETO 11013/07. Caracas, 20 settembre 1949 (perv. il 2 ottobre).

Ho illustrato nuovamente ieri al direttore generale Gallegos Medina, sostituto di questo ministro degli esteri, punto di vista italiano sulla questione colonie fornendo chiarimenti di cui al telespresso 3/3529/C. del 1° corr.1.

Poiché egli si è mostrato bene al corrente diversi aspetti della questione e mi risultava che delegazione Venezuela all’O.N.U. aveva già avuto istruzioni di massima di appoggiare nostro punto di vista, ho sottolineato importanza procedura.

In precedenza Gallegos Medina mi ha detto quanto riassumo:

1) il Governo del Venezuela condivide atteggiamento tendente favorire per quanto è possibile rapida indipendenza popoli e territori «cosiddetti» coloniali;

2) istruzioni generiche appoggiare soluzioni indicate dall’Italia erano state recentemente impartite alla delegazione Venezuela, comunque si sono riconfermate e chiarite;

3) sulla questione procedura della cui importanza si rendeva conto — nel rilevare che al riguardo saranno sopratutto utili i contatti fra la delegazione Venezuela e l’osservatore italiano — intendeva richiamare l’attenzione della delegazione stessa.

Comunicato Roma e New York.

233 1 Vedi D. 172.

234

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI1

L. SEGRETA PERSONALE. New York, 20 settembre 1949, sera.

Affido a Brusasca queste rapide righe per dirti una cosa che non mi sento di formulare in un telegramma ma che pur è la più importante:

— cioè che ho avuto qui confidenziali conversazioni con seri e perspicaci cechi e polacchi e che dalle loro confidenze (come dal confronto delle mie impressioni con quelle di Schuman) ho tratto (oso dire) la certezza che non ci sarà la guerra.

L’U.R.S.S. ne ha paura.

L’U.R.S.S. molto probabilmente non ha neppure la bomba.

L’U.R.S.S. comincia a scoraggiarsi del bluff e delle vanterie dei capi delle quinte colonne.

Non era il meglio che potevo dirti?

Ma questa non è una ragione per non combatterli, anzi combatterli al massimo

nei limiti di una severa legge, severa ma legge. Ti confermo che Brusasca è stato fino all’ultimo un attivo e utilissimo collaboratore. Deve tornar qui. A presto spero.

P.S.: Ho citato Schuman e non Bevin, perché al povero Bevin non funziona più. Effetti del non sapere il latino.

235

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L.1. L’Avana, 20 settembre 1949.

Siamo alla terz’ultima tappa, Sensi ed io, senza Aldisio che a Messico non ce l’ha fatta più per disturbi di cuore. Anche qui la solita cordiale accoglienza e la promessa di continuare il loro appoggio a Lake Success.

Questo ministro degli esteri è partito ieri sera per New York dopo due incontri con me, molto simpatici.

La Camera dei deputati ha voluto ricevermi ieri in seduta generale con scambi di discorsi tra il ministro della difesa oriundo italiano, di San Nazzaro dei Borgondi, e me. Domani proseguiremo per Haiti ed il 28 conchiuderemo la missione a San Domingo e di là, per New York, dove spero di vedere il ministro, torneremo in Italia.

235 1 Autografo.

I risultati come già le ho scritto sono stati eccellenti in tutti gli Stati, con qualche variazione di tono, ma con sostanziale identità di comprensioni e di simpatia. La nostra ricostruzione, la lotta contro il comunismo, le comuni origini latine, i contributi delle collettività italiane, la necessità di nuove braccia italiane sono stati i temi più frequenti di tutte le nostre conversazioni. Nei confronti dei nostri connazionali il nostro passaggio ha chiuso molte crepe riconciliando quelli di buona fede che sostennero il passato regime alla nuova Italia. Le racconterò al mio ritorno delle scene commoventi.

In tutti questi paesi c’è veramente molto da fare per noi: se fosse possibile che anche lei visitasse i più importanti il Ministero ne trarrebbe grande beneficio per l’apporto che la sua esperienza porterebbe al problema della riorganizzazione dei nostri servizi da queste parti.

Io ritengo necessario ed urgente istituire in tutti gli Stati una legazione, aumentare il personale ed i mezzi di quelle esistenti: potenziare i servizi commerciali: creare a Washington un ufficio per l’America latina in stretto collegamento col sottosegretariato statunitense per gli stessi territori.

Ne riparleremo di presenza al mio ritorno al quale penso sia opportuno dare risalto per dimostrare a queste Repubbliche il nostro apprezzamento per le accoglienze eccezionali in molti casi che ci sono state fatte.

234 1 In Archivio De Gasperi.

236

IL MINISTRO A L’AVANA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10509/68. L’Avana, 21 settembre 1949, ore 21 (perv. ore 24).

Missione straordinaria accolta con cordialissime manifestazioni queste autorità e pubblica opinione. Prolungate conversazioni con presidente Repubblica ministro esteri e altre personalità hanno avuto carattere amichevole approfondito scambio idee circa concrete possibilità rapporti italo-cubani entro quadro rinnovata amicizia due paesi. Particolare importanza attribuiscesi tal riguardo Dichiarazione amicizia collaborazione firmata 19 corrente1. Ministro esteri pronunziato dopo firma discorso in cui affermato tra l’altro «nessun cubano può restare indifferente privilegio che rappresenta opportunità contribuire rendere ancora più intima unione due popoli» e dichiarato che accordo non è pura formalità ma «costituisce espressione genuina profondi e sinceri sentimenti popolo cubano».

Fra cerimonie che avuto luogo in onore missione hanno acquistato particolare rilievo seduta straordinaria Congresso in cui ministro difesa a nome Governo e Parlamento sottolineato importanza Italia come fattore civiltà mondiale e necessità rafforzare rapporti italo-cubani nonché ricevimento ministro esteri cui intervenuti primo

ministro e membri Gabinetto, parlamentari, Corpo diplomatico, principali personalità locali. Stampa dedica vivissimo interesse a attività missione e pubblica significativi commenti. Autorevole El Mundo scrive tradizionale simpatia Cuba per Italia rafforzata da recenti lotte liberazione e afferma Governo cubano interpretando sentimenti suo popolo appoggiato sempre Italia come recentemente fatto problema coloniale. Indipendente Informacion pubblica lungo editoriale in cui fra l’altro rileva importanza accordo firmato anche come espressione proposito «canalizzare amicizia italo-cubana verso fini pratici».

236 1 Testo edito in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXXI, cit., p. 87.

237

IL MINISTRO ALESSANDRINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A NEW YORK

APPUNTO. New York, 21 settembre 1949.

Ho parlato questa mattina con Clutton.

Gli ho chiesto di dirmi che cosa egli pensi delle idee americane tendenti alla creazione di un gruppo centrale libico, e se consideri i progetti americani seriamente indirizzati all’istituzione di un organo effettivamente unitario oppure se egli crede che si tratti di un progetto diretto sopratutto ad ottenere ora i voti degli Stati arabi dando loro l’assicurazione, già in partenza, di una generica unità libica.

Clutton mi ha risposto che il progetto americano è indubbiamente serio e non solamente «pro forma», ma che esso va considerato sempre nello spirito e sulla linea delle nostre conversazioni di Londra: si tenderebbe, da parte americana, a quella loose federation di cui abbiamo appunto parlato a Londra. Si tratterebbe di una specie di «Consiglio federale» preposto alle relazioni tra Tripolitania e Cirenaica.

Gli ho chiesto allora se egli ritenga possibile l’esistenza di due Stati effettivamente indipendenti sotto il controllo di tale Consiglio e specialmente se sarebbe ammissibile l’esistenza di un emirato sotto controllo di un organismo di carattere federale.

Clutton ha insistito sul fatto che i due Stati sarebbero veramente autonomi malgrado l’esistenza del Consiglio.

Quando egli ha parlato di «due» Stati libici, gli ho chiesto se era esatto che il progetto americano incorporava il Fezzan nella Tripolitania, facendogli notare come ciò si urterà certamente contro l’opposizione francese. Ha risposto affermativamente.

Clutton ha detto di aver fiducia in una risoluzione della questione libica alla fine della presente sessione ed in termini «più o meno analoghi a quelli tracciati a Londra».

Ha subito dopo aggiunto che teme non sia possibile giungere ad una soluzione per la questione eritrea e per la questione somala durante la presente sessione.

Avendogli io chiesto se veramente egli è convinto che anche la questione relativa alla Somalia subirà un rinvio, egli mi ha detto di temerlo.

Gli ho fatto presente tutti gli argomenti che militano in favore della necessità di una risoluzione della questione somala in senso a noi nettamente favorevole, ricordandogli le assicurazioni date da Bevin e dicendogli che facevo pieno assegnamento sull’appoggio inglese sopratutto per quanto concerne le necessarie pressioni sugli Stati asiatici. Clutton ha risposto che l’appoggio inglese non ci mancherà, ma che egli riteneva suo dovere farci presente i dubbi della delegazione britannica circa la possibilità di raggiungere una soluzione sia per l’Eritrea che per la Somalia in occasione della presente sessione.

È la prima volta che la questione somala e la questione eritrea vengono, se non abbinate, per lo meno poste dagli inglesi sulla stessa linea.

238

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A NEW YORK

APPUNTO. New York, 23 settembre 1949.

Ho visto oggi Couve de Murville insieme con Alessandrini.

Ha cominciato lui stesso il discorso sulle colonie dicendo che gli sembrava che le cose stessero mettendosi assai male.

Gli ho esposto i termini della questione così come essa è vista da noi. Couve ha ascoltato cercando di parlare il meno possibile ma alla fine ha dovuto ammettere che il punto di vista francese è negativo su troppi punti poiché contrario agli inglesi e contrario agli arabi nello stesso tempo.

È apparso anche come egli ignorasse, o non gli fossero stati fatti sufficientemente presenti, i numerosi pericoli insiti nella tattica inglese ed anche americana. Per quanto riguarda quest’ultima ha dato a vedere di essere contrariato dal recente progetto di unità libica così come esso è concepito dagli americani pur ammettendo essere indispensabile una forma qualunque di unità federativa. Per quanto riguarda il progetto inglese si è espresso, alla fine, in senso sempre contrario.

Per quanto riguarda i nostri progetti ha detto che la Francia desidera sempre andare d’accordo con noi nella ricerca di una soluzione, ma che essa non desidera, anzi non potrebbe tollerare, elezioni in Tripolitania date le inevitabili ripercussioni che esse avrebbero in Tunisia e Algeria.

Ha chiesto perché non ammetteremmo una tutela internazionale sulla Libia e sulla Eritrea. Ho risposto che ciò non sarebbe comunque ammesso dagli arabi. Ho poi ricordato a Couve come il nostro progetto per una Commissione avente poteri relativamente limitati valga solo se il periodo transitorio sarà assai breve: in caso contrario saremmo disposti a riprendere il progetto francese per una Commissione avente larghi ed effettivi poteri.

Ho esposto a Couve, assecondato da Alessandrini, tutti i punti che fanno apparire le difficoltà frapposte dagli inglesi ed i pericoli insiti nella loro tattica dilatoria. Se ne è evidentemente reso conto.

Couve mi ha consegnato l’accluso testo delle dichiarazioni di Schuman1 all’Assemblea e mi ha promesso che ci terrà al corrente degli sviluppi della questione che, secondo lui, verrà in trattazione fra una decina di giorni circa.

239

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 10673/255. New York, 24 settembre 1949, ore 18,32 (perv. ore 7,30 del 25).

Avuto oggi lungo cordiale colloquio con delegato americano Jessup cui è ora affidata trattazione questione colonie.

Pur differendo circa dettagli, anche sostanziali, abbiamo constatato che principi indipendenza ed unità sono a base vedute due Governi circa soluzione problema Libia.

Punto di vista americano concorda con nostro circa Somalia. Tuttavia, a questo proposito, Jessup ha confermato pericoloso stato d’animo che comincia farsi strada ambienti Assemblea e su cui inglesi hanno a due riprese intrattenuto Alessandrini1: sensazione cioè che approvazione nostro trusteeship per Somalia possa aver luogo se verranno contemporaneamente soddisfatte aspirazioni etiopiche su Eritrea.

Inoltre Jessup ha attirato mia attenzione su probabilità che, ove da parte nostra si ripieghi su rinvio soluzione Eritrea proponendo creazione Commissione studi, Nazioni Unite decidano inviare analoga commissione anche in Somalia. Ho risposto che problemi erano del tutto differenti in quanto nel primo caso tratterebbesi verificare possibilità ed equità spartizione territorio ed annessioni altri Stati, mentre nel secondo principi futura indipendenza e controllo Nazioni Unite sarebbero rispettati perché impliciti istituto trusteeship. Ho aggiunto che spartizione e annessioni sono invise sia a latino-americani sia ad arabo-asiatici e che conviene tener conto di opinione entrambi gruppi se si vuole giungere a soluzioni definitive o transitorie per i tre problemi.

238 1 Non pubblicato.239 1 Vedi D. 237.

240

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1092/3695. Parigi, 24 settembre 1949.

Non ti nascondo che la questione dell’ammissione della Germania al Consiglio dell’Europa mi ha dato e mi dà molto da pensare: non l’iniziativa Parri, ma lo stato d’animo dell’opinione pubblica italiana e la delicatezza delle decisioni governative. Sono d’accordo con te che non c’è inconveniente a far vedere che la nostra opinione pubblica, e parlamentare, è divisa purché ci sia un certo equilibrio fra le tendenze.

Prima di avanzare dei suggerimenti per l’azione governativa vorrei esporti in breve le mie premesse poiché è evidente che il nostro atteggiamento dovrebbe essere inquadrato nello schema generale della nostra politica.

Prescindo un po’ dall’atteggiamento dell’opinione pubblica, anche parlamentare, perché in buona parte si tratta di un atteggiamento che volendo, e con un po’ di tempo e paziente persuasione, si potrebbe modificare.

È evidente che il Governo tedesco, una volta costituito, cercherà di liberarsi, quanto più presto è possibile, dallo stato di occupazione e dalle limitazioni che gliene derivano. Questa materia, per quanto si faccia, resterà in realtà fuori dalla competenza del Consiglio d’Europa; saranno i tre Grandi a decidere: noi avremo poca o nulla voce in capitolo. I tedeschi, che sono realisti, se ne rendono già conto e quindi la loro corte, nonostante le attuali apparenze, sarà diretta a chi può far qualche cosa per loro piuttosto che a chi non può far niente, come siamo noi. Questo fine, liberarsi delle pastoie dell’armistizio e avere il migliore trattato di pace possibile, sarà, per molti anni, lo scopo principale se non unico della politica estera tedesca: il che non lascerà ai tedeschi possibilità di avere una politica estera di più largo respiro, e quindi occuparsi seriamente di noi.

Cosa ci aspettiamo noi da una politica di favoreggiamento alla Germania? Una posizione morale di difesa dei disgraziati? Vogliamo ripetere la politica che abbiamo seguita dopo l’altra guerra: appoggio al risollevamento della Germania senza mai avere nemmeno un grazie da tedeschi; e nota che allora avevamo un po’ più voce in capitolo. Riteniamo che il sorgere della Germania, spostando l’attuale equilibrio europeo,migliori la nostra posizione? È la politica che ci ha portato al Patto d’Acciaio, con tutte le sue conseguenze. Aggiungi che la situazione oggi è radicalmente mutata, che tutte le potenze europee occidentali hanno un comune padrone, e ci vorranno molti anni, se mai, perché possa venire un giorno in cui si consideri seriamente la possibilità di una politica militare tedesca contro gli altri paesi europei: e qualora essa fosse possibile in funzione, mettiamo, russa, se ne verrebbe a creare, per il pericolo per noi, una situazione in cui la nostra situazione odierna sarebbe aggravata e non migliorata.

Forse ci aspettiamo dei vantaggi commerciali: non ho l’impressione che i tedeschi siano oggi più sentimentali di quanto lo fossero in passato: commerceranno con noi se questo sarà per loro utile, e questo indipendentemente dalle nostre relazioni politiche: non credo ci faranno delle condizioni economiche più favorevoli per avere un nostro appoggio politico la cui importanza ed il cui peso sarebbe pressoché nullo.

Contare sulla gratitudine dei tedeschi? Non credo nessuno pensi seriamente alla gratitudine in politica internazionale: ma in ogni modo ci converrebbe di farci pregare.

Resterebbe il piacere di prendere moralmente una posizione di punta. D’accordo con voi che le posizioni francesi non hanno molto avvenire: ma probabilmente questa loro mancanza di avvenire non è così immediata come noi pensiamo; l’evoluzione di tutti sarà assai lenta. La posizione degli inglesi e degli americani stessi nei riguardi della Germania è tutt’altro che chiara: bisognerebbe approfondire che cosa realmente ne pensano — ammesso che lo facciano — prima di lanciarci in una posizione di punta che potrebbe metterci in fastidio non solo con francesi ma con tutti (vedi per esempio il vostro dispaccio n. 1009/C. del 22 corrente)1.

Resta poi il problema della Francia.

A questo riguardo vorrei in primo luogo ricordare i numerosi e precisi impegni personali del ministro: ultimo il suo discorso di Tolosa2. Lui ha sempre ripetuto ai francesi che l’amicizia franco-italiana è necessaria di fronte al pericolo tedesco. L’ha detto, in modo assai nuancé, e le sue parole possono trovare tutte le interpretazioni: però i francesi le hanno sempre interpretate au pied de la lettre: e la loro reazione personale contro di lui sarebbe molto violenta. Elemento personale se vuoi, ma di cui non posso non tener conto, o per lo meno farlo presente.

Per il resto, anche qui si tratta di sapere che cosa vogliamo:

1) Vogliamo realmente ancora l’Unione doganale? Ti sembrerà ozioso che io ripeta questa domanda: ma io resto del mio parere: che il nostro ministro sì la vuole, ma che il resto del Governo non ne vuol sentire parlare: se avevamo ancora dei dubbi, il tono e il retroscena psicologico della nostra reazione al piano Guinday3 dovrebbero averli tolti. Ma è evidente che se noi vogliamo l’Unione doganale, l’Unione doganale essendo in primo luogo un fatto politico, non possiamo volere al tempo stesso una politica contraria a quella della Francia. Siccome la riunione dei ministri dovrebbe aver luogo più o meno nel momento in cui dovrebbe venire in discussione il Patto di Unione doganale, un nostro atteggiamento filo-tedesco sarebbe un eccellente pretesto, per tutti quelli che qui non ne vogliono sapere, per non farne niente gettando la colpa, in un certo senso, su di noi. Bisognerebbe per lo meno aspettare che fossero i francesi

o respingendo od insabbiando l’Unione a fare loro il primo passo.

2) Se ho bene interpretato la tua lettera a Trezzani del 19 settembre4, visto che il cammino da fare per acquistare in seno al Patto atlantico una certa parità appare lungo e non facile, tu saresti dell’idea di appoggiarci sulla Francia per riuscire a migliorare la nostra posizione. Personalmente, come vi ho sempre scritto, mentre ritenevo che una posizione di parità di primo acchito non era realizzabile, continuo a ritenere che il miglioramento della nostra situazione di fatto è possibile con pazienza,

té de Toulose le 7 juin 1949, Roma, Tipografia del Ministero degli affari esteri, 1949.

3 Vedi D. 223.

4 Con L. segreta 1000 segr. pol. del 20 settembre, Zoppi aveva inviato a Quaroni copia dellacitata lettera a Trezzani, nella quale esprimeva l’opinione che occorresse continuare le conversazioni incorso tra gli Stati Maggiori francese ed italiano.

e dipenderà, come è stato nel piano Marshall, molto dalla scelta delle persone e dal contributo effettivo che potremo dare: ma è indubbio che l’appoggio francese ci potrà essere molto utile: ed è l’unico su cui possiamo contare, per correnti di interesse. Nota, tutto questo ha una importanza intrinseca molto relativa, secondo me: se noi stiamo tranquilli, facciamo con serietà la parte piccola che ci viene assegnata ed abbiamo il coraggio di sapere aspettare con una certa pazienza, il tutto verrebbe da sé, senza dover domandare niente a nessuno. Ma mi sembra di capire che noi ci teniamo molto ad avere il successo immediato; ora per questo l’appoggio francese, senza esagerare, ci sarà molto utile: certo molto dannosa ci sarebbe l’opposizione francese, aggiunta a quella degli altri.

Ora è vero che una parte dei militari ha delle idee molto avanzate sulla questione tedesca: è vero che il Governo è molto più avanti del Parlamento, è vero che la posizione francese muterà: ma è anche vero che, dato il carattere francese, la pressione esterna ha proprio l’effetto contrario. La pressione americana e inglese, nelle attuali circostanze, potrebbe avere un effetto decisivo, la nostra non avrebbe altro effetto che quello di rivoltare i francesi contro di noi senza renderli meno intransigenti nei riguardi della Germania.

Vorrei non essere frainteso: non pensare che io sono francofilo. Non credo di avervi fatte delle illusioni né sulla solidità dei rapporti italo-francesi né su quello che possiamo aspettarci, sia come buona volontà francese, sia come possibilità francese, da queste soi disant buone relazioni. Resta il fatto però che questa specie di mezze relazioni con i francesi è, in questo momento, l’unica cosa che noi abbiamo, specie dopo la ristabilita intimità anglo-americana. Se si trattasse di mandarle all’aria per stabilire delle ottime relazioni con gli inglesi, o con gli americani — o con i tedeschi se essi potessero servirci a qualche cosa — credimi, ma sarei il primo a dirvi mollate i francesi. Quello contro cui protesto è questa specie di frenesia che ha preso, non il nostro Ministero, credo almeno, ma l’Italia at large, di dire: i rapporti con la Francia ci hanno dato quello che potevano: è tempo di cambiare; cambiamo pure, ma quando avremo veramente e seriamente la possibilità di cambiare in meglio: ma a quale scopo cambiare senza nessun vantaggio pratico?

Premesso questo: le alternative pratiche che ci restano, per la nostra posizione in seno al Comitato dei ministri, sono due:

1) appoggiare, blandamente, ossia senza riscaldarcisi, le tesi francesi nelle riunioni pubbliche, ma contemporaneamente fare tutto quello che ci è possibile, sia nei contatti con il Governo che fuori, per aiutare l’evoluzione francese verso una politica più realista nei riguardi della Germania, opera che noi potremo fare più facilmente e con maggiore autorità qui — senza naturalmente attenderci dei risultati in poche settimane — in quanto pubblicamente non ci mettiamo contro la Francia;

2) assumere la posizione che tutto quello che concerne la Sarre e la Germania è questione che riguarda i vincitori, e quindi noi, che vincitori non siamo, ci asteniamo dal prendere posizione. Tesi questa che, se accettata, mi sento di far mandare giù ai francesi senza particolari difficoltà.

La prima alternativa ha il vantaggio di facilitare molto i rapporti colla Francia e sarebbe qui certo apprezzata particolarmente in considerazione del fatto che i francesi sanno benissimo di non avere molti apertamente in loro favore. Ha lo svantaggio che noi diamo alla Francia il nostro appoggio in una questione a cui essa tiene, e per la contropartita ci dobbiamo fidare della buona volontà francese, il che è sempre un giuoco un po’ arrischiato.

La seconda posizione avrebbe lo svantaggio, interno, per noi, di prendere una posizione dimessa (al di fuori, nel mondo at large, credo ci avvantaggerebbe di molto). Avrebbe anche il vantaggio di essere, entro limiti modesti, una posizione consona alla situazione in cui ci troviamo: tenuti fuori dell’O.N.U., limitati dal trattato di pace, tenuti in seconda linea in tutto quello che concerne il Patto atlantico: sarebbe una modesta ritirata sotto la tenda: avrebbe inoltre il vantaggio di convincere i francesi, se non altri, che il nostro appoggio alle loro tesi va guadagnato: se assunta con un certo garbo, ci permetterebbe di uscirne, in favore della Francia (poiché poco potrebbe fare la Germania per acquistare favore presso di noi), nella misura in cui la Francia ci dia effettivamente delle contropartite là dove le desideriamo.

Altre soluzioni, onestamente, non ne vedo. Avrei intenzione, quando il ministro sarà tornato, di riprendere l’argomento in forma più ufficiale: sono però ben lieto di avere una occasione per uno scambio di idee preliminari con te su questo argomento che è senza dubbio uno dei più delicati che ci troviamo ad affrontare.

240 1 Non pubblicato: informava Quaroni della visita in Italia del ministro bavarese dell’economia,Hans Seidl, e dei relativi colloqui.2 Ed. in CARLO SFORZA, Italie et France. Discours prononcé dans l’aula magna de l’Universi

241

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. 10734/16. Ciudad Trujillo, 26 settembre 1949, ore 11,50 (perv. ore 23,30).

Missione felicemente conclusa rinnovoti espressione mia profonda gratitudine fiducia incarico affidato. Date calorose accoglienze ricevute ed eccezionali manifestazioni amicizia e solidarietà tributate nostro paese ritengo opportuno nostro ritorno sia sottolineato stampa radio con calde attestazioni gratitudine Italia questi paesi. Tuo messaggio aeroporto, momento nostro arrivo, questi Governi, apprezzamento loro concreta simpatia Italia, sarebbe graditissimo e molto efficace.

242

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. SEGRETO 10743/258. New York, 26 settembre 1949, ore 21,12 (perv. ore 8 del 27).

Tornato stamane dal Canada dove ovunque le manifestazioni di simpatia all’Italia oltrepassano ogni aspettativa. Spero che le mie conversazioni circa emigrazione portino frutti.

Oggi avuto insieme con Tarchiani delle lunghe conversazioni coi plenipotenziari egiziani che si stanno avvicinando nostro punto di vista. Temo che la discussione sulle colonie comincerà solo sabato o lunedì ma poiché il tuo telegramma1 mi lascia libertà di scelta credo opportuno un mio unico discorso all’O.N.U. che imposti in modo efficace il nostro problema. Dopodiché partirò subito.

243

L’AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10757/79. Nanchino, [26 settembre 1949]1 (perv. ore 14 del 27).

As you probably know after American, who has already left and French who is about to leave, also British Ambassador has now been called back for consultation. Among other Ambassadors and Ministers who remained here after the arrival of the Communists, Canadian, Argentine, Brazilian shut; Afghans possibly leaving next week on American steamer «Gordon»; Dutch and Swedish are leaving with the French beginning of October on French steamer «Joffre», both ships coming with special permit Nationalist Government. Still here are Austrian and Internuncio determined to stay, Egyptians and Iranians waiting instructions. Finally Belgians, Danes, Portuguese, Australian, Indian and Burmese, who will probably leave when British will leave and with him. Date of departure of British Ambassador not yet established and practical arrangements for it not yet completed; however he intends to present application for exit visa next few days so that application takes place before the formation of Central Government, Peking, which might be imminent2.

2 Con successivo T. 10735/80 dello stesso 26 settembre, trasmesso direttamente alle ore 20,20,Fenoaltea aggiunse:«Prego farmi conoscere decisione di V.E.». Zoppi trasmise a Sforza a New York il T.79 di Fenoaltea (T. 8379/172 del 27 settembre), e nel successivo telegramma (8380/173 in pari data) gliscrisse:«Con riferimento telegramma ambasciatore Fenoaltea, proporrei inviargli istruzioni nel senso diregolarsi in maniera analoga suo collega britannico». Per risposta di Sforza vedi D. 261.

242 1 Il telegramma di De Gasperi dello stesso 26 settembre (T. 8341/168) era il seguente: «Grazieper tua lettera [vedi D. 234] opportuno rimanere fino che tua presenza possa essere utile. Auguri».

243 1 L’ora di partenza manca perché trasmesso tramite l’ambasciata britannica.

244

IL MINISTRO A IL CAIRO, FRACASSI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 10793/96. Alessandria, 27 settembre 1949, ore 22,25 (perv. ore 7,30 del 28).

Suo telegramma 1091.

Ho avuto oggi lungo colloquio con B[oshir] S[aadawi] in casa di Azzam pascià, col quale ho intensificato contatti ultimi giorni per concertare azione comune Assemblea O.N.U.

B.S.- ha cercato giustificare suo atteggiamento a Tripoli con motivi di opportunità tattica locale e di rassicurarmi circa lealtà sue intenzioni nei riguardi nostri che egli asserisce immutate. Si è impegnato prendere immediatamente contatto con nostra delegazione New York dove giungerà primissimi ottobre e ha confermato suo desiderio essere possibilmente ricevuto da ministro Sforza. B.S.- insiste tuttavia su inopportunità nostro appoggio ad Istiqlal cui azione sarebbe, a suo dire, controproducente, essendosi troppo apertamente compromessa con l’Italia. Ha però mostrato rendersi conto necessità da me insistentemente prospettatagli che partiti libici presentino fronte unito davanti Assemblea allo scopo chiedere immediata indipendenza, tralasciando almeno per il momento altri aspetti questione. Ha assicurato che anche su tale argomento si consulterà con nostra delegazione.

Riferisco per corriere aereo in arrivo Roma 29 mattina dettagli colloqui con B.S. Azzan pascià e con re Faruk2.

245

IL MINISTRO A L’AVANA, FECIA DI COSSATO1, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1599. Porto Principe, 27 settembre 1949 (perv. il 13 ottobre).

La missione straordinaria italiana nell’America latina si è qui trattenuta dal giorno 21 al giorno 24 settembre.

Il Governo haitiano ha voluto accogliere la missione con manifestazioni esteriori di eccezionale importanza (tenuto conto delle possibilità di questo paese) e nello

2 Non pubblicati.

stesso tempo porre in evidenza, specie nei discorsi pronunziati dal presidente della Camera e dal ministro degli esteri, il desiderio, che riterrei sincero, di voler cogliere questa occasione per avviare i rapporti italo-haitiani, sia politici che economici, verso una fase di maggiore concretezza.

Per la prima volta nella storia delle relazioni tra l’Italia e questo piccolo paese, tuttora molto arretrato, un membro del Governo italiano è stato qui ufficialmente accolto, ed è per questo che il Governo haitiano ha molto apprezzato l’iniziativa di V.E.

In questa lontana isola delle Antille, dove la cultura latina per merito delle fiorenti istituzioni francesi, è rimasta con salde radici attraverso le vicissitudini della storia, la missione di buona volontà del Governo di Roma ha suscitato una eco assai viva sia negli ambienti politici che in quelli culturali.

Essi, infatti, si sono mostrati assai sensibili a questo gesto di amicizia ed hanno esternato la loro soddisfazione attraverso manifestazioni veramente cordiali e calde che si sono sempre concluse con espressioni di grande ammirazione per quanto l’Italia rappresenta nel mondo della civiltà e della cultura, e di forte simpatia per l’opera di ricostruzione e di pace che il nostro paese oggi svolge all’interno ed all’estero.

Il presidente della Repubblica, signor Dumarsais Estimé, ha visibilmente gradito moltissimo il dono della rara edizione della «Divina Commedia» consegnatogli dall’on. Brusasca, apprezzando sia il pregio del volume che la scelta dell’opera.

Durante il suo breve soggiorno l’onorevole Brusasca ha avuto occasione di intrattenersi sugli argomenti più interessanti per i rapporti italo-haitiani nei vari campi, potendo così riportare chiare e dirette impressioni.

Così per quanto riguarda la questione, tuttora in sospeso, della ratifica del trattato di pace firmato l’11 dicembre 1948, egli ha trovato il ministro degli esteri signor Brutus ancora fermo sulla richiesta della restituzione al Governo haitiano, seppure formale, dei titoli di proprietà dei beni italiani già sottoposti a sequestro e sulla proposta che si addivenga ad un nuovo trattato. Ma ciò è dato sopratutto dal desiderio personale del ministro Brutus di coprirsi di fronte al Parlamento (su questo argomento ho riferito, da ultimo, con il mio telegramma n. 5 del 25 u.s.)2.

Circa la questione delle colonie, invece, il ministro ha dato le più ampie assicurazioni che la delegazione haitiana all’O.N.U. appoggerà il punto di vista italiano, dato che si può questa volta contare che il nuovo capo della delegazione, ambasciatore Charles, seguirà scrupolosamente le istruzioni che da qui gli sono state impartite.

Ho la persuasione che la questione della ratifica del trattato di pace verrà nel corso dei prossimi mesi favorevolmente risolta e, pertanto, cadrà l’unico ostacolo ad un miglioramento dei rapporti tra i due paesi.

Sono certo, del pari, che i nostri rapporti commerciali, sopratutto con la nostra partecipazione all’Esposizione internazionale di Port-au-Prince — che ritengo più che utile per una nostra maggiore penetrazione commerciale in questo mercato —potranno avviarsi verso cifre interessanti e superare anche il livello d’anteguerra. È da notare che l’Italia è tuttora al terzo posto fra i paesi compratori di prodotti haitiani, mentre che siamo settimo posto per le nostre importazioni in questo paese. Occorre quindi potenziare notevolmente il nostro commercio d’importazione in Haiti. A tale

proposito il ministro del commercio ha dichiarato all’onorevole Brusasca di essere pronto a procedere alla firma di un modus vivendi per la rimessa in vigore del trattato di commercio del 3 gennaio 1926.

Intorno all’onorevole Brusasca si è raccolta, a due riprese, la quasi totalità della collettività italiana di Port-au-Prince che ha ascoltato con vera e visibile commozione la sua parola; sopratutto i nostri connazionali, per la maggior parte assenti dalla patria da decenni o nati su questo suolo, hanno seguito con emozione l’efficace quadro delle sofferenze causate all’Italia dalla guerra e dall’occupazione tedesca e la descrizione delle tappe della nostra risurrezione materiale e morale.

Concludendo, ho l’impressione che la breve visita in Haiti della missione straordinaria italiana ha costituito un avvenimento di grandissima importanza che lascerà vivido ricordo nell’animo di quanti con essa sono venuti a contatto e nei quali tale visita ha risvegliato forti simpatie verso l’Italia che non mancheranno di portare tangibili frutti in un prossimo avvenire, attraverso una maggiore e più cordiale collaborazione tra i due paesi.

244 1 Del 25 settembre, con il quale Zoppi aveva comunicato: «Boshir Saadawi partito da Tripoliper costà. Tra l’altro sembra proponesi indurre Azzam modificare sua posizione favorevole partito Istiqlal. Prego opportunamente controbilanciare sua azione».

245 1 Accreditato anche ad Haiti.

245 2 Non pubblicato.

246

IL MINISTRO A CIUDAD TRUJILLO, G. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10858/501. Ciudad Trujillo, 28 settembre 1949, ore 20,40 (perv. ore 7,30 del 29).

Missione straordinaria giunta 24 Ciudad Trujillo partita oggi 28. Giorno 25 ricevuta da presidente Repubblica generalissimo Trujillo cui espresso vivi sentimenti ringraziamento presidente Einaudi Governo popolo italiano. Generalissimo Trujillo mostratosi particolarmente compiaciuto visita missione. Stesso giorno avuto luogo legazione ricevimento collettività. On. Brusasca pronunciato discorso applauditissimo. Giorno 26 missione deposto omaggio floreale Altare patria e monumento che conserva ceneri Cristoforo Colombo situato Cattedrale. Presenti anche arcivescovo Santo Domingo Pittini alti funzionari Ministero esteri numerosa rappresentanza collettività italiana. Ministro esteri offerto missione ricevimento cui partecipato circa cinquecento persone. Giorno 27 onorevole Brusasca in solenni cerimonie Ministero esteri proceduto firma trattato pace amicizia collaborazione1.

Era presente anche rappresentanza collettività. On. Brusasca e ministro esteri Repubblica Dominicana sottolineato importanza documento. Stesso giorno Senato e Camera deputati dedicato sessione solenne a missione italiana. Sono stati scambiati discorsi alto significato vincoli sangue amicizia collaborazione simpatia due paesi. Discorso Brusasca è stato ripetutamente applaudito. Ministro Italia offerto fra altro in

legazione colazione con partecipazione ministro esteri arcivescovo alti funzionari e vari capi missione ambasciate qui accreditate e ricevimento trecentocinquanta persone onorato presenza presidente Repubblica e consorte oltre tutti ministri Stato Corpo diplomatico accreditato società e rappresentanza clero e collettività italiana. Presidente Repubblica mostrato viva soddisfazione essere presente al ricevimento. Collettività italiana offerto vermuth onore componenti missione. Tutta stampa durante quattro giorni dedicato intere pagine visita missione pubblicando numerosissime fotografie ed esaltando maniera particolare ed efficace importanza e significato visita missione amicizia e buona volontà.

246 1 Il testo è edito in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXXI, cit., pp. 274-276.

247

IL MINISTRO A BUDAPEST, BENZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3295/729. Budapest, 28 settembre 1949 (perv. il 1° ottobre).

«I circoli imperialisti occidentali affermano che questo processo è diretto non tanto contro Rajk e i suoi complici e che i veri accusati sono Tito e compagni. Non nego, v’è una buona dose di verità in questa affermazione; è infatti vero che il Tribunale popolare ungherese pronunciando la sua condanna su Rajk e sulla sua banda di cospiratori condanna moralmente e politicamente anche l’associazione a delinquere dei traditori della Jugoslavia, come Tito, Rankovic, Kardelj e Gilas. Il significato internazionale del processo sta nel fatto che esso smaschera Tito, la maggioranza dei dirigenti attuali della Jugoslavia, come volgari agenti dell’imperialismo internazionale. Il processo ha fornito innumerevoli prove dimostranti che i rapporti della cricca di Tito con gli imperialisti non si sono creati dopo la pubblicazione della risoluzione dell’Ufficio informazioni bensì sono di vecchia data ... Tutti questi fatti e la deposizione di Brankov pongono in una nuova luce l’intero passato di Tito, Kardelj, Rankovic e Gilas, la parte da essi avuta nelle lotte partigiane. La cricca di Tito si orientava già durante la guerra, mediante gli ufficiali anglosassoni presso il Quartiere Generale dei partigiani, verso l’imperialismo anglo-americano collaborando con esso contro l’Unione Sovietica, mentre l’esercito sovietico versava il proprio sangue per la liberazione della Jugoslavia».

Con queste parole il pubblico ministero ha messo brutalmente in luce l’obbiettivo politico del processo già implicito nell’atto d’accusa e nelle «confessioni» stesse degli imputati che avevano ricondotto a Tito e ai suoi complici occidentali tutte le fila dell’intrigo e del complotto.

Secondo le direttive che guidano i processi del genere, i quali provano sopratutto la nostra incapacità di afferrarne il segreto meccanismo, anche questa volta i colpevoli di atti a finalità antisovietica non devono neppure un istante apparire comunisti aberranti bensì agenti provocatori, ex fascisti o tutt’al più trozkisti, termine che nel gergo politico corrente in questi paesi equivale a delatori al soldo dell’Occidente.

Se è facile dunque inquadrare il processo, meno facile il tentar di sceverare quanto di vero e quanto di falso è stato detto o fatto dire dagli imputati, visto che sulle loro confessioni, in mancanza di alcuna prova oggettiva e data la portata trascurabile delle deposizioni testimoniali, il processo stesso ha esclusivamente poggiato.

Non occorre spendere molte parole per eliminare senz’altro le resultanze processuali tendenti a comprovare una specie di pool spionistico tra le legazioni occidentali ed i servizi di Belgrado nonché la conoscenza da parte di queste dei più recenti piani jugoslavi. Ancor più fantastico appare quanto, per forzare inabilmente la nota, si è fatto dire ad un imputato jugoslavo che cioè sin dall’iniziale riconoscimento di Tito nella guerra partigiana, Inghilterra e America avevano già stretto con lui e con i capi che oggi appunto lo circondano l’intrigo antisovietico in Jugoslavia e nei paesi futuri satelliti.

Resta il nucleo centrale del processo: il complotto ispirato da Belgrado per rovesciare l’attuale regime ungherese e il momento cruciale di tale complotto, il convegno segreto Rankovic-Rajk dell’ottobre 1948.

Che il Governo di Belgrado abbia sin dalla fine della guerra cercato di stringere rapporti molto intimi con l’Ungheria è un fatto sicuro (questa legazione ebbe a suo tempo a riferire più volte sullo argomento); che esso abbia nutrito qualche illusione di poterli mantenere anche dopo il manifesto del Cominform e nelle fasi iniziali del progressivo deterioramento delle sue relazioni con Mosca, non è cosa che contrasti con il dinamismo jugoslavo; che in epoca più recente la persona del Rajk sia stata adocchiata per mantenere contatti ed intese ed aprire future possibilità è verosimile come pure, scendendo a particolari, è verosimile che l’ex consigliere di questa legazione jugoslava, Brankov, abbia simulato la dissidenza da Tito per meglio servirlo; non è da escludere poi — vedi caso Boarov — che personale della legazione stessa non avesse obbiezioni di principio nei confronti di sistemi di terrorismo politico. Pur ammettendo tutto ciò, non sembra verosimile che Rankovic, il quale secondo le stesse resultanze processuali era a conoscenza del passato di Rajk e del terreno che pur doveva scottare sotto i piedi di quest’ultimo, abbia potuto fidarsene al punto di avventurarsi in territorio ungherese per incontrarlo come pure è sospetta la circostanza che né Rajk né gli asseriti testimoni dell’incontro abbiano creduto poter precisare la data dell’incontro medesimo.

Il Governo ungherese parla di prove inconfutabili; esse provengono esclusivamente da emergenze processuali relative sia alle confidenze fatte dal Rajk ai suoi compagni di congiura sia alle sue stesse confessioni; non sembra che la luce proiettata sul passato dell’individuo sia la più indicata ad illuminarlo e ad avvalorarlo come deus ex machina di una accusa di così vasta portata internazionale.

Per quanto concerne il personaggio in questione bisogna rinunciare a comprendere come è andata che nessuno si sia accorto prima delle sue relazioni con la polizia di Horthy, della sua attività apertamente sabotatrice nella guerra di Spagna (cui pur partecipò Gerö, il più vigile ed ortodosso dei comunisti), della sua espulsione dal partito, della condanna incredibilmente mite subita durante l’occupazione tedesca dell’Ungheria, ecc.; è vero che nessuno ci ha detto del quando e del come tutto ciò è stato scoperto.

Personalmente, ho già avuto occasione di accennarvi in un precedente rapporto, non sarei alieno dal credere che qualcosa di torbido si nasconda nel passato di Rajk; il suo atteggiamento, la sua espressione allo stesso tempo sinistra e ossessionata facevano pensare all’uomo che ha «uno scheletro nell’armadio». Trattasi di impressioni che valgono quello che valgono come del resto valgono quello che valgono le di lui «confessioni» pronunciate come se mandate accuratamente a memoria e con un «distacco» psicologico che è stato rilevato da quasi tutti i giornalisti stranieri.

Questi peraltro non hanno sufficientemente messo in luce un episodio che parmi aprire uno spiraglio sui segreti sentimenti dell’imputato. Al termine della sua deposizione il presidente gli ha chiesto: «Come si chiamava suo padre?» «Rajk»; «E suo nonno?» «Reich»; «Sì mio nonno era un sassone della Transilvania». E poi con mal-controllato tono di irritazione: «Si — tengo a dichiararlo — sono di pura razza ariana». Questa, che è la sola frase spontanea, se pur non la sola veritiera, pronunciata dall’imputato potrebbe non arbitrariamente esser trasposta così: «Si, il mio nome è stato magiarizzato ma non come il vostro signori Ràkosi, Gerö, Farkas per nascondere le vostre origini ebraiche». Odio antisemita in cui forse potrebbe ricercarsi uno dei fili conduttori della segreta attività del Rajk.

L’opinione pubblica ha seguito il processo con manifesta quasi ostentata indifferenza; gli stessi operai scelti, inviati per turno a seguirne le udienze, hanno tenuto un contegno passivo. Mi si dice che alcuni durante le lunghe e monotone deposizioni si sono persino appisolati.

Lungi dall’indignarsi, la grande maggioranza della gente ha visto aprirsi con un certo compiacimento alcuni squallidi retroscena del detestato regime e, se pur non interamente persuasa delle sensazionali rivelazioni propinatele, si dice che al postutto esse dimostrino che non è cosa impossibile rovesciarlo. Stato d’animo che influisce sull’indubbia ripresa della resistenza passiva in tutto il paese oggi forte e coraggiosa come non mai. Tra i molti sintomi citerò quello dei padri di famiglia di cui circa il 90% ha chiesto per i propri figli l’educazione religiosa nelle scuole, la cui obbligatorietà fu, come già riferito, soppressa con recente disposizione. Dopo il processo Mindszenty il morale della «reazione» era molto più basso e certamente non si avrebbe avuta questa larghissima manifestazione di fede religiosa.

248

L’INCARICATO D’AFFARI A BEIRUT, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 10948/47. Beirut, 30 settembre 1949, ore 20,20 (perv. ore 22).

Mio telespresso urgente 0211.

Nel venire a conoscenza delle istruzioni allo studio non ho mancato di ricorrere ad ogni possibile argomentazione per far presente fra l’altro come, nonostante propositi manifestati, formula scelta fosse più prossima progetto inglese che nostro.

Questo Ministero degli affari esteri è venuto finalmente nella determinazione di preparare seguenti istruzioni per delegato Libano O.N.U. che confida saranno approvate da Riad Solh:

1) Principio convenienza: indipendenza Libia;

2) Tripolitania: a) indipendenza secondo le condizioni proposte dall’Italia; b) termine: il più vicino alla tesi italiana comunque non oltre due anni; c) Commissione internazionale non semplicemente consultiva dotata di competenza e prerogative atte assicurare libertà elezioni;

3) Cirenaica: pratica accettazione situazione di fatto;

4) Unità: lasciata alla libera espressione volontà abitanti.

Mi riservo telegrafare decisioni ultime questo presidente del Consiglio anche per Eritrea per cui adesso predomina opinione favorevole nostra tesi.

248 1 Del 28 settembre, con il quale Vinci aveva più diffusamente riferito sulla posizione libanesein materia di colonie italiane.

249

IL CONSOLE GENERALE A FRANCOFORTE, GALLINA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10958/101. Francoforte, 30 settembre 1949, ore 23,30 (perv. ore 7,30 del 1° ottobre).

Da qualche tempo delegato americano informa che appena Parlamento tedesco avrà scelto definitivamente città capitale, Alta Commissione alleata controllo comunicherà a tutti paesi interessati possibilità accreditare presso medesima anche unanuova rappresentanza che sarà denominata «missione diplomatica». È stato ritenuto opportuno non adottare denominazione usuale, in considerazione particolare status internazionale questo paese.

Missioni diplomatiche si stabiliranno nella capitale (così come Alta Commissione di controllo) ed avranno accesso pure presso Governo federale «tramite» Commissione alleata, nel senso cioè che essa consentirà in molti casi anche trattazione diretta affari con organi tedeschi, riservandosi però approvare o modificare decisioni raggiunte.

È imminente, secondo informazioni fornite da Presidenza Bundestag, decisione in merito scelta capitale. Coalizione governativa prevede oggi vittoria Bonn. Uffici consolari Francoforte coesisteranno a fianco missioni diplomatiche anche se scelta capitale dovesse cadere su questa città in considerazione che importanti interessi tedeschi e anche molti interessi stranieri fanno capo ormai a Francoforte, data sua dislocazione e posizione comando già assunta nella Germania occidentale.

Prevedesi che missioni diplomatiche potranno stabilirsi a dicembre o gennaio. A titolo informativo Divisione politica ha riferito pure che, oltre rappresentanze speciali Londra Parigi e Washington, Governo federale desidera sua volta stabilire estero consoli tedeschi, che sarebbero però scelti e nominati da Commissione alleata1.

249 1 Il 1° ottobre (T. 10992/103) Gallina aggiunse: «Parlamento federale ha deciso rinviare a studio Commissione speciale (fu deciso dovrà riferire entro due settimane) questione scelta capitale. Rinvioè considerato successo opera Governo Adenauer che vuole restare Bonn».

250

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10963/203. Mosca, 30 settembre 1949, part. ore 1,05 del 1° ottobre (perv. ore 8).

La denunzia del trattato amicizia con la Jugoslavia è annunciata qui finora con la pura pubblicazione del breve comunicato senza commenti. Essa viene considerata come la logica conclusione della grande campagna di propaganda che dura ormai da mesi e che si era accentrata ultimamente attorno al processo Rajk. La fase della pura propaganda sembra chiusa e l’attuale denunzia del trattato attua o almeno inizia le misure preannunziate nella minacciosa nota del 21 agosto1. In generale si pensa che ad essa seguirà probabilmente denunzia degli analoghi trattati da parte paesi satelliti nonché forse la denunzia da parte della Unione Sovietica degli accordi economici eculturali non ancora formalmente risolti. È opinione prevalente che questo Governo non andrà al di là e generalmente si esclude non solo una possibile azione di forza ma anche la rottura dei rapporti diplomatici. Secondo tale prevalente opinione, che io condivido, anche il passo odierno è principalmente diretto ad incoraggiare i dissidenti jugoslavi ed a spronare gli incerti cercando di facilitare la caduta di Tito dall’interno. Questo appare pur sempre obiettivo perseguito dai sovietici con tenace costanza, contando su difficoltà economiche e politiche che Tito deve indubbiamente affrontare.

251

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI

T. SEGRETO 8494/106. Roma, 1° ottobre 1949, ore 15.

Tuo telespresso 1802/350 del 21 settembre1.

Pregoti insistere nuovamente per Somalia. A sostenere nostra tesi per Libia edEritrea non vi è alcun merito particolare. È però votando per noi su questione somala che ci si può dare vera prova amicizia2.

251 1 Non rinvenuto. 2 Per la risposta vedi D. 276.

250 1 Vedi D. 131.

252

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

T. 8499/C. Roma, 1° ottobre 1949, ore 15,50.

Consiglio ministri seduta 30 settembre ha approvato unanimità seguente deliberazione:

«Con l’arrivo in Italia del sen. Salvatore Aldisio, vice presidente del Senato, e nell’imminenza del ritorno in patria dell’on. Giuseppe Brusasca, sottosegretario agli esteri, il Consiglio ha preso atto della missione da essi compiuta nei paesi del-l’America latina ed ora felicemente conclusa. Il Consiglio esprime ai Governi sudamericani la gratitudine sua e del popolo italiano per le solenni accoglienze riservate alla missione e per l’appoggio internazionale così solidale ed efficace che essi in numerose occasioni hanno dato e continuano a dare. E fa contemporaneamente pervenire alle collettività italiane l’espressione dell’apprezzamento del nostro popolo per il loro chiaro esempio di virtù operosa e di attaccamento alla madrepatria ed il loro prezioso contributo alla solidarietà internazionale».

Esprima ufficialmente codesto Governo tali sentimenti gratitudine e faccia pervenire, nella forma più opportuna, alla collettività alto apprezzamento surriferito.

253

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. SEGRETO 10999/277. New York, 1° ottobre 1949, ore 21,03 (perv. ore 7,30 del 2).

Mio discorso, di cui avrai visto il testo1, è riuscito al doppio scopo per cui lo scrissi: far sentire la serietà e dignità nazionale con cui enunciavamo il nostro pensiero e al tempo stesso facilitare il ravvicinamento a noi dei voti arabi e asiatici.

Il successo del discorso mi permetterebbe di annunciarti un notevole miglioramento se non sapessi quanto per l’Eritrea gli americani si sentano legati e quali difficoltà possano sorgere pel mandato somalo.

Come ti ho scritto con lettera2 che riceverai domani io continuo a cercare di far capire se il mandato sarebbe poca cosa in sé può invece divenire grave cosa un rifiuto che offenderebbe sentimento nazionale.

Partendo giovedì per Cherbourg avrò tempo agire ancora sui massimi responsabili eccetto gli inglesi coi quali ogni insistenza starebbe quasi diventando una mancanza di dignità3.

253 1 Il testo del discorso pronunziato dinanzi al Comitato politico dell’O.N.U. è interamenteriprodotto in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 171-183.2 Non rinvenuta.

254

IL MINISTRO A TIRANA, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11004-11005/7-8. Tirana, 1°ottobre 1949, ore 17,10 (perv. ore 7,40 del 2).

Ho veduto oggi vice ministro esteri Natanaeli al quale ho presentato, secondo cerimoniale locale, copia credenziali. Nonostante visita avesse carattere protocollo ho creduto parlargli subito problema rimpatri e prospettargli interesse reciproco togliere da tappeto tale questione. Egli mi ha detto essere intenzione Governo albanese rimpatriare tutti italiani circa 430 (in questi dovrebbero essere compresi quelli di cui a telegramma di V.E. 3 del 27 settembre1 provenienti da località non definibili ma probabilmente Patos e Kucova) e che già erano in corso avanzate operazioni per loro concentramento Durazzo e partenza con nave richiesta a codesto Ministero da ministro Albania Roma. Non aveva peraltro ancora ricevuto precisazioni da Roma. Riterrei opportuno che a richiesta del ministro Albania venisse dato seguito sollecito dandomene notizia.

Vice ministro esteri mi ha detto essere facoltativo pronunziare lungo discorso al momento presentazione credenziali. Ho creduto allora opportuno consegnargli copia del mio breve discorso generico, di cui invio copia1, preparato precauzionalmente in precedenza. Avendomi Natanaeli ricordato in forma cortese che in passato relazioni fra l’Italia e Albania erano state «pesanti», ho creduto dirgli garbatamente che ciò poteva riferirsi ad una breve, sia pure intensa, parentesi, ma che in precedenza rapporti erano stati amichevoli e che comunque recenti atti compiuti da Governo italiano rivelatisi favorevoli. Ho ricordato, ad esempio, dichiarazione approvata Consiglio ministri 19442 che condannava invasione Albania e anche lettera stesso ministro Sforza in occasione decadenza senatori albanesi che riaffermava amicizia fra i due paesi e principio indipendenza. Ho colto occasione battere, come da istruzioni ricevute, su tale ultimo concetto. Dibattito chiusosi con manifestazione reciproco desiderio collaborazione.

2 Vedi serie decima, vol. I, D. 231.

253 3 Con T. segreto 8560/183 del 3 ottobre, De Gasperi rispose: «Ho apprezzato molto franchezzae dignità tue dichiarazioni e mi felicito per tuo successo personale. Benché tua presenza qui sia sempredesiderata pregoti considerare se in questione così grave non sia opportuno tu rimanga costì con tua esperienza ed ascendente personale fino a piega decisiva». Sforza decise invece di rientrare spiegandone imotivi con il D. 259.

254 1 Non pubblicato.

255

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A BEIRUT, VINCI

T. SEGRETO 8527/47. Roma, 2 ottobre 1949, ore 16,20.

Delegazione O.N.U. segnala che atteggiamento Malik nei riguardi futuro colonie italiane appare indeciso ed elusivo. Ministro Alessandrini prega S.V. provocare da parte Frangié invio Malik chiare istruzioni di appoggiare tesi italiana specialmente in seno gruppo arabo1.

256

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11020/152. Sofia, 2 ottobre 1949, ore 14,45 (perv. ore 17,40).

Telespresso di questa legazione 2545/2119 del 30 settembre scorso1.

Nota verbale bulgara a Governo jugoslavo, dichiarante decaduto per colpa jugoslava trattato amicizia bulgaro-jugoslavo del 27 novembre 1947, svolge vari argomenti che riassumo per sommi capi:

1) recente atteggiamento ostile attuale Governo jugoslavo, dimostrato anche da discorsi minacciosi e calunniosi personalità responsabili jugoslave contenenti fra l’altro richieste di territori bulgari;

2) ostili attività autorità jugoslave, come invio spie e banditi in territorio bulgaro, spionaggio svolto da diplomatici jugoslavi Sofia, organizzazione incidenti di frontiera, persecuzione cittadini bulgari in Jugoslavia, concessione asilo a criminali bulgari, ecc.;

3) da processo Rajk e da altre prove in possesso Governo bulgaro risulta che attuali dirigenti jugoslavi hanno cospirato e cospirano contro Bulgaria e suoi dirigenti; e che essi sono da tempo al servizio imperialisti per svolgere politica ostile all’U.R.S.S.;

4) dichiarazioni jugoslave a favore federazione slavi del sud costituiscono mascheramento per facilitare distacco provincia Pirin e soggiogare Bulgaria, affinché cricca Tito potesse stabilire egemonia sui Balcani, trasformandoli in colonie imperialisti ed in base per aggressioni U.R.S.S.

Trasmetto testo nota verbale1 prossimo corriere.

256 1 Non pubblicato.

Impressione generale è che, malgrado sua violenza verbale, non si prevedono almeno per ora speciali sviluppi nei rapporti bulgaro-jugoslavi che permangono tuttavia tesi.

Per quanto riguarda eventuali misure militari confermo quanto già riferito telespresso citato.

255 1 Per la risposta vedi D. 258.

257

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A NEW YORK

T. SEGRETO 8539/C. Roma, 3 ottobre 1949, ore 14,30.

Ho telegrafato Washington Parigi Londra quanto segue:

«Governo comunista cinese ha indirizzato al nostro console Pechino nota ufficiale1 nella quale comunica di “considerare indispensabile stabilimento relazioni diplomatiche normali fra Repubblica popolare cinese ed altri Stati del mondo”. Comunicazione fa riferimento a proclama Mao Tse-tung nel quale è detto fra l’altro che nuovo Governo cinese “è disposto stabilire relazioni diplomatiche con qualsiasi Governo estero che sia disposto osservare principio uguaglianza reciprocità, mutuo rispetto ed integrità territoriale e sovranità Cina”. Pregola tenersi in contatto con codesto Governo per conoscerne atteggiamento di fronte passo su riportato che supponiamo sia stato compiuto anche presso altre rappresentanze Pechino».

Riterrei conveniente richiamare Fenoaltea anche per evitare in futuro possibile concomitanza fra sua partenza e primi contatti anche di fatto con Governo Pechino e resto quindi in attesa urgenti istruzioni V.E. in risposta mio telegramma 1732.

258

L’INCARICATO D’AFFARI A BEIRUT, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11039/48. Beirut, 3 ottobre 1949, ore 15,15 (perv. ore 18,30).

Telegramma di V.E. 471.

Ritardo invio istruzioni dovuto formazione nuovo Governo non ancora formalmente insediato carica, a causa inizio festa Adha. Segretario generale questo Ministe

ro degli affari esteri mi ha promesso nondimeno sottoporre istruzioni di cui al mio telegramma 472 domani mattina al nuovo ministro Filippo Taclaselbal. Insistito ed ottenuto uguale promessa che istruzioni per esteso dovrebbero pervenire a Malik per aereo venerdì3.

257 1 Trasmessa dal console a Tietsin, Tallarigo, con T. 11017/11 del 2 ottobre, ore 12, non pubblicato. 2 Vedi D. 243, nota 2. Sforza rispose con il D. 261, per le risposte da Washington, Londra eParigi vedi DD. 272, 263 e 262.258 1 Vedi D. 255.

259

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. SEGRETO 11162/286. New York, 4 ottobre 1949, part. ore 1,40 del 5 (perv. ore 7,30).

Ieri ed oggi ricevuto e parlato con ogni sorta di delegati incluso l’intero gruppo dei maomettani che mi offerse un the. Ricevuto anche il delegato americano che esercitò su me forte finale pressione perché transigessi circa Eritrea pur aggiungendo che, qualunque fosse mia risposta, Stati Uniti resterebbero favorevoli a noi per Somalia. Presi atto di ciò ma confermai che dobbiamo chiedere indipendenza Eritrea. Col delegato argentino abbiamo ancora accentuato strettissima collaborazione.

Credo sempre più che anche per resistere nuove eventuali pressioni mia presenza è più utile Roma. Anche Schuman sente la situazione jugoslava gli impone recarsi subito Parigi e come me partirà domani. Con Schuman ho avuto una molto seria conversazione circa Eritrea e di ciò telegrafo a Zoppi1 che ti riferirà. Tarchiani che ha partecipato ed è stato totalmente informato di ogni mio contatto trovasi nella migliore condizione per proseguire qualsiasi negoziato futuro.

260

L’INCARICATO D’AFFARI A BUCAREST, REGARD, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1690/800. Bucarest, 4 ottobre 1949 (perv. l’8).

Riferimento: Mio telegramma n. 1311.

A seguito del telegramma sopraindicato ho l’onore di trasmettere qui unita la traduzione italiana della nota che la signora Pauker ha rimesso il 1° ottobre a questo

3 Con successivo T. segreto 11081/49 del 4 ottobre Vinci comunicò di aver ricevuto assicurazioni circa l’avvenuto invio a Malik delle istruzioni in questione.

ambasciatore jugoslavo per notificargli che la Romania si considera libera dagli obblighi del trattato di amicizia, assistenza e mutua collaborazione firmato a Bucarest con la Jugoslavia il 19 dicembre 1947, in occasione della visita di Tito in Romania.

Sono ancor vive nella memoria di tutti le manifestazioni cui quella visita dette luogo, quando il dittatore jugoslavo venne ricevuto e acclamato come uno dei più puri esponenti del comunismo internazionale, e uno degli amici più sicuri della nuova Romania.

La denuncia del trattato romeno-jugoslavo che segue immediatamente quella del trattato jugoslavo-russo da parte dell’Unione Sovietica, ed è concomitante con le denuncie degli analoghi trattati con la Jugoslavia da parte degli altri Stati satelliti, ripete contro il Governo di Belgrado le accuse che da tempo costituivano il motivo conduttore della propaganda cominformista, fa cenno all’attività sobillatrice che avrebbero qui svolto funzionari e impiegati di questa ambasciata jugoslava (vedi tra l’altro telespressi di questa legazione n. 1453/701 del 22 agosto e 1641/779 del 27 settembre u.s.)2, alle persecuzioni di cui sarebbero oggetto le minoranze romene in Jugoslavia, e a incidenti e violazioni di frontiera di cui si sarebbero resi colpevoli i serbi nei confronti della Romania.

A questo proposito mi viene riferito che nella zona di Timisoara, giorni or sono, la difesa controaerea sarebbe entrata in azione, avendo degli aerei provenienti dalla Jugoslavia sorvolato il territorio romeno.

Non si può negare che negli ultimi giorni l’atmosfera politica in Romania, per quanto concerne i rapporti con la Jugoslavia, si sia alquanto appesantita. Anche nelle manifestazioni del 2 ottobre per la giornata non della pace, ma della «lotta per la pace» (formula consacrata) Tito è stato, insieme agli «imperialisti anglo-americani provocatori di guerra», uno dei bersagli preferiti nei discorsi, negli articoli dei giornali, nelle caricature murali che hanno fatto mostra di sé in tutta la città.

C’è da chiedersi, peraltro, se la denuncia dei vari trattati di amicizia con la Jugoslavia da parte dei paesi del Cominform non indichi che la Russia abbia perduto le speranze di un colpo di Stato che, rovesciando il regime di Tito, avesse portato alla costituzione di nuovo Governo iugoslavo con il quale appunto i trattati di amicizia avrebbero potuto continuare ad aver vigore.

Dal punto di vista militare, per quanto gli accertamenti in questo campo siano estremamente difficili, mi si conferma che a partire dalla seconda decade di settembre i movimenti di truppe, sia russe che romene, sarebbero notevolmente diminuiti (vedi mio telespresso urgente n. 024 del 20 settembre u.s.)3. Continuerebbero invece i trasporti di munizioni.

Il numero delle truppe russe che si troverebbero nella regione di frontiera con la Jugoslavia ammonterebbero a non più di due divisioni.

È stato anche segnalato il passaggio di reparti romeni in Bulgaria, ma la notizia manca di conferma e tra questi addetti militari occidentali non vi si attribuisce gran credito.

3 Non pubblicato.

258 2 Vedi D. 248.

259 1 Vedi D. 268.

260 1 Del 2 ottobre, non pubblicato.

260 2 Non pubblicati.

261

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. New York, 4 ottobre 1949.

Parto giovedì [il 6] con «Queen Elizabeth». Tutto quanto potevo fare l’ho fatto; ora comincia l’era dei lavori di corridoio. Come io non posso andare all’O.N.U. lascio ciò a Tarchiani e Alessandrini, ambi utili. Fino a giovedì continuerò ogni contatto.

Circa la Cina1 ho detto a Tarchiani di chiarire e riferirmi2. Ma, come prima impressione, non credo utile una partenza proprio ora dell’ambasciatore da Nanchino, quasi si volesse rompere con Mao prima di altri. Lei me ne parlerà e deciderò al mio ritorno. Lasci tutto in sospeso3.

Porterò gli elementi per un Libro Verde di ciò che si è detto all’O.N.U. Libro Verde da farsi subito4.

262

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 11130/481. Parigi, 5 ottobre 1949, ore 13,15 (perv. ore 15,30).

Suo 8539/C.1.

Quai d’Orsay, che ha ricevuto solo ieri testo nota, ha dato istruzioni suo rappresentante Pechino accusare ricevuta solo verbalmente. Intenzione francese rimane non riconoscere o riconoscere più tardi possibile Governo comunista per timore ripercussioni in Indocina e incoraggiamenti a Ho Chi Minh. Quai d’Orsay non ritiene d’altra parte che vi sia nulla di cambiato in impegno preso da Bevin a Washington di non riconoscere e comunque agire di intesa con gli altri.

Quai d’Orsay ha assicurato ci terrà informati ulteriormente.

2 Vedi D. 272.

3 Prima di imbarcarsi comunicò invece a Zoppi: «Telegrafi Fenoaltea che può partire visto chetutti gli altri partono. Personalmente sono in dubbio che sia il gesto migliore ma debbo tener conto anchedello stato d’animo dell’ambasciatore». (T.s.n.d. 11211/290 del 6 ottobre, part. ore 3,45 del 7). Vedi D. 278.

4 Libro Verde 117: Documenti riguardanti i problemi africani dell’Italia alle Nazioni Unite, presentati al Parlamento italiano dal ministro degli affari esteri (Sforza), Autunno 1949, Roma, Tipografiariservata del Ministero degli affari esteri, 1949.

261 1 Vedi DD. 243 e 257.

262 1 Vedi D. 257.

263

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, LANZA D’AJETA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 11156/505. Londra, 5 ottobre 1949, ore 22,17 (perv. ore 7,30 del 6).

Telegramma di V.E. 8539/C.1.

Capo Dipartimento Estremo Oriente mi ha informato che codesta ambasciata britannica è stata incaricata comunicare in dettaglio a Palazzo Chigi quale sarà atteggiamento Foreign Office nei riguardi nota ufficiale Governo comunista cinese2.

Ad ogni buon fine riassumo.

Console generale inglese a Pechino rimetterà nei prossimi giorni a quelle autorità comuniste nota accusante ricevuta comunicazione cinese e annunziante che questione è allo studio. Tale studio si prolungherà tuttavia per vario tempo al fine permettere esatta valutazione dei pro e contro riconoscimento. Nota risposta ha quindi scopo temporeggiare senza fin da ora escludere con silenzio possibilità presa rapporti.

Ho chiesto allora al signor Scarlett se sarebbe stata data pubblicità alla cosa in previsione possibili illazioni ed egli, informandomi aver preso proprio a questo scopo personale iniziativa proporre prudente comunicato, ha voluto marcare con qualche enfasi che nessuna diversità di vedute vi era con Washington circa finalità ultime da tener presenti in questo così complesso e importante settore.

Ho ritenuto allora dirgli per parte mia — a titolo personale — che, ovviamente nelle dovute proporzioni, anche su tale settore sembrava esserci una certa somiglianza tra interessi inglesi e quelli nostri, poiché nel quadro di una leale e franca collaborazione con gli Stati Uniti poteva apparire necessario tutelare al massimo possibile nostri traffici commerciali e lasciare socchiusa porta alla realtà politica, anche incresciosa.

Si è dichiarato d’accordo.

263 1 Vedi D. 257. 2 Il 6 ottobre l’ambasciata britannica a Roma consegnò al Ministero degli esteri un promemoria contenente il testo della nota diretta al Governo comunista cinese.

264

IL MINISTRO A TIRANA, FORMENTINI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11164/12. Tirana, 5 ottobre 1949, ore 22,10 (perv. ore 9 del 6).

Dopo presentazione credenziali ho avuto lunga conversazione col presidente della Repubblica presenti anche vice ministro degli esteri e capo Cerimoniale.

Nishani mi ha fatto prima lungo discorso, destinato forse esser ascoltato più da albanesi presenti che da me, per dimostrare albanesi (alludendo specialmente U.S.A.) vizi mondo capitalistico fautore guerre, pregi democrazia popolare desiderosa pace. Ha lamentato poscia propaganda gigantesca contro suo Governo e mi ha smentito categoricamente voci moti rivoluzionari in Albania. Passando quindi a parlare relazioni con l’Italia mi ha detto chiaramente che recente passato aveva reso sospettosi albanesi e costretti quindi rimanere «vigilanti». Ho cercato tranquillizzarlo ed ho ripetuto a lui quanto in precedenza avevo detto a vice ministro esteri (mio telegramma 8)1.

Nishani si è mostrato, sua volta, desideroso riallacciare rapporti amichevoli con l’Italia facendomi peraltro rilevare ancora che ciò dipendeva principalmente da noi. Egli, pur affermando che Albania non ha paura, si è mostrato preoccupato di avvenimenti internazionali che potrebbero svolgersi al di fuori volontà Italia e Albania. Ho avuto impressione che esiste nelle sfere dirigenti stato allarme.

265

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 8616/3912. Washington, 5 ottobre 1949 (perv. il 17).

Riferimento: Telespresso di questa ambasciata n. 8310/3780 del 24 settembre u.s.1.

Per quanto gli Stati Uniti avessero lasciato chiaramente intendere che, circa il trattato di pace con l’Austria, non avrebbero aderito a riunioni dei quattro ministri degli affari esteri delle grandi potenze fino a che i sostituti non avessero raggiunto un accordo su tutti i punti in discussione, invece, evidentemente per dare una prova di buona volontà e quale estremo tentativo per uscire dal punto morto a cui si era fermata la conferenza dei vice ministri, hanno acconsentito, la scorsa settimana, ad una riunione a livello di ministri. Perciò Acheson, Vyshinsky, Schuman e Bevin si sono chiusi per alcune ore in una stanza del Waldorf-Astoria in New York cercando inutil

mente di giungere ad un risultato. La fermezza sovietica a non cedere sulle enormi richieste di natura economica ha impedito il raggiungimento di un accordo.

Un’altra riunione dei quattro ministri è prevista per domani. Probabilmente, ove non si trovi il terreno per una intesa, sarà l’ultima riunione del genere per il momento, ed ogni cosa verrà rimandata sine die.

Evidentemente l’Unione Sovietica non ha attualmente né l’intenzione né l’interesse a portare in porto le trattative, ed ha pertanto buon gioco ad insistere su richieste inaccettabili. Il trattato di pace con l’Austria significherebbe per lei non soltanto l’evacuazione di quel paese, ma anche il ritiro delle truppe che essa, ai fini del collegamento, ha stanziato in Ungheria, in Cecoslovacchia e in Romania. In questo momento in cui il dissidio con il Governo di Belgrado ha raggiunto la rottura, il ritiro delle truppe russe dalla frontiera jugoslava non è da prendere in considerazione, sia perché l’atto costituirebbe un rafforzamento della posizione della Jugoslavia, sia perché i sovietici rinuncerebbero ad una utile arma per premere su quest’ultima. Inoltre la presenza delle truppe sovietiche in Austria permette uno sfruttamento del paese più intenso di quanto non possa essere concesso dalle clausole economiche del trattato e permette anche un utile contrabbando, attraverso la cortina di ferro, di materiale di importanza militare, di provenienza americana, che altrimenti la Russia troverebbe più difficile procurarsi. Infine, l’evacuazione dell’Austria significherebbe la completa accessione di questo paese alle intese raggiunte dall’Europa occidentale, e contribuirebbe al rafforzamento del sistema antisovietico.

D’altra parte, una eccessiva convenienza a giungere ad un accordo non debbono averla neppure le potenze occidentali. Probabilmente, sia per meglio sorvegliare e incoraggiare l’«eresia» del maresciallo Tito, sia per meglio proteggere la posizione strategica dell’Italia, sia per avere le loro «sentinelle» nei punti possibilmente più avanzati in questi momenti di tensione, non hanno motivo di indulgere verso le richieste sovietiche.

Chi paga le spese di tutto ciò è l’Austria, in senso materiale ed in senso politico. Essa deve sopportare l’onere delle quadruplici forze d’occupazione, essa deve tollerare il metodico depauperamento delle sue risorse da parte dell’Unione Sovietica, essa non può dare inizio all’esecuzione di alcun metodico e serio programma di ricostruzione edi risanamento. È per tutti questi motivi d’ordine economico, a cui ne vanno aggiunti altri di ordine politico, che gli austriaci sono giunti alla conclusione che è meglio un trattato di pace pessimo piuttosto che il perdurare di una situazione come questa.

264 1 Vedi D. 254. 265 1 Non pubblicato.

266

IL MINISTRO AD ASSUNZIONE, FERRANTE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 1349/421. Assunzione, 5 ottobre 1949 (perv. il 24).

È ben noto il validissimo appoggio che il delegato del Paraguay all’O.N.U. dott. Luigi Bottner, ambasciatore del Paraguay a Washington, ha dato alla tesi italiana presentata e sostenuta a Lake Success dal delegato argentino.

Le istruzioni inviate da Assunzione al dott. Bottner sono dovute alla profonda simpatia che esiste in queste sfere dirigenti per l’Italia e per il nostro popolo: non è quindi assolutamente merito mio di aver potuto sfruttare tali sentimenti a noi favorevoli; mi è bastato illustrare presso i diversi Governi che si sono succeduti i motivi sui quali la nostra tesi si accampa e grazie all’ottimo materiale fornitomi da codesto Ministero, la cosa è stata molto facile, avendo trovato dappertutto il più simpatico accoglimento.

Interessante però notare il completo insuccesso dell’arduo, attivissimo lavoro del mio collega di Gran Bretagna, il quale in questi ultimi due mesi nulla ha tralasciato perché il Paraguay appoggiasse, pel tramite del proprio delegato, la tesi inglese, specialmente per quanto concerne l’Etiopia. Di questi sforzi persone altolocate del Ministero degli affari esteri e talvolta lo stesso ministro mi hanno tenuto minutamente informato e quindi non è stato per me difficile poter controbattere ed annullare l’opera del ministro britannico.

Questa ambasciata degli Stati Uniti si è astenuta dall’intervenire presso questo Governo per fare pressioni di sorta: di questo sono certo perché lo stesso ambasciatore, al quale da molti anni mi legano vincoli di speciale amicizia, mi ha minutamente tenuto al corrente di ogni cosa. Come noto (mio telespresso 01157/367 del 2 settembre u.s.)1 egli è assente da oltre un mese, essendo stato chiamato anzitutto a Washington, insieme ad altri ambasciatori, e poi inviato ad Ottawa quale delegato per la Conferenza radio. Egli è atteso qui di ritorno solamente verso la fine del corrente mese e senza dubbio avrò da lui interessanti dettagli che sarà mio dovere riferire.

267

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. SEGRETO 8641/252. Roma, 6 ottobre 1949, ore 15,30.

Delegato jugoslavo O.N.U. ha proposto indipendenza Libia, annessione Etiopia provincie orientali Eritrea, tutela collettiva per Eritrea occidentale e Somalia. Nostra delegazione O.N.U. rappresenta opportunità V.S. richiami attenzione codesto Governo specialmente su questione somala per cui anche voto Jugoslavia può avere sua importanza. La prego quindi insistere costà perché in proseguimento discussioni codesto Governo si associ proposta per mandato italiano Somalia o, alla peggio, si astenga dal voto. Ciò potrebbe essere facilitato dal fatto che proposta per tutela collettiva non troverà molti aderenti e suoi attuali sostenitori avranno così facile pretesto per modificare loro primitive dichiarazioni. Anche avendo di mira rapporti italo-jugoslavi, voto favorevole codesto Governo su questione somala avrebbe sua importanza1.

267 1 Per la risposta vedi D. 275.

266 1 Non rinvenuto.

268

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 11210/289. New York, 6 ottobre 1949, part. ore 3 del 7 (perv. ore 8).

Telegrafi mia firma a Quaroni1 e comunichi al presidente del Consiglio:

«Avendo appreso che francesi pensavano aderire circa Eritrea alla formula angloamericana ho detto Schuman che stimavo mio stretto dovere avvertirlo che ciò avrebbe fatto pessima impressione Italia. Schuman ha convenuto meco che il precedente del-l’ultimo voto francese per l’Eritrea non legava più Governo francese perché allora noi acquistavamo una diversa posizione in Tripolitania ciò che non è più oggi. Schuman mi ha promesso terrà massimo conto Parigi mie spiegazioni e mio avvertimento.

Ella può accentuare mie parole spiegando trattarsi di uno di quei casi che rischiano di acquistare valore simbolico nelle relazioni fra due paesi. Sentirò presto da lei al mio passaggio Parigi2».

269

LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA 2708/36435/486/6. Roma, 6 ottobre 1949.

Riferimento: Telespressi 901 segr. pol. del 26 agosto 19491 e 18384/358 del 27 settembre 19492.

Questa Presidenza ha preso nota del parere prevalentemente contrario del Ministero dell’interno sulla formulazione austriaca di uno schema di gentlemen’s agreement relativo alle domande di riopzione degli alto-atesini emigrati in Austria, e delle riserve con cui codesto Ministero ha considerato la possibilità del raggiungimento di un’intesa in termini utili al conseguimento di concreti risultati.

Come è noto a codesto Ministero, la proposta che diede origine alla presentazione del ricordato schema era stata avanzata — senza il minimo riferimento (contrariamente alla impressione che se ne sarebbe avuta a Vienna stando alla comunicazione della nostra legazione) ad autorizzazioni superiori — dal capo di questo Ufficio zone di confine al ministro Versbach a titolo personale in vista della necessità di tro

2 Per la risposta vedi D. 291.

2 Ritrasmissione del D. 211.

vare una via d’uscita pratica e distensiva alla situazione che dura ormai da mesi in dipendenza del deliberato del Governo austriaco del 2 novembre 19483.

È noto, infatti, che il disegno di un radicale intervento per mezzo di un provvedimento legislativo, ritenuto da questa Presidenza idoneo a fronteggiare ed arginare le conseguenze del deliberato nell’immediatezza della sua emanazione, subì la prolungata stasi dell’esame dal punto di vista politico e giuridico, nel corso del quale codesto Ministero ebbe occasione di manifestare il suo avviso nettamente contrario, solo in un secondo momento modificato (Telespr. D.G.A.P. - V, n. 09968 del 28 maggio 1949)4. Nel frattempo si è anche dovuto riconoscere che era mancato qualsiasi effetto dei chiari accenni fatti, sia in via diplomatica (Telespr. D.G.A.P. - V, n. 04941 del 15 marzo 1949)4 sia in sede parlamentare (risposta all’interpellanza Bisori al Senato) alla possibilità dell’adozione del provvedimento di cui sopra, tanto che la posizione presa dal Governo austriaco è risultata sostanzialmente confermata con la deliberazione del 3 maggio c.a.

A questo punto, poiché evidentemente la tattica dilatoria finora seguita circa le domande di riopzione presentate dopo il 27 novembre 1948 — pur non ravvisandosi l’urgenza da parte italiana di uno sblocco che abbia palese carattere di acquiescenza — non può protrarsi indefinitamente, si prega codesto Ministero di voler comunicare il suo esplicito avviso circa l’ulteriore linea da seguire, sollecitando in pari tempo il ministro a Vienna a completare le sue osservazioni sui precorsi momenti dello sviluppo della questione con l’esposizione di proposte concrete.

Questa Presidenza ritiene che tale precisazione sia necessaria per porre su utili basi la consultazione che dovrà aver luogo nella proposta riunione5.

268 1 T. segreto 8671/537 del 7 ottobre, ore 12,30.

269 1 Vedi D. 151.

270

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 8633/3929. Washington, 6 ottobre 19491.

La sessione del Comitato di difesa, sulla quale ho sommariamente riferito col mio telegramma di ieri2, chiude un’altra fase della formazione degli organi di cooperazione nel quadro del Patto atlantico: la struttura e i compiti degli organi militari già previsti dal Consiglio nord-atlantico sono stati precisati ed inoltre è stata abbozzata la struttura degli organi economici. Gli uni e gli altri saranno presto in funzione; anzi, per quanto concerne quelli militari, sono in parte già in funzione, poiché oggi stesso si riunirà il Comitato militare.

4 Non pubblicato.

5 Per la risposta vedi D. 299.

2 T. segreto 11175/838-839 del 5 ottobre, non pubblicato.

La sessione del Comitato di difesa non solo non ha recato grandi sorprese, ma ha anche confermato le impressioni già raccolte in passato sull’atteggiamento dei diversi paesi in merito alle questioni che specificamente interessano l’Italia.

Per quanto concerne la possibilità che il Comitato di difesa e il Comitato militare costituiscano una Segreteria permanente, è stata nuovamente notata la riluttanza americana ad ammettere l’opportunità di siffatta decisione. Tuttavia, a causa del-l’atteggiamento italiano, la questione non è stata pregiudicata ed è stata semplicemente rinviata alla prossima sessione del Comitato di difesa, la quale, come ho riferito, è prevista per i primi di dicembre. Inoltre (e questo è un punto della massima importanza) è stato ammesso che anche il Segretariato del Gruppo permanente possa accogliere elementi appartenenti a tutti i paesi aderenti al Patto. In merito alle specifiche forme di collaborazione fra i Gruppi regionali europei, è stata constatata l’impossibilità di concordare, in sede di Comitato di difesa, una formula molto più particolareggiata di quella prevista dal Consiglio. Pertanto la questione è stata demandata agli organi militari e, più precisamente, al Comitato militare, rimanendo ben precisato che quest’ultimo organo, nella scelta delle forme di collaborazione fra i Gruppi europei, da proporsi al Comitato di difesa, non deve ritenersi vincolato da direttive limitate.

La questione più delicata si è rivelata, naturalmente, essere quella della sede dei Gruppi regionali europei. La discussione di essa, conclusasi col rinvio ai tre Governi interessati, è stata assai animata e, a tratti, spiacevole.

Sarebbe difficile, in questa questione, negare la forza delle argomentazioni italiane. In sostanza, nello scegliere la sede dei Gruppi europei, si possono adottare alternativamente due criteri: il primo consisterebbe nel dislocare i Gruppi in sedi diverse, per collocarli in prossimità della zona di cui debbono occuparsi; il secondo consisterebbe nell’accentrarli in una stessa sede. Entrambi i criteri presentano vantaggi e svantaggi. Peraltro la soluzione proposta (il Gruppo meridionale a Parigi e gli altri a Londra) non risponde né all’uno né all’altro. Se si decide di fare una distribuzione geografica, è ovvio che il Gruppo meridionale-mediterraneo non può risiedere che in Italia. Se si preferisce l’accentramento, questo non può effettuarsi che in una sede unica, la quale, per ovvie ragioni, non può essere che Londra. Purtroppo, la forza logica delle argomentazioni italiane non vale a modificare la situazione politica, che sta ora all’origine della proposta da noi condannata. Ancora una volta, i paesi del Patto di Bruxelles intendono che la loro unione formi il nucleo essenziale dell’organizzazione difensiva europea; e la Francia stessa, che pure ha molte ragioni per non condividere interamente questa tesi, finisce per accettarla in gran parte. Gli Stati Uniti, da parte loro, non appaiono disposti ad esercitare le essenziali pressioni che sarebbero necessarie per capovolgere un indirizzo generale, cui la Gran Bretagna è fortemente attaccata.

In queste condizioni, la trattativa con Londra e Parigi, che dovrà seguire la mancata decisione del Comitato di difesa, si presenta assai difficile.

269 3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 769.

270 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

271

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, ACHESON

L. CONFIDENZIALE. Washington, 6 ottobre 1949, sera.

May I add a word to what I said to Jessup? That, of course, I am bound by Cabinet instructions by my conviction, by my promise to the Eritreans; and therefore I must repeat only: independence.

But, as I said to Jessup «independence but closest economic collaboration with Ethiopia», which may even mean a sort of federation. Of course, I’ll be ready to examine any other proposal on such lines.

I want you to be sure that my deepest desire is to agree not only with you — which is so natural — but with England in spite of her constant and to me incomprehensible suspicion towards us. Be sure, even in this field, that if you find that any pledge might eliminate suspicions I would be glad to give it.

I am sorry that I must leave; but my duty is to be in Rome in case anything happens beyond the italo-jugoslav border. Let us hope that things may happen which increase the security of the West.

272

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 8644/3940. Washington, 6 ottobre 1949 (perv. l’11).

Il 1° ottobre corrente al console generale americano a Pechino veniva recapitata la richiesta di riconoscimento del nuovo Governo della Cina comunista. Identica comunicazione ricevevano pure, il giorno stesso, i consoli di Francia, di Olanda, d’Italia, del Belgio e della Gran Bretagna. Unisco copia della lettera e del proclama del nuovo Governo cui la lettera stessa si riferisce1.

Nel corso di una conferenza stampa tenuta il 3 corrente, un portavoce del Dipartimento di Stato attirò l’attenzione dei giornalisti presenti sul fatto che la lettera era «stampata» e che portava la sola indicazione del nome del console generale americano senza alcun cenno alle sue funzioni ufficiali. La lettera, inoltre, mancava delle usuali formule diplomatiche di cortesia.

Richiesto dai giornalisti se egli vedesse nella lettera un «implicito insulto», il portavoce rispose senza alcuna esitazione in senso affermativo. Circa il seguito che

sarebbe stato dato alla lettera da parte del Governo, egli si limitava a rispondere che non vi era «alcuna fretta».

Il giorno stesso il sig. McDermott, capo dell’Ufficio stampa, dichiarava che il Dipartimento non avrebbe proceduto ad alcun riconoscimento se non dopo aver sentito i «leaders» del Congresso; inoltre gli Stati Uniti avrebbero continuato a discutere gli sviluppi della situazione cinese con i «Governi amici interessati». Gli Stati Uniti

— ha sottolineato il sig. McDermott — riconoscono ancora il Governo nazionalista cinese; d’altra parte, né nella lettera né nel proclama vi è alcuna assicurazione che il nuovo regime è disposto ad assumere «gli obblighi internazionali che ricadono su un Governo cinese». McDermott ha concluso dicendo che la comunicazione del nuovo Governo «non precipiterà» le consultazioni del Governo di Washington con gli altri Governi amici, consultazioni che continueranno «in modo normale».

Analoghe conclusioni possono trarsi dalle dichiarazioni fatte ieri dal Dipartimento di Stato a questa ambasciata.

Il Dipartimento — si conferma — non ha «alcuna fretta» a riconoscere il nuovo Governo: la formale proclamazione a Pechino era scontata da tempo né essa modifica la posizione di attenta attesa del Governo di Washington. Un riconoscimento precipitato avrebbe come immediata conseguenza quella di scoraggiare tutta l’Asia sud-orientale anticomunista e principalmente l’Indonesia; in secondo luogo il Dipartimento non intende avallare con un pronto riconoscimento l’atteggiamento dei comunisti cinesi di completo sprezzo delle norme e delle consuetudini che si applicano a cittadini stranieri: si ricordava, ad esempio, che il personale consolare di Mukden non ha ancora ottenuto l’autorizzazione a partire né ha alcuna possibilità di comunicare con Washington, sia pure indirettamente; né si intende dimenticare l’episodio della bastonatura inflitta al vice console Olive in Shanghai, le prepotenze sistematiche verso i cittadini americani e particolarmente verso i giornalisti e gli uomini d’affari.

Al Dipartimento si spera di potere mantenere un fronte comune con gli altri paesi occidentali anche per la questione del riconoscimento. Naturalmente è l’Inghilterra le principale causa di preoccupazione. Nel corso delle recenti conversazioni che si sono avute qua circa la situazione in Estremo Oriente, gli inglesi hanno fatto comprendere che il Governo di Londra non avrebbe insistito per un riconoscimento immediato. D’altra parte ci si rende conto qui che la posizione degli inglesi in Cina è diversa da quella americana. Gli inglesi commerciano in Cina e non con la Cina, com’é il caso per gli americani e per gli altri paesi; essi, inoltre, hanno investiti colà ben maggiori interessi e sopratutto si trovano in una situazione economico-finanziaria estremamente difficile.

Il Dipartimento quindi non può escludere la possibilità di un riconoscimento inglese isolato e si preoccupa dell’atteggiamento che gli altri paesi interessati terrebbero in tale caso. Nemmeno il Governo francese sembra ansioso di stabilire normali relazioni diplomatiche con la Cina comunista ed è anzi probabile che esso desideri ritardare il riconoscimento; ma il Dipartimento teme che questo atteggiamento potrebbe modificarsi nel caso di una rottura del fronte occidentale comune e di una conseguente più difficile situazione in Indocina.

Comunque, anche qualora non si riuscisse qui ad evitare un anticipato riconoscimento da parte inglese o da parte di altro paese occidentale, non sembra che questo Governo si indurrebbe perciò ad aderire alla richiesta di Pechino. Tale eventualità sembra anzi così poco attuale che il Dipartimento non sta neppure esaminando l’opportunità di iniziare delle conversazioni atte ad ottenere dal nuovo Governo quelle assicurazioni che qui si giudicano indispensabili per stabilire regolari relazioni diplomatiche: gli Stati Uniti continueranno ad esaminare attentamente la situazione e non avranno preliminari contatti con Pechino (tramite, si precisa, quel loro console generale) se non quando i comunisti cinesi avranno dimostrato di avere costituito un Governo che possa legittimamente entrare a far parte della comunità delle nazioni.

Alle due principali ragioni addotte dal Dipartimento a giustificazione del proprio atteggiamento, altre ancora vengono poste in rilievo da questa stampa quasi unanime nel concludere circa la inopportunità di precipitare i tempi.

Si osserva, anzitutto, che il territorio occupato dai comunisti oggi è poco più esteso di quello occupato dai giapponesi tra il 1937 e il 1945, così che una parte importante del paese, ivi inclusa Formosa, è ancora nominalmente sotto la sovranità di Canton; questa considerazione è tanto più importante per gli Stati Uniti che già da più di mezzo secolo hanno dichiarato la loro opposizione di principio a ogni smembramento o minaccia all’integrità territoriale della Cina. Si osserva inoltre che la risoluzione proposta dal Governo nazionalista cinese alle Nazioni Unite potrà essere un importante fattore morale se accolta; quando le Nazioni Unite convenissero nel riconoscere che il nuovo regime comunista cinese ha potuto costituirsi non in seguito a una rivoluzione interna voluta dal popolo cinese ma grazie a pressioni esterne e ad aiuti forniti da Mosca, la posizione del Governo di Pechino non potrebbe non essere pregiudicata, specie per quanto si riferisce alla sua posizione internazionale.

Solo alcuni giornali minori sembrano non partecipare senza riserve a queste generali conclusioni, osservando principalmente che un non riconoscimento da parte dei paesi non comunisti avrà come sicura conseguenza quella di spingere Pechino ad abbandonarsi interamente a Mosca, così completando l’infelice politica del Dipartimento responsabile.

272 1 Vedi D. 257.

273

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A DAMASCO, TONCI OTTIERI

T. SEGRETO 8687/24. Roma, 7 ottobre 1949, ore 21,30.

Viene segnalato da delegazione italiana all’O.N.U. che il delegato della Siria sembra stia assumendo atteggiamento indipendente anche rispetto altri Stati arabi. Si dice inoltre che sia legato alla politica dell’Inghilterra. Nel discorso che ha pronunciato ha chiesto per la Libia l’indipendenza e l’unità senza tener conto alcuno degli interessi italiani. Circa la Somalia e l’Eritrea si è dichiarato favorevole alle proposte sovietiche. Si prega di attirare l’attenzione di codesto Governo su quanto sopra detto cercando altresì di ottenere che al delegato siriano all’O.N.U. siano inviate istruzioni intese ad appoggiare, specialmente entro il gruppo arabo, le testi italiane, le quali ricevono ormai l’appoggio di tutti i paesi sudamericani e musulmani1.

274

IL MINISTRO A CANBERRA, DEL BALZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 11249/44. Sydney, 7 ottobre 1949, ore 21,15 (perv. ore 18,15).

Mio telespresso urgente n. 012 del 17 settembre1.

Evatt mi ha confermato che Australia si associa in linea di massima ai progetti anglo-americani sulle nostre colonie.

Per la Libia stima non dovrebbe essere impossibile concordare formula fondata su indipendenza e unità che salvaguardi nostri interessi particolari in Tripolitania.

Per la Somalia considera che nostra amministrazione fiduciaria a tempo indeterminato o a lungo termine ha ottime probabilità di esser accolta.

Per l’Eritrea riconosce peso dei nostri argomenti e che spartizione non è soluzione migliore. Dichiara tuttavia che Australia dovrà sostenere proposte britanniche tanto più se appoggiate dagli U.S.A. Inoltre precedente compromesso italo-inglese avrebbe fornito, a suo avviso, indicazione che noi potremmo anche rassegnarci ad una spartizione qualora ottenessimo adeguate garanzie per Massaua Asmara.

Evatt ha finito con l’ammettere che saremmo in grado mobilitare consensi a favore tesi indipendenza sufficienti a fare fallire progetto anglo-americano. Per questo appunto raccomanderà alla delegazione Australia evitare prese di posizione troppo rigide.

Ritiene però che solo dopo aver accertato assoluta impossibilità di fare attribuire al Sudan Eritrea occidentale Inghilterra potrebbe indursi ricercare altre formule meno lontane dalla tesi italiana.

275

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11276/297. Belgrado, 7 ottobre 1949, ore 20 (perv. ore 9 dell’8).

Appena conosciuta dichiarazione Bebler all’O.N.U. circa colonie italiane1, avevo già chiesto conferire con questo vice ministro Mates. Colloquio è avvenuto stamane protraendosi per un ora e mezza.

274 1 Vedi D. 227. 275 1 Vedi D. 267.

Mates mi ha esposto punto di vista Governo jugoslavo che non sarebbe dettato da nessuna preconcetta ostilità verso l’Italia ma da ragioni di principio e da obiettivo esame questione.

Circa Libia tesi fondamentale è indipendenza immediata mentre forma di governo (unità o federalismo) dovrebbe dipendere da volontà popolazione. Per Eritrea mi ha ribadito tesi esposta da Bebler. Circa Somalia (per la quale Governo jugoslavo sembra ripiegare su tesi tutela essendo dubitoso su reale possibilità auto-Governo) Mates ha cercato giustificare mutato atteggiamento Governo jugoslavo, già favorevole a mandato italiano, con asserita mutata situazione e particolarmente con necessità di rafforzare autorità Nazioni Unite, di cui Mates ha fatto un vero elogio, attraverso mandato collettivo.

Ho chiarito punto di vista Governo italiano su intera questione ed importanza atteggiamento jugoslavo in relazione sviluppo reciproci rapporti. Ho poi messo in luce inconvenienza amministrazione Somalia e Eritrea occidentale e in particolare ho osservato che autorità e prestigio O.N.U. non sarebbero affatto diminuiti da amministrazione fiduciaria italiana che avrebbe pure sempre sotto sua tutela. Ho concluso dicendo che Governo italiano si attende che Governo jugoslavo quanto meno non voti contro soluzioni favorevoli Italia.

Mates mi ha ringraziato per franchezza e diffusa esposizione problema promettendomi informarne Kardelj delegazione jugoslava e maresciallo Tito.

Ritengo opportuno riferire che Mates incidentalmente ha espresso disappunto per atteggiamento stampa italiana di massima sfavorevole nei confronti Jugoslavia anche quando questo Governo compirebbe sforzi per migliorare rapporti fra i due paesi, onde esso Governo non potrebbe nemmeno sperare che detta stampa apprezzerebbe eventuale gesto amichevole verso Italia.

273 1 Per la risposta vedi D. 286.

276

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11277/159. Gerusalemme, 7 ottobre 1949 (perv. ore 8 dell’8)1.

Suo 1062.

Nei colloqui avuti con direttore affari politici ho nuovamente insistito per Somalia svolgendo argomenti contenuti telespresso segreto 3/2741 del 4 luglio scorso3 e commentando ultime dichiarazioni signor Eban delegato Israele presso Nazioni Unite. Direttore generale Eytan ha cercato spiegare dover giustificare posizione carattere ideologico comune per tre colonie assunta da Governo Israele dichiarando però essere

2 Vedi D. 251.

3 Vedi D. 10.

ferma intenzione Governo stesso evitare voto Israele possa nuocere richiesta italiana. In altri termini Eytan assicura che, ove esito votazione dipenda da voto Israele, delegazione voterà favore Italia. In tal senso Eytan avrebbe telegrafato ministro Israele Roma.

Pregandomi farne uso confidenziale Eytan ha aggiunto che ove proposta australiana di rimettere questione Somalia a Consiglio tutela venga presa in considerazione, delegazione Israele voterebbe in tal senso avendo ricevuto notizie sicure che Consiglio tutela prenderà decisioni favorevoli Italia4.

276 1 Manca l’indicazione dell’ora di partenza.

277

L’INCARICATO D’AFFARI A LA PAZ, GIARDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1935/385. La Paz, 7 ottobre 1949 (perv. il 22).

Riferimento: Mio telespresso 1883/368 del 1° corrente1.

A differenza dei suoi predecessori, questo ministro degli affari esteri non ha risposto per iscritto alla nota verbale con cui gli esponevo il punto di vista italiano sulla questione delle colonie, limitandosi ad accusare semplice ricevuta.

Comunque ho avuto varie conversazioni sull’argomento sia con lui che con il sottosegretario Alvarado e in modo più ampio ancora con il capo dell’Ufficio trattati e O.N.U. dottor Romero Saenz.

Da quest’ultimo avevo già avuto riservata visione dei progetti britannico e statunitense presentati a questa Cancelleria dalle rispettive rappresentanze diplomatiche locali.

Lo stesso dottor Romero è venuto ieri sera personalmente in legazione per darmi, in via confidenziale, conoscenza delle istruzioni scritte inviate alla delegazione boliviana a Lake Success sulla questione coloniale.

Tali istruzioni (già telegrafate a V.E.)2 sono state spedite soltanto tre giorni or sono, con notevole ritardo sul previsto, data l’assenza del presidente alla cui firma dovevano essere sottoposte.

Nel complesso esse non si discostano dal nostro punto di vista.

1) Amministrazione fiduciaria della Somalia all’Italia.

2) Concessione della immediata indipendenza alla Libia, intesa come un tutto unico. Nel caso non risultasse ciò conseguibile, concessione della immediata indipendenza alla Tripolitania. Per quanto concerne la Cirenaica e il Fezzan, dovrebbe essere lasciata facoltà di decisione alle potenze che attualmente occupano quei territori.

3) Concessione all’Etiopia di uno sbocco al mare (Assab) attraverso un corridoio che sia sotto la sua completa sovranità e indipendenza per tutto il resto del paese.

2 T. segreto 1175/52 in pari data, non pubblicato.

Durante il periodo preparatorio della indipendenza l’Eritrea dovrebbe essere amministrata dall’O.N.U. a mezzo di una speciale Commissione di cui evidentemente dovrebbe far parte un rappresentante italiano.

Al punto dello sbocco al mare da concedersi all’Etiopia il Governo boliviano annette la più grande importanza per l’analogia che esso presenta con la nota questione qui conosciuta sotto il nome di «portuaria» e che si riferisce allo sbocco al Pacifico (Arica) rivendicato dalla Bolivia.

Nel corso delle numerose conversazioni avute in questi giorni con il cancelliere Saavedra Nogales e con i più alti funzionari di questo Ministero degli esteri ho riscontrato che questo Governo è sempre animato dalle migliori disposizioni verso di noi nonostante le pressioni che sono state esercitate su di lui specialmente da questa ambasciata britannica.

Sebbene molto dipenda dallo svolgimento del dibattito sulle colonie a Lake Success, credo si possa avere fiducia nell’azione della delegazione boliviana il cui capo, ambasciatore Costa du Rels, è nostro provato amico.

Anche il secondo delegato, ambasciatore Ostría Gutierrez, risulta — come del resto conferma anche l’ambasciatore Fornari (Telespresso da Santiago del Cile n. 4439/543 del 20 settembre u.s.)1 — favorevolmente disposto nei nostri riguardi.

Questo ministro degli esteri mi ha detto che avrebbe telegrafato a Costa du Rels di abboccarsi con il conte Sforza se questi trovasi tuttora a New York. Spero lo abbia fatto.

Comunque permettomi consigliare che il nostro osservatore all’O.N.U. si tenga a contatto colla delegazione boliviana a Lake Success mentre per quanto mi concerne continuerò a tener desti l’interesse e l’attenzione di questo Governo.

276 4 Per la risposta di Zoppi vedi D. 306.

277 1 Non pubblicato.

278

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA

T. S.N.D. 8731/43. Roma, 8 ottobre 1949, ore 171.

V.E. autorizzata2 lasciare Nanchino e rientrare Italia. Ufficialmente V.E. è chiamata a Roma per conferire.

Si ritiene opportuno, data particolare situazione, che in occasione sua partenza Cippico non (dico non) venga notificato come incaricato di affari. Sia Cippico che Mizzan rimarranno ciascuno incaricati degli affari dei rispettivi uffici, l’uno a Nanchino e l’altro a Canton. Di fatto Cippico continuerà curare quel coordinamento che sarà possibile attuare nelle attuali contingenze.

278 1 Spedito «tramite ambasciata inglese».2 Vedi D. 261, nota 3.

279

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, LANZA D’AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO URGENTISSIMO 11310/519-520. Londra, 8 ottobre 1949, ore 19,30 (perv. ore 21,30).

Ho fatto subito comunicazioni di cui odierno telegramma di V.E. 4021 abbinandole con istruzioni contenute in telespresso urgente ministeriale 1726/C.2.

Conversazione con Stewart — col quale è stato concordato superiormente al Foreign Office [che] noi ci rivolgeremmo per tutte contingenti questioni coloniali — è passata per due fasi ben distinte: l’una ufficiale quasi minacciosa l’altra, la conclusiva, progressivamente cordiale.

Appena entrato nella sua stanza ho subito compreso che le dichiarazioni al Corriere della Sera3 di V.E. avevano fatto colpo e che mi si voleva intenzionalmente far passare un brutto quarto d’ora. Ascoltate le mie comunicazioni ed opportune osservazioni nel più gelido silenzio, Stewart mi ha detto dovermi subito premettere, su istruzioni formulate al più alto livello, che era l’ultima volta che a Londra si sarebbe ammesso di ricevere ufficialmente da parte italiana dei, sia pure indiretti, accenni e delle insinuazioni circa una scorretta attività od atteggiamento delle autorità britanniche periferiche nella questione coloniale. Che ero pregato personalmente di far pervenire a Roma questa definitiva dichiarazione a scanso di seguiti incresciosi. Al tempo stesso ero pregato di far sapere a Roma che l’Inghilterra intendeva, nei limiti del convenuto, di mantenere piena fede agli impegni assunti e che non vi era da parte nostra motivo alcuno di dubitarne e pertanto avvalerci, contro la verità e con pregiudizio di un futuro miglioramento di rapporti, di dolorosi e di incresciosi, da loro sinceramente rammaricati, incidenti purtroppo non improbabili in una situazione complessa e tesa quale è quella che si presentava in Tripolitania, in Eritrea ed in Somalia alle autorità britanniche che facevano con grandi difficoltà tutto quanto era umanamente possibile per evitarli.

A tale fine era anche auspicabile che i nostri rappresentanti sul luogo cercassero di collaborare attivamente con le predetta autorità al fine di dare un positivo contributo alla pacificazione di questa situazione, per tutti preoccupante, ed evitassero, anche indirettamente, di contribuire all’eccitazione degli animi.

Quanto sopra mi è stato detto con notevole fermezza e nella forma di un comunicato ufficiale imparato a memoria.

Assicuratolo che era mio dovere riferire in termini esatti sua comunicazione che mi lasciava pienamente tranquillo circa buona fede italiana. Gli ho però subito osservato che trovavo eccessiva sua «durezza» dato che nostre comunicazioni — a pre

2 Non rinvenuto.

3 Si riferisce all’intervista rilasciata da Sforza il 5 ottobre a New York al corrispondente delCorriere della sera, nella parte relativa ai rapporti italo-inglesi.

scindere dai nostri commenti sulla cui presunta inesattezza non potevo seguirlo — portavano purtroppo la prova del sangue e dell’immediato pericolo che correvano i nostri connazionali nelle loro vite e nei loro beni.

Si è allora iniziata la détente.

Se perfino in Europa — ha detto Stewart — durante periodi elettorali avvenivano spesso sanguinosi incidenti e lotte fratricide a maggior ragione non si poteva scartale tale possibilità in territori africani. Eccitazione animi, giustificata se non scusata da incertezze future soluzioni, poteva causare questi dolorosi incidenti aggravati da diversità razze, religioni e clientele. Compito inglese era durissimo e se, come non (dico non) si poteva escludere soluzione indipendenza Eritrea, era bene fin da ora Italia pensasse, dopo ritiro truppe inglesi, come tutelare suoi connazionali per non essere poi anche moralmente parte in causa, con eventuale adozione sua tesi a Lake Success, di scorrimento di sangue ben più grave tra diverse razze e religioni quelle popolazioni. Ho risposto a questa significativa esposizione tesi britannica, ora ufficiosa, che possibilità spartizione Eritrea ritorceva su di loro stessi argomenti e che, volendo limitare tristi prognostici, mi dava fin da ora orrore pensare cosa sarebbe successo sotto etiopi a tre generazioni di fedeli ed onesti ascari.

Per la Somalia si è valso degli stessi argomenti attirando però, con fondamento, attenzione Roma su fatto che in recentissimi incidenti nessun italiano era stato colpito bensì inglesi, polizia locale e indigeni e questo per la ferma reazione britannica ai disordini.

Per Tripolitania ha in particolare aggiunto, oltre le consuete considerazioni, che dovevamo tutti cercare di sdrammatizzare situazione; anche Italia con sua influenza su certi settori.

Ha concluso in tono volutamente amichevole augurandosi, come già aveva con me fatto, che questa preoccupante parentesi africana si chiudesse senza reciproche fondamentali incomprensioni e sopratutto senza ulteriori dolori per poter anche pensare ad un migliore futuro nei nostri rapporti in Africa.

Onoromi concludere con immediate, personali impressioni per quello che possono valere:

1) inglesi sono «scottati» da quanto sta forse succedendo a Lake Success e da «smascheramento» generico alcune possibili loro attività periferiche;

2) effettivamente non ammetterebbero altre comunicazioni ufficiali su tale delicata questione, tra l’altro perché queste attività sono giustificate solo dal pieno successo;

3) sono logicamente ansiosi per le indubbie preoccupanti responsabilità del momento;

4) infine desiderano, sia pure formalmente nei limiti degli impegni assunti, la piena affermazione loro interessi senza però rompere in alcun modo possibilità

— direi ora quasi sentita necessità — di un vero miglioramento con l’Italia ed in questi due desideri o necessità non hanno trovato ancora il loro equilibrio.

279 1 Del 7 ottobre, con il quale Zoppi invitava Gallarati Scotti a richiamare l’attenzione delForeign Office sulle responsabilità inglesi negli ultimi incidenti in Eritrea.

280

L’INCARICATO D’AFFARI A NEW DELHI, CARROBIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 11311/71. New Delhi, 8 ottobre 1949, ore 20,40 (perv. ore 21,20).

Mio telespresso 6231.

Vice ministro degli affari esteri mi ha detto che alla vigilia sua partenza per l’America primo ministro lo aveva incaricato comunicarmi che questo Governo non aveva ancora potuto prendere ulteriori decisioni circa questione colonie. Pandit Nehru riserva-si riesaminare intera questione con il segretario generale affari esteri indiano e con capo della delegazione indiana Società delle Nazioni non appena giunto a New York.

Dottor Keskar ha aggiunto essere sua impressione personale India finirà con l’appoggiare o per lo meno con il non (dico non) ostacolare amministrazione fiduciaria Italia in Somalia. Per Eritrea riteneva tendenza indiana sia per soluzione intermedia con assegnazione Etiopia alcune zone e sbocco mare e con indipendenza per il resto. Circa Libia non si è pronunciato.

Mi permetto ricordare opportunità che la candidatura indiana Consiglio sicurezza offre per eventuale azione paesi che favoriscono nostro punto di vista.

281

IL CONSOLE A MONACO DI BAVIERA, MALFATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11313/22. Monaco di Baviera, 8 ottobre 1949, ore 15,05 (perv. ore 23).

Governo militare sovietico deciso improvvisamente costituzione Repubblica popolare tedesca e formazione Governo zona orientale. Governo avrà sede Berlino che sovieti avrebbero intenzione evacuare chiedendo Alleati contemporaneo sgombero rispettivi settori. Contrariamente a quello della zona occidentale nuovo Governo oltre disporre formazioni armate avrà anche ministro esteri e del commercio estero, ciò che costituisce una ulteriore violazione accordo quadripartito.

Persona politicamente più influente zona orientale, comunista Fischer, attuale comandante polizia popolare non farebbe per ora parte del Governo ma continuerebbe a dipendere direttamente dal Comando sovietico.

Creazione Repubblica popolare tedesca porterà a cambiamenti occupazione sovietica zona orientale però più formali che sostanziali. Ritengo inoltre che Repub

blica popolare tedesca considerata dai russi Stato sovrano sarà quanto prima ammesso far parte blocco Cominform.

Ambienti politici locali ritengono che decisione sovietica finirà in fondo giovare Governo Bonn costringendo Alleati concedere sempre maggiore autonomia Stato occidentale.

280 1 Non pubblicato.

282

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 11321/302. New York, 8 ottobre 1949, ore 20,39 (perv. ore 8 del 9).

Conferito con Arce che insieme principali rappresentanti latino-americani ha ieri lungamente discusso con McNeil prima e con Jessup poi.

Inglesi confermano loro appoggio per trusteeship italiano Somalia pur facendo presente che alcuni Domini vi sono contrari; riconoscono impossibile soluzione da loro suggerita per Eritrea ed auspicano ora soluzione compromesso che dia qualche soddisfazione Etiopia; per Libia accettano idea Commissione internazionale per periodo interinale (senza però specificarne poteri) ma se essa dovesse occuparsi tutta Libia (e non della sola Tripolitania) inglesi sarebbero contrari alla partecipazione di un rappresentante italiano.

Punto di vista americano è nel complesso analogo a quello inglese, senza però aver prevenzioni per partecipazione italiana a Comitato unico per Libia.

Ho pregato Arce continuare tali contatti e scambi idee mantenendo per adesso fermo nostro punto di vista. Arce intende infine insistere per costituzione Sottocomitato quindici membri incaricato redigere progetti mozioni da sottoporre Comitato politico e composto in modo da essere sicuri avere maggioranza in Sottocomitato stesso.

Al ministro Sforza in navigazione ho telegrafato quanto segue:

«Nostri amici cominciato conversazioni collettive con inglesi e statunitensi con promettenti risultati. Lunedì continueranno con arabi e poi con asiatici sperando portarli accettare tesi a lei note. Si mantiene e intensifica atmosfera conciliante».

283

L’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11322/169. Rio de Janeiro, 8 ottobre 1949, ore 18,10 (perv. ore 8 del 9).

Cerimonia firma convenzione Brasile Italia è avvenuta stamani ad ore 12,30 in un salone del Palazzo Itamaraty. Hanno assistito a cerimonia anche segretario generale ambasciatore Rubens De Mello, nuovo ambasciatore in Italia Alves Souza, capi dei vari dipartimenti e servizi, funzionari Gabinetto ministro e Cerimoniale nonché funzionari di questa ambasciata.

Dopo firma plenipotenziari sono state scambiate, vivamente applaudite da presenti, parole di saluto e voti per due paesi e loro cooperazione dal ministro Fernandes e da me. Comunicato diramato alla stampa da Itamaraty contiene seguente commento:

«La convenzione odierna è stata negoziata durante vari mesi ed ha per obiettivo risolvere questioni ancora pendenti fra i due paesi e derivate dal trattato di pace. Mentre Governo brasiliano libera immediatamente beni italiani bloccati, ciò che virtualmente esonera Italia da pagare le riparazioni di guerra al Brasile, il Governo italiano dal canto suo si impegna promuovere organizzazione in Brasile una Compagnia immigrazione e colonizzazione che, con un capitale di trecento milioni di cruzeiros, si dedicherà a promuovere lo stabilimento di immigrati italiani nel territorio nazionale. I due Governi si impegnano concludere sollecitamente una convenzione sulla emigrazione. Accordo oggi firmato entrerà in vigore dopo la ratifica da parte dei due Governi»1.

284

L’INCARICATO D’AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11323/79. Madrid, 8 ottobre 1949, ore 21,19 (perv. ore 8 del 9).

Comunico che dopo varie mie consultazioni con ambasciatore Sangroniz e sottosegretario Suñer è stato deciso far partire per Roma signor Berdez di questo Istituto moneta estera con incarico di discutere concretamente rimanenti questioni finanziarie e monetarie relative trattative commerciali in corso.

Sangroniz mi ha detto ritenere che durante discussioni di Berdez si potrà procedere senz’altro alla formulazione dell’accordo stesso e che egli si ripromette venire costà a firmarlo in nome suo Governo appena sarà necessario. Suñer mi ha detto, in ultimo, aver incaricato addetto commerciale spagnolo costà attirare attenzione codesto Ministero su un paio contingenti contenuti lista merci italiane (sughero, carta e borace) dei quali Governo spagnolo chiedeva esclusione.

Da parte mia non ho potuto entrare in dettagli mancandomi ultima edizione lista. Suñer ha però aggiunto che per la parte commerciale accordo si poteva ritenere raggiunto e che ultimi contingenti non differivano sostanzialmente da quelli che avevamo concordato Madrid.

283 1 Il testo dell’accordo è edito in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXXI, cit., pp. 317-331. Il 12 ottobre veniva firmato anche il protocollo di amicizia e collaborazione tra l’Italia e il Brasile (ibid., pp. 458-459).

285

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 8750/541. Roma, 9 ottobre 1949, ore 9,30.

Mio telegramma n. 5401.

Voglia chiarire costì che non vorremmo che discussione svoltasi in Comitato difesa circa sede Gruppi regionali possa venire interpretata come dissidio italo-francese il che non risponderebbe né a nostre intenzioni né ad effettiva realtà. A nostro avviso, anche per maggiore rafforzamento tesi da noi sostenuta circa interdipendenza sistemi difensivi vari settori continentali europei, e necessità loro coordinamento, non vedevamo inconvenienti a che sede Gruppi regionali fosse unica ed eravamo favorevoli essi venissero concentrati Parigi.

Non seguendosi tale criterio era apparso logico che per tre Gruppi venisse scelta sede geograficamente più appropriata e che tenesse conto altresì necessità soddisfare opinione pubblica vari paesi interessati. Da ciò nostra richiesta che sede Gruppo mediterraneo fosse in Italia presumendosi che sede settore occidentale (che come noto ci fu detto doversi identificare con Patto Bruxelles che ha sua sede in Francia) fosse in codesto paese, e che a Londra avesse sede Gruppo nordico.

Essendosi Francia lasciata sfuggire sede Gruppo occidentale, sua improvvisa richiesta circa stabilimento Francia Gruppo mediterraneo, che si era scontato dovesse essere in Italia, non poteva non rendere estremamente perplessa nostra delegazione anche per necessità dare a nostra opinione pubblica convincimento che difesa Europa occidentale comprende settore terrestre italiano. Ed è ciò che ministro Pacciardi ha avuto evidentemente presente.

Sarebbe stato forse opportuno che Governo francese ci avesse informato della sua rinuncia a Parigi come sede settore occidentale, e della proposta che intendeva

presentare, e ciò allo scopo di evitare anche apparenza di pubblico contrasto vedute e per ricercare fuori del Comitato, e prima sua riunione, formula d’accordo che certamente potrà trovarsi ora per le normali vie diplomatiche.

Comunque sottolinei che è nostro proposito attuare con Governo ed autorità francesi intima e leale cooperazione in vista assicurare tutela interessi di difesa che ci sono fondamentalmente comuni e che sono del resto in armonia con la politica generale di amicizia perseguita dai due Governi.

Prego anche prospettare questione a S.E. il ministro di passaggio costì prossimi giorni2.

285 1 Pari data, con esso Guidotti aveva ritrasmesso i TT. segreti 11175/838-839 e 11274/841 del 5e 7 ottobre con i quali Tarchiani aveva riferito sull’esito della riunione del Comitato di difesa. Sull’argomento vedi D. 270.

286

L’INCARICATO D’AFFARI A DAMASCO, TONCI OTTIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11343/54. Damasco, 9 ottobre 1949, ore 13 (perv. ore 19,45).

Suo telegramma n. 241.

Questo ministro degli affari esteri che ho visto stamane mi ha confermato pienamente sue precedenti dichiarazioni di cui al mio telespresso 1975/427 del 17 settembre2 e cioè che Siria avrebbe aderito decisioni adottate altri paesi arabi. Di sua iniziativa ha già chiesto ieri telegraficamente chiarimenti alla delegazione Siria

O.N.U. circa atteggiamento da essa tenuto. Qudsi pensa che probabilmente alcune delegazioni arabe (Saudia, Iraq e forse qualche altra) non si sono trovate d’accordo. Ha promesso informarmi non appena riceverà risposta, assicurando da parte del suo Governo ogni possibile appoggio. Riferirò3.

285 2 Per la risposta vedi D. 291.

286 1 Vedi D. 273. 2 Vedi D. 228. 3 Vedi D. 290.

287

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, E AI MINISTRI A CANBERRA, DEL BALZO, E A PRETORIA, JANNELLI

T. SEGRETO 8767/C.1. Roma, 10 ottobre 1949, ore 18,30.

(Per Pretoria) Ho telegrafato Sydney2, Wellington, Ottawa quanto segue.

(Per tutti) Ambasciatore Tarchiani comunica quanto segue: (copiare telegramma da New York n. 301)3. Prego agire in conseguenza.

(Solo per Pretoria) Prego V.S. adoperarsi perché anche Governo sudafricano possibilmente agisca nello stesso senso presso suddetti Dominions rappresentando suoi generali interessi come potenza africana a soluzione auspicata da stessa Gran Bretagna e da Stati Uniti4.

288

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A CIUDAD TRUJILLO, G. ROSSI LONGHI

T. SEGRETO 8813/14. Roma, 11 ottobre 1949, ore 18,30.

Pregasi intervenire presso codesto Governo perché confermi telegraficamente sua delegazione O.N.U. istruzioni mantenersi solidale linea condotta che sarà assunta da altre delegazioni sudamericane in relazione progetti risoluzione che verranno in questi giorni presentati a Comitato politico su questione coloniale1.

2 Residenza abituale del ministro Del Balzo.

3 Dell’8 ottobre, con esso Tarchiani aveva comunicato la possibile adesione di Australia, NuovaZelanda e Canada al trusteeship collettivo per la Somalia e suggerito di svolgere i possibili interventi suquei Governi per guadagnarli alla tesi italiana o almeno assicurarsene l’astensione dalle votazioni.

4 Per le risposte da Ottawa, Pretoria e Wellington vedi rispettivamente i DD. 292, 320 e 294.Del Balzo rispose (T. segreto 11726/48 del 18 ottobre) di aver ricevuto da Evatt formale assicurazioneche la delegazione australiana avrebbe votato in favore del mandato italiano sulla Somalia.

287 1 Diretto, con il numero particolare 24, anche al console generale a Wellington, De Rege.

288 1 Con Telespr. riservato 540/393 del 20 ottobre Rossi Longhi rispondeva essergli stato assicurato che il delegato dominicano all’O.N.U. aveva già ricevuto istruzioni di appoggiare l’Italia nella questione coloniale.

289

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. SEGRETO 8824/201. Roma, 11 ottobre 1949, ore 22.

Suoi 305 e 3081 suggeriscono seguenti riflessioni per norma condotta nostra delegazione:

1) Conviene insistere perché indipendenza sia raggiunta in periodo tempo inferiore ai tre anni, e perché elezioni avvengano entro brevissimo termine. Ove sianvi difficoltà raggiungere tale fine per intera Libia conviene far sì che sia concordata formula perché Tripolitania abbia indipendenza in tempo più breve secondo nostra proposta.

2) Per quanto concerne elezioni, e particolarmente per Tripolitania, conviene, anziché fissarle un anno prima indipendenza, rimanere nel termine semestrale da noi proposto, o comunque non fissare termine ove dovesse essere superiore ad un anno lasciando così libere popolazioni interessate reclamarle per conto loro al più presto, e a Commissione consultiva di giudicarne opportunità.

3) Commissione consultiva non dovrebbe avere come compito soltanto formazione Governo federale e servizi comuni, ma dovrebbe, particolarmente per quanto concerne Tripolitania, esser competente per formazione Governo questo territorio e organizzazione relativi servizi. A tal fine sembra poco pratico che Commissione risieda fuori Libia rischiando così divenire un semplice doppione Commissione tutela O.N.U.

4) Nella preparazione norme Statuti Tripolitania Italia dovrebbe poter cooperare con Gran Bretagna se non altro per evitare che vengano creati fatti compiuti contrari a nostri interessi generici e a quelli specifici nostra collettività.

5) Quest’ultima dovrebbe essere rappresentata come quella araba nella prevista Commissione consultiva. Attiri attenzione delegazioni amiche, soprattutto quella americana, sul fatto che esclusione rappresentante collettività italiana potrebbe compromettere sin da ora posizione nostri connazionali in futuro Stato indipendente e sarebbe risentita da opinione pubblica italiana come atto ingiustizia.

6) Per Eritrea, pur ritenendo che proposta spartizione non (dico non) prevarrà, è necessario far presente fin da ora: a) assurdità applicare ad Eritrea e nei confronti Etiopia paragrafi 1, 2 e 4 art. 19 trattato di pace;

b) illegittimità applicare ad Eritrea ed a qualsiasi altro territorio ex coloniale nei confronti Etiopia e di qualsiasi altro Stato disposizioni economico-finanziarie territori ceduti, applicazione tra l’altro esplicitamente esclusa dal punto 19, annesso XIV;

c) assurdità che redazione Statuti municipali Asmara e Massaua sia affidata alla sola Etiopia, sia pure in consultazione con il Comitato interim dell’Assemblea.

È veramente sorprendente che nostri amici americani presentino proposte che feriscono così profondamente sensibilità, dignità e interessi italiani, ed è bene, trattato alla mano, spiegarne portata a delegazioni amiche.

7) Formula adottata per Somalia di «tutela internazionale con Italia autorità amministratrice» può prestarsi a dubbi in quanto sino ad ora sia Washington che Londra si sono dichiarate favorevoli tutela singola Italia in nome O.N.U.

289 1 Con il T. 11376/305 del 10 ottobre Mascia aveva trasmesso il testo della risoluzione statunitense presentata all’Assemblea generale dell’O.N.U. Lo stesso giorno Tarchiani aveva comunicato (T.segreto 11377/308) le preoccupazioni francesi per la proposta di un’unica Commissione consultiva pertutta la Libia.

290

L’INCARICATO D’AFFARI A DAMASCO, TONCI OTTIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11418/55. Damasco, 11 ottobre 1949, ore 22,10 (perv. ore 24).

Mio telegramma 541.

Questo ministro esteri mi ha comunicato stasera di aver telegrafato precise nuove istruzioni delegazione Siria O.N.U. perché rettifichi suo atteggiamento collaborando attivamente con altre delegazioni arabe scopo raggiungere l’accordo in merito questione coloniale. Egli mi ha espresso al riguardo suo ottimismo. Di nuovo Qudsi mi ha poi accennato questione rifugiati Palestina (miei rapporti 1° corrente 2122/483 e 10 corrente 2182/506)2.

Ricordatogli che l’Italia non fa ancora parte O.N.U. egli mi ha pregato chiedere che il nostro Governo appoggi punto di vista Siria (rimpatrio rifugiati) agendo presso la Santa Sede.

291

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 11430-11431/497-498. Parigi, 11 ottobre 1949, ore 21,13 (perv. ore 5 del 12).

Suo 5371.

Schuman essendo attualmente impegnato per crisi ministeriale mi ha fatto dire da Parodi che tiene massimo conto considerazioni V.E. e possibili ripercussioni questione su rapporti italo-francesi.

2 Non pubblicati.

Date difficoltà situazione francese Schuman è personalmente d’avviso consigliare astensione Francia da voto su questione Eritrea: non può però prima costituzione Governo francese assumere impegni dovendosi consultare con resto Gabinetto.

Mi ha fatto aggiungere che prevede non poche difficoltà da parte suoi possibili colleghi poiché, come sappiamo, atteggiamento da noi assunto per Tripolitania, per complicazioni che crea a Francia suoi territori nordafricani, rende molta parte mondo politico francese restia continuare appoggiare tesi italiane per questione coloniale.

Suo 5412.

Parodi è stato molto soddisfatto mie dichiarazioni circa nostra ferma intenzione continuare stretta collaborazione con Francia per tutto quello che concerne parte politica e militare Patto atlantico. Mi ha aggiunto che tale è anche intenzione Governo francese il quale è sempre più convinto che ciò sia necessario per interessi comuni.

Mi ha detto esserne stato tanto più contento in quanto informazioni ricevute da Washington gli avevano data impressione che discussione fra i due ministri avesse assunto forme piuttosto decise. (La stessa cosa mi era stata detta da fonti militari francesi).

Gli ho nuovamente spiegato ragione politica interna ed opinione pubblica che rendevano per noi inevitabile difendere, anche aspramente, certe posizioni. Gli ho ricordato che di tutto questo avevo a suo tempo (mio 2628)3 informato Schuman prevenendolo delle ragioni e spiegandogli come in nessun caso questo doveva da parte francese essere interpretato come azione diretta contro Francia: del che Parodi mi ha dato atto.

290 1 Vedi D. 286.

291 1 Vedi D. 268, nota 1.

292

L’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11436-11445/94-95. Ottawa, 11 ottobre 1949, ore 20,08 (perv. ore 8,45 del 12).

Telegramma di V.E. 87671.

Sono intervenuto subito per questione Somalia. Dirigenti questo Dipartimento esteri, i quali mi avevano dato di recente ripetute assicurazioni che Canada era sempre favorevole nostro trusteeship mi hanno espresso sorpresa per affermazione in contrario riferita da nostra delegazione Nazioni Unite.

Interlocutori che sembravano in buona fede mi hanno domandato insistentemente chiarimenti circa fonte notizia anzidetta nonché circa trusteeship collettivo di cui al suo telegramma. In conclusione mi è stato promesso che sarebbero assunte informazioni urgenti (ritengo presso delegazione Canada Nazioni Unite) e che mi sarebbero date possibilmente più precise notizie in giornata.

3 Vedi D. 11.

Per parte mia fu rilevato che Canada in gravi questioni internazionali suole ispirarsi atteggiamento Inghilterra ed America qualora queste due siano concordi. Né Ottawa avrebbe alcun desiderio oppure motivo ostacolare clausola per Somalia in contrasto benevolo atteggiamento Londra e Washington.

Direttore affari politici mi telefona a nome Dipartimento che secondo anche ultime notizie qui giunte le note informazioni da New York non risultano substantiated.

Egli si dichiara d’accordo io telegrafi a V.E. che «non ho qui trovato alcun indizio di mutamento» per quanto concerne nota posizione Canada circa Somalia.

Nel richiamare riserva di cui al mio telegramma precedente2 circa eventuale posizione concordata anglo-americana rilevo:

1) Canada sembra piuttosto sempre contrario trusteeship collettivo Nazioni Unite caldeggiato da Mosca. Sarei grato pertanto telegrafarmi informazioni circa trusteeship collettivo indicato telegramma di V.E.

2) Salvo eventuale azione personale mediatrice Pearson quale presidente Comitato politico Nazioni Unite (di cui per altro non si ha qui sino ad ora alcun sentore) sembrerebbe che Canada come già per il passato non intenda assumere per ora iniziative e parte speciale in questione colonie. Comunque permettomi segnalare opportunità che ambasciatore Tarchiani consulti anche ministro Martini influente membro questo Governo e delegazione Canada Nazioni Unite. Telegrafato Roma e New York.

291 2 Vedi D. 285.

292 1 Vedi D. 287.

293

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11438/313. New York, 11 ottobre 1949, ore 21,02 (perv. ore 7,30 del 12).

Assistente segretario Stato Hickerson ha chiesto oggi vedermi per intrattenermi su questione nomina Jugoslavia a Consiglio sicurezza. Ha premesso che predetta candidatura è stata posta da Jugoslavia ad insaputa Stati Uniti che deplorarono tale mossa e mantennero atteggiamento contrario anche dopo che jugoslavi giustificarono loro aspirazioni adducendo aver ricevuto incoraggiamenti Romulo e soprattutto argomentando che ammissione Consiglio sicurezza rafforzerebbe posizione Tito e di conseguenza garanzie pace europea. Hickerson ha però aggiunto che successivamente Dipartimento Stato ha cambiato idea ammettendo che elezione Jugoslavia a Consiglio di sicurezza potrebbe costituire importante elemento chiarificazione situazione internazionale. Secondo Hickerson tale punto di vista sarebbe condiviso da diverse delegazioni O.N.U. D’altra parte, sempre secondo Hickerson, Vyshinsky avrebbe svolto forti pressioni su Romulo per scoraggiare candidatura Jugoslavia, giungendo fino a minacciare uscita

U.R.S.S. da O.N.U. Ciò avrebbe indotto Romulo a maggior cautela ed egli cercherebbe

infatti ora negoziare nomina Jugoslavia contro concessioni vari interessati in questione Grecia, il che secondo Dipartimento Stato equivarrebbe a sabotaggio predetta nomina.

Ciò premesso, Hickerson mi ha pregato chiedere a codesto Ministero di autorizzarmi intervenire presso amici America latina affinché questi a loro volta appoggino elezione Jugoslavia. Ho risposto a Hickerson richiamandomi esposizione pensiero italiano fatta personalmente da S.E. il ministro ad Acheson e cioè essere opportuno aiutare economicamente Governo Tito ma altrettanto opportuno evitare incoraggiare troppo sue aspirazioni politiche per non eccitarne megalomania, soprattutto nei riguardi di questione Trieste. Ho comunque promesso che avrei chiesto istruzioni al riguardo a codesto Ministero.

In attesa predette istruzioni mi propongo sondare nuovamente, in via confidenziale e generica, intenzioni al riguardo dei più influenti delegati latino-americani che fino a qualche giorno fa mi si erano dichiarati di massima favorevoli ad aspirazioni jugoslave, ma che potrebbero aver cambiato opinione in seguito passo Vyshinsky.

Ove codesto Ministero decidesse aderire desiderio americano, nostro intervento presso latino-americani potrebbe assumere aspetto suggerimento negoziare loro eventuale appoggio candidatura jugoslava contro concessioni americane e jugoslave su questione coloniale1.

292 2 Si riferisce alla prima parte del presente documento.

294

IL CONSOLE GENERALE A WELLINGTON, DE REGE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11447/49. Wellington, 12 ottobre 1949, ore 14,20 (perv. ore 9,30).

Telegramma di V.E. n. 241.

Ho parlato oggi a questo segretario generale circa questione Somalia esprimendomi secondo le istruzioni ricevute. Sig. McIntosh mi ha riconfermato che, mentre non è stata ancora presa alcuna decisione definitiva, primo ministro è però effettivamente propenso appoggiare proposta amministrazione collettiva (mio telegramma 45)2. Atteggiamento delegazione neo-zelandese O.N.U. sarà deciso ultimo momento nel senso appoggiare progetto che sembri raccogliere maggioranza suffragi e di evitare qualsiasi isolamento Nuova Zelanda. Atteggiamento astensione, cui sig. Fraser è contrario per carattere, verrebbe pertanto deciso soltanto come ultima ratio. Avendo fattogli presenti incognite e difficoltà trusteeship collettivo segretario generale degli affari esteri mi rispose che suo Governo ritiene urgente dare comunque soluzione problema colonie italiane che si trascina da troppo tempo.

2 Vedi D. 115.

Occorre qui tenere presente che uno dei punti fondamentali della politica estera Fraser è di dare massimo appoggio Nazioni Unite cercando e favorendo soluzione grandi problemi internazionali nel quadro O.N.U. Egli pensa pertanto che l’impossibilità trovare soluzioni problemi colonie italiane danneggi prestigio O.N.U. e che occorre non ritardare ulteriormente raggiungimento soluzione anche se questa non dovesse essere la migliore.

Mentre ho già riferito altra volta circa simpatie — riconfermate in questa occasione — del primo ministro per la Lega giovani somali da cui egli spera possa uscire una classe dirigente, faccio presente ancora che, come prima di ogni discussione

O.N.U. circa nostre colonie, anche questa volta la N.Z.P.A.-Reuter ha inondato questa stampa notizie circa atteggiamento antitaliano e filo-britannico popolazioni colonie italiane e circa recenti incidenti Somalia. Per quanto questo Ministero degli affari esteri giudichi tali corrispondenze al giusto valore, azione primo ministro di fronte opposizione nazionalista viene notevolmente limitata specialmente nell’attuale periodo pre-elettorale. Nello stesso ordine di idee di massimo appoggio O.N.U. sig. Fraser ha deciso non opporsi progetto anglo-americano spartizione Eritrea pur ritenendo ciò un errore che può anche essere pericoloso.

Sig. McIntosh mi ha detto tuttavia che a quanto pare anche questa volta non si potrà raggiungere alcuna decisione definitiva e che in tal caso il tempo e studi maggiormente approfonditi non potranno che giovare progetto indipendenza Eritrea.

Secondo rapporti pervenuti Wellington esame da parte O.N.U. delle delegazioni somale ed eritree come pure di quelle cirenaiche e tripoline non ha servito finora a portare sulla questione maggiori lumi di quanti non se ne avesse già. Malgrado ciò egli mi ha riconfermato che non ci sarà opposizione a concessione indipendenza Tripolitania.

293 1 Con il T. segreto 11498/319 del 12 ottobre, Tarchiani comunicò che i paesi latino-americaniavrebbero appoggiato la candidatura jugoslava e che pertanto la nomina era ritenuta come certa. Per larisposta al presente telegramma vedi D. 297.

294 1 Vedi D. 287.

295

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. SEGRETO 8903/207. Roma, 13 ottobre 1949, ore 21,30.

Suoi 315 e 3171.

Ispirandoci direttive generali già contenute lettera Zoppi dell’8 u.s.2 e in telegramma n. 2013, riteniamo:

1) Si possa appoggiare proposta pakistana per Eritrea sempre che accesso al mare Assab costituisca parte integrante insieme progetto non distaccabile nelle vota

2 Non rinvenuto.

3 Vedi D. 289.

zioni, e cercando collegare a questa concessione soluzione per noi favorevole per Somalia. Tre rappresentanti popolazione locale in Commissione consultiva di cui al punto 2 dovrebbero comprendere un musulmano, un italiano e un copto. Accenno frontiere di cui al punto 3 dovrebbe riferirsi zona Assab. Altre frontiere risultano da trattati italo-anglo-etiopici e non si tratta di fissarle ex novo ma soltanto di delimitarle sul posto in alcuni tratti. Tale delimitazione potrebbe avvenire meglio a suo tempo in negoziati diretti fra Stato eritreo ed Etiopia con assistenza O.N.U.

2) Circa Libia possiamo entrare ordine idee di cui controproposta fatta ad inglesi da V.E. avendo presenti tuttavia precedenti istruzioni soprattutto per accorciare termini (punti 1 e 2 telegramma 201) e per riservare a Tripolitania possibilità raggiungere vera indipendenza anche prima di altri territori libici i quali verosimilmente continueranno essere occupati da Gran Bretagna anche dopo termine previsto per indipendenza. A tal fine risoluzione potrebbe contenere nel suo testo esplicito accenno a particolare situazione Tripolitania. Circa poteri Commissione consultiva richiamo punti 3, 4, 5 del telegramma 201.

295 1 Con il T. segreto 11495/315 del 12 ottobre Mascia aveva trasmesso la parte relativa all’Eritrea della risoluzione presentata dal Pakistan all’Assemblea generale all’O.N.U. Lo stesso giorno Tarchiani aveva comunicato (T. segreto 11496/317) la proposta fattagli dalla delegazione inglese di nominare undelegato dell’O.N.U. avente autorità su tutta la Libia coadiuvato da una Commissione consultiva per lasola Tripolitania.

296

L’INCARICATO D’AFFARI A L’AVANA, SANFELICE DI MONTEFORTE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11544/71. L’Avana, 13 ottobre 1949, part. ore 1,49 del 14 (perv. ore 10,15).

Questo ministro Haiti, seguito passi da me fatti senso indicato telegramma

V.E. 8789/C.1, mi ha dato comunicazione risposta pervenutagli a firma presidente Repubblica. Questi, facendo presente aver ricevuto (successivamente invio delegazione istruzione appoggiare tesi italiana) caldo appello negus per ritorno Etiopia territorio Eritrea, soggiungeva che comunque atteggiamento haitiano dipenderà politica italiana nei confronti Haiti anche in relazione partecipazione esposizione «che appare fin qui illusoria».

Dopo aver ribattuto tesi ritorno, adoperata da parte Etiopia per chiedere annessione territorio Eritrea mai ad essa appartenuto, ho aggiunto che ritenevo poter confermare partecipazione italiana esposizione internazionale. Circa politica Italia riguardo Haiti ho osservato non sembrarmi che da parte italiana si fosse dato motivo ritenere modificate buone disposizioni.

Ministro Haiti, premettendo telegramma ricevuto non contenere altri dettagli, ha espresso suo avviso che anche nomina incaricato d’affari con lettere, diminuendo rango nostra rappresentanza colà, aveva suscitato impressione non del tutto favorevole.

Per quanto riguarda Cuba ho ricevuto assicurazione da ambasciatore Gital che riservatosi darmi conferma domani dopo averne intrattenuto ministro Hevia2.

296 1 Dell’11 ottobre, ritrasmetteva alle rappresentanze in America latina il T. segreto 11378/306del 10 ottobre da New York, con il quale Tarchiani aveva, in vista della discussione all’O.N.U. del progetto di risoluzione statunitense per Libia ed Eritrea, segnalato l’opportunità di ottenere che i Governisudamericani confermassero alle rispettive delegazioni le istruzioni in favore della tesi italiana.

297

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. SEGRETO 8932/209. Roma, 14 ottobre 1949, ore 22,30.

Dai suoi telegrammi n. 313 e n. 3191 risulta oltretutto che delegazioni latino-americane sono già per la maggior parte propense appoggiare candidatura Jugoslavia Consiglio sicurezza.

In queste condizioni riuscirebbe difficile una opposizione che potrebbe avere soltanto limitate possibilità successo e ci porrebbe per di più in contrasto con linea politica americana. Ma bisogna cercare ottenere che latino-americani inducano jugoslavi sostenere nostra tesi coloniale sopratutto per Somalia e che nordamericani ottengano da jugoslavi assicurazione che si asterranno dal provocare nuovi incidenti con Italia (sopratutto in Zona B) presentando ciò come rispondente stesse esigenze politica americana2.

298

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11577/327. New York, 14 ottobre 1949, ore 21,05 (perv. ore 7,30 del 15).

Decisione odierna per periodo interinale precedente indipendenza Libia è stata oggetto aspra contesa. Durante seduta durata fino ore 2 del mattino, proposta per nomina Commissione O.N.U. era ieri stata respinta con voti dieci contro dieci ed un astenuto. Situazione difficile per nostra tesi era stata determinata da seguenti cause:

1) formazione sottocommissione non proporzionata, malgrado nostri sforzi, a reale disposizione delle forze;

2) proposta brasiliana per nomina alto commissario, proposta che ha disturbato piani altri Stati sudamericani;

3) violento atteggiamento delegato iracheno, ovviamente al servizio degli inglesi, contro nostro progetto;

4) dura ostilità McNeil contro di noi e sua aperta dichiarazione non ammettere nostra ingerenza in Cirenaica;

5) collusione atteggiamenti gruppo britannico e gruppo sovietico contro nostri progetti.

Durante due sedute odierne situazione è stata da noi pienamente ristabilita. Abbiamo fatto pressioni dirette ed indirette su delegati indiano ed iracheno, persuadendo il primo ed intimorendo il secondo. Abbiamo specialmente agito su delegazione Stati Uniti che ha pienamente risposto nostra aspettativa appoggiandoci contro inglesi.

Proposta per commissario unico, senza Commissione, chiesta da inglesi è stata respinta ed è stata approvata proposta indiana per nomina commissario aiutato da Commissione unica per tutta la Libia composta rappresentanti Italia, Francia, Gran Bretagna, Egitto, Pakistan e Stati Uniti. Proposta contiene facoltà commissario servirsi a sua scelta dei vari rappresentanti per differenti incarichi. Ciò allo scopo dare impressione che potrà eventualmente essere evitata ingerenza delegato italiano in Cirenaica.

Francia ha sollevato questione minoranze che ha poi fatto oggetto formale proposta del Guatemala approvata a leggerissima maggioranza. È impressione generale che tale proposta, che porterebbe a due i rappresentanti italiani nella Commissione, non passerà ulteriori votazioni perché già fin da ora Egitto ed Iraq hanno dichiarato essere decisi votare contro di essa. Tale proposta, benché per ora approvata, può essere causa irrigidimento molte delegazioni e recare pregiudizio al successo della tesi principale. Seguiremo quindi con molta attenzione suoi sviluppi.

Soluzione raggiunta oggi in sottocommissione è, secondo avviso tutti nostri amici, migliore di quella non passata ieri poiché presenza alto commissario le conferisce maggiore autorità. Ciò tanto più in quanto si parla di Padilla Nervo come possibile candidato a tale carica.

Segnalo magnifica opera svolta in nostro favore da Arce. Anche Francia ha dato prova di amicizia ed Egitto, Pakistan ed India di molta comprensione.

296 2 Il giorno seguente Sanfelice aggiungeva: «Ambasciatore Guell mi ha comunicato essere stateconfermate delegazione cubana istruzioni appoggiare tesi italiana e linea generale ove dovessero presentarsi varianti o nuove proposte sempre cercare seguire punto di vista italiano. In particolare delegazionecubana orientata soluzione seguente: Somalia mandato italiano in vista indipendenza quando possibile;Eritrea unità (Governo cubano non sembra tuttavia avere conferma questione Assab superata da concessione Zeila). Amministrazione O.N.U. per avviamento rapida indipendenza massime ingerenze minoranze italiane. Guell ha impressione che questione Eritrea non giungerà decisione presente Assemblea» (T.segreto 11573/72).

297 1 Vedi D. 293. 2 Con T. segreto 11735/344 del 18 ottobre, Tarchiani assicurò circa l’esecuzione delle presenti istruzioni.

299

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

TELESPR. RISERVATO 16/19636. Roma, 14 ottobre 1949.

Riferimento: Foglio di codesta Presidenza 6 corrente n. 2708/36435/486/61.

Questo Ministero ha preso atto della comunicazione citata in riferimento e concorda nell’opportunità sia di porre fine alla tattica dilatoria sinora seguita circa le

domande di riopzione presentate dopo il 27 novembre 1948, e sia di evitare comunque che lo sblocco delle medesime possa aver carattere di acquiescenza alle pressioni ed alle pretese austriache.

Circa l’avviso richiesto sull’ulteriore linea da seguire in materia questo Ministero non potrebbe che confermare quanto comunicato con il telespresso del 26 agosto

u.s. n. 9012 in cui si è dichiarato favorevole, in linea di principio, ad una soluzione di compromesso da concordare con il Governo di Vienna pur rilevando, in vista della sua pratica attuazione, la necessità di ridurre a proporzioni più ragionevoli le richieste avanzate da parte austriaca e di tener conto di certe osservazioni formulate dal Ministero dell’interno, osservazioni su cui ebbe ad esprimersi anche il ministro Cosmelli nella lettera b) del rapporto in data 14 settembre u.s.3 trasmesso a codesta Presidenza con telespresso 27 settembre n. 18384/358.

Dal peso e dalla portata delle osservazioni suddette, la cui valutazione esula dalla competenza di questa Amministrazione, dipende in buona parte la convenienza

o meno di continuare i contatti intrapresi con il ministro Versbach onde addivenire al cosiddetto gentlemen’s agreement. È questa la ragione principale per cui non si ritiene possibile assumere una precisa posizione sul problema, né appare utile insistere per ottenere sin da ora proposte concrete dal ministro a Vienna il quale ha già avanzato per parte sua il suggerimento, condiviso da questo Ministero (vedasi precitato telespresso 27 settembre n. 18384/358), di convocare anzitutto una riunione dei rappresentanti degli uffici ed organismi che sono qualificati per illustrare a fondo tutti gli aspetti politici, amministrativi e giuridici della questione.

Tale riunione costituisce, infatti, a parere del Ministero scrivente, il presupposto indispensabile per poter concordare l’ulteriore atteggiamento del Governo italiano sul complesso problema di cui trattasi.

299 1 Vedi D. 269.

300

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE LEGAZIONI A BAGHDAD, BEIRUT, DAMASCO, GEDDA E IL CAIRO

T. SEGRETO 8979/C. Roma, 15 ottobre 1949, part. ore 2 del 16.

Delegazione italiana all’O.N.U. riferisce che, su proposta rappresentante Guatemala, è stato approvato in Sottocomitato politico principio inclusione rappresentante minoranze (leggi collettività italiana) in Consiglio consultivo per la Libia composto da rappresentanti Egitto, Francia, Italia, Gran Bretagna, Pakistan, Stati Uniti, nonché da tre rappresentanti arabi per Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.

Tale risoluzione deve ora essere votata in Comitato politico e in Assemblea generale e nostra delegazione informa esservi opposizione vari Stati arabi.

3 Vedi D. 211.

Pregola insistere costì affinché rappresentanti codesto Governo non (dico non) si oppongano a tale proposta ma la sostengano in sede Assemblea. Faccia rilevare come, in contatti da noi precedentemente avuti con Lega araba, partiti arabi Tripolitania, e vari Governi arabi, fu sempre riconosciuto da tutte le parti che comunità italiana Libia è parte popolazioni quel territorio ed assumerà tutti doveri e diritti altre collettività locali. Proposta approvata in Sottocomitato costituisce quindi pratica applicazione affidamenti di principio avuti e opposizione costituirebbe ora atteggiamento poco amichevole verso Italia e manifestazione intolleranza contraria principii Nazioni Unite. Sottolinei che rappresentante collettività italiana, mentre curerà interessi economici suoi rappresentanti, collaborerà nel campo politico con suoi colleghi arabi per rapido raggiungimento effettiva indipendenza e non potrà quindi che essere di aiuto a questi ultimi in seno Commissione.

(Solo per Cairo) Spieghi quanto precede anche ad Azzam pascià1.

299 2 Vedi D. 151.

301

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, LANZA D’AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11607/544. Londra, 15 ottobre 1949, ore 14,14 (perv. ore 18,30).

Telespresso ministeriale 982/C. del 20 settembre1.

Capo Dipartimento Europa occidentale mi ha, di sua iniziativa, parlato del Patto atlantico e particolarmente dell’atteggiamento italiano nei riguardi sedi comitati regionali. Dichiarando rendersi conto motivi anche di prestigio per cui Italia ha patrocinato per gruppo Mediterraneo sede romana come anche Francia quella di Parigi, mi ha detto se, considerando realisticamente questione, non ci convenisse invece accettare Londra. Ciò non solo per contribuire praticamente indispensabile unità d’azione gruppi europei ma soprattutto perché, qualora si fosse presenti a Londra in Comitato Mediterraneo, anche con eventuale comprensivo aiuto britannico (sic), sarebbe stato più facile per noi partecipare indirettamente e così influire su lavori altri Comitati londinesi a cui non era possibile per il momento per noi accedere. In ogni modo, ha aggiunto che sede Parigi — la quale potrebbe essere nelle nostre intenzioni una di ripiego — non ci avrebbe dato né vantaggi morali né pratici.

Ho, s’intende, fatto ovvie decise obiezioni soprattutto attirando sua attenzione su fatto che difesa atlantica non può prescindere da riarmo morale popoli Europa che non è facilitato da sensazione monopolio anglosassone anche se tecnicamente giustificato. Tuttavia offerta britannica, pure se interessata, dà, mi sembra, alcuni motivi di seria riflessione2.

300 1 Per le risposte da Beirut, Damasco, Gedda e Il Cairo vedi rispettivamente i DD. 308, 307 e348 e 313. Non è stata rinvenuta una risposta telegrafica da Baghdad.301 1 Non rinvenuto. 2 Per la risposta vedi D. 319.

302

L’AMBASCIATORE AD ANKARA, R. PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11626/51. Istanbul, 15 ottobre 1949, ore 20,25 (perv. ore 7,30 del 16).

Visto Sadak. Insistito ancora una volta per astensione Turchia voto partizione Eritrea. Mi è stato promesso riesame questione in seno a Consiglio di ministri. So che questo Ministero è in proposito in comunicazione telegrafica con sua delegazione

O.N.U. Non dubito buona volontà Sadak. Resto scettico su sua effettiva capacità superare pressione avversaria.

303

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE DELL’U.R.S.S. A ROMA, KOSTYLEV

L. 1122 SEGR. POL. Roma, 15 ottobre 1949.

Ho l’onore di rispondere alla nota n. 422 del 19 settembre u.s.1 con cui V.E., richiamandosi alla precedente nota del 19 luglio u.s.2, ha confermato l’atteggiamento del Governo sovietico rispetto all’adesione della Repubblica italiana al Patto atlantico.

Il Governo italiano non ha rilevato nella citata nota nessun argomento od elemento di fatto che non sia stato già considerato nella mia nota n. 768 del 27 luglio u.s.3, con cui ho ampiamente illustrato portata, moventi e scopi difensivi del Patto atlantico. Devo quindi anch’io, a nome del Governo italiano, confermare a V.E. i termini della nota medesima.

Quanto al discorso tenuto al Senato della Repubblica dall’onorevole Pacciardi l’8 ottobre 19484, spiacemi constatare che il Governo sovietico, anche dopo la mia nota del 27 luglio u.s., continui ad attribuirvi interpretazione e senso che assolutamente non ha, dato che dal contesto delle dichiarazioni medesime risulta che il Ministero della difesa ha finora contenuto il programma militare italiano nei limiti posti dal trattato di pace.

Dalla nota di V.E. rilevo poi che sono sfuggite al Governo sovietico le ragioni per cui — in connessione con il Patto atlantico — ho fatto menzione della violazione dell’impegno assunto dal Governo sovietico di appoggiare la domanda di ammissio

2 Vedi D. 52.

3 Vedi D. 78.

4 Vedi D. 71, nota 5.

ne dell’Italia nell’O.N.U. Con nota del 19 luglio u.s., V.E. aveva fatto espresso richiamo all’art. 46 del trattato di pace per cui le clausole militari, navali ed aeree del trattato possono essere modificate in tutto o in parte «mediante accordo tra le potenze alleate ed associate e l’Italia o, dopo che l’Italia sia divenuta membro delle Nazioni Unite, mediante accordo tra il Consiglio di sicurezza e l’Italia». La difficoltà di riunire e di stabilire il consenso fra tutti gli Stati contraenti ed aderenti del trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, riduce in pratica solo alla procedura prevista nell’ambito del-l’O.N.U. la possibilità di ottenere una revisione dello stato di minorità militare, quale è quello imposto dal trattato e che nessun paese potrebbe accettare indefinitivamente. Va ricordato del resto che il Governo italiano si piegò alla firma dell’ingiusto trattato perché ritenne, firmando, di acquisire — con l’ingresso nell’O.N.U. — la possibilità di adire un’istanza superiore per la mitigazione e revisione delle clausole più onerose del trattato.

La dichiarazione contenuta nella nota di V.E. in merito all’atteggiamento del Governo sovietico nella questione dell’ammissione dell’Italia nell’O.N.U. verrebbe in sostanza a significare che l’U.R.S.S. adempie al suo impegno consentendo una ammissione di altri Stati. Ciò è in netto contrasto col preambolo del trattato di pace per cui l’U.R.S.S. è impegnata ad «appoggiare le domande che l’Italia presenterà per entrare a far parte delle Nazioni Unite ed anche per aderire a qualsiasi convenzione stipulata sotto gli auspici delle predette Nazioni Unite». Né spetta a me ricordare in questa sede il parere espresso in data 28 maggio 1948 dalla Corte Internazionale di Giustizia che, a termini dell’art. 4, par. 1 dello Statuto dell’O.N.U., ha negato ogni fondamento giuridico alla tesi che subordina il voto favorevole per l’ammissione di uno Stato alla condizione che altri Stati siano ammessi a far parte dell’O.N.U.

Desidero infine chiarire che, nella mia nota del 27 luglio, avevo ritenuto di accennare anche alla dolorosa questione dei prigionieri di guerra nel desiderio di indicare al Governo sovietico l’altra importante questione che, insieme con il veto all’ammissione dell’Italia nell’O.N.U. appare in contrasto con precise disposizioni del trattato di pace. In presenza ora di una dichiarazione come quella contenuta nella nota di V.E., devo per mia parte dichiarare che il Governo italiano considera tuttora aperta la questione dei prigionieri di guerra, e tale rimarrà fino a quando non avrà ottenuto soddisfazione alle varie richieste di carattere tanto generale che particolare avanzate per il tramite dell’ambasciata d’Italia in Mosca.

303 1 Vedi D. 231.

304

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. SEGRETO 8993/260. Roma, 16 ottobre 1949, ore 18,30.

Nuova York telegrafa quanto segue:

«Stamane, in occasione discussione su segnalazione sovietica pretese dimostrazioni antitaliane in Somalia, Bebler è intervenuto in senso nettamente a noi contrario.

Suo atteggiamento è più antitaliano di quello degli stessi sovietici. Arce mi ha per parte sua nuovamente promesso un intervento presso delegazione jugoslava in relazione nota candidatura Consiglio sicurezza»1.

Dica francamente che se Bebler continua in tale atteggiamento vengono meno presupposti politici e psicologici per inizio note trattative2.

305

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS

T. 9017/74. Roma, 17 ottobre 1949, ore 23,00.

Governo italiano esprime sua viva sorpresa e disappunto per comunicazione inviata a V.E. da Governo polacco1.

In particolare non può condividere affatto asserzione che decisione polacca «è basata sulle riserve che debbono sollevare oggi certe formule del processo verbale 3 giugno» e che Governo polacco dichiarasi pronto iniziare «nuove» trattative subordinatamente risultati conversazioni commerciali.

Governo italiano contesta anzitutto che art. 1 processo verbale debba interpretarsi come basato su reciproca intenzione che condizione per negoziati finanziari era la messa in vigore accordi economici poiché processo verbale si riferisce soltanto alla «conclusione» di questi ultimi, che è di fatto avvenuta, e non invece alla applicazione accordi stessi.

Del resto applicazione accordo annuale è già in corso. Comunque, se Governo polacco intende che processo verbale 3 giugno debba venire modificato e che future trattative finanziarie dovrebbero vertere non già su applicazione processo verbale come era sempre stato inteso, bensì ritornando indietro sul contenuto di esso, Governo italiano non ritienesi in grado iniziare conversazione per applicazione accordo lungo termine.

Voglia quindi chiarire d’urgenza tale punto e telegrafare2.

304 1 T. segreto 11628/329 del 15 ottobre. 2 Per la risposta vedi D. 317.305 1 Con T. 11588/112 del 15 ottobre e T. 11635/113-114 del 16 ottobre De Astis comunicava ledifficoltà sollevate dal Governo polacco per il proseguimento delle trattative finanziarie.2 Con T. 11806/117 del 19 ottobre De Astis comunicava di aver fornito chiarimenti al direttoregenerale degli affari politici e di aver sollecitato una risposta alla nostra nota. Vedi D. 338.

306

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI

T. SEGRETO 9032/109. Roma, 18 ottobre 1949, ore 15.

Suo 1591.

Ringrazi. Faccia però osservare che, giusta quanto telegrafa nostra delegazione, proposta Australia (seguita solo da Nuova Zelanda) è manovra inglese per ritardare decisione allo scopo indurci rinunciare indipendenza Eritrea. Non vedesi ragione ricorrere stratagemma fare intervenire Consiglio tutela quando in ogni caso trusteeship italiano dovrebbe essere approvato da Assemblea. Decisione Assemblea rimettere decisione a Consiglio tutela, data anche composizione quest’ultimo, pregiudicherebbe nostre possibilità2.

307

L’INCARICATO D’AFFARI A DAMASCO, TONCI OTTIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11712/56. Damasco, 18 ottobre 1949, ore 12 (perv. ore 16,15).

Telegramma di V.E. 8979/C.1, qui giunto quando questo ministro degli affari esteri era già partito Cairo partecipare riunione Lega araba. Ho intrattenuto dell’argomento questo segretario generale il quale, dopo aver conferito ministro esteri ad interim, mi ha assicurato stamane aver telegrafato istruzioni alla delegazione siriana

O.N.U. perché essa appoggi senz’altro nostra tesi, sempre nell’ambito dichiarazioni di cui al mio telegramma 542.

Mi risulta d’altro canto che delegazioni arabe ora riunite Cairo sono molto divise tra loro proprio su questioni Libia e Palestina.

2 Per la risposta vedi D. 332.307 1 Vedi D. 300.

2 Vedi D. 286.

306 1 Vedi D. 276.

308

L’INCARICATO D’AFFARI A BEIRUT, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11716/50. Beirut, 18 ottobre 1949, ore 15,15 (perv. ore 16,30).

Telegramma di V.E. 8979/C.1.

Governo Libano, al quale ho consegnato per iscritto tutti gli elementi fornitimi illustrandoli opportunamente con richiamo anche stesso Libano, pur dichiarandosi favorevole in principio, ha ritenuto doveroso telegrafare al proprio delegato all’O.N.U. per avere maggiori precisazioni.

Decisione ultima dipenderà quindi da risposta Malik.

309

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, LANZA D’AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO 11717/555. Londra, 18 ottobre 1949, ore 14 (perv. ore 16,30).

Telegramma di V.E. 4131. Ho fatto opportunamente conoscere a Foreign Office personale assicurazione di

V.E. sintetizzante così felicemente idealità con realtà. Non poteva che tornare gradita qui ed è stata riportata a Bevin.

Essa ha permesso che fossi poco dopo informato da uffici che sarei, per quanto possibile, tenuto preventivamente al corrente intenzioni inglesi su alcune principali questioni ora e poi all’ordine del giorno Consiglio Europa al fine anche riferirle chiarirle e discuterle amichevolmente senza assumere impegni reciproci di sorta. Sembra-mi quindi sia stata socchiusa normale possibilità anche per noi eventualmente far conoscere a Londra nostri desiderata in argomenti e comunque, se V.E. lo ritenesse ad un dato momento opportuno, dare impressione che alcune soluzioni sono state ricercate d’accordo.

308 1 Vedi D. 300.

309 1 Ad un interrogativo circa la posizione che l’Italia avrebbe assunto nella prossima riunionedei ministri degli esteri del Consiglio d’Europa, Sforza, con T. 8948/413 del 14 ottobre, aveva risposto:«Ella può assicurare che agirò sempre secondo quanto ho detto a Bevin: preferire cioè passi non rapidima sicuri piuttosto che improvvisazioni ideologiche troppo in anticipo di fronte attuale mentalità di varipopoli».

310

IL REGGENTE IL CONSOLATO A HONG KONG, CIPPICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11732/2-3-4. Hong Kong, 18 ottobre 1949, ore 22,50 (perv. ore 22).

Radio comunista cinese ultimi giorni ha più categoricamente invitato Governi rendersi conto realtà situazione ammonendoli non seguire Governo nazionalista. Nostri interessi potrebbero venire compromessi da un atteggiamento dei rossi a noi ostile. Comunisti potrebbero decidere non riconoscere trattato amicizia con Governo nazionalista e riportarci stato paese ex nemico.

Stati Uniti già mandato ieri loro incaricato d’affari a Chungking, e Parigi testé rinnovato istruzioni per inviarvi proprio funzionario il quale vi giungerà 22 corrente. Sembra che anche Filippine e Turchia manderanno funzionari prossimi giorni. Altri paesi sarebbero invece ancora molto esitanti. Inghilterra limitatasi affidare proprio console generale Chungking funzioni diplomatiche collegamento.

Questa ambasciata Stati Uniti dichiaratomi giorni fa Governo Washington apprezzerà vedere paesi amici rappresentati insieme con esso a Chungking al più presto.

Ros giunto qui stamane. Salvo nuovi ordini mi proporrei farlo proseguire prossimi giorni per Chungking secondo istruzioni già impartitemi e come è noto con qualifica di segretario1.

311

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11738/343. New York, 18 ottobre 1949, ore 13,35 (perv. ore 23,10).

Iersera dopo pranzo Jessup impiantata lunga discussione su colonie, presenti McNeil, Couve, Pearson, delegati Sud Africa, Australia, Nuova Zelanda, Norvegia, Danimarca, Olanda, Belgio, Lussemburgo e delegazione americana. Sotto viva pressione e mozione affetti Jessup McNeil colleganti promesse per Somalia con esigenze per Eritrea, ho vivamente riaffermato punto di vista V.E. arrivando per Somalia fino accoglimento di principio suggerimento indiano e per Eritrea sostenendo indipendenza o in caso mancanza due terzi rinvio con Commissione inchiesta O.N.U. Sola soddisfazione materiale possibile per Etiopia eventualmente sbocco Assab. Ho fermamente fatto presente che, nel giorno stesso in cui votata unanimità indipendenza

Somalia, era assurdo sostenere ancora smembramento sacrificio Eritrea. Ripetuto che ultima concessione può essere trattato amicizia perpetua, accordo economico doganale tariffario, ecc. ma non sudditanza politica e tanto meno militare. Jessup e Ross dichiarato considerare idea con interesse, ma minori collaboratori hanno continuato insistere invano per mio intervento presso latino-americani perché abbandonino tesi indipendenza e si arrendano necessità soddisfazioni ad Etiopia.

Ho naturalmente rifiutato aggiungendo che simile mia proposta sarebbe stata gravemente pregiudizievole interessi italiani perché amici avrebbero dubitato serietà, lealtà nostro procedere, e non avrebbe avvantaggiato interessi americani. Credo Jessup comunicherà a noi una precisa formula oggi o domani1. Gli ho raccomandato non uscire limiti trattato amicizia eritreo-etiopico da V.E. e da me accennato. Debbo segnalare che delegato India ha in serbo formula unione personale simile posizione Inghilterra-Canada senza alcuna rappresentanza diplomatica ed ingerenza militare e con solo governatore decorativo privo poteri.

Neozelandese suggeritomi confidenzialmente, raccomandandomi non nominarlo, che Roma telegrafi nostro rappresentante Wellington perché spieghi nostra accettazione suggerimento indiano per Somalia, giacché questa circostanza può far cadere avversione quel Governo nostro trusteeship. Penso lo stesso dovrebbe farsi Canberra dove simili sentimenti prevalgono2.

310 1 Per la risposta di Zoppi vedi D. 324.

312

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PERSONALE 11734/347. New York, 18 ottobre 1949, ore 21,38 (perv. ore 8,45 del 19).

Trusteeship unico per Italia su Somalia approvato oggi da Sottocomitato dopo lunga aspra discussione con 12 voti favorevoli 8 contrari nonostante accettazione di massima principio garanzie costituzionali proposte da India che si è astenuta. Trusteeship come telegrafato è per dieci anni rinnovabile a scadenza da Assemblea con maggioranza due terzi.

Votazione odierna può ripetersi anche in Comitato politico ma susseguente schieramento Assemblea con necessità due terzi non assicura successo specialmente se, come prevedono inglesi, si verificassero nel frattempo disordini in Somalia. Ne deriva opportunità prevedere compromesso con arabi ed asiatici che oggi hanno votato contro. Suddetti chiedono trusteeship a tre con Egitto ed uno Stato neutro non escluso eventualmente latino-americano. Per ora nessuno Stato che dovesse affiancarci sembra disposto a prendere alcuna parte spese trusteeship. Se Governo pensa

2 Per la risposta vedi D. 315.

accettabile trusteeship a tre deve tener presente tale circostanza. Americani dettomi aver interessato parecchi eventuali candidati. Nessuno ha accettato funzioni e tanto meno onere.

Prego V.E. valutare queste considerazioni e confortarmi del suo consiglio1.

311 1 Vedi D. 316, nota 2.

313

L’INCARICATO D’AFFARI A IL CAIRO, ARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11744/111-112. Il Cairo, 18 ottobre 1949, ore 22,20 (perv. alle ore 7,30 del 19).

Ho intrattenuto stamane questo sottosegretario degli affari esteri circa questione di cui al telegramma di V.E. 8979/C.1.

Sottosegretario mi ha detto essere all’oscuro proposta Guatemala ed ha spiegato ciò col fatto che delegazione egiziana ha facoltà risolvere sul posto questioni minori o sulle quali non vi siano dubbi circa linea di condotta da seguire. Ha aggiunto essere sua impressione che opposizione varie delegazioni arabe sia determinata dal convincimento che proposta Guatemala, più che intesa ad inclusione rappresentante minoranze italiane in Consiglio consultivo per la Libia, miri ad ammissione in Consiglio stesso rappresentante minoranze israelitiche locali. A questo Egitto non potrà mai esser favorevole, pur restando inteso che con ciò non intende farci cosa sgradita dato che inclusione Italia in Consiglio consultivo è stata da esso appoggiata: nostro paese avrà così, a suo dire, mezzo più efficace difendere interessi italiani ufficialmente in seno Consiglio.

Sottosegretario ha poi accennato a convenienza che italiani Tripolitania non vengano qualificati quale minoranza, dato principio — spontaneamente riconosciuto da Egitto — che comunità italiana Libia sia considerata quale parte integrale popolazione di quel territorio.

In seguito mie argomentazioni ed osservazioni circa sviluppi che questione potrebbe avere in sede di discussione presso Comitato politico ed Assemblea, sottosegretario di Stato affari esteri, senza peraltro voler fissare da qui linea di condotta in argomento a sua delegazione che non aveva ritenuto sollecitarla, ha acconsentito ripetere ad essa precedenti istruzioni tenersi in contatto con nostri delegati.

Questi ultimi a loro volta dovrebbero esporre punto di vista italiano a delegazione egiziana e, secondo gli sviluppi e possibilità successo proposta Guatemala, esaminare insieme situazione.

Anche Azzam pascià, al quale secondo quanto prescrittomi da V.E. ho illustrato questione, non mi ha nascosto sua contrarietà che minoranze israelite libiche possano essere rappresentate in Consiglio consultivo. Egli mi ha detto pure che perso

313 1 Vedi D. 300.

nalmente non vede con favore che nel Consiglio siedano differenti rappresentanti per tre territori libici, il che in certo senso può già essere considerato quale ammissione divisione paese. Ammettere anche rappresentanti minoranze pregiudicherebbe a suo avviso ancora più principio unità tecnica; mi ha comunque assicurato che non formulerà alcuna obiezione pregiudiziale e che lascerà singoli Stati arabi regolarsi sul posto per il meglio.

Azzam d’altro canto mi ha espresso confidenzialmente suoi dubbi che proposta stessa di costituire Consiglio consultivo per la Libia possa ottenere in Assemblea O.N.U. maggioranza richiesta, in quanto da parte britannica si stanno facendo anche presso singoli Stati arabi le più vive pressioni per respingerla, onde lasciare a sola Gran Bretagna compito condurre Libia ad indipendenza. Azzam mi ha fatto comprendere difficoltà in cui si trova di contrastare tali pressioni, augurandosi tuttavia che anche attraverso azione italiana presso delegazioni amiche sia possibile sventare manovre.

312 1 Vedi D. 318.

314

L’INCARICATO D’AFFARI AD ATENE, MARIENI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2833/985. Atene, 18 ottobre 1949 (perv. il 21).

La guerra civile causata dalla ribellione comunista è ormai terminata. Sono in corso solo piccole operazioni di rastrellamento contro sparute pattuglie di ribelli ancora all’interno del paese che tentano disperatamente di rifugiarsi oltre frontiera.

La fine della ribellione è dovuta tuttavia più che alle operazioni delle truppe governative e alla genialità del «generalissimo» Papagos al fatto che i ribelli sono stati abbandonati a se stessi, non ricevendo ormai rifornimenti che in misura irrisoria.

Ritiratasi la Jugoslavia dalla partita, anche la Bulgaria e l’Albania hanno ridotto gli aiuti che, d’altronde, non potevano fornire in grande stile. L’Albania sopratutto ha temuto di trovarsi sola, in definitiva, nella lotta contro l’esercito greco che aveva tutta l’intenzione di varcare la frontiera.

La ribellione insomma è finita per asfissia, perché il morale delle formazioni comuniste, non più rinsanguate in uomini e materiali, non ha permesso alle stesse una difesa ad oltranza; nelle operazioni ultime sul Vitsi e sul Grammos gli andartes infatti, dopo una limitata resistenza iniziale, si sono ritirati senza più combattere.

È ormai chiaro che anche la Russia ha giudicato non più opportuno o interessante impegnarsi a fondo in questa partita quando altri problemi più scottanti si presentano per la sua politica nello stesso settore balcanico e gli andartes possono tornare utili per altri obiettivi.

I greci tuttavia, opinione pubblica e Governo, non sono rimasti soddisfatti dal-l’esito della lotta. Volevano profittare dell’occasione per annettersi l’«Epiro del Nord». In questo spirito di rivendicazione erano stati cullati dai loro stessi alleati, specialmente dagli inglesi che in un primo tempo avevano lasciato intendere che presto sarebbe venuto il momento opportuno.

L’anglofilia di questi ceti dirigenti ha ricevuto un rude colpo: proprio Londra, più che Washington, è stata esplicita nell’impedire, all’ultimo momento, la realizzazione del bel sogno, per timore di gravi complicazioni internazionali.

Ne è derivata una grande amarezza; la stampa riflette questo stato d’animo e non mancano attacchi moderati alla Gran Bretagna rinfacciandole sopratutto il numero delle perdite subite dalla Grecia nell’ultima guerra mondiale e nella ribellione, che si asseriscono molto superiori a quelle di tutto l’Impero britannico.

In mancanza di più tangibili soddisfazioni ci si sfoga qui in parate e manifestazioni cui è spesso tenuto ad intervenire anche il recalcitrante Corpo diplomatico.

Quest’anno l’anniversario del 28 ottobre, che ricorda il «No» greco al nostro ultimatum, sarà festeggiato con particolari sbandieramenti e in tale occasione il generalissimo Papagos sarà nominato maresciallo di Grecia.

Si è in vena di militarismo e di retorica ultra-nazionalista e non si fa che dichiarare, anche da parte del Governo, che l’esercito greco è attualmente il meglio armato e il più addestrato d’Europa.

I greci ben pensanti e più scettici cominciano a essere preoccupati di tali atteggiamenti temendo quello che possa riservare l’avvenire da parte del blocco cominformista e ritenendo che queste pose siano fuori posto da parte di un piccolo, povero paese come la Grecia e non facciano che maggiormente esporlo.

La discussione all’O.N.U. della questione greca è pur essa fonte di delusioni per questa opinione pubblica: si domanda da varie parti alla Grecia di riconoscere definitivamente le frontiere albanesi, di addivenire ad una amnistia completa verso i ribelli; di procedere alle elezioni generali riammettendo nella legalità il partito comunista.

Per ora il Governo, di fronte agli attacchi contro la sua politica di repressione, ha dichiarato di sospendere l’esecuzione delle sentenze capitali già pronunciate. In pratica, a quanto risulta, le fucilazioni continuano sebbene con ritmo più lento.

È naturale che di fronte a tutte le suaccennate difficoltà della politica ellenica le azioni dell’attuale Governo di fronte all’opinione pubblica interna siano in ribasso e serie le critiche della stampa,

Si riparla, da molte parti, di crisi ministeriale alla fine della sessione dell’O.N.U. e dell’avvento di un Governo che prepari le elezioni, presieduto probabilmente dal generalissimo Papagos.

Anche il sovrano, in una recente intervista concessa al corrispondente del Daily Graphic e che ha suscitato qualche scalpore, si è fatto eco dello stato dell’opinione pubblica, augurandosi che le elezioni portino al Governo degli «uomini nuovi» e ironizzando sugli attuali uomini politici greci con frasi che colpiscono nel segno, pur non essendo forse troppo felici sulla bocca di un capo di Stato.

315

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. SEGRETO 9058/219. Roma, 19 ottobre 19491.

Suo 3432.

Dunn è venuto pregarmi caldamente fare accogliere dai nostri amici unione personale3.

Gli ho risposto che siamo disposti favorire qualunque formula gonfiante al massimo concetto intimità economica ma appunto perciò occorre mantenere integra formula indipendenza. Per sviluppati che gli eritrei siano è inammissibile pretendere che capiscano la finezza della posizione del re Giorgio a Ottawa. Gli ho aggiunto che finora gli attacchi contro il Governo e me personalmente erano senza forza ma che se accettassi la formula dell’unione personale avrei rovesciato la situazione nel Parlamento con conseguenza che lasciavo all’ambasciatore di illustrare se credeva dover suo farlo. Dunn conoscendo realtà fu molto impressionato4.

316

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 11792/355. New York, 19 ottobre 1949 (perv. ore 5 del 20)1.

Da comunicare immediatamente a qualunque ora a segretario generale.

Arce mi ha detto che Zafrullah gli ha proposto, a nome del gruppo arabo asiatico, di fare fronte comune contro insidioso progetto odierno Jessup (di cui mio 353)2, progetto che trova terreno abbastanza favorevole, e di votare indipendenza Eritrea

2 Vedi D. 311.

3 Si riferisce alla proposta presentata da Jessup al Sottocomitato politico dell’O.N.U., per laquale vedi D. 316, nota 2.4 Per la risposta vedi D. 322.316 1 Manca l’indicazione dell’ora di partenza.

2 Pari data, con il quale Mascia aveva comunicato che la proposta statunitense prevedeva: «1)Eritrea diventerà Stato autonomo federato con Etiopia sotto corona imperatore. 2) Sarà costituito GovernoEritrea conformità costituzione stesa da Commissione Nazioni Unite composta tre rappresentanti popolazioni locali (un musulmano un cristiano copta un italiano) e rappresentanti Brasile Etiopia Iraq Italia Gran Bretagna. Costituzione disporrà: a) protezione diritti umani libertà fondamentali tutti popoli territorio; b) imperatore avrà piena autorità su affari esteri e difesa Eritrea; c) opportune misure per autogoverno protezioneminoranze comunanza servizi e moneta; d) creazione unione economica doganale Etiopia Eritrea con liberomovimento persone e beni fra territori nonché sviluppo economico commerciale regione eritreo-etiopica».

sulla base proposta Argentina (mio 352)3, ciò a condizione che Italia accetti per Somalia proposta arabo-asiatica tutela triplice (Italia Egitto Brasile) che accetterebbero. Secondo arabo-asiatici questa proposta sarebbe unico modo per assicurarci due terzi raccomandazione Somalia; anche Arce mi ha pregato comunicare a V.E. che egli considera nostra accettazione proposta Zafrullah come vitale per successo soluzione intero problema colonie.

Ho risposto ad Arce che, in attesa istruzioni di V.E., cercasse in ogni modo ottenere formula che ci desse maggiore soddisfazione: per esempio trusteeship con Italia potenza amministratrice «assistita» da Egitto e Brasile. Arce ha consentito fare sondaggi in tal senso presentando tale controproposta come propria.

Poiché discussione progetto Jessup avrà inizio giovedì mattina prego impartirmi istruzioni immediate4.

315 1 Manca l’indicazione dell’ora di partenza.

317

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11800/303. Belgrado, 19 ottobre 1949, ore 16,40 (perv. ore 8 del 20).

Suo n. 2601.

Intrattenuto Brilej secondo istruzioni ministeriali. Egli fatto intendere che Belgrado si è astenuta dal dare precise istruzioni delegazione jugoslava presso O.N.U. che ha poteri di decidere atteggiamento Governo jugoslavo, anche in relazione sviluppo situazione a Lake Success. Ha però riferito che tale delegazione è stata informata dal punto di vista italiano da me esposto a Mates2. Secondo Brilej è probabile che delegazione jugoslava non prenderà più la parola sulla questione coloniale prima del voto. Brilej ha riferito comunque di dover partire per Roma. Secondo lui non vi può essere relazione tra atteggiamento jugoslavo su problema colonie e questioni da trattare a Roma che interessano reciprocamente due paesi. Ho comunque chiesto colloquio a questo ministro aggiunto Popovic3.

4 Per la risposta di Sforza vedi D. 318.

2 Vedi D. 275. 3 Vedi D. 321.

316 3 Pari data, la proposta prevedeva l’indipendenza dell’Eritrea con la forma di governo sceltada una Assemblea nazionale, composta dai rappresentanti degli abitanti del paese, e alla cui realizzazioneavrebbe dovuto collaborare una Commissione composta dai rappresentanti di Egitto, Etiopia, Gran Bretagna, Italia, Pakistan, Stati Uniti d’America e tre rappresentanti eritrei.

317 1 Vedi D. 304.

318

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. SEGRETO 9083/224. Roma, 20 ottobre 1949, ore 12.

Suo 3551.

Confermandole ogni opportuna facoltà di manovra ad referendum le raccomando tener presente come bisogni essenziali:

1) importanza essenziale di una amministrazione fiduciaria diretta in Somalia e quindi insistere accogliendo tutt’al più un controllo O.N.U. attraverso uno Stato arabo preferibilmente Libano e uno sud-americano;

2) circa Eritrea approvo progetto Arce2 e le confermo ciò che dissi qui con forza a Dunn3 ammettere le più ampie forme di solidarietà economica ma escludere il potere politico e militare del negus di cui mai Acheson e Jessup mi fecero cenno quando allusero meco all’unione personale.

319

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, LANZA D’AJETA

T. SEGRETO 9102/419. Roma, 20 ottobre 1949, ore 15,15.

Suoi 5441 e 5532.

Approvo suo linguaggio. Ad ambasciatore Mallet, che me ne ha parlato in termini analoghi, ho detto che soluzione proposta poteva avere suoi pratici vantaggi, ma che opinione pubblica italiana avrebbe difficilmente compreso che Comitato difesa del proprio settore non avesse sede a Roma, e che pertanto occorreva potessero esser messi in risalto tali vantaggi con qualche formula appropriata che assicuri anche in modo visibile coordinamento difesa settore continentale italiano con quelli continentali centro e nord Europa.

Verificandosi tale circostanza mi sentirei far comprendere nostra opinione pubblica opportunità concentrare sede tutti Gruppi a Londra. Mallet non ha alluso a creazione Ufficio collegamento a Roma sotto alto ufficiale alleato; ella vorrà astenersi dall’incoraggiare tale idea, mentre potrà dire che quando si entrasse in fase studio

2 Vedi D. 316, nota 3.

3 Vedi D. 315.

sedi Comandi vorremmo fosse scelta località italiana per sede Comando Mediterraneo come durante periodo nostra cobelligeranza, e come Comando settore occidentale si trova in Francia (Fontainebleau).

In tal senso si svolsero favorevoli conversazioni a Washington fra ministro Pacciardi, generale Marras e generale Morgan.

318 1 Vedi D. 316.

319 1 Vedi D. 301. 2 Del 18 ottobre, con il quale d’Ajeta aveva riferito di ulteriori conversazioni al Foreign Officesul tema della sede del Comitato regionale mediterraneo.

320

IL MINISTRO A PRETORIA, JANNELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11829/49. Pretoria, 20 ottobre 1949, ore 14,25 (perv. ore 19,30).

Telegramma di V.E. 8767/C.1.

Governo Sud Africa dichiaratosi immediatamente disposto accedere richiesta intervento da me avanzata a nome V.E. ed ha telegrafato delegato O.N.U. agire in conformità presso colleghi Dominions.

Mi è stato comunicato oggi risposta nel senso Canada promesso riconsiderare questione, Australia promesso appoggiare proposta questo Governo tutela italiana Somalia. Mancano indicazioni Nuova Zelanda.

Queste notizie mi sono state date sotto vincolo strettissima confidenza.

321

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11836/304. Belgrado, 20 ottobre 1949, ore 21,12 (perv. alle 8 del 21).

Stamane ho avuto lunga conversazione con questo ministro aggiunto Popovic circa problema colonie1. Popovic mi ha esposto motivi attitudine Governo jugoslavo dicendomi che loro fondatezza era tale che non poteva essere modificata. Ho insistito su importanza atteggiamento jugoslavo in relazione a sviluppi rapporti fra i due paesi e riflessi su opinione pubblica italiana e ho chiesto colloquio con Tito.

Questa sera ministro aggiunto Mates mi ha telefonato che Tito ha telegrafato a delegazione jugoslava presso O.N.U. di astenersi se verrà in votazione mandato a Italia per amministrazione Somalia.

321 1 Vedi D. 317.

Mates ha aggiunto che a seguito tale comunicazione riteneva superfluo mio ulteriore colloquio in materia con Tito. Segue telespresso su mia conversazione con Popovic2. Fin da ora mi permetto suggerire opportunità che dopo votazione stampa italiana metta in rilievo atteggiamento jugoslavo circa sorte Somalia.

320 1 Vedi D. 287.

322

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11838/363. New York, 20 ottobre 1949, ore 23,28 (perv. ore 8 del 21).

Suo 2191.

Risultandomi che Dunn, pur esprimendo sostanza pensiero V.E. era stato piuttosto laconico, ho esposto diffusamente a Jessup concetti contenuti sopracitato telegramma, sottolineando difficoltà parlamentari su opinione pubblica che incontrerebbe Governo italiano nell’abbandonare tesi indipendenza Eritrea.

Jessup ha molto insistito su necessità accordare soddisfazione Etiopia per non compromettere in Comitato politico od Assemblea risultati conseguiti per Somalia, mettendo accento su spirito collaborazione finora dimostrato da Stati Uniti in contrapposto a nostra rigidità per Eritrea.

Controbattuto rilevando come soluzioni proposte per Libia siano molto al di sotto nostre aspettative e come — secondo sue stesse affermazioni — questione Somalia fosse ancora indecisa. Non ritenevo perciò fosse il caso fare altre concessioni oltre a quella Assab e unione economica.

Ho tratto impressione che americani — notevolmente infastiditi da resistenza latino-americana per Eritrea, di cui ci attribuiscono responsabilità — intendono svolgere nuovo passo costà2.

2 Vedi D. 326.

321 2 Non pubblicato.322 1 Vedi D. 315.

323

IL MINISTRO A CANBERRA, DEL BALZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 1839/014. Sydney, 20 ottobre 1949 (perv. il 27).

Riferimento: Mio telegramma n. 48 del 18 ottobre1.

Come ho già telegrafato, ministro Evatt mi ha dato esplicita conferma di aver impartito istruzioni alla delegazione australiana all’O.N.U. di mantenersi in stretto parallelismo con punto di vista espresso da inglesi ed americani circa Somalia e di appoggiare pertanto mandato fiduciario all’Italia.

Ho colto occasione per ricordargli nostro atteggiamento circa termine del mandato fiduciario e osservazione da lui stesso fattami in passato che obbligo potenza amministratrice presentare rapporto annuale al Trusteeship Council fornisce, in ultima analisi, mezzo di controllare efficientemente progresso del territorio verso indipendenza.

Evatt mi ha ripetuto che tale resta sua opinione personale, ma che, anche su questo punto, Australia intende uniformarsi all’atteggiamento britannico e americano. Pertanto, allo stato dei fatti, egli ritiene che sua delegazione si pronuncerà in favore di quei termini di tempo che Inghilterra e Stati Uniti giudicheranno adeguati e che potranno risultare accettabili alla maggioranza degli altri paesi.

324

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL REGGENTE IL CONSOLATO A HONG KONG, CIPPICO

T. 9139/5. Roma, 21 ottobre 1949, ore 15.

Suo 2-3-41.

Nostro atteggiamento confronti situazione cinese ed in particolare Governo Pechino è stato chiaramente espresso in questi giorni occasione risposta Governo interpellanza Senato.

In detta risposta è stato fatto presente che non rientra abitudini internazionali riconoscere formalmente Governo mentre questo si trova ancora in stato guerra con altro Governo regolarmente costituito ed occupa soltanto parte territorio paese.

Il Governo italiano, è stato aggiunto, ha uffici propri nelle zone dei due belligeranti e si riserva prendere quelle misure che futuro sviluppo eventi faranno ritenere più opportune per tutela interessi nazionali.

324 1 Vedi D. 310.

Nel frattempo sono state inviate istruzioni a Tientsin accusare semplicemente ricevuta nota2 con cui Governo Repubblica popolare cinese si dichiarava disposto stabilire relazioni diplomatiche con tutti paesi.

Per Ros restano immutate istruzioni e pregasi disporre senza indugio per sua assunzione Chungking.

323 1 Non pubblicato, anticipava le notizie qui fornite.

325

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. SEGRETO 9143/228. Roma, 21 ottobre 1949, ore 22.

Questo ambasciatore britannico ha comunicato oggi che suo Governo è preoccupato dal fatto che risoluzione relativa Libia, proposta da Sottocomitato politico1, è andata oltre spirito intese intercorse con Alessandrini per loose federation e che in tale situazione esso Governo troverebbe difficile poter appoggiare nostre intese con Tripolitania in quanto dovrebbero essere concluse con Governo Libia comprendente anche Cirenaica. Delegazione inglese O.N.U. proporrà quindi in sede discussione Comitato politico accentuare concetto loose federation chiedendo stabilire in modo chiaro che modalità e forma futura federazione libica dovranno essere lasciate a decisione popolazioni tre regioni interessate. Mallet ha chiesto nostro appoggio presso latino-americani per tale emendamento. Abbiamo chiarito a Mallet che per parte nostra non abbiamo difficoltà alcuna ad affermare concetto loose federation che riteniamo favorevole interessi Tripolitania e nostri e che se Sottocomitato aveva deciso diversamente ciò era dovuto non (dico non) a cambiamento nostra attitudine, ma a proposta americana sostenuta da arabo-asiatici cui nessuno e nemmeno delegazione inglese aveva evidentemente creduto assumere iniziativa opporsi, che pertanto per emendamento propostoci era essenziale ottenere anche consenso americano; che per parte nostra lo avremmo appoggiato. Quanto precede per sua conoscenza e norma condotta. Ella può prendere al riguardo contatto con delegazione britannica, assicurandosi in questa occasione suo appoggio per mantenimento nostro rappresentante in Commissione Libia.

324 2 Vedi D. 257. 325 1 Vedi D. 298.

326

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. PERSONALE. Roma, 21 ottobre 1949, ore 11.

Mi son fermato un quarto d’ora di più al Ministero perché l’ambasciatore

U.S.A. mi ha pregato di dare un minuto per una comunicazione urgente.

Eccola: «Acheson supplica venirgli incontro massima urgenza, oggi stesso, nella necessità per una buona soluzione generale, che Italia aderisca alla formula anglo-americana di un negus «sovrano anche in Eritrea, con sola rappresentanza diplomatica e difesa del paese».

Ho risposto:

«Non posso, sarebbe tradire ciò che abbiamo detto e deciso. Del resto Acheson rende impossibile un mio eventuale andar più in là (per es. mera unione personale) quando dà al negus la difesa dell’Eritrea. Ciò significa la vita degli italiani e degli eritrei messa a disposizione dei saccheggi di orde selvagge».

Non ha insistito. Capiva che non potevo dir altro, ed è partito colla mia parola.

Lo telegrafo a Tarchiani1.

327

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. SEGRETO 9176/229. Roma, 22 ottobre 1949, ore 19,15.

Questo rappresentante Egitto è venuto, per incarico suo Governo, informarsi nostre reazioni a progetto mandato a tre per Somalia con Italia unica amministratrice.È stato risposto che proposta ci era effettivamente pervenuta da costì come parte di un progetto generale di intesa italo-musulmana-sudamericana comprendente adesione paesi musulmani a proposta Arce per Eritrea e che se tale scopo potesse essere veramente raggiunto, eravamo anche disposti in principio ammettere due angeli custodi come anello congiunzione fra Comitato tutela O.N.U. e amministrazione italiana, purché se ne precisassero funzioni in modo evitare difficoltà in loco e sfavorevole impressione su nostra opinione pubblica. Tenga conto di quanto precede anche in relazione seconda parte suo 3651. Ciò in quanto appare nostro interesse valorizzare

tanto nostra adesione a mandato a tre per Somalia quanto intesa italo-musulmana che ne deriva fin da ora, con appoggio sudamericani, indipendenza Eritrea. Potremo ricorrere a rinvio (con Commissione) dopo ottenuta almeno affermazione maggioranza su proposta indipendenza; ma ciò proprio come evidente soluzione estrema.

326 1 T. segreto 9125/226, pari data, non pubblicato.

327 1 Del 21 ottobre, con il quale Tarchiani aveva comunicato la proposta egiziana della formazione di un blocco italo-arabo-suamericano per ottenere l’approvazione delle formule già raggiunte per laLibia e la Somalia ed il rinvio della questione eritrea, avendone constatato l’impossibilità di soluzione.Tarchiani aveva aggiunto di ritenere tale proposta, appoggiata dai sudamericani e dagli altri Stati arabi, lapiù realistica e suscettibile di esiti positivi.

328

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, LANZA D’AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 4538/2218. Londra, 22 ottobre 19491.

Riferimento: Mio telegramma odierno2.

Per opportuna documentazione fornisco qualche ulteriore dettaglio circa quanto ho riferito con il telegramma citato.

Stamane sono stato convocato d’urgenza al Foreign Office dal sottosegretario Wright che mi ha ricevuto alla presenza del direttore aggiunto dell’African Department, Stewart.

Egli ha iniziato la sua conversazione esprimendomi notevole preoccupazione per gli sviluppi delle discussioni al Sottocomitato politico dell’Assemblea sulla questione della Libia. Tali sviluppi — a suo dire — stavano modificando sostanzialmente le rispettive posizioni per la Libia, quali risultavano dalle intese raggiunte da Alessandrini a Londra con il Foreign Office, che da parte inglese si erano concretate nel noto memorandum3.

A questo punto senza dirmelo esplicitamente, ed anzi in modo velato ma tuttavia significativo, Wright mi ha fatto intendere che la situazione era oggi tale che potrebbe forse consigliare il Governo britannico a riesaminare il suo atteggiamento.

Secondo lui infatti, per opera anche dell’azione dei rappresentanti latino-americani, le proposte sulla Libia erano venute accentuandosi eccessivamente sul principio dell’immediata unità del territorio, problema questo che da parte inglese si era chiaramente espresso dovesse rimanere solo come obiettivo finale e da raggiungersi attraverso intese successive, dopo che fosse stata realizzata l’indipendenza effettiva dei tre territori interessati.

Ho immediatamente risposto che nessun rimprovero ci poteva essere fatto in quanto la nostra delegazione aveva lealmente tenuto fede alle intese italo-britanniche, ed ho fatto osservare che se le risoluzioni del Sottocomitato erano indirizzate verso l’immediata unità del territorio, ciò derivava esclusivamente dalle proposte della delegazione degli Stati Uniti che avevano raccolto, a quanto sembrava, il favore latino-americano.

2 T. segreto urgente 11900/572, anticipava in sintesi quanto qui più ampiamente esposto.

3 Vedi D. 161.

Tali sviluppi dovevano quindi a mio parere attribuirsi invece ad una mancata intesa tra Washington e Londra, che noi non avevamo ragione di supporre non fosse intervenuta a suo tempo anche su tale punto.

Ho aggiunto che, per quanto era a mia conoscenza, ritenevo che ciò nondimeno noi non intendevamo discostarci dall’accordo raggiunto con Alessandrini, e che quasi certamente avremmo cercato di assecondare il desiderio britannico (che coincideva

— a mio avviso — anche con i nostri interessi) nell’invitare i nostri amici latino-americani a non insistere sul principio dell’immediata unità, con l’intesa che anche Londra da parte sua ottenesse dagli Stati Uniti la rinuncia a tale presa di posizione.

Wright ha allora riconosciuto che effettivamente noi avevamo tenuto fede agli impegni, e che le proposte statunitensi erano il vero ed imprevisto motivo degli sviluppi sopra accennati. Egli ha aggiunto che per rimuovere tali cause era in corso un’azione sia a Lake Success che presso questa ambasciata degli Stati Uniti, ma che il Governo inglese contava molto sulla nostra opera di persuasione presso le delegazioni amiche per facilitare il ristabilirsi di quell’equilibrio su cui erano basate le nostre intese.

Scendendo sul terreno pratico ho allora chiesto a Wright quale era la dizione che non incontrava il favore britannico. Egli mi ha indicato quella risoluzione del Sottocomitato politico che è redatta nei seguenti termini:

«Omissis recommends:

(a) with respect to Libya

(i) that Libya comprising Cyrenaica, Tripolitania and the Fezzan be established as a single independent and sovereign State. This independence shall become effective as soon as possible, and in any case not later than 1st January 1952».

A titolo esemplificativo Wright mi ha allora accennato ad una modifica che il Governo britannico ci proponeva al «wording» della risoluzione:

«che il futuro della Libia, senza pregiudizio di una possibile unità, sarà liberamente scelto dai suoi abitanti non appena essi saranno in una posizione internazionale tale da permetterlo».

Gli ho risposto che avrei immediatamente comunicato a V.E. il desiderio del Foreign Office e la proposta esemplificativa.

Poco dopo, non appena ricevuto le istruzioni telefoniche di V.E. mi sono nuovamente recato al Foreign Office ed ho comunicato ufficialmente a Wright quanto segue:

1) che il nostro atteggiamento per la Libia rimaneva quale definito nelle nostre intese, e che la questione dell’immediata unità non si poteva attribuire a nostre iniziative;

2) che avremmo subito svolto opera di persuasione presso le delegazioni latino-americane in vista di far possibilmente accettare nella risoluzione una dizione il più vicino possibile alle nostre intese, e che di questo avremmo anche fatta parola con la delegazione americana;

3) che ritentavamo che fosse compito principalmente britannico di far comprendere agli Stati Uniti tutta l’importanza di contribuire a mantenere il difficile equilibrio dell’intesa anglo-franco-italiana sulla Libia;

4) ho poi aggiunto che mi risultava che in quel momento il segretario generale stava ricevendo l’ambasciatore Mallet per fargli analoga comunicazione.

Wright mi ha ringraziato tanto per la rapidità della nostra risposta quanto per il suo contenuto chiarificatore e utile ai fini di una realizzazione delle nostre intese.

328 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

329

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI

T. SEGRETO 9189/152. Roma, 23 ottobre 1949, ore 15,45.

Ambasciatore Tarchiani telegrafa1 che Muniz, malgrado insistenze in senso contrario nostra delegazione, ha accettato — unico sudamericano — essere uno dei cinque presentatori soluzione ispirata suggerimenti delegato americano per federazione Etiopia-Eritrea, pur sapendo che tale risoluzione contiene disposizioni che annullano indipendenza Eritrea. Atteggiamento Muniz è dannoso perché pone in dubbio quella solidarietà latino-americana che dà tanto prestigio anche a tutta l’America latina. Prego V.E. intrattenere subito amichevolmente Fernandes perché trovi modo migliore (cioè senza ferire suscettibilità Muniz i cui sentimenti amicizia per noi sono sicuri) per far rettificare ultima attitudine delegazione brasiliana. Miglior modo per non ferire Muniz sarebbe fargli sentire che Fernandes parla per sua spontanea iniziativa di fronte acuta sensibilità italiana nella questione2.

330

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 9190/C. Roma, 23 ottobre 1949, ore 16,20.

Alle recenti riunioni Quai d’Orsay relative controllo commercio tra paesi Occidente europeo e paesi Europa orientale con partecipazione Italia, Francia, Gran Bretagna, U.S.A., Olanda e Belgio, Svezia non ha preso parte e Svizzera si è fatta rappresentare da semplice osservatore. Poiché è stata fissata data 14 novembre per altra riunione Parigi pregasi V.E. sottolineare codesto Governo vivo nostro desiderio che un passo sia compiuto da Governi americano, britannico, francese e italiano perché

2 Per la risposta vedi D. 343.

delegati svizzeri e svedesi vi partecipino; e perché venga espressa preoccupazione per atteggiamento assunto da Olanda e Belgio, data mancanza adeguato controllo loro esportazioni verso Oriente europeo.

Italia annette molta importanza a tali controlli, cui si è strettamente uniformata da un anno per quanto riguarda proprie esportazioni, in quanto pensa che il Patto atlantico conduca non solo a dei diritti per la difesa ed il riarmo, ma anche a degli obblighi, tra i quali ostacolare il potenziamento bellico altrui. Tutti Governi debbono essere perciò interessati che partecipazione svizzera e svedese sia assicurata e perché Governi di Bruxelles e dell’Aja facciano pervenire Parigi 1° novembre memorandum illustrativo misure adottate, giusto quanto convenuto sedute al Quai d’Orsay.

Qualora codesto Governo sia d’accordo perché passo predetto — da compiere a Berna, Stoccolma, L’Aja, e Bruxelles — abbia luogo, V.E. è pregata di avvertirne telegraficamente questo Ministero, che provvederà a dare istruzioni del caso alle nostre rappresentanze diplomatiche in quelle capitali.

329 1 T segreto 11935/375 del 22 ottobre da New York, non pubblicato.

331

L’INCARICATO D’AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11942/86. Madrid, 23 ottobre 1949, ore 14,15 (perv. ore 18).

Mio telespresso urgente 023 del 19 corr.1.

Secondo quanto mi ha riferito iersera Sangroniz, Suñer gli ha detto che progetto trattato di commercio elaborato costà è pervenuto a Governo spagnolo il quale lo ha approvato. Sottosegretario avrebbe già dato istruzioni a codesta ambasciata spagnola di comunicare tale approvazione a V.E. Circa firma si pensa qui che essa potrebbe avere luogo primi novembre2.

331 1 Non pubblicato.2 Vedi D. 405, nota 2.

332

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 11969/167. Gerusalemme, 24 ottobre 1949, ore 19 (perv. ore 23).

Trasmetto seguente telegramma Gasparini:

«Ringraziato e svolto argomenti di cui al telegramma di V.E. n. 1091 circa proposta Australia rimettere questione Somalia Consiglio tutela. Direttore affari politici assicurato oggi che anche in questo caso Governo Israele era intenzionato evitare che proprio voto possa nuocerci e che pertanto ove proposta Australia venisse messa ai voti, delegazione israelita voterà favore tesi italiana ossia contro proposta ove da voto israelita dipendesse esito votazione. Istruzioni in tal senso sarebbero state già inviate a delegazione israelita».

333

COLLOQUIO DEL SEGRETARIO PARTICOLARE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, CANALI, CON L’AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, MALLET1

APPUNTO. Roma, 24 ottobre 1949.

Mallet esprime rammarico per lo stato attuale dei rapporti italo-inglesi e si domanda come mai si sia potuto arrivare a tanta esacerbazione. Si dichiara perplesso per le dichiarazioni di Sforza al Corriere della Sera2 e, più particolarmente, per quelle apparse e poi smentite sulla Stampa di Torino. «Queste cose», aggiunge, «Sforza non le ha dette sul piroscafo a Bevin con cui è stato anzi cordialissimo. Non sarebbe stato meglio essere più esplicito e franco di fronte a Bevin, e risparmiare questo ulteriore colpo ai nostri rapporti?».

Preciso che, con Bevin, Sforza avrà trattato problemi particolari; mentre sulla Stampa si trattava di passare in rassegna tutto il quadro dei nostri rapporti in generale.

Mallet prosegue: «Ma perché si attribuisce tutta la colpa per la questione delle colonie a noi inglesi? Vi dimenticate che furono i russi due anni fa a bocciarvi la definizione del problema coloniale? Siete stati poi voi a parlare dell’indipendenzadella Libia e a portare le cose a questo passo. È quella l’origine dei guai di oggi».

Rispondo che dell’azione negativa della Russia tutti siamo convinti. È cosa ormai scontata che essa mette i bastoni fra le ruote; ma lo fa quando tutti gli altri sono d’accordo. Da tempo però essa si è potuta risparmiare questa azione negativa

2 Vedi D. 279, nota 3.

perché l’opposizione l’ha fatta l’Inghilterra, mettendo talvolta in grado i russi di fare i paladini della nostra causa.

Per quanto riguarda l’indipendenza è noto che la nostra primitiva dichiarazione venne dopo e come conseguenza logica dell’azione del Foreign Office in Cirenaica e del fallito compromesso Bevin-Sforza.

In ogni caso, ho soggiunto, occorre esaminare serenamente tutta la serie di cause che ci hanno condotto all’attuale crisi: anzitutto la vostra opposizione alla nostra entrata nel Patto atlantico.

Mallet: «Ma noi in buona fede e con serenità abbiamo creduto che l’ombrello non bastasse a coprire tutti; e ci sembrava dover limitare, all’inizio, il settore da difendere, date le esigue forze disponibili. Del resto la vostra tesi è stata accolta, ed ora ci siete dentro».

Proseguendo nell’elenco dei motivi degli odierni dissapori, ricordo l’O.E.C.E.: a questo Mallet dichiara che occorre comprendere le difficoltà dell’Inghilterra; ad esempio se gli inglesihanno acquistato i nostri prodotti ortofrutticoli, lo hanno fatto per

.

amore della cooperazione europea e malgrado l’opposizione degli agricoltori britannici (di cui egli fa modestamente parte), i quali non riescono a vendere le loro merci per colpa nostra. Rilevo scherzosamente che non saranno stati certo i coltivatori inglesi di agrumi che si sono lamentati; e che comunque queste proteste inglesi erano certamente meno vibrate di quelle avanzate da certi ambienti industriali e politici italiani contro il Governo per la perdita di oltre 50 miliardi di lire sui crediti in sterline.

Continuando, ricordo la diffidenza nel Governo italiano democraticamente eletto ed il motivo così spesso addotto del pericolo comunista in Italia e in Africa per negarci soddisfazioni (e ciò soltanto, tra tutti gli Alleati, da parte inglese).

A questo Mallet reagisce vigorosamente dichiarando che lui stesso ha troncato ogni atteggiamento del genere scrivendo a Bevin personalmente, e ottenendo da lui una dichiarazione, già comunicata al conte Sforza, nel senso che De Gasperi e la sua coalizione sono oggi la migliore soluzione per l’Italia.

Osservo che purtroppo nessuno in Italia conobbe questa dichiarazione e che non si può quindi pretendere che compensi o neutralizzi gli effetti negativi dell’atteggiamento inglese.

«Crede lei che sarebbe utile renderlo pubblico?» domanda. Rispondo che avrebbe potuto riuscire forse utile. Egli dice di voler vedere cosa si può fare ora, e mi prega di riferire intanto al presidente.

Ritornando alla questione delle colonie, Mallet osserva che la tesi dell’indipendenza per l’Eritrea è insostenibile: meglio la spartizione o l’annessione con il negus; del resto i copti la vogliono e sono il 45% della popolazione. Osservo che la tesi della spartizione è, e ne elenco i motivi, antidemocratica e politicamente e moralmente inopportuna. Ma non è questo che interessa. Noi cerchiamo le ragioni dell’attuale tensione; e, come per l’Eritrea così per tutti gli altri casi che abbiamo esaminato, si è sempre constatato che la Gran Bretagna, per ragioni magari spiegabili oppure per una deprecabile coincidenza, ha sempre e sistematicamente sostenuto, tra le varie tesi,quella più sfavorevole all’Italia. È evidente e naturale che vi sia una reazione dei vari settori dell’opinione pubblica italiana, cui le motivazioni addotte dagli inglesi a giustificazione dell’azione costantemente ostile non sempre possono interessare.

Persino l’obbligazione morale della promessa ai senussi (di cui Mallet aveva ricordato la importanza nel corso del colloquio) coincideva troppo con il vantaggio materiale che ne derivava alla Gran Bretagna perché tutti si potessero convincere della bontà della tesi. («Certo là ci sono le basi», commenta Mallet).

Egli termina prospettando la ripresa del discorso in luogo più tranquillo, all’ambasciata, dicendosi inoltre a disposizione del presidente del Consiglio «se crede utile ricevermi», e pregandomi di trasmettere questo suo pensiero.

Il colloquio si è chiuso con cordialità, nonostante che nel corso di esso per due o tre volte Mallet si sia non poco accalorato. Aveva l’aria di essere seccato, convinto di aver ragione in generale pur cedendo su singoli punti, e desideroso di dirimere le differenze.

332 1 Vedi D. 306.

333 1 In Archivio De Gasperi.

334

IL MINISTRO A PRAGA, VANNI D’ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12018/77. Praga, 25 ottobre 1949, ore 18,25 (perv. ore 2 del 26).

Internunziatura apostolica ha ieri rimesso Ministero affari esteri energica nota di protesta per note leggi religiose che entreranno in vigore 1° novembre. Nota dichiara leggi in contrasto modus vivendi Santa Sede-Stato cecoslovacco 1928; contesta affermazioni queste autorità secondo cui Governo intenderebbe con esse migliorare condizioni clero, mentre in realtà non si preoccupa che attuare piano perfetto asservimento Chiesa; rileva nuovo organo trattazione affari ecclesiastici essere soltanto strumento per completa sottomissione Chiesa a controllo governativo staccandola da Santa Sede; denunzia inasprimento persecuzione clero, facendo presente che ecclesiastici arrestati, scelti tra elementi più necessari e capaci, superano ormai i duecentocinquanta.

È facile previsione che con entrata in vigore nuove leggi religiose con funzionamento nuovo organo affari ecclesiastici, posizione di questo internunzio, in quest’anno da segretario non riconosciuto quale incaricato d’affari e da tempo non più ricevuto al Ministero affari esteri, diverrà sempre più precaria.

335

IL MINISTRO DEGI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. SEGRETO 9284/237. Roma, 26 ottobre 1949, ore 13,30.

Dal suo 3811 ritengo ella intenda che la posizione e funzioni dei due altri Stati sia mantenuta nei limiti indicati nel mio 229.

Riferendomi a detto telegramma confermo quindi istruzioni in esso contenute e autorizzola comportarsi in conseguenza.

335 1 Del 25 ottobre, con esso Tarchiani aveva richiesto l’autorizzazione a comunicare ufficialmente alle delegazioni arabe e sudamericane la posizione italiana sull’Eritrea in base alle istruzioni ricevute con il D. 327.

336

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, LANZA D’AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 12064/589. Londra, 26 ottobre 1949, ore 14,50 (perv. ore 18,30).

Con riferimento a quanto telegrafato con miei 536 e 5401 al Foreign Office mi si è voluto intrattenere confidenzialmente su quelle che sarebbero state, nelle loro grandi linee, decisioni del Ministero esteri proposte a Bevin (e pertanto ancora subordinate sua ultima decisione) circa atteggiamento inglese in imminente riunione Parigi Comitato ministri del Consiglio Europa.

Riassumole ad ogni buon fine con riserve del caso:

1) per temperare anche generale impressione circa politica poco collaborativa dimostrata Strasburgo e con ultimi avvenimenti, inglesi intenderebbero dare assicurazione innanzi tutto loro effettiva partecipazione e quindi ammettere, con certe cautele e limiti, rafforzamento e migliore funzionamento Assemblea e ciò sopratutto: con creazione Segretariato Assemblea; con istituzione Commissioni parlamentari solo semi-permanenti (come quelle affari generali, procedura ecc.); infine con ammissione più ampie rappresentanze nazionali sempre però proporzionate a presente distribuzione seggi e non fino a proposito raddoppiamento di questi.

2) A questo rafforzamento Assemblea dovrebbe corrispondere tuttavia più precisa determinazione alcune per ora inderogabili competenze e diritti iniziativa del Comitato ministri particolarmente per tutto quanto in definitiva possa limitare sovranità Stati e indipendenza politica Governo (fondamentale è per loro, ad esempio, ammissione nuovi Stati).

3) Per poter permettere a Comitato ministri pratico, effettivo funzionamento per svolgimento suoi vasti compiti cui non può accudire in saltuari affrettati incontri (come qui considerano quello prossimo di Parigi) verrebbe proposta creazione «deputies» dei ministri per ordinaria amministrazione ed elaborazione proposte rilevanti da competenza ministri, in vista successiva decisione ministri stessi o presentazione Assemblea o sue commissioni. Ministri e loro «deputies» dovrebbero essere affiancati da sottocomitati ad hoc composti elementi tecnici, in genere di funzionari.

4) In conclusione Foreign Office, pur proponendo passo avanti verso collaborazione europea, polarizza sua attenzione a che, nell’attuale abbozzo del super-Stato europeo, potere esecutivo (Comitato ministri) non venga sommerso fin dai primi giorni da iniziativa potere legislativo (Assemblea), pur ammettendo in futuro

— almeno a parole — possibilità storica evoluzione due poteri, tendente, in fase più matura, preparazione popoli a rovesciamento posizioni.

In fine, con creazione deputies e sottocomitati ad hoc del Comitato ministri, Foreign Office si propone ovviamente di partecipare più direttamente a prudente programma politica comune augurandosi che stessa intenzione abbiano altri Ministeri esteri nell’interesse sviluppi pratica collaborazione europea e sopra esposta graduale evoluzione.

Riservomi riferire V.E. alcune questioni specifiche sull’argomento.

336 1 Rispettivamente del 13 e 15 ottobre, con i quali d’Ajeta aveva segnalato l’intenzione britannica di ristabilire l’atmosfera di collaborazione europea, compromessa dal provvedimento di svalutazionedella sterlina.

337

L’INCARICATO D’AFFARI A DUBLINO, PAULUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12074/41. Dublino, 26 ottobre 1949, ore 19,14 (perv. ore 7,30 del 27).

Suo telegramma 9250/C.1.

Come già riferito con mio telespresso 551 del 19 corr.2 questo Governo è favorevole appoggiare ammissione Austria nel Consiglio Europa. Per quanto concerne Germania occidentale e Saar, questo segretario generale mi ha oggi precisato che linea di condotta decisa dal signor Mac Bride sarà la seguente:

1) in ragione neutralità Irlanda nell’ultima guerra non (dico non) assume iniziativa;

2) appoggia ogni proposta ammissione Germania occidentale purché non subordinata preventiva oppure contemporanea ammissione Saar a meno che tali condizioni vengano accettate dalla stessa Germania;

3) non obietta ammissione Saar posteriormente ammissione Germania.

338

L’AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12089/118-119. Varsavia, 26 ottobre 1949, ore 22,30 (perv. ore 10,30 del 27).

Mio telegramma 1121.

Direttore generale affari politici mi ha consegnato oggi nota contenente seguenti argomentazioni:

2 Non rinvenuto.

1) Governo polacco nel ribattere punto di vista di essersi avvalso facoltà prevista dal punto 8 nota processo verbale osserva che argomentazione Governo italiano non tocca fondo problema e pertanto non può influire sul mutato atteggiamento Governo polacco. Esso è d’avviso che non è essenziale discutere su «applicazione» ovvero «conclusione» accordo commerciale poiché base negoziati di allora era creazione vasti scambi italo-polacchi.

2) Governo polacco nell’esprimere «suo vivo rincrescimento» per mancata esecuzione accordo investimento rileva che atteggiamento assunto a riguardo da Governo italiano non è giustificato in quanto detto accordo non contiene alcuna clausola che ne condizioni applicazione alla realizzazione dei negoziati finanziari.

Nota conclude testualmente: «atteggiamento Governo italiano diviene tanto più incomprensibile in quanto Governo polacco si è dichiarato pronto ad intavolare nuove conversazioni circa reciproche pretese finanziarie».

Nella conversazione che è seguita, mi sono avvalso opportunamente delle notizie fornitemi col telegramma n. 762 per dimostrare tutto l’interessamento e fattive azioni da noi esplicate. Mio interlocutore, che era perfettamente al corrente, me ne ha dato atto augurandosi che difficoltà relative applicabilità prezzi potessero essere superate e che ciò potesse essere preludio a maggiori intese. Ai dubbi da me espressi che irrigidimento polacco potesse invece portare questione ad un punto morto egli ha rilevato, dal canto suo, che accordo investimento non aveva ancora avuto ratifica da parte nostra (per la Polonia tale atto formale non è necessario). Ha aggiunto che questione Batori era stata felicemente risolta ed altrettanto avrebbe potuto avvenire per le altre questioni finanziarie poiché «la porta era sempre aperta».

Direttore generale affari politici mi ha detto confidenzialmente che nota di risposta era stata discussa dal presidente del Consiglio e vice presidente Minc il quale «è tuttora interessato» nell’esecuzione accordo investimento.

Avendo io chiesto a titolo personale se il noto punto ... del processo verbale avrebbe potuto essere richiamato in vita, eventualmente con altra formula, mi ha risposto che qui trattatavasi di «questione di principio» dalla quale non era possibile recedere. «Sul piano economico qualunque intesa è possibile, ha spiegato amichevolmente, ma sul piano politico la situazione è oggi cambiata»3.

337 1 Del 25 ottobre, con il quale Zoppi aveva chiesto di conoscere l’atteggiamento dei Governidegli Stati membri del Consiglio d’Europa relativamente all’ammissione di nuovi membri, e in particolare della Germania.

338 1 Vedi D. 305, nota 1.

338 2 Del 25 ottobre, non pubblicato.3 Per la risposta vedi D. 352.

339

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CONTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12105/45. Copenaghen, 27 ottobre 1949, ore 15 (perv. ore 18,20).

Telegramma di V.E. 9250/C.1.

Tanto segretario generale che direttore affari politici questo Ministero esteri mi hanno oggi confermato che Governo danese è favorevole ammissione al Consiglio europeo della Germania occidentale come membro associato nonché dell’Austria come membro effettivo. Ove questione venisse presentata Comitato ministri è quindi da attendersi che Rasmussen, che sarà presidente di turno, prenda posizione in tal senso. Non è per contro visto con alcuna simpatia eventuale candidatura Sarre che qui considerasi incompatibile con ammissione Germania. Malgrado quindi appoggio francese in favore Sarre non prevedesi che Danimarca farà alcuna pressione per smontare opposizione tedesca tanto più che non le conviene in questo momento, in cui sembra invista soluzione della questione profughi Schleswig tedeschi, far cosa sgradita al Governo di Bonn.

In base alle istruzioni telespresso ministeriale 842 del 15 corrente2 ho altresì fatto presente nostre vedute in favore riforma Segretariato. Segretario generale si è mostrato impreparato rispondere dettagliatamente trattandosi di materia tuttora allo studio presso Ufficio tecnico.

Riservomi riferire ulteriormente se riceverò in tempo utile elementi richiesti.

340

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A FRANCOFORTE, ALVERÀ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12125/125. Francoforte, 27 ottobre 1949, ore 22,25 (perv. ore 7,30 del 28).

Perviene ora da Segreteria generale alleata invito accreditare «missione Governo Repubblica italiana presso Alta Commissione alleata nella Repubblica federale germanica».

Analoga comunicazione è stata rivolta ad altre rappresentanze consolari trizona.

Missioni [diplomatiche] potranno accedere al Governo tedesco con procedura da stabilirsi. Capo missione avrà diritto qualifica diplomatica a titolo personale. Rap

2 Non rinvenuto.

presentanze dovranno [gravare] sull’economia tedesca con assai scarse facilitazioni e garanzie circa sede ed alloggi.

Prego informare ministro Babuscio; testo nota segue per corriere.

339 1 Vedi D. 337, nota 1.

341

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, LANZA D’AJETA

T. SEGRETO 9363/438. Roma, 28 ottobre 1949, ore 18,30.

Suo 5921.

Chiariremo oggi a Mallet in linea di massima, come precedentemente promessogli, nostro punto di vista in merito questioni che sono all’esame prossima riunione Consiglio d’Europa2.

Circa ammissione Germania nostra posizione può così sintetizzarsi: favorevoli in principio ma tenendo nel dovuto conto punto di vista ed esigenze anche interne Governo francese. In tal senso mi sono espresso con Schuman in occasione mio passaggio da Parigi.

Siamo invece perplessi circa ammissione Sarre sia per ripercussioni sfavorevoli che essa può avere in Germania anche nei riflessi propaganda sovietica, sia perché tale ammissione ci risulta impopolare in vari paesi partecipanti Consiglio Europa e presso molti delegati Assemblea consultiva tra cui italiani.

342

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, RAINALDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12141/31. Lussemburgo, 28 ottobre 1949, ore 11,40 (perv. ore 14).

Telegramma di V.E. n. 9250 in data 25 corrente1.

Questo Ministero degli affari esteri ritiene che a Parigi S.E. Bech concordi con colleghi belgi ed olandesi proprio atteggiamento circa ammissione Germania in primo luogo all’Organizzazione cooperazione economica in vista convegno lunedì 31 corrente.

È presumibile che Germania, essendo attualmente rappresentata nell’O.E.C.E. a mezzo tre Alti Commissari, possa continuare ad esserlo mediante membro proprio Governo senza che questione sua ammissione sia necessariamente sollevata. Qui sino ad ora si crede che anche sir Stafford Cripps aderisca a tale pratica soluzione.

Peraltro 3 novembre Comitato ministri Consiglio Europa dovrà probabilmente affrontare ammissione Germania che sarebbe difficile declinare in contraddizione con prospettato atteggiamento Alleati nei rispetti O.E.C.E. Senonché sorte territorio Saar potrebbe richiedere ulteriore esame ammissione se Germania si opporrà alla tesi francese diretta considerare Saar come territorio a sé stante per non perdervi propria posizione economica.

Non consta a questo Ministero degli affari esteri che prossimamente Comitato stesso abbia occasione decidere ammissibilità altri nuovi membri Consiglio Europa.

341 1 Del 27 ottobre, con il quale d’Ajeta aveva riferito su conversazioni avute al Foreign Officesul tema dell’ingresso della Germania al Consiglio d’Europa.2 Vedi D. 354. 342 1 Vedi D. 337, nota 1.

343

L’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12152/192. Rio de Janeiro, 28 ottobre 1949, ore 14,50 (perv. ore 21).

Telegramma ministeriale 1521.

Ho ripetutamente conferito in conformità istruzioni impartitemi. Fernandes ha detto che da primi telegrammi ricevuti da New York non era in grado rendersi esatto conto di quanto colà fosse avvenuto. Ma, poiché istruzioni di tenersi per questione colonie strettamente in contatto e d’accordo con delegazione italiana erano state anche ultimamente confermate a delegazione brasiliana, egli ritiene che delle circostanze nelle quali questa ha cambiato atteggiamento delegazione italiana debba essere al corrente.

Da caute reticenti risposte ottenute ho ricavato impressione che le istruzioni impartite non avessero previsto eventualità di serie pressioni contrarie da parte Governo americano.

A mia richiesta rettificare atteggiamento delegazione brasiliana Fernandes schernitosi dichiarando dover prima attendere maggiori chiarimenti da New York dato anche che la formula di cui si tratta sembrerebbe superata da nuove iniziative prese nel frattempo da altre delegazioni.

343 1 Vedi D. 329.

344

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, LANZA D’AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12160/604. Londra, 28 ottobre 1949, ore 20,59 (perv. ore 24).

Miei 589 e 5921.

Foreign Office mi ha comunicato decisioni Bevin circa atteggiamento delegazione britannica riunione Parigi per Consiglio Europa:

1) invito a Germania partecipare quale membro «associato» qualora dichiari accettare tutte obbligazioni derivanti statuto Consiglio;

2) uguale invito alla Sarre;

3) ambedue inviti saranno fatti con «wording» che lascia capire che invito intendesi quale prima tappa piena partecipazione. Ciò ha sapore politico per Sarre il cui distacco, per andare incontro Francia, verrebbe così fin da ora sanzionato. (Mi assicurano che cancelliere Adenauer non eleverebbe obiezioni);

4) ammissione Austria rinviata sembrando a Bevin imprudente procedere invito prima conclusione trattato pace;

5) Bevin è personalmente contrario convocazione speciale Assemblea per approvazione inviti Germania e Sarre, rilevando che essi rientrano competenza Comitato ministri;

6) su base incresciose esperienze O.N.U., Assemblea non dovrà avere un diritto di veto per ammissione nuovi Stati;

7) proposte economiche (unioni, accordi monetari ecc.) non (dico non) da rinviarsi ad Assemblea, ma a Governi che decideranno quali organizzazioni internazionali dovranno occuparsene; ciò al fine non creare confusione competenze;

8) si è favorevoli a che Convenzione internazionale diritti dell’uomo, unificazione passaporti, unificazione regime patenti siano elaborate da appositi sottocomitati del Comitato ministri.

Per il resto rimane quanto ho già telegrafato, specialmente nei riguardi di un eventuale rafforzamento Assemblea.

Ritengo opportuno far presente ad ogni buon fine che mi è stato detto che quanto sopra è stato comunicato per ora solo a questa ambasciata Stati Uniti.

344 1 Vedi DD. 336 e 341, nota 1.

345

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, LANZA D’AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12164/605. Londra, 28 ottobre 1949, ore 20,59 (perv. ore 8 del 29).

Per guasto linea telefonica riferisco telegraficamente circa quanto prospettato oggi da segretario generale in proposito riunione Parigi Comitato Mediterraneo. Riunione parigina del 7 novembre secondo Foreign Office fu amichevolmente fissata «per convenienza» da militari in conversazioni di Washington. Essa non (dico non) crea precedente e non (dico non) pregiudica decisione anglo-americana tendente avere a Londra sede del Comitato. Tale punto di vista, in eventualità infondate illazioni dovute a località prima riunione, sarà subito fatto presente a Parigi, da delegato britannico come primo punto dell’ordine del giorno.

Circa Italia qualora, come qui ed a Washington si ritiene, essa aderisca ad avere sede Comitato a Londra, immediatamente in seduta Comitato stesso delegato britannico farà esplicita dichiarazione di cui potrà avvalersi Governo italiano in Parlamento e stampa per corrispondere esigenze nostra opinione pubblica. Tale dichiarazione sarà all’incirca ispirata concetto far partecipare a Londra Italia, in maniera opportuna, alle decisioni di altri Comitati che interessino direttamente o indirettamente nostra difesa o obblighi derivantici da Patto atlantico. Per Comandi da stabilire in Italia, trattandosi di questione tecnica da far decidere a militari, debbono nella presente fase diplomatica limitarsi a dare assicurazione formale che gesto sostanziale verrà fatto per dimostrare interesse Occidente a posizione strategica Italia e sua piena collaborazione militare.

Quanto sopra è stato qui concordato da Foreign Office e Ministero difesa per urgente confidenziale comunicazione a V.E.1.

346

IL MINISTRO A LISBONA, DE PAOLIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 945/447. Lisbona, 28 ottobre 1949 (perv. il 10 novembre).

Riferimento: Seguito a telespresso di questa legazione n. 869/411 del 6 ottobre u.s.1.

Franco è ripartito ieri, 27 ottobre, dopo esser rimasto in Portogallo cinque giorni. Ha passato riviste, ha assistito a esercitazioni militari, ha presenziato banchetti, ha

346 1 Non pubblicato.

ricevuto in gran pompa una laurea a Coimbra, si è comunicato a Fatima, facendosi fotografare in largo e in lungo nell’atto stesso di ricevere le sacre specie, ha infine pronunciato vari discorsi con i quali, in fondo, non ha detto niente di nuovo. Sono persuaso che Franco è un abilissimo uomo di Stato, dotato di sensibilità politica, perfetto conoscitore del suo popolo, e che ha saputo dimostrarsi accorto, prudente e anche astuto negoziatore. Se niente ha detto con i suoi discorsi, vuol dire che ha preferito non dir niente. Nell’attuale stadio della politica mondiale la Spagna ha finito per assumere una posizione abbastanza chiara. Quali sono oggi le sue aspirazioni e gli scopi a cui mira è da tutti risaputo. Quello che Franco non dice, ma che può facilmente dedursi dal suo contegno, è che egli è ben deciso a non lasciar il suo posto; il potere l’ha preso e l’ha preso intero, tutto in una volta; lo conserva ben saldo in pugno e non mostra di avere l’intenzione di cederne la più piccola parte. E per conservare il potere deve combattere su due fronti, l’interno e l’esterno. Malgrado tutto, è sempre il primo che resta il più importante e di gran lunga più pericoloso. In tal modo, per tale subordinazione di ogni atto alle necessità della politica interna si spiegano molti atteggiamenti e molte decisioni del Governo spagnuolo che appaiono a prima vista stravaganti. Per esempio l’ostinato rifiuto ad entrare sulla via delle concessioni liberali: Franco conosce bene gli spagnuoli e ben sa che essi non si tengono con le mezze misure; una volta messosi sulla via delle concessioni, teme che le forze a lui contrarie gli prendano la mano, e forse non ha torto. I sistemi duri, le condanne spietate, perfino i massacri, non hanno grande effetto sui nervi di un popolo così poco sentimentale e così poco impressionabile, e Franco, che lo sa, mantiene la sua linea inflessibile, temendo che, ove la pieghi anche poco, la linea finisca per spezzarsi. E quindi a tutte le richieste, a tutti i suggerimenti americani di modificare i sistemi di Governo in atto, di alleggerire la dittatura, Franco neanche risponde, perché esigenze di politica interna non glielo consentono.

Un comunicato pubblicato a Madrid, dopo il ritorno del Caudillo, annuncia che non vi è stato alcun contatto in Portogallo tra questi e Don Juan. Sembra che Franco avesse fatto sapere al conte di Barcellona che era disposto a riceverlo, e che Don Juan abbia rifiutato di fare la prima visita, quando l’ultima intervista aveva avuto appunto luogo sullo yacht di Franco. Se incontro non si è avuto, Franco ha però mandato tutto il suo seguito ad inscriversi in casa di Don Juan, dove si trovava anche la madre di questi, l’ex regina Vittoria. Anche in questa occasione sono convinto che Franco ha condotto le cose come voleva. Se non ha visto il pretendente, vuol dire che non ha voluto vederlo, perché non aveva niente da dirgli. I monarchici sono abbastanza tranquilli, e vengono del resto tenuti a posto con lo spauracchio del comunismo; il Caudillo non ha in questo momento preoccupazioni da quella parte, e ha preferito evitare un colloquio del quale non sentiva il bisogno e che forse poteva metterlo in imbarazzo.

Ignoro quali siano in Spagna le ripercussioni e gli effetti del viaggio; in Portogallo sono di ben scarso rilievo e a prima vista il suo bilancio non appare molto brillante. La massa dei portoghesi è rimasta del tutto estranea all’avvenimento, magri applausi hanno salutato Franco al momento dello sbarco, avvenuto pomposamente sulla principale piazza di Lisbona in riva al Tago, ed in seguito ogni contatto col popolo è stato evitato. Il Caudillo passava in una veloce automobile per itinerari prestabiliti, tra ali di poliziotti, e i soli portoghesi che abbia avvicinato sono stati le alte cariche dello Stato e la così detta società di Lisbona che per una sera ha abbandonato soli, al golf-club dell’Estoril, il conte e la contessa di Barcellona e gli altri mancati sovrani per gremire l’ambasciata di Spagna.

Il popolo assente ne ha approfittato per mormorare, in modo che risultato tangibile della visita è per ora una recrudescenza di critiche al Governo di Salazar, e il diffondersi della voce che gli aumenti dei prezzi di vari generi di prima necessità verificatisi in questi ultimi giorni (come conseguenza della recente svalutazione dello scudo) siano imputabili alle somme eccessive (si parla di 12 milioni di scudi) spese per le feste in onore del Caudillo.

Il corpo diplomatico è stato invitato al pranzo ufficiale di 150 coperti, ma mancavano gli ambasciatori di America, di Inghilterra e di Francia, che si trovavano tuttavia in congedo quando la visita è stata ufficialmente annunciata. Il nunzio, che era anche da poco partito per l’Italia, è ritornato; gli altri tre hanno prolungato le loro vacanze.

Nei varî discorsi scambiati (dei quali unisco, ad ogni fine utile, un breve riassunto) la sola affermazione di rilievo — anche se eccessivamente ottimistica — è quella pronunciata da Martin Artajo al termine del banchetto offertogli a Sintra da questo ministro degli esteri:

«Durante la seconda fase incruenta della nostra lotta il Portogallo, che ci ha accompagnato durante la fase eroica, ha saputo coraggiosamente restare fedele alla nostra amicizia anteponendo il nostro Patto iberico a qualsiasi altro. Ho il dovere di annunciare con fondato ottimismo che questa seconda fase della lotta sorda che il generale Franco conduce contro il mondo sovietico è vicina alla fine e che suonerà molto presto l’ora della giustizia».

Una frase pronunciata da Martin Artajo sul prolungamento e l’influenza dei due Stati iberici nel continente americano ha dato luogo a commenti vari, ma non mi sembra che si possano ad essa attribuire speciali significati e particolari intenzioni politiche, al di là di quello che costituisce un richiamo quasi obbligatorio, per un uomo di Stato iberico, alla solidarietà di razza e alla comune origine con i popoli del-l’America latina; una realtà evidente, ma che in Spagna e Portogallo non si dimentica mai di ricordare.

Il punto sul quale più si è insistito è l’unione peninsulare, e per una volta tale affermazione non resta l’espressione di una vana retorica, giacché bisogna convenire che l’intesa e l’unione tra le due nazioni iberiche possono considerarsi un fatto compiuto. E in fondo non credo che l’unione sia basata unicamente sulla simiglianza dei due sistemi di Governo; vi è ormai qualcosa di più; si è creata al di sopra delle misere contingenze politiche, al di là di qualsiasi regime e qualsiasi dittatura, una coscienza iberica, per cui, pur tuttavia non amandosi, spagnuoli e portoghesi si rendono conto che è loro interesse, non già combattersi e vivere armati gli uni contro gli altri, ma intendersi sinceramente e formare blocco. Le intese sempre più intime tra paesi vicini, abituati a lotte secolari, sono ormai una realtà e un fatto caratteristico di questo secondo dopoguerra, e sono senza dubbio un chiaro indice del bisogno che sentono i diversi paesi e i differenti popoli di unirsi, passando oltre ai vecchi rancori e alle piccole liti, per trovare, nell’unione, la forza di resistere ad altre più vaste e complesse forze che da lontano li minacciano. Sono i vari nuclei europei che si vanno formando e integrando; il lavoro di aggregazione e di sintesi sarà forse lungo, benché da indubbi segni appaia che si va continuamente accelerando.

345 1 Per la risposta vedi D. 351.

347

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI

T. SEGRETO 9402/144. Roma, 29 ottobre 1949, ore 22.

Malgrado decisione Sottocomitato assegnare sola Italia trusteeship Somalia, sarà forse necessario, per assicurarsi in sede Assemblea voti arabi e asiatici, aderire loro desiderio trusteeship a tre su Somalia con Italia come nazione amministratrice. Altri due Stati dovrebbero essere scelti uno nel gruppo musulmano e uno nel gruppo latino-americano. Loro funzioni non ancora precisate avrebbero carattere assistenza e controllo.

Qualora posizione nazione associata al mandato Somalia venisse offerta Argentina in seguito voto Comitato politico, sarebbe nostro vivo desiderio che codesto Governo accettasse.

Ne parli direttamente a Peròn per provocare in tal senso istruzioni delegazione Argentina1.

348

L’INCARICATO D’AFFARI A GEDDA, PASQUINELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12198/75-76. Gedda, 29 ottobre 1949, ore 14 (perv. ore 18,20).

Riferimento telegramma questa legazione 721.

Questo ministro affari esteri Faisal, che ho visto oggi e a cui ho ripetuto argomenti di cui al telegramma di V.E. 89792 già espostigli in precedente nota verbale, ha mosso a titolo personale, secondo quanto egli ha affermato, seguenti obiezioni a nostro punto di vista:

1) rappresentanza popolazioni Tripolitania, Cirenaica e Fezzan in Consiglio consultivo Libia non deve aver carattere razziale ma territoriale; i rappresentanti agiranno per conto totalità popolazione e non dei soli arabi o delle sole minoranze; se la nomina predetti avverrà mediante elezione da parte popolazione, arabi sarebbero pronti accettare che uno dei tre rappresentanti sia italiano, qualora risultasse regolarmente eletto.

2) Ammissione principio rappresentanza minoranze italiane aprirebbe la via ad analoga richiesta da parte di altre minoranze, sia pure numericamente inferiori.

A mie controargomentazioni Faisal ha risposto manifestando fiducia che una intesa possa essere trovata direttamente fra delegazione italiana e delegazione Arabia O.N.U.

Per Eritrea e Somalia questo ministro degli affari esteri ha espresso personale simpatia per nostri noti punti di vista che cercherà di fare prevalere presso Lega araba; Arabia Saudita si conformerà comunque a decisione di quest’ultima, tenendo massima che Stati arabi presentino all’O.N.U. un fronte unito.

Ho pure telegrafato al Governo yemenita nel senso del citato telegramma di V.E.3.

Segue rapporto4.

347 1 Con T. segreto 12577/113 del 5 novembre Arpesani rispondeva: «Provveduto ricevendo assicurazione senso desiderato». 348 1 Del 20 ottobre, con il quale Pasquinelli aveva comunicato di aver presentato una nota verbalein esecuzione delle istruzioni di cui al D. 300 e di essere in attesa della risposta.2 Vedi D. 300.

349

LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA 3051/36735/486/3/2. Roma, 29 ottobre 1949.

Riferimento: Telespresso n.16/17224/335 del 9 settembre 19491.

L’apprezzamento sul provvedimento emesso dal Gabinetto austriaco il 3 maggio c.a., costì comunicata con la presidenziale 27 luglio 1949 n. 2023/36435/486/3/22, dopo un ulteriore esame in riferimento alle norme del diritto austriaco in materia di cittadinanza, sembra potersi sostanzialmente confermare.

Non potrebbe infatti dubitarsi che, col provvedimento di cui trattasi, la concessione della cittadinanza austriaca alle persone, le quali rientrano nella categoria dei rioptanti divenuti cittadini italiani, è stata subordinata a requisiti più onerosi e restrittivi di quelli che prevedono le leggi ivi vigenti per gli stranieri.

A termini, infatti, della legge austriaca 10 luglio 1945, n. 60, e successive modificazioni fino alla legge federale del 9 giugno 1949 n. 142, la cittadinanza della Repubblica d’Austria può venir concessa ad uno straniero quando, oltre che un certo tempo di effettiva residenza nel territorio dello Stato, l’interessato abbia capacità giuridica, venga svincolato dalla sua cittadinanza precedente, e l’ammissione nel novero dei cittadini austriaci non gli sia inibita dalle leggi sulla epurazione nazista oppure dai suoi precedenti penali. Vero è che la concessione della cittadinanza costituisce in genere un atto amministrativo di natura discrezionale. E infatti, al par. 5 della legge

n. 60 precitata, si legge che: «prima della concessione della cittadinanza a uno straniero devono esaminarsi le sue relazioni attuali e precorse con lo Stato di origine, nonché le sue situazioni personali e familiari», e che «la concessione non può avveni

4 Telespr. 1935/321 pari data, non pubblicato.

2 Vedi D. 79.

re se le dette relazioni e situazioni sono tali che, in caso di naturalizzazione, possono temersi danni per lo Stato austriaco».

È però chiaro che le disposizioni testé rammentate possono e devono applicarsi intuitu personae, e non in rapporto a determinate categorie.

Con la recente deliberazione austriaca, invece, venne stabilito che i rioptanti altoatesini, cittadini italiani abitanti in Austria, per ottenere la cittadinanza austriaca dovranno «giustificare che non è loro possibile per ora, o definitivamente, il ritorno in Italia per motivi economici o sociali». E, per esprimere un parere in merito alla predetta giustificazione, venne istituita una apposita Commissione di pubblici funzionari, con sede presso il Ministero dell’interno, facendo dipendere dal tenore del parere stesso ogni futura decisione sulle istanze di naturalizzazione. Che in pratica il detto parere sia decisivo è poi evidente.

Così essendo, e poiché deve ricercarsi lo scopo per il quale, per la categoria dei rioptanti residenti in Austria, fu stabilito un trattamento così spiccatamente sfavorevole, altro non può arguirsi se non questo: che il Gabinetto austriaco, con la deliberazione in esame, volle esercitare una energica pressione psicologica su quei rioptanti che, essendo incerti circa la fissazione della loro futura residenza, avessero a preferire un’ulteriore permanenza in Austria nel presupposto (prospettato, come è noto, anche nella stampa di lingua tedesca in limine di riopzione) che in prossimo tempo sarà loro facile l’ottenimento della cittadinanza austriaca, con la connessa garanzia di una vita indisturbata e sotto ogni riguardo assistita da tutti quei diritti che lo Stato assicura ai propri cittadini.

Per sfatare una simile lusinga deve ritenersi che dal Governo austriaco siasi deciso di rendere pubblico con la veste di una formale e preventiva deliberazione il provvedimento in esame, perché esso funga come un solenne avvertimento o monito agli interessati nel senso che — contro ogni possibile loro aspettativa — non verrà concessa la cittadinanza austriaca se non nel caso che quello che potrebbe definirsi «processo di giustificazione» abbia sortito un esito favorevole al richiedente, in base agli elementi che egli stesso, contro le consuete regole, avrà l’onere di fornire.

Ora, è evidente come questo avvertimento (per non dire minaccia) può essere atto a pesare sulle decisioni dei rioptanti, inducendoli a rientrare in Alto Adige; e in tal modo atto a turbare la loro libera determinazione, che dalle intese intercorse fra Italia e Austria si volle esplicitamente tutelata.

Né la nuova pressione austriaca potrebbe riconoscersi legittima in quanto attuata nell’ambito dei poteri discrezionali governativi, perché la discrezionalità — che nei casi normali non potrebbe contestarsi — per effetto delle intese surricordate non può più dirsi illimitata nel settore attinente le riopzioni degli altoatesini. Che se tale principio non dovesse dall’Austria riconoscersi, allora neppure potrebbe da essa pretendersi che vi si conformi, nel proprio campo discrezionale, il nostro Governo.

Avverso il provvedimento in questione — la cui finalità ultima non occorre qui certo illustrare — sembra pertanto a questa Presidenza, salvo contrario avviso di codesto Ministero, che non basti opporre da parte nostra una nota di «riserva assai sobria e generica» (come è d’avviso il nostro ministro a Vienna)3 ma occorra rivolgere al Governo austriaco la precisa domanda, quali siano state le ragioni che lo indussero ad emanare la

deliberazione di cui trattasi, la quale a prima vista manifesta il desiderio austriaco che i rioptanti rientrino in Italia, essendo essi nel territorio della Repubblica d’Austria, all’infuori degli eventuali meriti o demeriti individuali, elementi indesiderabili.

Si resta in attesa di conoscere le determinazioni che in proposito saranno adottate da codesto Ministero.

348 3 In proposito il nuovo ministro a Gedda Turcato comunicava (Telespr. segreto 13074/2001/05dell’11 novembre): «Riferendomi all’ultima parte del telegramma di questa legazione n. 76 informo cheil capo di Gabinetto dell’imam ha risposto così: “Il vostro telegramma è stato comunicato all’imam. Inecessari ordini saranno dati agli interessati”».

349 1 Ritrasmissione del D. 134.

349 3 Vedi D. 134.

350

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 9421/512. Roma, 30 ottobre 1949, ore 15,30.

Scambi di vedute con Governo inglese e questa ambasciata Stati Uniti stanno ad indicare che entrambi Governi intenderebbero proporre Londra come sede definitiva Comitato Europa meridionale. Noi siamo d’accordo e istruzioni in questo senso verranno date ai nostri capi di Stato Maggiore che si recheranno a Parigi per una riunione preliminare indetta per il 5 novembre nella quale si dovrebbe discutere struttura Comitato. A questa riunione dovrebbe poi seguire, per invito generale Bradley, prima seduta Comitato stesso. Anche questa si terrà probabilmente a Parigi ma senza pregiudizio sede definitiva.

Foreign Office assicura1 che rappresentante britannico, appoggiato da americani e da noi, dovrebbe implicitamente proporre Londra sottolineando necessità che Italia partecipi in maniera opportuna alle decisioni di altri Comitati che interessano nostra difesa ed obblighi derivantici da Patto atlantico e assicurando che gesto sostanziale verrà fatto per dimostrare interesse Occidente a posizione strategica Italia e sua piena collaborazione militare.

Noi siamo d’accordo per Londra non per contrastare francesi che desiderano Parigi (come V.E. sa saremmo stati d’accordo anche per riunire a Parigi i tre Comitati) ma unicamente perché, visto che non si può ottenere Roma, dobbiamo preoccuparci in prima linea di assicurare massima concentrazione dei tre Comitati appunto per realizzare quella reciproca cooperazione che è stata sempre nostra tesi.

Per sua riservatissima conoscenza la informo che, secondo impressioni nostra ambasciata Parigi, francesi faranno fortissima resistenza; si crede a Parigi che inglesi e americani non siano tanto decisi per Londra quanto appaiono. Non (dico non) risulta ad esempio che Governo americano abbia sinora comunicato a quello francese suo punto di vista, e si teme anche che all’ultimo momento possa esserci flessione per raggiungere accordo su altre questioni in discussioni fra i tre Governi.

Prego V.E. intervenire costà, pur evitando accuratamente qualsiasi apparenza di sentimento contrario ai francesi, sottolineare nostro interesse a soluzione Londra e chiedere che tale punto di vista venga chiaramente espresso e sostenuto da rappresentanti americani a Parigi.

Telegrafi2.

350 1 Vedi D. 345. 2 Con T. segreto 12353/886 del 31 ottobre Tarchiani assicurò di aver eseguito le presenti istruzioni.

351

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, LANZA D’AJETA

T. SEGRETO 9422/442. Roma, 30 ottobre 1949, ore 15.

Suo 6051.

Sta bene. Alla difesa risulta però che sarebbero due le riunioni; la prima il 5 con intervento di tutti i capi di Stato Maggiore per definire la struttura del Gruppo; la seconda il 7 che dovrebbe essere la prima seduta del Gruppo stesso.

Sembrerebbe più logico e più opportuno che dichiarazione delegato britannico avesse luogo in prima riunione, a meno che presenza delegato americano (dubbia per quanto riguarda il 5) non renda più opportuno decidere sede il 7.

In ogni sua comunicazione sottolinei che se preferiamo Londra a Parigi non è per contrariare punti di vista francesi; avremmo preferito avere Comitato a Roma ma, visto che ciò non è possibile, ci preoccupiamo ora unicamente assicurare massima concentrazione. Tanto è vero che accetteremmo con eguale soddisfazione concentrare tutti i Comitati europei a Parigi.

La avverto che, secondo nostra ambasciata Parigi, resistenza francese sarà fortissima e che si spera colà in cambiamenti di atteggiamento inglese e americano.

352

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS

T. 9437/78. Roma, 31 ottobre 1949, ore 16.

Suo 1181.

Governo italiano non può che confermare punto di vista che conclusione accordi economici ha creato base per tacita approvazione processo verbale 3 giugno. D’altronde esecuzione scambi italo-polacchi risulta già assicurata da operazioni in corso accordo clearing; mentre per quanto riguarda accordo investimento non può parlarsi «sua mancata esecuzione», dato che, in caso di conferma da parte polacca clausole concordate processo verbale, delegazione polacca qui presente ed apposita delegazione italiana potrebbero subito iniziare negoziati. Ultima parte accordi 23 luglio subordina infatti tale esecuzione a preventivo incontro due delegazioni. Del resto che tale interpretazione sia giusta è dimostrato da circostanza che punto 7 accordo finanziario ha già avuto principio esecuzione.

Espressione «vivo rincrescimento» contenuta nota polacca riesce pertanto incomprensibile, e non v’è luogo nel pensiero Governo italiano a distinzioni fra contenuto economico e politico varie intese poiché sia in accordo finanziario sia special

352 1 Vedi D. 338.

mente in accordo investimenti ambidue lati si pareggiano. Tuttavia questo Ministero, per offrire via uscita da sterile polemica, dichiarasi d’accordo perché vengano contemporaneamente qui trattate applicazione accordi 23 luglio e questioni finanziarie, a condizione però che da parte polacca ci venga per iscritto assicurato che significato e portata sostanziale processo verbale rimangono immutati.

Nel far presente quanto sopra a codesto Governo V.E. aggiungerà che anche per noi trattasi questione di principio ed appunto per salvare questioni di principio di ambe le parti viene avanzata presente proposta transattiva: e che ove essa non venisse costì accettata avremmo tutte ragioni ritenere essere preordinata volontà codesto Governo turbare relazioni e rapporti commerciali fra i due paesi.

Attendesi urgente riscontro2.

351 1 Vedi D. 345.

353

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTE 12235/85. Stoccolma, 31 ottobre 1949, ore 15,05 (perv. ore 17).

Telegramma circolare n. 92501.

Governo svedese favorevole immediata ammissione Germania mentre non ha preso alcuna decisione circa Saar. È comunque contrario abbinamento.

Ministro Unden, pur ritenendo prematuro procedere ora modifiche Statuto per accordo richiesto Assemblea in relazione ammissione nuovi membri, è favorevole essa venga consultata per questi due candidati e ne proporrebbe sua convocazione straordinaria in aprile p.v.

354

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, BRUXELLES, LONDRA E PARIGI

TELESPR. 31/870/C.1. Roma, 31 ottobre 1949.

Ho convocato l’ambasciatore inglese Mallet e lo ho messo al corrente del nostro pensiero in merito alle principali questioni che sono all’esame della prossima riunione del Consiglio d’Europa.

Circa le modifiche allo Statuto intese a dare maggiore libertà e iniziativa all’Assemblea consultiva, gli ho detto che non abbiamo prevenzioni e che siamo anzi tendenzialmente favorevoli, che tuttavia non intendiamo assumere posizioni di punta e siamo d’accordo perché vi si proceda con gradualità e d’accordo fra i Governi membri.

Circa la Germania la nostra posizione può così sintetizzarsi: favorevoli in principio ma tenendo nel dovuto conto il punto di vista ed esigenze anche interne del Governo francese.

In tal senso il ministro Sforza si è espresso con Schuman in occasione del suo passaggio a Parigi.

Siamo invece perplessi circa l’ammissione della Saar sia per le ripercussioni sfavorevoli che essa può avere in Germania anche nei riflessi della propaganda sovietica, sia perché tale ammissione ci risulta impopolare in vari paesi partecipanti al Consiglio d’Europa e presso molti delegati dell’Assemblea consultiva tra cui anche degli italiani.

Per la parte economica gli ho detto che le proposte contenute nel rapporto che è stato sottoposto al Comitato dei ministri ci trovano ben disposti anche perché nel rapporto medesimo sono contenuti concetti che furono già sostenuti, anche in altre sedi, dal Governo italiano. Ma che qui però non abbiamo difficoltà ad esaminare le questioni con spirito pratico e possibilistico. Contrari siamo alla proposta di scavalcare l’O.E.C.E. stabilendo diretti contatti in materia economica fra il Consiglio d’Europa e l’America. L’O.E.C.E. rimane per noi l’organo per la cooperazione economica europea ed è pericoloso e inutile creargli doppioni. I suoi difetti potranno essere corretti, e se mai, potrebbe studiarsi un certo collegamento fra Consiglio d’Europa ed O.E.C.E. come noi stessi proponemmo al momento della istituzione del Consiglio d’Europa.

Quanto alle altre questioni: culturali, ecc. non abbiamo obbiezioni di massima al rapporto e anzi ne vediamo con favore la maggior parte delle proposte.

352 2 Per la risposta vedi D. 395.

353 1 Vedi D. 337, nota 1.

354 1 Indirizzato anche alle legazioni ad Atene, Copenaghen, Dublino, L’Aja, Lussemburgo, Osloe Stoccolma.

355

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1178/4142. Parigi, 31 ottobre 1949.

Con una certa sorpresa, da una telefonata del ministro Guidotti e poi dal telegramma ministeriale n. 5611, ho appreso che, in seguito a conversazioni con il Governo britannico, avevamo accettato che la sede del Gruppo regionale Mediterraneo sia a Londra, in cambio di alcune assicurazioni britanniche circa il collegamento con gli altri Gruppi regionali e la possibilità che qualche Comando abbia la sua sede in Italia.

Mentre, in base alle informazioni ricevute da codesto Ministero, ero rimasto alla notizia che ci eravamo accapigliati già con i francesi per la sede mediterranea fra

Parigi e Roma ma che eravamo, in fondo, disposti ad accettare un compromesso: Gruppo a Parigi, Comando a Roma.

Gli inconvenienti di questa «sorpresa» non sono stati gravi: dato che non c’era un Governo francese, i nostri contatti col Quai d’Orsay erano rimasti su piani inferiori, quindi non mi sono trovato esposto alla sempre spiacevole figura di non essere al corrente di un mutamento di una certa importanza delle nostre posizioni.

Ma questa è una considerazione personale che, se può avere qualche importanza per me, non ne ha naturalmente nessuna agli occhi del Ministero. Quello su cui volevo attirare l’attenzione di V.E. sono le conseguenze che questo ha sui nostri rapporti con la Francia, in materia di Patto atlantico.

Mi permetto di risalire all’origine. Quando ci siamo decisi ad aderire al Patto atlantico abbiamo trovata questa situazione: gli inglesi nettamente contrari: un marcato cambiamento di fronte americano dopo la sostituzione di Marshall con Acheson: il nostro ingresso nel Patto atlantico in serio pericolo. Senza volere sottostimare altri elementi, mi permetto di ricordare come il netto atteggiamento francese, in nostro favore, ha molto contribuito a che noi oggi ci siamo.

I francesi non lo hanno fatto per i nostri begli occhi: essi desideravano assicurare la difesa dell’intera Francia e spostare il fulcro della difesa sul continente, in contrasto colla tendenza inglese a considerare il continente in semplice funzione di glacis di protezione delle loro isole. Questo interesse francese veniva meglio garantito dall’inclusione dell’Italia poiché la difesa dell’Italia implicava la difesa di tutta la Francia, e perchè l’Italia, interessata anch’essa alla difesa del continente, sarebbe stata portata a sostenere la tesi francese. Non è stato quindi un gesto di amicizia per cui noi dobbiamo alla Francia riconoscenza: è stata la constatazione di una coincidenza di interessi fra Italia e Francia.

Questa coincidenza di interessi ha improntato tutte le conversazioni, sulle generali per la verità, che si sono avute, sull’argomento, fra i due paesi, incluse quelle personali di V.E. con Schuman. Coincidenza di interessi che veniva a proposito in quanto, in altri settori, precedenti punti di contatto fra Italia e Francia venivano perdendo ogni loro contenuto.

Ai primi contatti pratici abbiamo avuto invece uno scontro fra italiani e francesi: quello che poteva essere un oggetto di collaborazione, minaccia di diventare una nuova surface de friction.

Astrattamente parlando, come V.E. sa, penso che Comitato ristretto, collegamento col Patto di Bruxelles, sede del Comitato regionale Mediterraneo, siano perdita di tempo e di energie. Il Patto atlantico è una creazione anglosassone, eminentemente empirica: le costruzioni non hanno alcuna importanza. Attualmente, né americani né europei hanno delle idee chiare su come dovrà o potrà essere organizzata la difesa della zona atlantica, né sui problemi collaterali che essa solleva. Quando le idee saranno chiarite, l’attuale organizzazione sarà rimaneggiata a fondo. Di fatto, noi ritroveremo naturalmente il posto che ci spetta: né più né meno. Per ora, noi siamo in Europa al terzo posto, apettando di passare al quarto quando la Germania occidentale sarà rientrata nel circuito: non c’è nessuna diplomazia italiana che ci possa spingere più su: non c’è nessuna diplomazia straniera che possa, alla lunga, tenerci più giù. Questa è la nostra «parità»: ogni altra interpretazione sono parole vuote di significato.

«Parità» differente nei vari campi: nel Consiglio d’Europa, fintanto che esso resta nel dominio dei discorsi, la nostra situazione di terzo è poco sentita: lo è già di più nel settore economico, ancora di più lo sarà nel settore militare.

Ci sono delle situazioni di fatto che è inutile ignorare: noi possiamo sfogarci a dire, e con piena ragione, che nella passata guerra l’esercito francese non ha fatto migliore figura del nostro: però la Francia può oggi stanziare, per le sue spese militari, 350 miliardi di franchi all’anno contro 300 miliardi di lire da parte nostra: differenza che corrisponde alla differenza del reddito nazionale dei due paesi e, come tale, insopprimibile. C’è sempre stata. Nel passato ci siamo illusi di rimediarci cercando di tenere in piedi un esercito numericamente superiore ai mezzi disponibili: oggi non è più possibile. Quando la cosa più importante di un esercito erano i petti dei soldati, noi potevamo, pagando vestendo e nutrendo i nostri soldati peggio, mettiamo, dei francesi, riuscire a ridurre le conseguenze di questa inferiorità di mezzi finanziari: ma oggi che il materiale ha più importanza degli uomini, un carro armato fatto in economia equivale a nessun carro armato: e ne abbiamo fatta la dolorosa esperienza durante l’ultima guerra. Quindi noi possiamo sfogarci a dire, continuando i motivi mussoliniani, delle cose anche vere, che cioè la Francia è un paese vecchio e stanco, mentre noi siamo giovani ed attivi: questo non toglie che essa è, a tutt’oggi, più del doppio più ricca di noi e quindi ha una possibilità più che doppia della nostra di pagarsi delle divisioni bene equipaggiate. Siccome, oggi almeno, gli americani non cercano soldati da vestire, armare ed equipaggiare, ma pensano solo a completare lo sforzo che ogni singolo paese può fare con i mezzi suoi, ne segue logicamente che essi considerano il contributo francese alla difesa comune superiore del doppio al contributo italiano: con tutte le conseguenze che ne derivano. E noi non ci possiamo far niente: e le clausole militari del trattato di pace c’entrano ben poco.

Queste le circostanze di fatto: evidentemente ci sono delle considerazioni di opinione pubblica, di cui mi rendo perfettamente conto, che ci imponevano di prendere delle determinate posizioni in contrasto con la Francia: né era possibile rinunciarci per non dispiacere ai francesi. È però questione di modo.

Per il Comitato ristretto, abbiamo detto francamente ai francesi quello che avremmo fatto e perché: questo non ha soppresso il contrasto ma ha permesso di mantenerlo in limiti ragionevoli. Egualmente, se fossi stato informato a tempo delle nostre decisioni, avrei potuto dire francamente ai francesi: noi, per ragioni che conoscete, volevamo la sede del Gruppo Mediterraneo a Roma: non essendo questo possibile, siccome, dopo la questione di prestigio, la seconda cosa che ci interessa è il nostro collegamento con il Gruppo di Bruxelles, riteniamo che il fatto di avere tutti i Gruppi a Londra faciliti il collegamento sul piano reale. Questo non avrebbe tolto il contrasto, ma lo avrebbe reso meno grave: in ogni modo questa è la sola maniera di procedere fra due paesi i quali, senza essere amici per la pelle, ci tengono a mantenere delle normali relazioni. Agendo come abbiamo fatto, al contrasto effettivo, aggiungiamo la solita impressione degli Italian tricks. Tanto più spiacevole in quanto nessuno toglierà dalla testa dei francesi che, se il Comitato ristretto fosse stato composto solo di inglesi e di americani, noi non avremmo detto niente: ci siamo agitati solo perché c’era la Francia. E nel caso in questione, che noi preferiamo di avere il Gruppo Mediterraneo a Londra soprattutto per non darla vinta ai francesi nella questione Roma Parigi. Ed è tanto più difficile togliere questo dalla testa dei francesi in quanto è proprio così, in buona parte almeno: ed i francesi, il cui cervello lavora proprio come il nostro, lo capiscono subito: così come, per molti francesi, la gioia di essere nel Comitato ristretto è considerevolmente aumentata dal fatto che noi ne siamo fuori; così come, nel loro insistere per Parigi, c’è anche il desiderio di averla vinta su Roma.

Ora è molto pericoloso mettersi, con i francesi, sulla strada dei dispetti e contro-dispetti: il loro cervello, lo ripeto, lavora in certi casi colle stesse distorsioni del nostro: è vero che l’interesse ad una collaborazione franco-italiana in seno al Patto atlantico resta: ma i francesi sono, come noi, capacissimi di sacrificare un interesse reale per il piacere di fare un dispetto ad un altro. Il famoso marito, che per far dispetto alla moglie si sottomise ad una certa operazione, era certamente francese od italiano, non certo anglo-sassone.

Personalmente sono convinto, arciconvinto, che sia indispensabile per noi far tutto il possibile per raggiustare i nostri rapporti coll’Inghilterra: sono molto più pessimista di V.E. sulla possibilità di riuscirvi almeno presto, ma questo non toglie che dobbiamo fare tutto il possibile. Ma non riesco a vedere la necessità che, per far questo, noi dobbiamo metterci in urto con i francesi. Invece, da qualche mese a questa parte, si direbbe che cerchiamo, deliberatamente, di distruggere quel poco che era stato potuto fare per mettere i rapporti italo-francesi sul piede del meno male.

Una delle ragioni, se non la principale, della nostra perdita di interesse alle relazioni italo-francesi era che noi speravamo, appoggiandoci sulla Francia, di riuscire a dare scacco all’Inghilterra: non ci siamo riusciti perché questo era al di sopra delle forze della Francia, e non era la politica della Francia. Ma non facciamoci nemmeno l’illusione contraria, quella cioè di potere, appoggiandoci all’Inghilterra, soddisfare la nostra intima aspirazione, prefascista, fascista e postfascista, di mettere la Francia in condizioni di inferiorità verso di noi. Non so se l’Inghilterra potrebbe farlo, certo questa non è la politica inglese.

Ci sono delle situazioni di fatto che non è in nostro potere di cambiare: americani e inglesi, in fondo, si danno sui nervi: nonostante questo, finiscono per andare d’accordo e non sarà mai per i nostri begli occhi che riusciremo a metterli l’uno contro l’altro. Lo stesso vale fra Francia e Inghilterra: si detestano, si danno terribilmente sui nervi, ma da quarant’anni sono abituati a vivere insieme, e non saremo noi che riusciremo, per i nostri begli occhi, a baruffarli. Francesi ed inglesi sono sempre di-sposti, quando serve loro, a farci marciare in una determinata direzione per dare fastidio all’altro, ma solo a scopo di negoziato fra di loro: finiscono poi per mettersi d’accordo e lasciarci in asso. Fra Italia e Inghilterra la Francia finirà sempre per preferire l’Inghilterra: così come fra Francia ed Italia l’Inghilterra finirà sempre col preferire la Francia.

Bisogna quindi che noi cerchiamo di avere dei buoni rapporti, nella misura del possibile, coll’Inghilterra e colla Francia. E questo nel nostro interesse. E non è difficile: basterebbe rinunciare al piacere di fare le scarpe alla Francia coll’aiuto dell’Inghilterra o viceversa.

Noi abbiamo fatto l’esperienza che l’appoggio della Francia ci serve a poco, e questo è verissimo: ne abbiamo tratta la conclusione che l’appoggio inglese ci servirebbe di più: anche questo è esattissimo, con la sola riserva che l’appoggio inglese dobbiamo ancora averlo. Ma non ci dimentichiamo che, siccome l’Inghilterra ed anche l’America tengono più alla Francia che a noi, l’ostilità della Francia può avere, per i casi nostri, un peso negativo non indifferente.

Già siamo praticamente a questo punto per la questione delle colonie: i francesi sono arrivati alla conclusione che una Tripolitania sotto amministrazione britannica è per loro un male minore che una Tripolitania indipendente come vorremmo noi. L’appoggio arabo e sudamericano potrà forse riuscire a farci ottenere uno Statuto per la Libia consono ai nostri desideri. Siccome però, in materia di O.N.U., come di tante altre cose, le costituzioni sono una cosa, e i fatti un’altra, e questi ultimi sono i soli che contano, non so fino a che punto la nostra situazione in seno al Comitato di controllo sarà brillante, appoggiati sul sud-americano, l’egiziano ed il pakistano, contro Francia Inghilterra e Stati Uniti. Comunque quello che è fatto è fatto e in materia coloniale la collaborazione italo-francese non la si avrà più.

Facciamo attenzione a non creare lo stesso stato di cose per il Patto atlantico: siamo sulla buona strada. Può essere che, contentandoci di poco sul piano organizzazione, si possa arrivare ad una soluzione che ci permetta di dire al Parlamento, con qualche elasticità di interpretazione, che abbiamo ottenuto quello che volevamo. Ma è quando comincerà il lavoro serio che cominceranno i dolori. Non parlo nemmeno della distribuzione degli aiuti, poiché questo mi sembra ormai cosa in gran parte fatta. Già il piano Marshall ci ha obbligati a mettere a nudo, a rivedere tante debolezze della nostra organizzazione economica ed amministrativa, e a fare tante cose per noi sgradevoli che altrimenti non avremmo avuta nessuna intenzione di fare, e molte di più ce ne riserva l’avvenire. Peggio assai accadrà sul piano Patto atlantico: quanto più i fatti dimostreranno che la difesa dell’Italia è interesse comune, tanto più questo interesse comune darà diritto e dovere agli altri di andare a vedere come funzionano le cose nostre. Voglio vedere la faccia che faremo quando ci vedremo mettere in discussione, dagli altri, i meriti comparativi dei nostri generali, i nostri sistemi di organizzazione e di addestramento, le nostre stesse idee sulle funzioni delle nostre Forze armate: e tutto quello che ne segue. Non siinterpreti questo come un mio apprezzamento. È probabile anzi che in molti casi avremo ragione noi: ma con gli americani e gli inglesi si discute male. Ora in questa lotta difficile in cui, anche se le nostre relazioni con l’Inghilterra saranno ottime, essa non si esimerà dal volerci adattare, nel campo militare, alle sue idee di efficienza, ben differenti dalle nostre, molta differenza ci può fare, per attutire gli inevitabili urti, l’avere la Francia nemica od amica. La Francia è feroce quando vuol fare i dispetti.

Le nostre relazioni con la Francia stanno andando male: è un processo graduale sì ma sicuro. C’è ancora il tempo di arrestare il piano inclinato, ma bisogna occuparsene subito.

In un altro rapporto2, parlerò dell’Unione doganale; forse ci sarebbe una possibilità di rimetterla in moto, ma, come ho detto molte altre volte, essa è incompatibile colla politica di indipendenza, o di mani libere che dir si voglia, che noi vogliamo tenere nei riguardi della Francia.

Basterebbe per ora evitare che si ritorni, dopo una breve parentesi, a quello che sembra lo stato normale dei rapporti fra Italia e Francia dal 1870 ai giorni nostri.

Rapporti normali con la Francia, lasciando fuori per ora progetti di più ampie portata e conseguenze come l’Unione doganale, non significano affatto sottomissione dell’Italia alla Francia: possiamo benissimo sostenere i nostri interessi anche contra

stanti con i loro; andare d’accordo in qualche cosa e non in altre. Si tratta più che altro di metodo: parlare con una certa franchezza, avere un minimo di esprit de suite in certe determinate questioni, evitare gli Italian tricks, soprattutto quando sono evitabili e inutili.

I riflessi psicologici francesi sono altrettanto uterini che i nostri: possiamo tanto più chiedere ai francesi di rispettare i nostri, quanto più mostriamo, quando non è inevitabile, di tener conto dei loro. Capisco che è un sacrificio grande che con questo si domanda all’Italia: il litigarsi con la Francia — senza grave pericolo d’altronde poiché il comune padrone non permetterebbe mai che si arrivasse alle estreme conseguenze — è praticamente l’unica libertà che sia rimasta nel campo della politica estera (anche per i francesi del resto): credo però che questo sia nostro interesse.

Se V.E. è d’accordo con me in queste mie conclusioni pregherei di dirmelo chiaramente: ossia non solo un sì a parole ma un sì anche a fatti: allora saprò come regolarmi. Se a noi viceversa non importa niente che i rapporti italo-francesi vadano al diavolo, non c’è che lasciare che il destino si compia: ci si ritornerà dopo che ci avremo sbattuto la testa, con la differenza che allora sarà più difficile che non oggi rincollare i cocci rotti3.

355 1 Del 29 ottobre, ritrasmetteva il D. 345.

355 2 Lo scrisse vari giorni dopo: vedi D. 401.

356

IL MINISTRO TREMELLONI1 AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. 12393/466. Parigi, 1° novembre 1949, ore 21,20 (perv. ore 7,30 del 2).

1) Riassumo qui sotto azione svolta da nostra delegazione presso O.E.C.E. nel corso della prima parte lavori del Gruppo consultivo e Consiglio dei ministri.

Prime riunioni si sono svolte nell’attesa delle dichiarazioni Hoffman2 e secondo ordine del giorno precedentemente stabilito.

Nel corso riunioni Gruppo consultivo iniziatesi 28 ho, a nome Governo italiano, posto in rilievo in apposita dichiarazione come Italia da tempo siasi sempre dimostrata favorevole principio generale liberalizzazione scambi. Allo stesso tempo, circa metodi da seguire per suo raggiungimento, ho dato risalto a circostanza che azione di avvicinamento delle economie dei paesi partecipanti deve svolgersi, per evitare risultati negativi, con gradualità dato che opera di cooperazione generale necessiterà di alcuni anni di attento lavoro.

Nel passare poi a opportunità che sia sempre tenuto presente specifica fisionomia di ciascun paese partecipante, ho chiesto espressamente che nozione della liberalizzazione commerciale sia estesa agli scambi dei servizi per comprendervi senz’altro

2 Vedi D. 362.

turismo e rimesse emigranti. Ho aggiunto che liberalizzazione scambi visibile ed invisibile è strettamente legata con questione di una più grande mobilità della mano d’opera ed ho in proposito ricordato livello di vita popolo italiano, ponendo quindi nettamente ed espressamente angoscioso problema della nostra super-popolazione, onde attirare ancora una volta attenzione europea ed americana su necessità della nostra emigrazione.

In conclusione ho sottoposto a Gruppo consultivo proposta perché esame misure di liberalizzazione non si limiti a composizione delle liste di merci ma abbracci struttura d’insieme dei movimenti commerciali reciproci e si estenda quindi alle procedure doganali statistiche e finanziarie in forma graduale con specifica estensione a partite invisibili e contemporaneo studio problema mano d’opera nel suo doppio aspetto europeo e d’oltremare. Ho terminato ricordando particolare problema italiano di natura tecnica costituito da attuale mancanza della tariffa doganale. A tal proposito, confermando tutte le riserve che sono state sempre formulate dai nostri rappresentanti presso O.E.C.E., ho informato Gruppo consultivo che con probabilità tariffa sarà pronta per la data 11 corr. e che a quella data Italia potrà portare a compimento quanto desidera l’O.E.C.E. per la liberalizzazione scambi.

2) In seguito, e precisamente nella seduta del 30, allorché Gruppo consultivo si è trovato discutere nota proposta ministro Irlanda MacBride nonché dichiarazione avanzata da delegazione francese intesa a studiare mezzi migliori per risolvere problema fondamentale economia europea, ho ripreso concetto già da me esposto nella riunione del 28.

In questo secondo intervento ho particolarmente ricordato necessità stretta cooperazione tra O.E.C.E. e Stati Uniti d’America perché continuazione aiuti esteriori sia contemporanea a sforzo dell’Europa inteso accrescere propria produzione, a migliorarla e a renderla maggiormente economica. Ho qui, venuto trattare specifici problemi dell’Italia, posto in rilievo come per il nostro paese si tratti sopratutto di rompere circolo vizioso costituito dalla disoccupazione, dal basso reddito nazionale, dalla penuria di capitali e da insufficienza degli investimenti ed ho fatto chiaramente accenno alla necessità di uno sviluppo dei territori di oltremare con un apporto di uomini e capitali. A tale scopo ho espresso nostre considerazioni su concetto esposto da MacBride dato che rapporto tra Europa e Stati Uniti d’America e paesi d’oltremare costituisce elemento indivisibile per la realizzazione dell’equilibrio economico europeo. Ho concluso quindi dichiarando che il Governo italiano è pronto sia a partecipare ad una conferenza quale quella proposta da MacBride sia a discutere problema stesso in seno O.E.C.E.

In ambedue casi partecipazione U.S.A. a questi lavori appare essere fattore indispensabile di successo3.

355 3 Non è stata rinvenuta una risposta a questo rapporto che però fu consegnato a mano a Sforzache arrivò a Parigi il 2 novembre per partecipare alla riunione del Comitato dei ministri del Consigliod’Europa.

356 1 Ministro senza portafoglio fino al 7 novembre, membro del C.I.R.

356 3 Nel trasmettere questo telegramma Cattani aveva aggiunto la seguente frase:«Riferisco aparte su insieme lavori svolti in seno a Gruppo consultivo e Consiglio dei ministri [D. 362]».

357

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12406/406. New York, 1° novembre 1949, ore 20,52 (perv. ore 8,30 del 2).

Sottocomitato ha chiuso oggi lavori con decisione di capitale importanza raccomandando, con dieci voti favorevoli, nove contrari e due astenuti, che vi sia votazione unica per intero problema questione colonie italiane e non (dico non) tre votazioni separate per tre territori.

Tale raccomandazione è particolarmente a noi favorevole poiché, data insoddisfazione Etiopia e suoi amici dopo rinvio questione Eritrea, si era andata facendo sempre più evidente tendenza molte delegazioni rivedere ed eventualmente annullare, per far piacere all’Etiopia, decisioni Sottocomitato circa Somalia. Ciò pur lasciando sussistere, per non scontentare Stati arabi, decisioni prese da Sottocomitato stesso circa Libia. Era altresì evidente desiderio Stati arabi salvare sopratutto raccomandazioni relative Libia assicurando per essa una votazione separata e mettendo Somalia su un piano diverso.

Risultato odierno è dovuto ad unanime presa di posizione dei nostri amici sudamericani e ad appoggio loro dato da sovietici, francesi e cinesi. Fattore determinante successo tesi votazione unica è stato rappresentato da astensione Sudafrica eGran Bretagna. È evidente che quest’ultima si è astenuta perché delegazione inglese, aspramente rimproverata da suo Governo per decisioni Sottocomitato circa Libia, spera ottenere in definitiva un rinvio generale. Astensione inglese ha valso però determinare agganciamento definitivo questione Somalia e Libia, a tutto nostro vantaggio.

Votazione odierna ha rappresentato un utile avvertimento per Stati arabi che tentavano evidentemente assicurarsi soprattutto una votazione finale favorevole per Libia non curandosi eccessivamente di ciò che sarebbe avvenuto della Somalia. Ora essi devono battersi anche per quest’ultima se vogliono conservare risultati ottenuti per Libia. Rappresentanti arabi si sono infatti precipitati ad assicurarci della loro futura lealtà.

Clutton ha, alla fine della seduta, letto dichiarazione solenne con cui fa riserva decisioni suo Governo per Libia. Ciò preannunzia battaglia da parte inglese in Comitato e tentativo far cadere tutte risoluzioni per non dovere digerire quelle che Governo Londra non ha approvato cioè quelle relative Libia. Ma americani, che evidentemente non desiderano nuovo scacco Nazioni Unite, sono irritati con inglesi e si crede cercheranno far passare il tutto.

Atteggiamento americano sarà, a conti fatti, determinante e poiché, dopo decisione rinvio per Eritrea, nostri interessi non differiscono sostanzialmente da quelli americani, provvediamo rinnovare con essi tutte possibili intese. Sudamericani ed arabi ci hanno oggi detto riterrebbero assai utile che eventuale decisione Italia farsi assistere in Somalia da due Stati associati sia da noi stessi annunziata con discorso in Comitato. Mi riferisco a tale proposito a lettera personale da me diretta a S.E. il ministro in data 29 ottobre u.s.1 e prego farmi avere al riguardo urgenti istruzioni2.

358

L’INCARICATO D’AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 4028/980. Madrid, 1° novembre 1949 (perv. l’8).

Accompagnato da manifestazioni di folla che avrebbero voluto essere grandiose e spontanee, e sono state invece modeste ed «organizzate», ha fatto ritorno a Madrid il 27 ottobre il generale Franco dopo la sua visita ufficiale di tre giorni al maresciallo Carmona, presidente della vicina Repubblica portoghese.

L’avvenimento ha fatto sbizzarrire le fantasie, non solo della stampa spagnola, che per oltre una settimana si è sforzata di creare intorno ad esso un’atmosfera di artificiale entusiasmo e di grande aspettazione, ma di molti organi, anche seri, della stampa mondiale, specialmente inglesi ed americani, che hanno voluto stabilire un nesso fra la visita del dittatore spagnolo al dittatore portoghese ed alcuni avvenimenti precedenti, quali la visita dell’ammiraglio Connolly e delle navi americane nelle acque spagnole, le ripetute dichiarazioni favorevoli alla Spagna di molti parlamentari nordamericani, la recente decisione del Brasile di rimandare un ambasciatore a Madrid; per tirarne la conclusione che addirittura fossero stati i militari americani a consigliare il viaggio di Franco a Lisbona per preparare l’ingresso della Spagna nel Patto atlantico e colmare così il vuoto che esisterebbe nello schieramento del Patto stesso.

Riesce pertanto difficile chiarire, dopo il molto che si è detto e congetturato, il nulla che poi è stato fatto a Lisbona. Si pensi che non v’è stato neanche il consuetudinario comunicato.

Si è trattato in sostanza di un viaggio di pura propaganda, attraverso il quale i due regimi, che seguono grosso modo una stessa linea politica interna ed estera, hanno ritenuto opportuno riaffermare la loro solidarietà con una manifestazione alla quale hanno cercato di conferire carattere di spettacolarità e che è apparsa in realtà vuota di sostanza e di contenuto, proprio per il grande rumore che tanto a Lisbona1 quanto a Madrid, ma sopratutto a Madrid, intorno ad essa è stato fatto.

La solidarietà che lega i due regimi salta agli occhi come evidente. Entrambi i paesi poggiano su basi economico-sociali precarie; le differenze fra l’uno e l’altro sono minime: il Portogallo è meglio amministrato, ma in Spagna esiste, anche se spesso solo sulla carta, una politica di progresso sociale forse più avanzata che in Portogallo.

2 Non è stata rinvenuta una risposta telegrafica.

Entrambi i regimi hanno basi antidemocratiche, che appaiono anacronistiche nell’Europa di oggi e che spiegano l’isolamento nel quale i due paesi vivono.

È questa solidarietà che ha aperto un’era nuova nei rapporti fra i due paesi che, come è noto, sono stati per tradizione — e tali permangono nella sostanza dei sentimenti intimi della popolazione — rivali, diffidenti l’uno verso l’altro, ed ostili.

Gli aiuti di volontari e di armi che il regime di Salazar fornì a quello nazionalista durante la guerra civile furono la conseguenza delle preoccupazioni che destava a Lisbona l’esistenza di una Repubblica social-democratica a Madrid, e del desiderio del Governo di Lisbona di vederla scomparire.

Data la situazione delicata dei due regimi (in entrambi esiste un forte partito comunista clandestino), basterebbe che una situazione interna pericolosa sorgesse nell’uno di essi perché essa avesse ripercussioni gravi anche nell’altro. Salazar ha altrettanto bisogno di Franco a Madrid, quanto Franco di Salazar a Lisbona.

Anche sul piano della politica estera, seppure in misura diversa e con le differenze dovute alle particolarità dei due paesi — il Portogallo, alleato tradizionale dell’Inghilterra, è esente dall’accusa di aver favorito le potenze dell’Asse durante l’ultimo conflitto — le tendenze sembrano essere sostanzialmente le stesse: mantenere la politica estera in una linea nettamente anti-comunista; dare quel minimo di collaborazione internazionale alle potenze del mondo occidentale per assicurarsi (questo è vero sopra-tutto per la Spagna) gli indispensabili aiuti americani; creare le basi per una terza neutralità, sia perché tale linea di condotta risponde al sentimento profondo di entrambi i paesi, ma sopratutto, nel caso di Franco, per negoziarne l’abbandono contro l’assicurazione precisa di un riconoscimento definitivo della legalità e legittimità del regime, che dovrebbe iniziarsi con l’invio immediato degli ambasciatori a Madrid, e concretarsi, poi, in sostanziali aiuti economici, ed in un secondo tempo, militari.

Nei limiti della solidarietà e delle analogie alle quali ho accennato, la situazione della Spagna è tuttavia differente da quella del Portogallo, il quale ultimo, con una politica più abile, è riuscito ad avere nel consesso internazionale un posto che non ha la Spagna, ma che quest’ultima — a certe condizioni — aspira ad acquistare.

Se la Spagna ha interesse a sfruttare e ad utilizzare la posizione migliore del regime portoghese per essere introdotta nel circolo delle potenze occidentali, contentandosi per ora, sopratutto, di ottenere la soddisfazione di prestigio delle piene relazioni diplomatiche, e di un primo sostanziale aiuto finanziario, il Portogallo ha interesse di vedervi ammessa la Spagna perché la dittatura di Salazar, da sola, vi si sente a disagio.

Ricorderò a questo proposito che quando ebbe luogo la prima riunione delle potenze invitate dagli Stati Uniti a partecipare al piano di aiuti americani, il ministro degli esteri portoghese richiese formalmente che la Spagna venisse inclusa nel piano Marshall. Egualmente, quando il Portogallo aderì al Patto atlantico, il Governo portoghese, per bocca del suo ministro degli esteri, fece delle riserve quanto alla non inclusione della Spagna e dichiarò esplicitamente, nel suo discorso al Parlamento, che l’efficacia della partecipazione portoghese al Patto sarebbe stata diversa a seconda che la Spagna fosse stata o meno fra le nazioni firmatarie. Il comunicato comune che venne emesso dopo l’adesione del Portogallo al Patto atlantico, dichiarava che Spagna e Portogallo, essendosi consultati in base agli impegni previsti dal Patto iberico, «avevano riconosciuto che i loro impegni di amicizia e di non aggressione continuavano in tutta la loro efficacia per la difesa degli interessi comuni, nonostante la partecipazione del Portogallo al Patto atlantico».

Nel grosso pubblico erano pertanto sorte notevoli aspettative. Si pensava che Franco non si sarebbe spostato fino a Lisbona per restituire una visita fatta dal presidente della Repubblica portoghese a Madrid, oltre venti anni fa, se non vi fossero state delle ragioni urgenti e concrete a consigliare il viaggio. Si è così parlato di una alleanza militare, da concretarsi fra i due paesi, che avrebbe permesso il collegamento col Patto atlantico anche senza l’effettiva partecipazione della Spagna al Patto stesso.

In realtà, nulla di ciò è accaduto, né poteva accadere: il viaggio si è svolto secondo il programma previsto. Fra coloro che hanno accompagnato il Generalissimo ho raccolto l’impressione che le accoglienze di Lisbona, specialmente quelle fatte dai militari in occasione della nomina di Franco a generale dell’Esercito portoghese, siano state giudicate molto sincere e calorose; ma tutto si è esaurito lì. Come ho detto, non vi è stato neanche un comunicato ufficiale.

I discorsi pronunciati dalle due parti sono stati privi di qualsiasi contenuto politico, tranne le solite generiche affermazioni di solidarietà, di esaltazione dell’origine comune della razza, e dell’identità di vedute dei due Governi in materia di comunismo.

Dal resoconto dei discorsi che ha pubblicato la stampa di Madrid, si direbbe, anzi, che il linguaggio dei portoghesi, del maresciallo Carmona, di Salazar, e specialmente del ministro degli affari esteri, sia stato ben più moderato, ed a volte addirittura freddo, in contrasto con quello molto più euforico, cordiale ed ampolloso degli spagnoli.

Il ministro degli affari esteri Martin Artajo, alla cui insistenza ed al cui lavoro si attribuisce la realizzazione del viaggio — e gli si fa, oggi, la colpa della sua inutilità — è il solo che si sia azzardato a fare una dichiarazione di sapore politico quando ha affermato, nel banchetto offertogli dal suo collega portoghese, di «avere il dovere di annunciare con il massimo ottimismo che questa seconda sorda fase della battaglia che conduce il generale Franco contro il mondo sovietico sta sul punto di concludersi e che presto suonerà l’ora della giustizia».

Questa frase è stata interpretata dai circoli ufficiali dei due paesi come l’annunzio del prossimo completo ristabilimento delle relazioni diplomatiche normali fra la Spagna e le potenze, oggi, rappresentate a Madrid soltanto da incaricati d’affari.

L’ambasciata portoghese di Madrid, ritiene che il ministro Martin Artajo non avrebbe fatto tale dichiarazione (e così almeno dovrebbe essere) se egli non fosse stato sicuro che quanto affermava si sarebbe verificato a breve scadenza.

Pur nutrendo simpatia personale per il ministro Martin Artajo, che è una degnissima persona, si possono formulare dubbi quanto alla fondatezza di certe troppo ottimistiche sue previsioni in questa materia, previsioni che già in altre circostanze sono state smentite dai fatti.

V’era tuttavia una questione che avrebbe potuto conferire un contenuto concreto alla visita di Franco a Lisbona, e cioè un nuovo incontro, o quanto meno uno scambio di vedute, magari per interposta persona, fra Franco ed il pretendente.

Mi consta, invece, non solo che Franco non ha visto il pretendente, ma che nessuno scambio, neanche di corrispondenza, ha avuto luogo fra i due; né che siano stati fatti tentativi da una parte o dall’altra per stabilire un eventuale contatto.

Trovandosi presente a Lisbona la regina madre, S.M. Vittoria Eugenia, Franco si è limitato a farle pervenire un grosso mazzo di fiori con una sua carta da visita, mentre tutto il suo seguito, compreso il ministro della marina, ma con l’eccezione del ministro degli affari esteri, si è recato a firmare i registri presso la residenza del pretendente.

Mi è stato anche detto, senza che io possa controllarlo, che il pretendente avrebbe desiderato abbandonare Lisbona durante la visita del generale Franco, a simiglianza di quanto hanno fatto, per marcare il disinteresse dei loro Governi, i capi missione accreditati in Portogallo dell’Inghilterra, degli Stati Uniti e della Francia, e che avrebbe receduto da questo suo proposito per un intervento diretto del maresciallo Carmona che lo ha fatto pregare di non creare imbarazzi al Governo che lo ospita.

Anche da questo punto di vista, dunque, la visita deve considerarsi negativa, come lo facevano facilmente prevedere i rapporti molto freddi che sono intervenuti, da qualche tempo, fra il capo dello Stato spagnolo ed il pretendente al trono.

Le impressioni che ho qui sommariamente riassunte, sono condivise da gran parte dei colleghi esteri accreditati a Madrid.

L’incaricato d’affari degli Stati Uniti, signor Culbertson, mi ha detto che non sapeva spiegarsi le ragioni per le quali Franco poteva essere andato in Portogallo e che egli si sentiva addirittura incapace di dare qualunque interpretazione a questo viaggio. Ha ridicolizzato naturalmente la voce che fossero stati i militari americani ad incitare Franco a recarsi a Lisbona e mi ha dichiarato che quand’anche fossero stati rinviati gli ambasciatori a Madrid, egli non sapeva prevedere una ammissione della Spagna al Patto atlantico se non dopo qualche anno. Mi ha detto che tutte le congetture che si erano fatte, anche in relazione alle visite che si stanno svolgendo in questi giorni dei parlamentari americani alla Spagna, erano da considerarsi infondate, e che la posizione degli Stati Uniti verso il regime di Franco rimaneva sostanzialmente immutata, anche se si poteva registrare una certa evoluzione più favorevole dell’opinione pubblica.

357 1 Non rinvenuto.

358 1 Per i commenti e le informazioni da Lisbona sulla visita di Franco vedi D. 346.

359

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AGLI AMBASCIATORI A WASHINGTON, TARCHIANI, E A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO 9474/516 (Washington) 572 (Parigi). Roma, 2 novembre 1949, ore 13,50.

Questa ambasciata britannica ha qui rimesso stamane memorandum che illustra punto di vista Governo inglese favorevole riconoscimento de jure Governo comunista cinese. Trasmetto testo per corriere1. Memorandum è stato contemporaneamente consegnato a tutti Governi Patto atlantico e Commonwealth britannico, e in esso è specificato che «prima di prendere una decisione definitiva su tale questione» il Governo di Londra attende conoscere parere dei Governi predetti. Memorandum precisa anche che una conferenza di tutti i rappresentanti britannici nell’Estremo Oriente si terrà nei giorni 2-4 novembre a Singapore per esaminare situazione interessi inglesi in quell’area e questione riconoscimento.

Prego codesta ambasciata mettersi in contatto con codesto Governo per conoscerne reazioni a passo britannico.

(Solo per Parigi) E prego ambasciata Parigi informare di quanto precede S.E. il ministro2.

359 1 Non pubblicato.

360

L’AMBASCIATORE A LIMA, BOMBIERI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12446/53. Lima, 2 novembre 1949, ore 21,43 (perv. ore 7,30 del 3).

Stamane ho presentato le lettere credenziali con una cerimonia alla quale autorità locali hanno voluto dar risalto attraverso integrale applicazione apparato d’onore.

Presidente della Repubblica in termini cordiali mi ha ripetuto manifestazioni amicizia, confermandomi buone disposizioni questo Governo continuare darci appoggio nel campo internazionale ed assicurando piena corresponsione propositi per una feconda collaborazione.

361

L’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO URGENTE 12449/101. Ottawa, 2 novembre 1949, ore 19,42 (perv. ore 7,30 del 3).

Mio telegramma 831 e suo 442.

D’intesa anche con primo ministro ho intensificato contatti con questi esponenti cattolici affinché appoggino emigrazione italiana. Al riguardo mi sono anche avvalso argomento che Chiese protestanti provvedono direttamente collocamento maggioranza agricoltori olandesi presso fattorie canadesi (mio 80)3.

Ora poiché dal 9 all’11 corrente avrà luogo Conferenza annuale Episcopato cattolico suo presidente arcivescovo Ottawa mi ha promesso porre ordine del giorno questione appoggio nostra emigrazione. Questione sarebbe bene inteso trattata in forma riservata anche onde evitare eventuali ripercussioni nel campo protestante.

Eventuali decisioni positive Conferenza potrebbero esserci grande giovamento specie presso il Governo provinciale Quebec nonché per azione capillare piazzamen

to emigranti in varie diocesi. Peraltro dati noti pregiudizi vari ambienti in materia immigrazione non è esclusa possibilità opposizione in seno Conferenza e rinvii.

Permettomi pertanto sottoporre V.E. particolare opportunità promuovere d’urgenza caldo interessamento Vaticano dato anche recenti manifestazioni Canada dirette Sua Santità circa nostra emigrazione negli U.S.A. Comunque potrebbero essere efficaci approvazione Segreteria di Stato ad iniziativa arcivescovo Ottawa e raccomandazioni dirette ad arcivescovi Quebec Montreal e cardinale Toronto.

Per mia norma di condotta sarei grato a V.E. informarmi4.

359 2 Per le risposte vedi DD. 370 e 368.361 1 Vedi D. 202. 2 Del 29 settembre, con il quale Vidau aveva informato sull’esito della visita in Italia del direttore del Servizio di immigrazione transoceanica canadese.3 Vedi D. 157.

362

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’O.E.C.E., CATTANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

TELESPR. URGENTE 0160/D.145/M.1541. Parigi, 2 novembre 1949, part. il 32.

Riferimento: Seguito mio telespresso urgente 01593.

Il Consiglio dell’O.E.C.E. al livello ministri ha iniziato le sue sedute il 31 ottobre, sotto la presidenza di Van Zeeland. Assisteva ai lavori il capo dell’Amministrazione dell’E.C.A., sig. Hoffman.

Dopo che il Consiglio ha preso atto del passaggio della rappresentanza della Trizona alle autorità tedesche secondo la semplice procedura su cui ho precedentemente riferito e cioè con un breve saluto del presidente Van Zeeland e una altrettanto breve dichiarazione del vice cancelliere Blucher, che ha segnato l’ingresso della Repubblica federale tedesca nell’Organizzazione di cooperazione economica europea, il sig. Hoffman ha pronunciato il discorso che è contenuto nel documento C(49) 176 (allegato)4.

Grande aspettativa vi era in Consiglio per questo discorso cui erano state fatte recentemente ogni sorta di congetture in confronto delle quali esso è invece apparso come moderato nella forma e nel contenuto. In sostanza Hoffman ha reiterato pressanti inviti all’Europa perché essa coordini le sue forze in vista della formazione di un mercato unico all’interno del quale siano definitivamente abolite le restrizioni quantitative, le barriere monetarie ed in ultima analisi le tariffe doganali. Per giungere a questo scopo Hoffman ha raccomandato l’adozione di tutte le misure necessarie possibili ed ha anche menzionato quelle relative alla creazione di intese regionali più

o meno larghe considerate come un passo verso l’integrazione più completa delle varie economie europee.

2 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

3 Non pubblicato.

4 Non pubblicato. Il testo del discorso è edito in «Relazioni internazionali», a. XIII (1949), n.45, pp. 678-679.

Susseguentemente i lavori del Consiglio si sono sviluppati in due direzioni: da un lato discussioni sul documento C(49) 175 relativo alla liberalizzazione degli scambi, e dall’altro verso il tentativo di racchiudere in un documento delle decisioni

o raccomandazioni che potessero rispondere ai problemi di fondo sollevati rispettivamente da Hoffman e dai rappresentanti inglesi, francesi, italiani ed irlandesi.

Ha preso per primo la parola sir Stafford Cripps il quale rispondendo al discorso di Hoffman e dopo averne elogiata l’opera e l’insieme dell’azione svolta in genere dagli Stati Uniti ha, tra l’altro, creduto di mettere in guardia il Consiglio contro le difficoltà che possono sorgere dalla più intima cooperazione tra uno o più gruppi di paesi partecipanti auspicata da Hoffman. Egli ha citato al riguardo le esperienze fatte nell’area della sterlina e i sacrifici che sono stati necessari da parte britannica per mantenere in piedi tale organismo economico. Ha inoltre citato le difficoltà che si frappongono alla realizzazione dell’Unione doganale italo-francese e a quella del Benelux. Ha terminato dichiarando che il Regno Unito proseguirà nella strada della cooperazione europea senza tuttavia pregiudicare la sua posizione di centro motore dell’area sterlina. Pertanto ha dichiarato, a nome del suo Governo, che era disposto a studiare ed appoggiare qualche integrazione regionale tra alcuni gruppi di paesi che presenti effettivamente un interesse europeo e che non sia di pregiudizio all’area della sterlina.

Si è quindi levato a parlare il ministro danese Rasmussen, il quale ha fatto presente come la liberalizzazione proposta debba essere applicata secondo un criterio di gradualità e che una stessa percentuale di liberalizzazione non può servire a misurare esattamente lo sforzo fatto in questo senso da ciascun paese. Preoccupato della sorte riservata al sistema dei contingenti globali, caro al suo paese come agli altri scandinavi, ha proposto che nel 50% di importazioni liberalizzate possano essere anche compresi i contingenti globali. Si è attirato però una risposta secca e negativa di sir Stafford Cripps il quale gli ha ricordato come il Consiglio avesse già deciso che l’introduzione di contingenti globali non possa essere equiparata all’abolizione delle restrizioni quantitative e gli ha ricordato che il paragrafo 6 del documento in questione conteneva una «valvola di sicurezza» che poteva eventualmente servire a paesi che si trovassero in circostanze speciali. Infine il delegato danese ha detto al Consiglio che tra i paesi scandinavi si sta studiando un progetto di unione doganale e che a tale scopo è allo studio la possibilità di adottare una tariffa doganale comune; per intanto i tre paesi scandinavi presenteranno all’O.E.C.E. progetti relativi a interscambi di energia idroelettrica.

Il ministro francese Schuman ha dato anche lui la sua adesione ai principi generali enunciati da Hoffman ed agli obbiettivi da esso proposti. Ha ribadito anche lui il concetto che si debba procedere a tappe verso la completa liberalizzazione e si è espresso in favore di intese regionali i cui rischi sarebbero stati accettati dal Governo francese con piena consapevolezza.

Il ministro Tremelloni è intervenuto a questo punto riallacciandosi alle dichiarazioni precedentemente fatte ed esprimendosi favorevolmente sul principio della liberalizzazione, sottolineando però la necessità che ad una liberalizzazione degli scambi delle merci faccia parallelamente riscontro una serie di misure relative alla liberalizzazione delle partite invisibili e principalmente del turismo e delle rimesso degli emigranti. Inoltre il ministro Tremelloni non ha mancato di sottolineare ancora una volta la particolare situazione dell’Italia che si trova in questo momento priva di un’efficace protezione doganale.

Altre dichiarazioni in sostanza favorevoli all’accettazione dei principi fin qui esposti sono state fatte dai delegati olandesi, svizzeri, svedesi e norvegesi.

Pertanto, allo scopo di arrivare ad un accordo comune sui principi discussi, è stato affidato, prima ad un gruppo di delegati supplenti, e poi ad un gruppo di ministri assistiti dal segretario generale, il compito di racchiudere in un documento unico il risultato degli accordi finora raggiunti. Infatti alla seduta conclusiva del Consiglio che ha avuto luogo oggi 2 novembre è stato presentato il progetto di risoluzione (documento C(49) 181 allegato)3 che è stato unanimemente approvato divenendo così decisione formale del Consiglio.

Il documento in questione è composto di un preambolo e di una deliberazione che comprende sei differenti decisioni.

Nel preambolo il Consiglio dichiara anzi tutto di aver preso conoscenza delle dichiarazioni e dei suggerimenti presentati da diverse delegazioni e dall’amministratore dell’E.C.A.; riconosce la necessità di creare in Europa un vasto mercato unificato nel quale i beni ed i servizi potranno circolare direttamente; riafferma il proposito di abolire, appena possibile, le restrizioni agli scambi ed ai pagamenti tra i paesi membri; pur constatando l’urgenza del problema riconosce la convenienza di procedere a tappe per realizzare ulteriori progressi; riconosce inoltre che può essere utile prevedere delle associazioni economiche e monetarie più strette sul piano regionale tra alcuni paesi membri; ed infine riconosce che può essere necessario per i Governi interessati di confrontare le rispettive politiche finanziarie, economiche e sociali in vista di realizzare un insieme armonico.

Dopo tali affermazioni preliminari, il Consiglio dei ministri dell’O.E.C.E. ha approvato l’adozione di sei risoluzioni che mirano a raggiungere gli obiettivi generali espressi nel preambolo.

La prima risoluzione è quella relativa alla liberalizzazione degli scambi. Essa, salvo un’inversione di due paragrafi dettata da ragioni di conseguenza logica, è la stessa di quella contenuta nel documento C(49) 175 su cui ho riferito col telespresso urgente in riferimento.

La seconda risoluzione è relativa ai pagamenti intraeuropei: al riguardo è stato deciso che la zona di trasferibilità delle rispettive monete tra i paesi partecipanti verrà allargata con l’applicazione di misure adeguate, anche a mezzo di provvedimenti supplementari e di istituzioni centrali che si manifestassero utili a tal fine.

Con la terza risoluzione il Consiglio incarica il Comitato esecutivo dell’Organizzazione di esaminare i mezzi per eliminare i «prezzi doppi» negli scambi europei e di presentare al più presto un rapporto su tale argomento.

La quarta risoluzione si riferisce al potenziamento della cooperazione economica tra gli Stati partecipanti. Con essa il Consiglio rivolge un appello a quei paesi che hanno già elaborato progetti miranti ad una cooperazione economica più stretta con uno o diversi fra gli Stati partecipanti perché li sottomettano all’Organizzazione insieme ad ogni utile suggerimento al riguardo.

La quinta risoluzione è quella relativa al problema della mano d’opera, al quale il Consiglio ha dato particolare importanza incaricando il Comitato esecutivo di riesaminare la possibilità di assorbimento della mano d’opera eccedente in alcunipaesi partecipanti sia in Europa stessa che altrove. È da notare che questa è la prima volta che viene presa una solenne deliberazione del genere la quale, pur non essendo strettamente legata alle altre deliberazioni prese, nella stessa occasione, dal Consiglio, ne ha tuttavia la medesima importanza e lo stesso rilievo.

Con l’ultima e conclusiva sua deliberazione, il Consiglio ha dato mandato al Comitato esecutivo di attenersi strettamente alle decisioni prese nella presente occasione, tanto nel procedere all’esame dei rapporti ad esso sottoposti dai paesi partecipanti, quanto nell’elaborazione del rapporto relativo al programma d’azione per l’anno prossimo che deve essere presentato per il 15 dicembre prossimo.

Infine, con deliberazione a parte, il Consiglio ha poi approvato il documento C(49) 174 relativo all’adozione del nuovo sistema di divisione dell’aiuto americano e circa il quale mi riservo riferire a parte diffusamente.

In ultimo il ministro irlandese MacBride ha rivolto al Consiglio un vibrato appello perché esso si riunisca più spesso e con meno formalità al livello dei ministri, allo scopo di dare all’Organizzazione quell’impulso e quelle direttive necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissi.

Pertanto, ed a parziale accoglimento della sua richiesta, è stato deciso che la prossima riunione del Consiglio al livello ministri avrà luogo nel mese di gennaio aduna data che verrà ulteriormente precisata. È stato inoltre deciso che il Gruppo consultativo dei ministri si riunisca con un certo intervallo dal Consiglio pieno dei ministri, allo scopo di permettere al secondo organo di studiare le eventuali proposte avanzate dal primo.

La delegazione italiana ha partecipato attivamente a tutti i lavori del Consiglio dell’O.E.C.E. che hanno portato alla adozione delle mozioni oggi approvate; in diversi casi ha preso l’iniziativa di far inserire nelle mozioni stesse argomenti che interessano in modo particolare l’economia italiana.

L’intervento del ministro Tremelloni è stato, tra l’altro, decisivo in materia di liberalizzazione dagli scambi invisibili (turismo e rimesse degli emigranti), in materia di mano d’opera (si è ottenuto che a questo problema fosse dedicato un apposito paragrafo della mozione), nonché nell’elaborazione del paragrafo 6 della decisione I, intesa ad assicurare quel minimo di flessibilità e quel margine di sicurezza che avevamo richiesto.

361 4 Con T. segreto 9922/52 del 16 novembre Vidau informò che la Segreteria di Stato era inter-venuta presso l’arcivescovo di Ottawa nel senso richiesto.

362 1 Diretto anche alle ambasciate a Londra, Parigi e Washington e consegnato a mano a Sforzapresente a Parigi.

363

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. 9520/585. Roma, 3 novembre 1949, ore 17,15.

Pregasi comunicare a S.E. ministro seguente telegramma da osservatore O.N.U.:

«408. Mi riferisco mio telegramma 46 del 10 aprile 19481 e seguente corrispondenza. Deprecando impasse insolubile determinatasi nella questione dell’ammissione

alle Nazioni Unite dei nuovi membri e ricordando progetto appena ventilato da Austin in Consiglio sicurezza nell’aprile 19482 (e nostra risposta favorevole) delegazione americana mi ha oggi chiesto se Governo italiano fosse oggi disposto accettare una soluzione provvisoria di ammissione sul tipo Associated Membership colle seguenti facoltà:

1) partecipazione ai lavori di tutte le Commissioni dell’Assemblea e partecipazione alle sedute plenarie a parità con altre delegazioni;

2) eventuale studio di possibilità di elezione sempre come «membro associato» al Consiglio economico e sociale;

3) esclusione del diritto voto ma possibilità esprimere nostro pensiero su ogni questione.

Queste facoltà mi sono state date a titolo esemplificativo soggetto sempre a studio ed approvazione da parte Assemblea.

Predetto suggerimento mi è stato detto verrebbe avanzato soltanto pel caso che nostro Governo ritenesse oggi opportuno partecipare in tal forma ai lavori Nazioni Unite. In caso di risposta negativa da parte nostra, tale soluzione non verrebbe proposta nemmeno per altri Stati. È stato aggiunto che era lecito sperare che intero problema ammissioni potrebbe essere definitivamente risolto tra un anno e che quindi tale soluzione provvisoria sarebbe di durata limitata.

Poiché questione ammissione è attualmente in discussione davanti al Comitato politico ad hoc mi è stato chiesto conoscere urgentemente pensiero Governo italiano in modo che qualora suggerimento fosse di suo gradimento questione potesse essere messa subito allo studio per giungere ad una soluzione nel corso presente Assemblea»3.

363 1 Non pubblicato.

364

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A PARIGI

T. SEGRETO 9537/586. Roma, 3 novembre 1949, ore 19,30.

Ad ogni buon fine informo che questa ambasciata U.S.A. mi ha comunicato oggi, su istruzioni suo Governo, che quest’ultimo è tuttora fermo per sede Londra Gruppo regionale meridionale e desiderava sapere se mantenevamo analoga opinione. Ho risposto affermativamente, per quanto mi constava, aggiungendo che tuttavia, dati nostri amichevoli rapporti con Francia, non avremmo potuto assumere posizione di punta al riguardo, ma sostenere con convinzione proposta che in tal senso ci risultava avrebbero presentato inglesi; ciò che del resto avevamo reso noto anche a questi ultimi.

3 Per la risposta di Sforza vedi D. 369.

363 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 552.

365

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 12523-12524-12519/410-411-412. New York, 3 novembre 1949, ore 23,10 (perv. ore 10,30 del 4).

Interrogato da Alessandrini circa proponimento inglese di emendare radicalmente risoluzioni Sottocomitato, Clutton ha dichiarato quanto segue:

a) Libia. Governo inglese tenterà eliminare Commissione e diminuire rigidità progetto unitario. Delegazione inglese riconosce lealtà nostro atteggiamento e si rende conto che non possiamo rinunciare alla Commissione né alla partecipazione di un nostro delegato. Esso ci domanda però usare tutta nostra influenza presso sud-americani per rallentare per quanto possibile vincoli unitari tra tre regioni libiche.

b) Somalia. Clutton ha chiesto maggiori schiarimenti circa trusteeship a tre dicendo poi che questione Somalia va diventando molto difficile perché, da un lato, voti sud-americani ed anglo-sassoni per trusteeship unico non possono raggiungere due terzi senza aiuto degli Stati arabo-asiatici, mentre, dall’altro, trusteeship a tre, pur riscuotendo voti arabo-asiatici, è avversato da Dominions e da altri Stati colonia

li. Ciò soprattutto perché se Egitto e Brasile fossero scelti per Somalia occorrerebbe allargare Consiglio di tutela dell’O.N.U., disturbando delicato equilibrio esistente in tale Consiglio.

c) Eritrea. Clutton desidera attirare nel modo più serio attenzione Governo italiano su estrema irritazione Etiopia per mancata soluzione problema eritreo ed influenza che tale grave malcontento può avere su soluzione problema Somalia dato che Etiopia si rifiuta assolutamente accettare delimitazione sue frontiere con Somalia.

Circa minaccia inglesi Padilla Nervo ha detto a Mascia averne parlato ieri lungamente con Jessup il quale pur essendo fortemente scontento di questa improvvisa minaccia ha finito però ammettere che «qualche cosa» occorreva fare per venire incontro inglesi sia pure con lievi cambiamenti di forma nella risoluzione unitaria del Sottocomitato. Padilla rispostogli che se toccavasi una sola parola intera risoluzione, frutto tre settimane penoso delicatissimo lavoro, cadeva; Padilla insistito con Jessup sul fatto che se accordo raggiunto fallisse per colpa Inghilterra questa ne approfitterebbe per far trovare Nazioni Unite anno prossimo di fronte fatto compiuto concedendo ai libici quella forma d’indipendenza che a lei facesse più comodo. Padilla concluso dicendo essere preoccupato della possibilità che americani possano essere tentati di fare concessioni agli inglesi.

Muniz ha detto aver posto a Clutton aut aut circa eventuale responsabilità fallimento totale accordo odierno; Clutton rispostogli assumevasi tale responsabilità.

Arce indignatissimo contro contegno antisocietario inglese (chiedente soltanto modifiche a vantaggio suoi diretti interessi negando qualsiasi concessione a vantaggio Nazioni Unite) è disposto denunciare caparbio egoismo Bevin in piena Assemblea. Egli ha ottenuto assicurazioni favorevoli al nostro punto di vista dal delegato iracheno (il più infeudato all’Inghilterra) e conta ottenere assicurazioni analoghe da indiani essendo egli presidente di turno del Consiglio di sicurezza, ove verrà in discussione questione Cashmir.

Ho visto stamane lungamente Ross in assenza Jessup per fargli precisare atteggiamento americano rispetto manovra britannica. Mi ha dichiarato a nome tutta sua delegazione che Governo Stati Uniti farà ogni possibile azione in pieno accordo con noi perché la risoluzione unitaria votata dopo lunghissimo sforzo conciliazione del Sottocomitato sia approvata dal Comitato politico e dall’Assemblea nell’interesse superiore di liquidare quella parte della questione delle colonie italiane sulla quale si è raggiunto un accordo applicabile. Ross ha aggiunto constargli che non tutti gli Stati associati all’Inghilterra sono pronti a sostenere la sua nuova posizione e si è mostrato convinto che con una azione comune che comprenda arabi e asiatici la risoluzione passerà. Ho fatto fare contemporaneamente uguale passo a Washington da Luciolli che ha ricevuto risposte identiche.

Se una concessione è possibile (ammesso che arabi, asiatici, latino americani la accettino) è per un lieve allentamento della formula dell’unità lasciando naturalmente al popolo libico facoltà di decisione.

366

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. PERSONALE1. Parigi, 3 novembre 1949, sera.

Mi si dice in questo momento che sarebbe apparsa su un ebdomadario di New York una serie di frasi, «attribuite» a Bevin, esprimenti una certa sorpresa, se non risentimento, per le osservazioni tue (Senato)2 e mie (Camera)3 circa la politica inglese verso di noi.

Checché ne sia di ciò, a noi non conviene rilevare né polemizzare.

Ma che frasi di tal genere siano state dette da Bevin io lo rilevo da questo fatto, in modo certo. Egli ha voluto incontrarsi meco stamani e fra altro mi ha detto: «Ho

2 Il 29 luglio, nel corso del dibattito al Senato per la ratifica del Patto atlantico, De Gasperiaveva espresso «una grande amarezza per la scarsa comprensione che in certi campi e in modo particolare in certi organismi inglesi si è dimostrata di fronte ai postulati italiani e alle modeste rivendicazioni italiane». Vedi Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, 1949, vol. VII, seduta del 29 luglio 1949, pp. 10041-10105.

3 A conclusione del dibattito alla Camera (20-25 ottobre) sul bilancio del Ministero degli esteriSforza aveva dedicato una parte del suo discorso ai rapporti italo-britannici dichiarando tra l’altro: «Sonoconvinto che si deve finir per sentire anche a Londra che la diplomazia della Repubblica italiana non hadoppi fondi e che si offenderebbe il nostro popolo confondendolo con la politica faziosa e mutevole diuna dittatura, che in certi momenti trovò non pochi protettori sulle sponde del Tamigi» e concludendo «Inogni campo dunque noi possiamo essere accanto all’Inghilterra; ma purché l’Inghilterra guardi avanti enon indietro. Indietro ci sono gli sterili rancori e le ancor più sterili illusioni; avanti c’è un’Europa anelante a libertà e solidarietà; un’Europa di cui a Strasburgo l’Inghilterra ha dichiarato lealmente di farparte». Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1949, vol. VIII, seduta del 25 ottobre 1949, pp. 12843-12880.

letto con attenzione il vostro discorso; esso mi è in parte piaciuto e in parte spiaciuto; voglio comunque assicurarvi che da parte (mia) non è uscita né uscirà frase alcuna di lamento o commento».

Stasera ho capito che avevo ascoltato una excusatio non petita, con quel che segue. E di ciò basta.

Le discussioni sul Consiglio europeo sono miserevoli, ipocrite; ci faranno gran torto agli Stati Uniti.

Sarò domenica [il 6] sera a Roma.

P.S. Qui Tremelloni, tranquillo, ma offesissimo di aver tutto appreso dai giornali!

366 1 Autografo al pari del foglio di accompagnamento per Zoppi: «Legga queste due, le copi, secrede, poi le inoltri in busta chiusa».

367

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 12539/537. Parigi, 4 novembre 1949, ore 16,24 (perv. ore 17,40).

Ho telegrafato a Londra e comunico a lei per sua eventuale norma di linguaggio per il caso improbabile che Mallet si lamenti ancora con lei della stampa romana:

«Se dovessi giudicare dalle cordiali espressioni usate da Bevin meco in una breve conversazione ieri mattina1 concluderei che il così detto leakage non emana da lui. Ma poiché desidero, al di sopra di tutto, dei rapporti cordiali con l’Inghilterra conto su V.E. perché si eviti ogni discussione.

Tuttavia se in seguito alle reazioni della stampa romana qualche nuova lamentela le fosse espressa ella potrà rispondere che la nostra stampa non è mai giunta al livello del Daily Mail di Parigi che, presente Bevin in questa capitale, ha intitolato la notizia così: “Una sculacciata di Ernesto all’Italia”».

368

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 12557/539. Parigi, 4 novembre 1949, ore 21,25 (perv. ore 7,30 del 5).

Suo 5721.

Passo inglese in favore riconoscimento Governo comunista cinese ha messo in serio imbarazzo Governo francese.

368 1 Vedi D. 359.

Due sono opinioni in contrasto: la prima, del Quai d’Orsay e sostenuta da ambasciatore Meyrier recentemente rimpatriato, che sollecita riconoscimento nuovo Governo l’unico mezzo per cercare salvare cospicui interessi francesi in Cina; la seconda, calorosamente difesa da alto commissario Indocina, che riconoscimento Governo comunista cinese potrebbe avere conseguenze disastrose per mantenimento posizioni Francia in Estremo Oriente in quanto: renderebbe difficili rapporti con autorità di frontiera nazionaliste cinesi; scoraggerebbe truppe francesi scuotendone morale; incoraggerebbe Ho Chi Minh; arresterebbe lenta ma continua sottomissione a Bao Dai, già iniziatasi; avrebbe ripercussioni su atteggiamento collettività un milione cinesi residenti Viet-Nam; consentirebbe invio in Indocina da parte Governo comunista cinese missioni consolari ed altro carattere che si abbandonerebbero certamente attiva propaganda antifrancese. Azione politica Bao Dai incomincia solo ora a delinearsi e suo successo non è scontabile se non tra un anno o due. In queste circostanze Governo francese adotterà probabilmente soluzione ripiego cercando guadagnare più tempo possibile: Quai d’Orsay pensa poter addivenire riconoscimento due o tre settimane dopo Gran Bretagna. Non si ritiene possibile mercanteggiare riconoscimento contro analogo gesto di Mao Tse-tung nei confronti Bao Dai né di ottenere in cambio aiuti americani per Indocina. Schuman non ha ancora preso decisione definitiva, riservandosi parlarne con Bevin e con Acheson2.

367 1 Vedi D. 366.

369

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO URGENTE 12544/540. Parigi, 4 novembre 1949, ore 19,04 (perv. ore 21,30).

Mandi subito seguente mia risposta a Mascia ma comunicandola prima al presidente del Consiglio dato suo carattere delicato. Se egli avesse obiezioni sospenda e mi informi:

«Suo 4081. La prego significare subito delegazione americana che il Governo italiano apprezza altamente il suo sforzo e le sue proposte. Ci è tuttavia impossibile accettare integralmente per due ragioni: mancanza del nostro diritto di voto e timore che la creazione di una situazione meno intollerabile ritardi pieno riconoscimento del nostro diritto malgrado la più cordiale buona volontà della delegazione proponente.

Ma per una somma di ragioni di cui non ultima il nostro apprezzamento del buon volere americano saremmo lieti di accogliere di tempo in tempo un provvedi

mento più elastico consistente ad invitarci volta per volta per problemi circa i quali intervento italiano appare più naturale e necessario. Ciò tanto più che tanto l’invito quanto la nostra periodica accettazione servirebbero ricordare quanto sia anomala la situazione creata dal veto sovietico»2.

368 2 Con il telespresso urgente 1940/0313 del 14 novembre Quaroni aggiunse che il Quai d’Orsay, pur avendo risposto alla nota britannica di non desiderare un affrettato riconoscimento del Governocomunista cinese, aveva fatto intendere che non avrebbe potuto mantenere un atteggiamento intransigentesopratutto se il riconoscimento britannico fosse seguito da quello di altri Stati aventi interessi commerciali in Cina.

369 1 Del 2 novembre, vedi D. 363.

370

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,

AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 12554/909. Washington, 4 novembre 1949, ore 20,53 (perv. ore 5 del 5).

Mio 9061.

Dipartimento Stato conferma che non (dico non) intende procedere per ora ad alcun riconoscimento Governo di Pechino. Nel corso imminenti conversazioni a tre a Parigi Acheson esporrà nuovamente punto di vista Governo americano e tenterà di indurre Governo inglese a recedere da un pronto riconoscimento de jure.

Segue rapporto2.

371

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12560/639. Londra, 4 novembre 1949, ore 20,48 (perv. ore 7,30 del 5).

Mio telegramma 6351.

A tutti i fini, riepilogo utili impressioni raccolte da nostra delegazione e gruppo produzione e rifornimenti nel corso rapidi ma intensi lavori prima riunione londinese:

1) la riunione, efficientissima nella sua organizzazione, è stata dominata da iniziativa americana soprattutto a mezzo suo presidente;

[T. 4468/C. del 27 maggio per Washington, Londra e Parigi] di approfittare dell’occasione di un eventualedibattito alle Nazioni Unite sul seggio cinese «per risollevare con sovietici nostra ammissione O.N.U.».2 Non pubblicato.

2) nonostante tentativi francesi, blandamente appoggiati da inglesi, di far dare priorità a già costituita organizzazione e piani Unione Occidentale, americani si sono opposti ad ogni tentativo, anche larvato, di discriminazione nei riguardi ultimi arrivati ed hanno teso, con successo, ad assolutamente paritetica pronta unità d’azione escludente, almeno pel momento, anche «compartimenti stagni» gruppi regionali;

3) americani hanno marcatamente dato in ogni occasione loro comprensivo appoggio sopra esposte tesi a noi favorevoli ed ambiente londinese ha felicemente reagito armonizzandosi rapidamente con tali iniziative.

369 2 Trasmesso a Mascia con T. segreto 9616/256 del 7 novembre.

370 1 Con il T. 12509/906 del 3 novembre, ore 21,30, Tarchiani aveva comunicato: «Prima reazioneDipartimento Stato a passo britannico di cui a telegramma ministeriale 516 (vedi D. 359) è che «Gran Bretagna vuol marciare troppo in fretta». E aveva anche aggiunto «Nel trattare questione da parte di questaambasciata si è accennato anche a questione ammissione italiana O.N.U.» con riferimento alle istruzioni

371 1 Del 3 novembre, con il quale Gallarati Scotti aveva riferito circa le riunioni del 1° e 2novembre della Commissione armamenti e rifornimenti, aventi per oggetto la definizione dei criteri diorganizzazione della Commissione stessa.

372

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AGLI INCARICATI D’AFFARI A IL CAIRO, ARCHI, E A BEIRUT, VINCI

T. SEGRETO 9578/128 (Il Cairo) 50 (Beirut). Roma, 5 novembre 1949, ore 15.

Come le è certamente noto da notizie stampa, al fine facilitare soluzione questione Somalia avevamo aderito in massima a formula appoggiata da Stati arabi e asiatici secondo cui mandato sarebbe stato affidato a tre potenze (Italia, Brasile, Egitto) con effettiva amministrazione unica italiana. Tale progetto ha però suscitato opposizione vari altri Stati (tra cui U.S.A., Gran Bretagna e alcuni Dominions) in quanto, adottandosi tale formula, Brasile ed Egitto diverrebbero automaticamente membri Consiglio tutela O.N.U. in qualità «potenze coloniali» ciò che renderebbe necessario ammettere a tale Consiglio altri due membri non coloniali. In tali condizioni predetto mandato a tre non potrebbe raggiungere maggioranza due terzi e questione Somalia verrebbe nuovamente rinviata permanendovi situazione attuale. Egiziani, cui tale situazione è stata prospettata, si ostinano richiedere mandato a tre proprio per entrare in Consiglio tutela e hanno creato impasse che può avere come conseguenza rinvio tutte questioni compreso progetto per indipendenza Libia.

Pregola intervenire d’urgenza presso codesto Governo per rappresentare delicatezza situazione e (Per Cairo) indurlo rendersi conto necessità valutare situazione stessa con realismo aderendo progetto mandato italiano Somalia.

(Per Beirut) indurlo impartire propria delegazione O.N.U. istruzioni approvare mandato italiano ove, nonostante nostre migliori intenzioni, non fosse possibile varare mandato tre1.

372 1 Per la risposta da Il Cairo vedi D. 378, non è stata rinvenuta una risposta telegrafica da Beirut.

373

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 9579/465. Roma, 5 novembre 1949, ore 16.

Telegrammi di questo Ministero 4561-457-458-4592.

Riterrei conveniente continuare mantenere con Foreign Office contatti su sviluppo situazione libica all’O.N.U. Mostrandosi edotto contenuto telegrammi succitati, V.E. potrà confermare che mentre siamo disposti fare appoggiare emendamenti per allentamento formula unità saremo invece necessariamente costretti opporci emendamenti che tendessero escluderci da Commissione internazionale. Dobbiamo anche avvertire lealmente che insistenze delegazione britannica in tale senso si rifletterebbero qui come gesto poco amichevole e contrastante con spirito e propositi collaborazione emersi da conversazioni Alessandrini. Sarà sempre possibile concordare fra noi amichevole intesa che tolga preoccupazioni cui codesto Governo sembra attualmente soggiacere circa Cirenaica e da cui derivano sue perplessità per Commissione internazionale.

374

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. SEGRETO 12582/543. Parigi, 5 novembre 1949, ore 21 (perv. ore 24).

Grazie tuo buon telegramma1.

Parto stasera ti vedrò lunedì [il 7] ma fin d’ora voglio dirti sintesi di questa sessione2: timore generale di urtare l’isolazionismo britannico e quindi rinvio di quasi tutte le proposte dell’Assemblea senza rendersi conto che quando si rinvia delle formule forse mediocri si ha il dovere di trovarne di migliori. Per parte mia con due miei decisi interventi ho segnalato i pericoli di questa passività sapendo che ciò facendo non solo dicevo il vero ma riscuotevo viva se pur tacita approvazione americana. Di ciò ho ricevuto ampia prova come ti dirò.

2 Del 4 e 5 novembre, ritrasmettevano i telegrammi 410, 411 e 412 da New York per i quali vedi D. 365. 374 1 Non rinvenuto. 2 Del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, sull’argomento vedi D. 391.

Naturalmente nostro dovere è di non esprimere pubblicamente severe critiche anche perché ciò danneggerebbe nascente organizazione.

373 1 Del 4 novembre, ritrasmetteva il T. 35 da Tripoli, pari data, con il quale Gaja riferiva circa ilprevisto prossimo svolgimento di una manifestazione pubblica organizzata dal Congresso nazionale dellaTripolitania contro l’istituzione di una Commissione consultiva per la Libia, esprimendo forti dubbi sul-l’opportunità dell’iniziativa.

375

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A IL CAIRO, ARCHI

T. SEGRETO 9613/129. Roma, 6 novembre 1949, ore 22.

Seguito mio 1281.

Delegazione O.N.U., telegrafa quanto segue:

«Continuano scambi di idee con egiziani per trovare soluzione compromesso in questione Somalia che ci assicuri contemporaneamente adesione maggioranza arabo-asiatici ed europei, cioè soluzione che escluda “angeli custodi” da Trusteeship Council.

Arce ha detto categoricamente a Fawzi Bey che in caso diverso tornava a suo progetto trusteeship italiano unico e lasciava ad arabi responsabilità frattura blocco latino-arabo con tutte le sue conseguenze per intera questione colonie; l’altro lo ha pregato astenersi pel momento prendere qualsiasi posizione che potesse ipotecare condotta futura e si è riservato dare risposta lunedì»2.

376

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12599/646. Londra, 6 novembre 1949, ore 12,50 (perv. ore 19,45).

Riferimento telegramma 743 da Parigi1.

Vengo a riconfermare che disgraziata e scorretta comunicazione stampa Foreign Office circa conversazione d’Ajeta-Mayhew riferentesi in particolare a favorevoli conclusioni dichiarazioni portavoce Foreign Office giorno precedente, non era in relazione col sopracitato telegramma di V.E. da Parigi.

Data complessità relazioni anglo-italiano e possibilità illazioni in un senso od in un altro, ho atteso infatti di prendere contatto col Foreign Office dopo il mio recente ritorno dal congedo; ciò d’altronde mi è stato facile poiché Bevin s’incontrava con

V.E. e Strang è assente.

2 Per la risposta vedi D. 378.

In relazione anche ai colloqui che V.E. ha avuto a Parigi, a ciò che avviene a Lake Success ed all’ultimo incidente stampa, gradirei V.E. volesse indicarmi se nulla, come ritengo, sia mutato alle direttive avute a Roma2.

375 1 Vedi D. 372.

376 1 Si riferisce presumibilmente alle istruzioni di cui al D. 367.

377

L’AMBASCIATORE AD ANKARA, R. PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1841/847. Ankara, 6 novembre 1949 (perv. l’11).

Il presidente della Repubblica ha inaugurato la quarta ed ultima sessione del-l’ottava legislatura dell’Assemblea nazionale, tracciando un quadro minuto e particolareggiato della politica interna ed estera della Turchia. Ha compreso l’Italia nel numero dei paesi menzionati specificamente e lo ha fatto con parole molto amichevoli e cordiali che l’Assemblea ha sottolineato con applausi. «Annettiamo — egli ha detto — molta e grande importanza alla politica di amichevole cooperazione con l’Italia repubblicana, nostra vicina mediterranea e altrettanto grande importanza al suo progressivo sviluppo».

Trasmetto il testo del discorso nella sua traduzione francese1. È piuttosto il discorso di un burocrate attento a nulla tralasciare, che l’esposizione di un uomo di Stato, volta sopra tutto a segnare orientamenti generali e direttive di massima. Sono comunque parole di un uomo che segue da presso gli affari del paese, coscienzioso, informato ed attento. La sua lettura non ha suscitato che pochi e non rilevanti consensi ed ha a varie riprese rischiato di impantanarsi nella noia.

In materia di politica estera, le parole più cordiali e meno succinte sono state quest’anno riservate alla Francia. Le parole più dure alla Bulgaria.

Per la prima, non solo il presidente Inönü ha voluto vivamente marcare il compiacimento turco per la riaffermazione della validità del vecchio trattato di alleanza del ’392, ma, sopra tutto, ha inteso ancora una volta ripetere dinnanzi alla sua opinione pubblica che fu certamente questo un successo notevole di politica estera. Ciò che, nel clima prelettorale in cui già viviamo, ha certo la sua importanza. Per la Bulgaria, si rileva qui che è forse la prima volta che, in un discorso di inaugurazione di sessione parlamentare, il presidente della Repubblica si esprime, nei confronti di un paese straniero, in termini così vivi: «Con la Bulgaria — egli ha detto — abbiamo delle difficoltà perfino a tentare di conformare le nostre relazioni a quelle che sono le più strette regole del diritto internazionale. I nostri tentativi e sforzi restano senza risposta». Se i rapporti con la Bulgaria sono stati sempre difficili, essi sono andati certa

2 Vedi serie undicesima, vol. II, DD. 911, 964, 1071, 1105 e 1116.

mente — e più dopo il noto attentato al consolato turco di Plovdiv — logorandosi in modo grave in questi ultimi anni. Sicché non sarebbe meraviglia se uno di questi giorni, e se ulteriori incidenti gravi dovessero ripetersi, il Governo turco decidesse, ad esempio, di chiudere i suoi uffici consolari nel paese. Ciò varrebbe, almeno, a diminuire le zone di frizione, che appunto si accentrano anche attorno ai consolati, che par sieno effettivamente posti dai bulgari in condizioni di non poter svolgere attività alcuna e dunque tanto varrebbe chiuderli. Accenni amichevoli, invece, alla Jugoslavia, con la quale sono attualmente in corso conversazioni commerciali, che, col tempo, potranno forse preludere a un qualche riavvicinamento politico. Corre voce che un primo passo in questo senso potrebbe essere il recente soggiorno del mufti di Belgrado in Turchia, inteso appunto a calmare le apprensioni turche sul trattamento delle minoranze musulmane in Jugoslavia. E può anche darsi.

Degli Stati arabi il presidente ha parlato invece in blocco, quasi a sottolineare il desiderio turco ch’essi si decidano a effettivamente cooperare fra loro, piuttosto che tentare riavvicinamenti parziali che rischiano di approfondire piuttosto che sopire le loro vecchie e nuove querele. Brevissimo accenno a Israele e soltanto per formulare la speranza ch’esso possa costituire elemento di stabilità e di pace nel Medio Oriente.

È superfluo aggiungere che le parole dirette agli Stati Uniti, all’Inghilterra e alla Grecia sono state, come sempre e come dovevano essere, intonate alla maggiore cordialità.

376 2 Con T. segreto 9640/474 del 7 novembre Sforza rispondeva: «Incidenti passati per spiacevolie grossolani che furono non ci fanno certo deviare da una politica che pone ristabilimento di buoni rapporti con l’Inghilterra fra le sue mire più essenziali».

377 1 Non pubblicato.

378

L’INCARICATO D’AFFARI A IL CAIRO, ARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12619/118. Il Cairo, 7 novembre 1949, ore 14,50 (perv. ore 16,20).

Ho intrattenuto stamane sottosegretario di Stato per gli affari esteri ad interim circa questione di cui al telegramma di V.E. 1281.

Sottosegretario, rendendosi conto delicatezza ed urgenza questione, mi ha detto che l’avrebbe subito prospettata a presidente del Consiglio e ministro degli affari esteri, affrettando una decisione e riservandosi darmene comunicazione. Seguito mie insistenze ed argomenti espostigli (specie riferentisi a pregiudizio che ne potrebbe derivare a progetto per indipendenza Libia) mi ha assicurato che questione verrà esaminata con spirito di comprensione.

Poiché ministro d’Egitto a Roma, nominato sottosegretario per gli affari esteri, raggiungerà al più presto Cairo e dovrà trattare questione, mi permetto prospettare opportunità intrattenerlo al riguardo avanti sua partenza da Roma. Riservomi telegrafare2.

O.N.U. fanno ritenere tuttora possibile compromesso per Somalia. Ministro degli esteri si riserva pertantoriesaminare questione in base sviluppo situazione».

378 1 Vedi D. 372. 2 Con T. segreto 12774/120 del 10 novembre Archi aggiunse: «Questo sottosegretario di Statoper gli affari esteri ad interim mi ha oggi confermato che ultimi dispacci ricevuti da elegazione egiziana

379

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. 1/4730. Roma, 7 novembre 1949.

Ho letto con interesse il rapporto di V.E. del 13 settembre sui problemi economico-politici del mondo britannico1.

Concordo in massima colle vedute da lei espresse, pur riservando l’imprevisto e l’imponderabile, che tanto pesano sulle situazioni, anche su quelle che paion le più sicure.

A puro titolo di esattezza storica rilevo che, contrariamente a quanto è detto a

p. 5 del suo rapporto, l’organizzazione dell’unità europea non è affatto «iniziativa churchilliana»; le iniziative «churchilliane» le nuocciono anzi, molto probabilmente; il fatto che i leaders laburisti non se ne accorgano è non ultima prova di una tal qual grossolanità della politica laburista.

Quanto precede è peraltro per lei solo, perché tutti ricordano le antiche violente polemiche di Churchill contro di me, mentre pochi sanno con quanta generosità egli più recentemente mi espresse il suo rincrescimento per tutto quanto aveva detto. Mi preme quindi evitare che miei dissensi puramente concettuali con Churchill faccian credere a miei personali risentimenti, che mai esistettero anche quando ve ne furono ragioni2.

380

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER TELEFONO 12667/546. Parigi, 8 novembre 1949, ore 19,40.

Comunicato suggerimenti di V.E. ai delegati italiani alla Commissione permanente europea, i quali si sono dichiarati completamente d’accordo con lei. Di conseguenza essi hanno manifestato in prima riunione Commissione profonda impressione per decisioni negative dei ministri1. Loro atteggiamento è stato del resto condiviso da maggioranza altri delegati malgrado Spaak abbia cercato attenuare verdetto ministri. Spaak infatti pur avendo lamentato in riunione confidenziale quattro vice presidenti non essere stato invitato da Comitato ministri ha voluto mostrare non essere insoddisfatto delle conclusioni dei ministri.

2 Sforza inviò questo documento in copia al presidente Einaudi accompagnandolo con laseguente lettera: «Convinto che sul punto sollevato dall’accluso mio dispaccio all’ambasciatore a Londra,tu concordi meco, mi permetto di mandartene copia, perché sull’argomento desidererei conferire teco,come su quanto è accaduto — o non accaduto — alla sessione or chiusasi a Parigi del Consiglio Europeo» (L. 1/4729 in data 7 novembre).

In riunione Commissione ieri dopo energici interventi nostri delegati su rigetto emendamento Statuto, si è iniziata discussione Germania, con resistenza da parte delegazione francese che ha fatto osservare Germania non avere nemmeno espresso desiderio essere invitata come fatto precedentemente da Grecia e Turchia ed ora da Saar. Si sono rivelate anche perplessità sul numero delegati tedeschi.

Discussione è stata rinviata per incidente sollevato da segretario generale secondo cui testo deliberazioni ministri ove era scritto «decisione unanime» avrebbe dovuto leggersi «decisione di principio», errore che Spaak si adopererà chiarire oggi con presidente Comitato ministri.

In esame questioni economiche vi è stato assai violento intervento di Reynaud appoggiato da Benvenuti2.

379 1 Vedi D. 204.

380 1 Sulla riunione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa vedi DD. 374 e 391.

381

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER TELEFONO 12675/547. Parigi, 8 novembre 1949, ore 19,15.

Ministro Pacciardi ha avuto mattinata ieri colloquio con Pleven durante il quale gli ha esposto francamente stato conversazioni avute a Washington con Alexander e ragioni per cui noi, non potendo avere sede Gruppo Mediterraneo Roma, vedevamo vantaggi Londra tanto più che inglesi in cambio ci avevano promesso appoggio per sede Italia organo sostanziale Gruppo Mediterraneo.

Pleven gli ha esposto con eguale franchezza ragioni per cui Francia non poteva cedere su sede Gruppo Parigi, ha mostrato eguale comprensione necessità morali Italia ed ha promesso appoggiare idee stabilimento Italia organo sostanziale, dichiarando contentarsi nostra neutralità.

Nel corso successivo colloquio con Alexander Pacciardi ha egualmente spiegato con molta franchezza posizione italiana e gli ha spiegato come cosiddette contropartite britanniche erano troppo vaghe per poter essere considerate da noi del tutto soddisfacenti.

Nel pomeriggio e più tardi nella notte i tre ministri hanno avuto successive sedute che hanno portato seguenti risultati:

1) è stata di fatto accettata costituzione Comitato ministri difesa Gruppo Mediterraneo pur senza dargli specifica funzione costituzionale (Consiglio era richiesto dagli inglesi ed osteggiato dai francesi) ed è stato deciso che sua prossima riunione si terrà Roma;

2) costituito Gruppo di capi di Stato Maggiore che dovrà riunirsi là dove si riuniranno ministri difesa: esso potrà anche riunirsi senza di loro e non ha deciso sede fissa: può riunirsi in ognuna delle capitali interessate;

3) Ufficio permanente Gruppo Mediterraneo avrà sede a Parigi con presidenza a turno;

4) è stato ribadito ed approfondito concetto collegamento fra i vari Gruppi regionali;

5) Gruppo permanente studio, che è embrione da cui si svilupperà futuro Comando Mediterraneo, avrà sede in Italia;

6) francesi hanno rinunciato a chiedere sede Parigi Comitato economico-finanziario.

Discussione ministri sono state molto serrate: da parte nostra si è riusciti pienamente, nonostante situazione di partenza estremamente imbrogliata, a quello che era desiderio di V.E.: che cioè lotta per sede tra Parigi e Londra si svolgesse direttamente fra francesi ed inglesi, parte italiana intervenendo dopo avere di nuovo affermato idea sede Roma in certa misura quale paciere.

Contegno Pleven è stato nei nostri riguardi, come si attendeva, comprensivo e leale: ha egualmente riconosciuto correttezza lealtà nostro atteggiamento.

380 2 Con T. 12707/548 del 9 novembre Quaroni aggiunse: «Commissione permanente ha presonettamente posizione contro restrizioni ai lavori delle commissioni imposte da Comitato ministri ed hadeciso replicare con lettera a Rasmussen, in cui si sostiene, sulla base Statuto, che Assemblea ha pienalibertà in organizzazione lavori sue commissioni».

382

L’AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12699/125. Varsavia, 8 novembre 1949, ore 22,50 (perv. ore 10,45 del 9).

Nomina Rokossowski a maresciallo di Polonia e ministro difesa ha prodotto profondissima impressione nella popolazione che considera avvenimento con indignazione ed anche sgomento, ricordando recente messaggio Stalin a dirigenti Germania orientale. Mentre è facilmente diffuso generale allarmismo, circoli dirigenti ostentano apparente soddisfazione ricordando che primo ordine del giorno Rokossowski alle truppe sovietiche giunte sull’Oder presentava evento come garanzia per aggressore Polonia.

Impressione prevalente circoli stranieri meglio informati è che nomina sia in relazione a riorganizzazione esercito in funzione sovietica.

In effetti, con la creazione della Repubblica democratica tedesca, funzione della Polonia nel quadro dell’espansione sovietica in Europa viene meglio precisata e Rokossowski avrebbe compito apportare necessarie modifiche e creare condizioni adeguate piani sovietici.

Taluni mettono in relazione recente drastica epurazione (tuttora in atto) con attuale nomina Rokossowski e si parla anche di prossimo cambiamento Governo.

383

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2878/2309. Sofia, 8 novembre 1949 (perv. il 23).

Questo ministro degli S.U.A., Heath, recentemente rientrato dalla riunione di Londra dei rappresentanti americani nei paesi satelliti, pur mostrandosi piuttosto riservato su quello che è stato il contenuto delle discussioni di Londra, mi ha accennato in una conversazione amichevole a qualche argomento trattato ed a qualche opinione espressa, che qui di seguito riferisco ad ogni utile fine, ad integrazione di quelle notizie più complete che V.E. riceverà indubbiamente da altre fonti:

1) Un argomento trattato a fondo è stata la posizione di Tito e le possibilità che il suo scisma offre per indebolire il fronte comunista. Il ministro Heath ha detto che l’opinione più comunemente accettata è quella di aiutare Tito in modo da lasciar-lo «coll’acqua fino al collo, ma senza farlo affogare». Evidentemente gli S.U.A. preferirebbero avere in Jugoslavia un Governo realmente democratico; ma sarebbe un errore non profittare delle possibilità che offre lo scisma di Tito, tanto più che esso si impernia su un elemento di carattere nazionale, suscettibile di essere inteso anche da altri popoli satelliti.

2) È opinione comune che per abbattere Tito l’U.R.S.S. non ricorrerà alla guerra dichiarata. Le possibilità più comunemente considerate sono un assassinio, ovvero la guerra partigiana, ovvero azioni di sabotaggio, oltre alla continuazione della pressione diplomatica e propagandistica e del boicottaggio economico. Non sembra che sinora l’arma del sabotaggio, per quanto se ne sia parlato, sia stata impiegata in una misura apprezzabile; se ne discute comunque l’efficacia. Quanto al tentativo di assassinio, pur essendo sempre possibile, è da tener presente che Tito, pratico di tali sistemi, deve aver preso le sue precauzioni. Di una guerra partigiana, seppure vi è qualche sintomo di preparazione, non si sono finora avute realizzazioni concrete; comunque si osserva che essa difficilmente potrebbe dare dei risultati sostanziali per la sua stessa natura, salvo che non fosse condotta o sostenuta da reparti militari di eserciti regolari ovvero appoggiata da una estesa ribellione delle popolazioni jugoslave, il che sinora non appare probabile.

3) Non è esclusa la possibilità che dei movimenti analoghi a quelli di Tito si manifestino negli altri Stati satelliti. Fra questi la Bulgaria sembrerebbe, nell’attuale momento, lo Stato dove più facilmente si potrebbe manifestare una scissione comunista analoga a quella di Tito. È prevedibile che in questo caso Tito non rimarrebbe inerte, ma provvederebbe a sostenere il movimento comunista anti-Mosca.

4) È opinione generale che, permanendo la situazione attuale, gli Stati satelliti si avviino, più o meno lentamente, ad essere conglobati praticamente, se non anche giuridicamente, nella Federazione sovietica. I progressi della influenza russa in questi Stati sono continui ed evidenti; ed il margine della loro autonomia nel campo politico, come in quello economico e culturale, si va restringendo sempre più. Non è quindi da meravigliarsi di fatti come quelli della nomina del maresciallo sovietico Rokossovski a ministro della difesa in Polonia1.

5) Il ministro Heath mi ha accennato alla personalità di Perkins, che dirige al Dipartimento di Stato gli affari europei. Mi ha detto che egli proviene dagli affari, che ha già una notevole esperienza dell’Europa occidentale, ma che soltanto di recente si è familiarizzato con i problemi dell’Europa orientale. La riunione di Londra è stata utile indubbiamente per fornirgli elementi di prima mano, e per dargli un quadro complessivo della situazione quale si presenta attualmente negli Stati dominati da Mosca.

384

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A MANILA, STRIGARI

T. S.N.D. 9699/7. Roma, 9 novembre 1949, ore 17.

Delegato filippino O.N.U. continua esprimersi senso contrario tutela singola italiana Somalia. Intervenga costì subito rappresentando penosa impressione che ingiustificato atteggiamento filippino suscita in Italia e sue conseguenze su nostra opinione pubblica1.

385

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO 9720/606. Roma, 9 novembre 1949, ore 22,30.

Mio telegramma n. 6031.

Ho detto oggi all’ambasciatore di Francia le ragioni e la portata del passaggio del comunicato Consiglio ministri circa Unione doganale. Un ministro ha assicurato constargli che avversione dei cotonieri francesi, dataci come unica ragione del ritardo, era scomparsa. Un altro, che ha trovato consenso generale, ha espresso fondato timore che questo passare da un progetto, che ha già forma di trattato, ad un altro più esteso ma più vago produca confusione e diffidenza nell’opinione pubblica italiana.

Altri hanno avanzato altre ragioni. Nell’interesse supremo che il presidente del Consiglio ed io attribuiamo ai rapporti italo-francesi ho creduto dovere di lealtà di far conoscere costì questi movimenti di opinione.

È superfluo aggiunga quanto personalmente preferirei che l’atto dell’Unione fosse ratificato e confesso mi sarei aspettato che Schuman mi indicasse almeno le ragioni delle sue esitazioni. Ma volendo guardare avanti e non indietro prego V.E. di spiegare a Schuman che almeno occorre si adotti costì una formula indicante all’opinione italiana che quanto per lunghi mesi fu studiato e deciso con tanta cura non è gettato come un giocattolo rotto ma è utile fecondo elemento per la nuova costruzione che ci si offre di studiare. È il meno che si può attendere.

Schuman comprenderà che quanto precede mi è dettato dalla mia profonda devozione alla causa della solidarietà italo-francese. L’ambasciatore di Francia, che mi ha detto rendersi pieno conto di ciò, riferirà subito tutto al suo Governo2.

383 1 Vedi D. 382.

384 1 Vedi D. 394.

385 1 Dell’8 novembre, con cui Sforza aveva segnalato il passaggio del comunicato del Consigliodei ministri sull’opportunità di concretizzare le intese raggiunte circa l’Unione doganale italo-francese. Ilverbale della relativa seduta è edito in CONSIGLIO DEI MINISTRI, Verbali del Consiglio dei ministri, maggio 1948-luglio 1953, vol. I, cit., p. 759.

386

IL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12712/4. Francoforte, 9 novembre 1949, ore 12,05 (perv. ore 16).

In intervista concessa ieri a giornale Neue Zeitung, e sulla quale data importanza dichiarazioni in essa contenute riferisco estesamente per corriere1, cancelliere federale dichiaratosi favorevole ingresso Germania Consiglio Europa quale membro associato. Richiesto particolarmente far conoscere se contemporaneo ingresso Saar non costituirebbe ostacolo questa partecipazione Adenauer risposto negativamente.

Momento concessione intervista stato evidentemente sincronizzato con riunione tre ministri esteri Parigi2 e destinato, in vista finali decisioni, acquietare apprensione sorta forse in alcuni circoli internazionali e di riflesso nel Comitato permanente circa atteggiamento Germania. Interessante anzi notare a questo proposito che problema Saar, attenuato a Parigi nella formulazione adottata dal Comitato dei ministri, è stato subito dopo posto in tono minore dal cancelliere federale il quale ha dichiarato che esso va soltanto esaminato alla luce e in relazione rapporti franco-tedeschi e del problema della sicurezza francese e risolvibile quindi come egli auspica attraverso dirette intese tra i due paesi.

2 Vedi D. 406.

385 2 Per la risposta vedi D. 390.

386 1 Telespr. 0052/24 del 10 novembre, non pubblicato.

387

L’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12733/102. Ottawa, 9 novembre 1949, ore 21,16 (perv. ore 7,30 del 10).

Mio telegramma n. 951.

Come è noto V.E. delegato canadese ministro Martin ieri all’O.N.U. si è dichiarato esplicitamente contrario trusteeship collettivo per Somalia e favorevole trusteeship singolo italiano. Tale dichiarazione segue assicurazioni scritte al riguardo datemi ultimamente dal primo ministro.

Anche per quanto concerne Eritrea e Libia, Canada ha in genere dichiarato approvare proposta Sottocomitato salvo, per quanto concerne Libia, appoggio promesso a noto emendamento britannico. Ad ogni buon fine con telegramma in chiaro 1032 riassumo da testo comunicatomi da Dipartimento esteri punto essenziale dichiarazione.

Ove V.E. ritenesse opportuno sarebbe certo utile ai fini locali che nostra stampa desse simpatici rilievi questa prima presa di posizione ufficiale Canada in sostanza favorevole. Pregherei inoltre autorizzarmi ove nulla osti esprimere a questo Governo cenno di apprezzamento dell’E.V. e ciò anche per legarlo maggiormente in sviluppo dibattito O.N.U. Comunicato New York3.

388

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 12737/436. New York, 9 novembre 1949, ore 23,36 (perv. ore 8,30 del 10).

Raccomandazioni Sottocomitato per Libia sono state oggi integralmente approvate ad eccezione leggere modifiche apportate a paragrafo 1 A in sostituzione dei noti emendamenti britannici ritirati questa mattina da McNeil. Nostri amici, dopo aver dimostrato agli inglesi loro buona volontà durante corso discussione, hanno votato esattamente come inglesi e come Dominions.

2 Pari data, non pubblicato.

3 Con il T. segreto 9732/50 del 10 novembre Zoppi rispose: «Autorizzo quanto proposto inultima parte suo 102».

Ciò vale a smentire ancora una volta asserzione Foreign Office (telegramma di

V.E. 266)1 che condotta nostra delegazione si sia differenziata su tale questione da quella britannica. Lo abbiamo fatto rilevare a Clutton che ne ha convenuto.

In verità, decisione odierna su intero problema libico rappresenta totale ripiegamento inglese su posizioni alle quali delegazione britannica è stata ridotta sia per ambigua e debole impostazione da essa data al problema libico in Sottocomitato, sia per scarso appoggio dei nord-americani sia infine per irresistibile popolarità causa indipendenza ed unità Libia.

Decisioni odierne circa Libia vengono considerate in tutti questi ambienti, e specialmente in quelli delle rappresentanze libiche, come netta affermazione nostri interessi e nostro prestigio sopratutto se si considera che è stata approvata anche inclusione rappresentante minoranze.

Inizio discussione su Somalia è stato piuttosto animato. Il rigetto dell’emendamento Liberia per invio Commissione inchiesta ha posto questione nei termini da noi desiderati ed emendamento presentato da Arce per limitazione a due (Egitto e Colombia) dei paesi destinati costituire Consiglio consultivo Somalia sembra aver ricevuto buona accoglienza nei commenti generali. Improvvisa proposta delegato iracheno che ad Egitto e Colombia sia aggiunta Etiopia sarà discussa domani. Arce naturalmente si dichiarerà contrario ciò che renderà situazione più difficile. Ma nord-americani sono piuttosto ottimisti su esito proposta trusteeship italiano così come si presenta dopo emendamento Arce.

Frattanto è stato approvato, anche con voti favorevoli di una parte dei sud-americani, emendamento filippino (per il quale Romulo ha fatto evidentemente molte pressioni su Padilla Nervo ed altri delegati) con il quale durata trusteeship viene limitata dieci anni senza possibilità rinnovo da parte Assemblea.

387 1 Vedi D. 292.

389

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12739/551. Parigi, 9 novembre 1949, ore 21,30 (perv. ore 9,30 del 10).

Mio 5481. Decisioni Comissione permanente che ha ultimato ora lavori sono state seguenti:

1) Germania: parere unanime favorevole. Saar: parere favorevole con due astensioni (il danese Jacobsen e Guy Mollet);

2) tutte commissioni svolgeranno lavori nelle intersessioni, con orario prestabilito. Commissione economica a Parigi, le altre a Strasburgo;

3) decisione su riunione Assemblea straordinaria, proposta da Dominedò e sostenuta solo da delegazione italiana, è stata rinviata a prossima riunione Comitato permanente che avrà luogo a Parigi seconda metà gennaio.

Deliberazioni verranno fatte conoscere a presidente Comitato ministri con lettera in cui si deplora Comitato ministri abbia rinviato a organi tecnici e ad esperti maggior parte raccomandazioni fatte da Assemblea Strasburgo.

In generale atteggiamento delegazione francese è stato imbarazzato da questione tedesca, che ha causato rifiuto francese decidere circa Assemblea straordinaria. Delegazione britannica ha mostrato spirito collaborativo appoggiando senza riserve questione permanenza commissioni. Scandinavi e Benelux non molto attivi: i primi si sono distinti solo per appoggio ad ammissione Germania.

388 1 Del 9 novembre, con esso Zoppi aveva ritrasmesso il T. segreto 12670/678 dell’8 novembreda Londra relativo alla protesta britannica per il presunto atteggiamento italiano a Lake Success contrarioalle intese italo-britanniche.

389 1 Vedi D. 380, nota 2.

390

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12776/553-554. Parigi, 10 novembre 1949, ore 20,50 (perv. ore 7 dell’11).

Suo 6061.

Punto vista Governo francese, quale lo avevo spiegato a V.E. e quale mi è stato confermato oggi da ministro delle finanze, è seguente:

1) siamo arrivati in materia cooperazione economica europea limite estremo pazienza americana ed è necessario fare ed al più presto qualcosa di concreto;

2) accettazione da parte Hoffman principio accordi regionali toglie paesi continentali ultima scusa non fare niente trincerandosi dietro mancanza volontà collaborazione da parte inglese;

3) solo accordo a due italo-francese, anche se Unione doganale, non basta più ai fini americani, è indispensabile estenderlo in qualche forma anche a Benelux;

4) accordi in questione debbono essere e monetari e commerciali e non solo l’uno o l’altro.

Premesso questo da parte francese ci si rende perfettamente conto che, specie dopo accordo belga-svizzero, accordi monetari col Belgio debbano essere studiati con massima prudenza: ci si rende conto che condizioni economia belga rendono accettabili anzi vantaggiose misure liberalizzazione commerciale che non potrebbero essere accettate né da Francia né da Italia senza gravi pericoli. Esso è quindi disposto ad andare molto più avanti sia nel campo commerciale sia nel campo finanziario con noi che non

con belgi ma insiste sulla necessità di fare qualche cosa di reale e concreto anche in quella direzione. Ed è anche convinto che misure restrittive nei riguardi programmi maggiore liberalizzazione, che sarà necessario assumere per salvaguardare interessi nostri e francesi, non possono essere impostate che come misure transitorie dirette a darci tempo necessario per adattamenti nuova situazione alcuni rami produzione due paesi.

Da parte francese si è anche convinti che ingresso Germania in questo nuovo sistema economico è assai più vicino di quanto si possa ritenere e che conviene, anzi è necessario, procedere al più presto sul piano italo-francese a tutti adattamenti e compenetrazioni che sono necessari per poter affrontare insieme concorrenza di trattative con Germania del cui potenziale produttivo francesi sono molto coscienti.

Questa posizione Governo francese, posizione del resto corrispondente a sua percezione realistica situazione di fatto specialmente di fronte ad americani, è assolutamente ferma.

Di fronte questo stato di cose, che dovrebbe essere noto anche costà dopo rapporto ministro Tremelloni2, confermo non comprendere molto bene significato telegramma 606. Non si tratta qui di fissare responsabilità Governo francese in merito Unione doganale che nessuno qui pensa a negare; né ha molto effetto riferirsi a movimenti opinione pubblica che non può non essere disorientata in una situazione che per la sua stessa gravità rende difficile gli orientamenti. (Incidentalmente: informazione circa minore opposizione tessili è falsa, ripeto falsa). Governo francese ha preso iniziativa questi accordi Francia, Italia, Benelux; si rende conto pericoli non molto dissimili dai nostri; intende andarci piano ma intende fare qualche cosa di concreto e, in ogni modo, mettere bene in chiaro che se non ci riesce non è colpa sua. È anche disposto a fare con noi molto di più specie se noi entriamo nel suo ordine di idee di difenderci insieme contro futura accessione Germania.

Se anche noi entriamo in principio in questo ordine di idee, il che non esclude difesa nostri particolari interessi, se sviluppo effettivo circostanze sarà quale oggi si può prevedere, non è escluso (ma non è sicuro) che in qualche forma e modo si possa far rimettere a galla idea Unione doganale. Ma in ogni caso dopo e non prima (ripeto dopo e non prima) e mai sotto forma esclusiva.

Se invece noi vogliamo fare, come mi sembrerebbe comprendere, di Unione doganale in un certo senso contrapposizione a patto più esteso, francesi non (ripeto non) possono che risponderci no (ripeto no). E far ricadere su di noi di fronte ad americani responsabilità fallimento negoziati.

Se vogliamo fare qualche cosa di effettivamente utile, piuttosto che fare a francesi un invito pronunciarsi su Unione doganale (specie in un momento in cui Governo francese non sa se poter superare crisi impostazione bilancio) dovremmo dire a Schuman che siano d’accordo sulle linee generali della politica francese nel campo collaborazione economica europea (il che non sarebbe che confermare quanto V.E. ha qui personalmente detto a Schuman) e, in questo quadro, andare quanto più avanti è possibile fra noi due. Il resto dipende non dalla volontà dei Governi ma dallo sviluppo delle circostanze3.

390 1 Vedi D. 385.

390 2 Vedi D. 356. 3 Per la risposta di Sforza vedi D. 398, incrociatosi con le ulteriori osservazioni di Quaronisull’argomento contenute nel D. 401.

391

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1201/4233. Parigi, 10 novembre 19491.

Il compito della seconda sessione del Comitato dei ministri del Consiglio di Europa, che si è testé chiusa a Parigi2, era, come è noto, di deliberare sulle raccomandazioni della Assemblea di Strasburgo, che domandavano da un lato di allargare i poteri dell’Assemblea stessa, dall’altro di dare l’avvio ad alcune realizzazioni pratiche nei campi di competenza del Consiglio.

Queste raccomandazioni, si sa, si prestavano alla critica; si presentavano confuse, redatte in forma affrettata e disordinata e spesso prive di contenuto pratico. Ciò ha facilitato il compito di coloro che, nel Comitato dei ministri, volevano demolirle. Gli emendamenti allo Statuto proposti dall’Assemblea sono stati respinti, delle sette Commissioni solo tre sono state autorizzate, la semi-totalità delle deliberazioni economiche prese a Strasburgo è stata rinviata all’O.E.C.E., le altre raccomandazioni culturali, sociali, ecc. insabbiate presso il Segretariato generale o presso esperti governativi per studio e documentazione, ecc. Queste sono grosso modo le deliberazioni del Comitato dei ministri. Solo alcune parti sporadiche delle raccomandazioni culturali, sociali e giuridiche si sono qua e là salvate, ma anche in tali casi esse sono state accettate più con platonici voti che con deliberazioni esecutive.

Partecipando ai lavori del Comitato non si poteva non rimanere impressionati della preconcetta diffidenza verso l’Assemblea che animava la maggioranza dei ministri. Sembrava che nelle delegazioni britannica e scandinava e perfino nella delegazione francese vi fosse una deliberata intenzione di frenare gli sviluppi, di stroncare le iniziative di questa nuova organizzazione, che i Governi si erano imprudentemente avventurati a creare.

Che la Gran Bretagna e gli scandinavi siano restii alla unificazione europea si sapeva, ma che il rappresentante della Francia prendesse anche lui posizione per limitare le possibilità del Consiglio d’Europa, non poteva non causare sorpresa e indebolire nel Comitato la difesa della tesi europea.

Malgrado ciò questa difesa c’è stata. Tre importanti e lunghi interventi di V.E. hanno riaffermato il punto di vista italiano fedele all’ideale dell’unità europea. V.E., com’è noto, ha in particolare sostenuto la necessità di una collaborazione armonica fra i vari Enti inter-europei esistenti, senza che si stabiliscano gerarchie, offensive per il Consiglio d’Europa, ed ha insistito affinché siano conservate al Consiglio tutte quelle facoltà di studio diretto e di esame approfondito dei problemi, che si possono solamente avere con un continuativo lavoro delle Commissioni parlamentari.

In questa coraggiosa difesa V.E. ha trovato solamente un certo appoggio nel ministro belga, il quale ha cercato di migliorare nei dettagli qualche decisione, e nel

2 Vedi D. 374.

ministro irlandese, che tuttavia portava nella polemica un elemento personale anti-inglese nocivo alla causa. Tutto il resto del consesso era però ostilità o silenzio.

Quali ragioni spieghino il voltafaccia della Francia è difficile dire. Mi riservo di approfondire questo punto alla luce di maggiori informazioni. Per ora affaccio due ipotesi. La prima è che il Consiglio d’Europa sia stato oggetto di mercato tra Francia e Gran Bretagna, la Francia pagando con la svalutazione del Consiglio le concessioni che Bevin, dopo molte riluttanze, ha finito per fare per la Saar. L’altra ipotesi è che il Consiglio d’Europa sia assai più caro a Bidault che a Schuman. Bidault — mi risulta — è rimasto fedele alla sua iniziativa, Schuman invece la accetterebbe con freddezza per le difficoltà con l’Inghilterra e i grattacapi parlamentari addizionali che il Consiglio gli procura.

Comunque sia, se l’esperienza di questa sessione del Comitato dei ministri è poco incoraggiante, non va dimenticato un elemento che può giocare in favore del Consiglio: che tutti i ministri — in dose minore gli inglesi e gli scandinavi — hanno costantemente fatto comprendere che volevano con cura evitare di scontentare l’Assemblea di Strasburgo ed i parlamentari, temendone le reazioni e le proteste.

È per questo che pur rifiutando soddisfazione all’Assemblea nella sostanza delle cose, i ministri si sono adoperati a fare le concessioni formali e ad attenuare i loro verdetti negativi. Ne è prova la stessa lettera che Rasmussen ha inviato a Spaak per comunicare al Comitato permanente le deliberazioni dei ministri, lettera che è stata redatta in termini particolarmente abili e edulcorati, sperando — come i ministri hanno espressamente detto — sulla influenza e sulla abilità di Spaak per fare accettare senza troppe recriminazioni ai deputati strasburghesi le decisioni ministeriali.

Così i ministri, pur respingendo le proposte di emendamento di Statuto, hanno però concesso, sia pure a titolo provvisorio, delle soddisfazioni all’Assemblea che molto si avvicinano a quelle richieste negli emendamenti. In particolare una delle Commissioni parlamentari, quella permanente, si è vista attribuire dei poteri proprio in quel campo, il campo politico, che la Gran Bretagna voleva inizialmente precludere al Consiglio d’Europa; essa veniva cioè interpellata su delle questioni così vitali per l’Europa come quelle della reintegrazione europea della Germania o dell’approvazione dello stato di fatto saarrese.

La concessione di tale competenza alla Commissione permanente rivela d’altra parte sempre più il timore che i ministri hanno verso l’Assemblea; Bevin ha infatti detto chiaramente che poteva accettare di consultare la Commissione permanente sul-l’ammissione di nuovi membri, purché questa deliberi a porte chiuse, ma che si opponeva a un dibattito pubblico in seno all’Assemblea di Strasburgo.

È in questo timore dei ministri verso le reazioni dei delegati parlamentari che risiedono le possibilità di ripresa del Consiglio d’Europa, che ora, con la seconda sessione del Comitato dei ministri, ha, senza dubbio, subito una crisi. Ho già in precedenza scritto che le sorti del Consiglio d’Europa sono affidate soprattutto ai delegati di Strasburgo; non posso che confermarlo. Solo se questi, sia in sede di Parlamento strasburghese sia in seno ai Parlamenti nazionali, continueranno la loro azione e insisteranno nelle loro proposte sì da legare le deliberazioni dei loro ministri in seno al Comitato, si potrà arrivare a delle realizzazioni pratiche. Bevin, per bocciare le raccomandazioni dell’Assemblea, ha costantemente insistito su presunte istruzioni che egli aveva ricevuto dal suo Governo; bisognerebbe che gli altri ministri, che difendono la tesi europea, possano dire con altrettanta energia di aver ricevuto dei mandati imperativi dai loro Parlamenti.

La riunione del Comitato permanente3, che ha preso un atteggiamento molto energico nei confronti delle decisioni del Comitato dei ministri, soprattutto per quel che riguarda i lavori delle Commissioni nelle intersessioni, sembra aver già portato un miglioramento. Ora si parla anche di un’interpellanza di Reynaud al Governo francese per domandare spiegazioni per l’atteggiamento di Schuman nel Comitato dei ministri.

È probabile che la vita del Consiglio d’Europa sia movimentata e subisca degli alti e dei bassi, a seconda che gli ultimi a parlare siano i delegati parlamentari o i ministri.

391 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

392

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’INCARICATO D’AFFARI A BEIRUT, VINCI

T. SEGRETO 9788/52. Roma, 11 novembre 1949, ore 24.

Pregola esprimere codesto Governo vivo apprezzamento Governo italiano per amichevole atteggiamento assunto da delegato libanese nel corso discussioni Sotto-comitato e Comitato O.N.U. questione ex colonie italiane. Interventi Malik sono risultati decisivi affermazione tesi italiana.

393

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12815/325. Belgrado, 11 novembre 1949, ore 13,50 (perv. ore 19,30).

Questo ministro aggiunto Popovic mi ha assicurato che, dopo miei ripetuti passi1, Governo jugoslavo ha dato istruzioni a sua delegazione presso O.N.U. di astenersi qualora venga messa in votazione proposta di affidare amministrazione Somalia ad Italia. Delegazione jugoslava non ha comunicato di non (dico non) voler seguire istruzioni. Questioni finora dibattute sono state quelle della indipendenza e durata eventuale tutela Somalia e quindi Jugoslavia è stata coerente in confronto a sua precedente tesi principale cui non aveva rinunziato. Superate però tali questioni, se verrà in votazione tutela Italia, Jugoslavia si asterrà. Popovic mi ha espressamente dichia

393 1 Vedi DD. 275, 317 e 321.

rato che si rendeva conto preoccupazione che mi ha portato a nuovi passi perché, qualora Governo jugoslavo venisse meno a sua promessa, situazione che si creerebbe fra i due paesi quale conseguenza atteggiamento jugoslavo su tale problema, sarebbe peggiore di prima, quando promessa non era stata fatta.

Ho detto a Popovic che prendevo volentieri atto di queste nuove dichiarazioni in quanto atteggiamento delegazione jugoslava non (dico non) mi era sembrato sino ad ora rassicurante, specialmente in relazione ad ultimo discorso Bebler così negativo sulla questione somala2.

391 3 Vedi DD. 380 e 389.

394

L’INCARICATO D’AFFARI A MANILA, STRIGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 12817/47. Manila, 11 novembre 1949 ore 11,28 (perv. ore 19,30).

Telegramma di V.E. 71.

Sono intervenuto immediatamente nel senso indicato da V.E. con presidente Quirino e sottosegretario affari esteri Neri, entrambi sorpresi nell’apprendere atteggiamento delegato filippino.

Neri mi ha telefonato ora che sta per telegrafare a delegazione Filippine riconfermando istruzioni presidente di «appoggiare amministrazione fiduciaria singola italiana in Somalia».

Ha aggiunto che confermerà anche direttive già date per indipendenza Libia ed Eritrea, limitando ad Assab eventuale sbocco al mare per Etiopia. Sarebbe opportuno che nostro osservatore mostri quanto precede a delegati Romulo Carlos ed Elizalde per dare loro sensazione che noi stiamo seguendo attentamente loro stretta osservanza istruzioni Manila riservandoci continuare intervenire con presidente in caso loro ulteriore temporeggiamento. Aggiungo secondo ultimi risultati rielezione presidente Quirino sembra assicurata con largo margine su Laurel e, pertanto, predetti delegati non possono più assumere atteggiamento indipendente.

393 2 Vedi D. 304. 394 1 Vedi D. 384.

395

L’AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12851/131. Varsavia, 11 novembre 1949, ore 23,20. (perv. ore 11 del 12).

Telegramma ministeriale 781.

Conversazioni da me avute con Gajewski ed anche con Minc sono state ritardate da esame che qui si è ritenuto fare da esperti giuridici per studiare nostre proposte ed escogitare eventuale formula che permettesse di superare ogni difficoltà.

Avendo io fatto rilevare che assicurazione per iscritto dovesse comunque contenere parole che «significato e portata processo verbale rimangono immutati», mi è stato chiesto che Governo italiano precisasse significato formula proposta. Ho risposto, in base alle istruzioni di cui ero già in possesso, mi ritenevo autorizzato a chiarire che si trattava in pratica di rispettare lo spirito del processo verbale senza far distinzione fra le varie parti di esso. Nel corso della lunga conversazione avuta stamane con questo direttore generale degli affari politici questo, dopo aver detto che non vi era difficoltà da parte polacca risolvere varie questioni che ci interessavano come nazionalizzazione e debiti privati, ha accennato anche a questione riparazioni che interessa Polonia. Al mio stupore ed alla mia osservazione che essa era da ritenersi per lo meno superata, mio interlocutore ha risposto essa era invece tuttora aperta.

Non ho mancato di far osservare che intransigenza di questo Governo poteva far pensare a preordinata volontà polacca pubblicità rapporto.

Gajewski ha replicato che proposta già fatta di intavolare trattative finanziarie dimostrava buone intenzioni Governo polacco il quale era disposto ad effettuare scambio di note o concordare nuovo protocollo che stabilisse principi che dovrebbero regolare successivi negoziati finanziari.

396

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. URGENTE 1997/0107. Roma, 12 novembre 1949.

Riferimento: Mio telegramma n. 603 e mio del 9 corr.1.

Come indicatole nel primo telegramma sopra citato il Consiglio dei ministri ha tenuto a riaffermare solennemente, nella seduta di ieri, la propria disposizione favorevo

396 1 Vedi D. 385.

le all’Unione doganale italo-francese tanto di fronte alla opinione pubblica di codesto paese, quanto di fronte alla opinione pubblica mondiale, ed in particolare americana.

Non avevo nascosto al Consiglio la impressione da me ricevuta nel mio ultimo soggiorno a Parigi, ove il signor Schuman, contrariamente alle promesse fattemi poco tempo prima a New York, non mi ha tenuto parola dell’Unione doganale, dato anche che l’orientamento del Governo francese sembra ora essere indirizzato in prevalenza verso forme di intese regionali, più vaste territorialmente, benché meno consistenti nella sostanza, a motivo sia di ingraziarsi gli americani, sia di cercare di assumere un ruolo dirigente nel blocco europeo in formazione.

È sembrato tuttavia al Governo italiano indispensabile di porre quello francese di fronte alle proprie responsabilità, ed al contempo di rammentare a Washington che l’Italia è stata la prima a mettersi decisamente sulla via dell’unificazione, con pratiche tempestive e realizzabili iniziative.

L’affermazione del Gabinetto italiano corrisponde del resto alle istruzioni che nel corso dell’ultima seduta dell’O.E.C.E. erano state inviate all’on. Tremelloni: ritenere cioè l’Italia che l’Unione doganale costituirebbe il primo passo effettivo e sostanziale verso la via della collaborazione, e la formazione di un nucleo atto ad attirare altri paesi verso la pratica realizzazione di tale ideale. Ciò non esclude, naturalmente, che l’Italia sia egualmente disposta ad esaminare la possibilità anche di intese regionali più vaste. Poiché, peraltro, queste ultime non potrebbero necessariamente non assumere un contenuto più limitato che non quello di una unione doganale ed economica, è chiaro che esse non escludono che alcuni dei futuri contraenti di tali intese siano già legati da un patto più sostanziale e più profondo, quale sarebbe appunto quello dell’Unione.

Appare anzi interesse di ambedue i contraenti di sedersi alla tavola di negoziati ulteriori in una posizione ben più forte di quanto non sarebbe se le due parti vi si presentassero separate. Ciò vale in particolare modo per l’atteggiamento da assumere nei riguardi dell’inserimento germanico, ed, in genere, per l’ulteriore processo di unificazione che nell’intendimento americano dovrebbe gradatamente estendersi all’intera Europa.

Checché ne sia di ciò, il minimo cui possiamo attenderci è dettato dal mio secondo telegramma, del 9 corr.2.

395 1 Vedi D. 352.

396 2 Questa frase è un’aggiunta manoscritta del ministro. Per le osservazioni di Quaroni in proposito vedi D. 401.

397

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

TELESPR. SEGRETO 15/264. Roma, 12 novembre 1949.

Riferimento: Telespresso di codesta ambasciata n. 4247/2068 in data 8 ottobre u.s.1.

Finora non vi è stato da parte di questa ambasciata britannica nessun segno di volerci mettere al corrente delle informazioni e progetti del Governo di Londra circa la situazione albanese. Continuano invece ad affluire notizie e prove di un’attività clandestina britannica che si vale di elementi albanesi in Italia e fa anche capo con pretesti vari ai porti pugliesi, col che si viene e creare l’apparenza — e, sotto certi aspetti, non solo l’apparenza — di una diretta responsabilità delle Autorità italiane o di una connivenza di singoli elementi delle amministrazioni periferiche. Al riguardo si rimettono qui uniti in copia i seguenti documenti riservati: appunto n. 81 in data 14 ottobre del Servizio informazioni del Ministero della difesa; foglio n. 224/35203 in data 18 ottobre del Ministero dell’interno con allegati due rapporti in data 9 e 11 ottobre della Questura di Bari; telespresso 2880/1001 in data 21 ottobre della legazione in Atene2.

Anche a voler prescindere — e noi non possiamo prescinderne del tutto — dalle recenti dichiarazioni con cui il vice presidente del Consiglio albanese ha preteso di rivelare le prove di una complicità del Governo italiano nell’invio oltre Adriatico di agenti addestrati in Italia, la gravità delle circostanze con cui si finisce — anche involontariamente — col coinvolgere l’Italia in attività che si svolgono a nostra insaputa appare chiaramente dal qui trascritto rapporto della legazione di Atene in data 24 ottobre u.s.:

«La notizia diffusa da Radio Tirana di arresto di fuorusciti albanesi e agenti stranieri sbarcati in Albania, e l’altra diffusa dalla stessa stazione il 22 corrente con cui si comunicava l’avvenuta impiccagione di quattordici individui paracadutati in Albania, sono certamente da mettersi in relazione con gli sbarchi di pattuglie di informatori ed agenti di collegamento effettuati da mezzi navali e aerei britannici, segnalati col telespresso surriferito.

Senonché si assiste ora al tentativo da parte inglese e anche da parte greca di mettere sul conto dell’Italia questa operazione mal riuscita.

Si fanno così circolare diffusamente voci tra questi circoli politici e diplomatici che le persone arrestate in Albania provenivano dalle prospicienti coste italiane e che le Autorità italiane sono state le organizzatrici dell’impresa.

Un solo giornale greco si è lasciato sfuggire un commento non intonato a quanto suaccennato, accusando “i signori Emery e Maclean di avere scelto male gli elementi cui affidare l’esecuzione di simile impresa”.

2 Non pubblicati.

Certo si è che qualche cosa d’importante si stava con tutta probabilità tramando negli scorsi giorni contro il Governo di Hoxha e regna qui tuttora una ansiosa aspettativa di avvenimenti sensazionali in Albania, aspettativa che però forse andrà, per ora, delusa in quanto i russo-albanesi hanno dimostrato di far buona guardia.

Sembra ad ogni modo che gli inglesi cerchino di far leva sopratutto sugli elementi cattolici d’Albania e che anche Tito presti man forte attraverso gli elementi a lui favorevoli».

Valendosi degli elementi risultanti dall’unita documentazione, voglia V.E. in termini opportuni — ma non per questo meno leali e fermi — riparlare al Foreign Office dell’intera situazione albanese nello spirito delle precedenti istruzioni.

397 1 Non rinvenuto.

398

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO PERSONALE 9847/611. Roma, 13 novembre 1949, ore 22.

Comunicato a ministro assente tuo telegramma 553-54 del 101. Ministro invia-mi seguente risposta per te:

«Lei ha capito benissimo significato telegramma quando assicura che Governo francese “è disposto andare molto più avanti con noi che non con i belgi nel campo commerciale e finanziario” e che non è escluso “rimettere a galla idea Unionedoganale”. Sua azione e suo linguaggio costì debbono mirare a ciò. È per aiutare sua azione e linguaggio che le ho comunicato pensiero del Gabinetto. Occorre ella lo faccia sapere Schuman nel corso di una conversazione come prova della nostra ansietà da un lato circa necessità salvaguardare interessi tanto italiani quanto francesi di fronte Belgio e dall’altro lato nostra ferma volontà stringere vieppiù intesa con Francia anche di fronte nascenti problemi tedeschi. Occorre ella abbia al più presto questa conversazione anche perché non paia che solo Fouques-Duparc fu informato».

Qui finisce la istruzione del ministro.

Ti aggiungo: 1) che molti membri del Gabinetto insistettero su presa posizione risultante nel noto comunicato tanto più vigorosamente in quanto ritengono che ministro e Ministero siano troppo «francofili» e perciò inclini a tenere maggior conto del punto di vista del Governo francese che del nostro; 2) che ministri tecnici insistettero nel sostenere che cotonieri francesi han detto loro essere ora divenuti «unionisti»; che ciò sia vero o falso poco conta, tale essendo stato d’animo predetti ministri.

398 1 Vedi D. 390.

399

L’INCARICATO D’AFFARI A BRUXELLES, VENTURINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12942/153. Bruxelles, 14 novembre 1949, ore 20,15 (perv. ore 7,30).

Riservomi riferire su lavori gruppo studio unione doganale iniziatisti oggi pomeriggio con discorso Van Zeeland.

Ritengo invece urgente fornire talune impressioni riportate in conversazione connesse con decisioni prese Parigi nel quadro O.E.C.E.

Da colloquio avuto con Spierenburg, è emerso, fra l’altro, che olandesi sono nettamente contrari proposta francese per intesa regionale tra Benelux e Francia e Italia, qualora intesa stessa non venga sino dall’inizio studiata con inclusione Germania.

A quanto ho potuto appurare, Paesi Bassi avrebbero ottenuto assicurazioni che Belgio assumerebbe uguale posizione.

400

L’AMBASCIATORE AD ANKARA, R. PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1902/886. Ankara, 14 novembre 1949 (perv. il 23).

Ho già sottolineato il particolare rilievo dato ai rapporti con la Francia dal presidente Inönü nel suo recente discorso all’Assemblea1. Anche il ministro Sadak, di ritorno da Strasburgo, batte sullo stesso tasto in alcune brevi dichiarazioni alla stampa: «Ho avuto con Schuman una lunga conversazione. Abbiamo insieme fatto un largo giro d’orizzonte su tutte le questioni che riguardano i nostri due paesi alleati. Gli interessi della Francia e della Turchia concordano perfettamente nel Medio Oriente». Parole che lasciano forse presumere un orientamento della Turchia diverso da quello seguito sino a un certo tempo, che a torto o a ragione, era ritenuto, per quel che concerne il Medio Oriente, piuttosto ligio agli interessi e ai disegni britannici che non a quelli francesi. Io credo che codesta insistenza inglese a giocare gli arabi l’un contro l’altro; a tentare d’imporre i piccoli vassali hascemiti anche sulle altrui spalle; a turbare in sostanza il Medio Oriente invece che ad acquetarlo; abbia finito col persuadere il Governo turco essere miglior cosa, e più utile ai fini della generale stabilità della regione, lasciar le cose come stanno e patrocinare invece il punto di vista francese, e in gran parte americano, favorevole allo statu quo e contrario alle trasforma

zioni per tre quarti imposte dall’esterno. L’unione fra Iraq e Siria si è venuta cioè rivelando, piuttosto che sistemazione ragionevole, combinazione atta a condurre anuovi sommovimenti e torbidi. È dunque conveniente lasciarla cadere, o, almeno, astenersi dallo spingerla innanzi. D’altra parte l’iniziativa egiziana intesa a stringere un patto di alleanza militare fra i sette paesi della Lega araba, se è stata certamente architettata al Cairo per silurare quell’unione, potrebbe anche giovare a ricementare una qualche forma di solidarietà araba, senza in pari tempo modificare la struttura politica del Medio Oriente, con tutti i conseguenti turbamenti che tali modifiche di struttura per solito comportano. Sicché la Turchia pare orientarsi, ripeto, su codesta rinnovata solidarietà, sebbene tuttora traballante e incerta, che non su trasformazioni destinate per certo a ulteriormente dividere il mondo arabo, piuttosto che a unificarlo.

Si dice da molte parti che anche l’Inghilterra potrebbe forse profittare di codesto nuovo strumento collettivo fra gli arabi, se mai giungerà in porto, sostituendo un accordo generale con la Lega ai suoi accordi militari con Transgiordania e Iraq, impopolari e leonini. E può anche darsi.

Par comunque certo che sarà questo uno degli argomenti centrali della conferenza fra i rappresentanti nordamericani nel Medio Oriente che avrà luogo a Istanbul il 26 corrente ed il cui principale obbiettivo dovrebbe essere quello di armonizzare i punti di vista, spesso contrastanti e contraddittori, che gli stessi rappresentanti sono andati prospettando al Dipartimento di Stato sopra tutto in questi ultimi tempi. Per quello che si può giudicare da qui, dovrei dire che gli Stati Uniti sembrano sempre più decisamente orientarsi verso lo statu quo, molto più atto, a loro giudizio, a costituire una solida piattaforma per i grossi piani economici in preparazione a Washington che dovrebbero assicurare quella relativa stabilità mediorentale manifestatasi sin qui irraggiungibile con gli invecchiati e anacronistici metodi britannici, o soltanto con questi.

400 1 Vedi D. 377.

401

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1210/4277. Parigi, 14 novembre 1949 (perv. il 19).

Faccio seguito ai miei telegrammi n. 553 e 554 del 10 corrente1.

Non trovo poi tanto strano che Schuman, nel suo ultimo colloquio, non abbia parlato a V.E. dell’Unione doganale. In realtà sarebbe stato molto imbarazzato a farlo: dalla riapertura delle Camere il Parlamento francese è investito di una delle più gravi crisi politiche che abbia dovuto affrontare la IV Repubblica — e che in realtà non è ancora risolta — del problema del bilancio, delle rivendicazioni operaie, della questio

ne germanica, dell’Indocina, per non parlare che delle più importanti. In queste condizioni, data anche l’attività internazionale di queste settimane, sarebbe stato veramente difficile per il Governo francese fare un profondo sondaggio degli umori parlamentari. La situazione parlamentare, a mia impressione, non è cambiata da quella che era prima delle vacanze. L’unica cosa di nuovo che c’é stata, proprio in questi giorni, è la presa di posizione della Confederazione degli agricoltori contraria all’Unione doganale. Tuttavia se il Governo gettasse tutto il suo peso in favore dell’Unione, credo potrebbe farla passare, sia pure ad una maggioranza minima: ma il Governo Bidault se potrà durare anche quanto il Governo Queuille, non è sicuro di arrivare alla fine della prossima settimana: non vedo come si possa domandare ad un Governo così instabile, ed in un momento così difficile, di rischiare la sua esistenza sul problema dell’Unione. Schuman non le avrebbe potuto dare che una risposta vaga ed imbarazzata: sono anzi sicuro che le è molto riconoscente di aver avuto la cortesia di non parlargliene.

Ma più che la situazione parlamentare francese, ostacolo grave ma superabile, è l’evoluzione della situazione internazionale che rende incerte le sorti di questa Unione. Mentre alcuni mesi addietro essa poteva essere considerata soltanto come un atto italo-francese, adesso non è possibile scinderla da tutta un’evoluzione internazionale, attualmente in formazione: e siccome non si vede ancora chiaramente, oggi, dove si andrà a finire, è impossibile o almeno difficile dire che cosa ne sarà della nostra Unione.

Quest’evoluzione della situazione internazionale potrebbe, nelle sue linee generali, essere riassunta in questa forma: l’Inghilterra esce dal continente europeo, la Germania vi rientra.

L’interpretazione generalmente data agli ultimi accordi anglo-americani di Washington è stata la creazione di rapporti speciali, del resto sempre esistiti, fra i due paesi anglosassoni: su questo non c’è dubbio. Ma in vista dei susseguenti sviluppi, mi sembra invece sia azzardata l’interpretazione corollaria, che pure ne era stata data, che gli americani abbiano in larga misura accettata l’aspirazione britannica di essere essi l’intermediario autorizzato fra l’America e l’Europa. Mi sembra più esatto interpretarla nel senso che gli americani sono venuti alla conclusione di scindere il problema europeo in due parti, in certo senso indipendenti: da una parte l’Inghilterra, dall’altra il continente. Tutto questo inteso naturalmente nel senso dell’empirismo americano.

Ciò è senza dubbio vero nel settore piano Marshall. Fin qui gli americani avevano sempre sostenuto la tesi che i diciotto paesi firmatari, Inghilterra compresa, dovessero marciare di pari passo sulla via della collaborazione. Le recenti dichiarazioni di Hoffman2, la sua accettazione del principio degli accordi regionali, significano, in pratica, solo questo: il continente, o parte di esso, potrà, forse anche dovrà, marciare sulla via della cooperazione economica, indipendentemente da quello che può o vuole fare l’Inghilterra. Un atteggiamento non molto dissimile sembra delinearsi sul piano militare: meno chiaro sembra nella sfera di sua competenza l’atteggiamento del Dipartimento di Stato.

Negli ambienti americani dell’E.C.A. di Parigi mi è stato parlato, senza nessun riserbo, di un vivo contrasto Hoffman-Harriman-Acheson, favorevoli i primi due ad una azione diretta americana sul continente, disgiunta dall’azione inglese e dall’azio

ne sull’Inghilterra, l’ultimo piuttosto favorevole alla tesi inglese, dell’Inghilterra tramite principale della politica americana. Con molto maggior riserbo i militari americani accennano ad un simile dissidio Johnson-Acheson più o meno sulle stesse linee. Non so quale valore abbiano queste chiacchiere parigine degli americani: su questo potrà meglio riferire la nostra ambasciata a Washington.

Per quanto riguarda la Germania, il comunicato dei tre ministri3 è chiaro nella sua ermeticità: si è deciso di marciare per la liberazione giuridica del Governo tedesco e per l’integrazione economica, politica e militare della Germania nell’Europa occidentale: quello che non possiamo dire, oggi, è quale sarà la rapidità di marcia.

Altro elemento, importante, di cui bisogna tener conto, nel settore economico (sebbene sia difficile separarlo e dal settore militare e da quello politico), è la spinta decisa degli americani verso l’unificazione continentale. Su questo argomento il discorso di Hoffman all’O.E.C.E.2, pur nel suo tono apparentemente dimesso, e tutte le altre indicazioni concordi, non permettono di avere alcun dubbio. L’America vuole l’unificazione continentale, più una non ben definita misura di coordinazione con l’Inghilterra e l’area della sterlina; è stanca del giuoco di fare senza fare, praticato fino ad ora da tutti gli europei, nessuno escluso, e se non ci si mette sulla strada buona, e al più presto, verranno le sanzioni.

In questa spinta americana vediamo oggi due direttive:

1) la liberalizzazione degli scambi, che include anche l’Inghilterra, e che in un certo senso significa più che altro l’abbandono della politica dei contingenti per un ritorno alla vecchia politica della protezione doganale, sia pure colle limitazioni della Convenzione dell’Avana. Oggi gli americani si sono contentati del 50%: fra qualche mese torneranno alla carica per arrivare al 75% e così via;

2) forme più complete di integrazione, sia nel campo monetario che in quello commerciale, che in quello della coordinazione della produzione, limitate queste al campo continentale, e per le quali, come tappe, sono previste ed ammesse delle intese regionali. Ma anche in questo campo più ristretto gli americani non considereranno quello che si potrà fare adesso come un fine, ma solo come una tappa: raggiunta la prima spingeranno per le altre successive.

È in questo quadro che va considerata la politica francese.

Il leadership del movimento per l’unificazione europea, in tutti i campi, spetterebbe naturalmente all’Inghilterra, solo che essa volesse prenderne la direzione: e sarebbe stato meglio per tutti, noi compresi. L’Inghilterra non lo vuole fare, non solo, ma essa ha mobilitato tutte le sue possibilità, che non sono scarse, per evitare che esso si faccia al di fuori di lei. Finora l’America aveva lasciato fare: oggi — ed è questo il significato rivoluzionario dell’ultima presa di posizione di Hoffman — l’America sembra (lo è certamente sul piano economico) decisa a dire agli inglesi: d’accordo che voi facciate bande à part entro certi limiti, ma dovete lasciar fare il continente. Cripps, nella sua risposta a Hoffman, ci ha messo dei sì e dei ma, ma non ha osato mettersi contro.

C’è stata sempre in Francia una tendenza, non solo gaullista, ad assumere il leadership dell’Europa, contro l’Inghilterra: adesso che l’Inghilterra spinte o sponte abbandona il campo, sono pochi i francesi che non pensino che, in questo caso, il leadership dell’Europa spetta di diritto alla Francia, e non pochi sono quelli che ritengono che, comunque, vale la pena di tentarlo.

Il punto dubbio è sapere se e fino a che punto questa tendenza francese sia anche la politica americana: i francesi fanno di tutto per fare intendere agli altri europei che così è: e sarebbe da meravigliarsi che non lo facessero. Ma è realmente così? Vedendo le cose da Parigi ci sono molti elementi che porterebbero piuttosto a dire di sì: ma può essere un’impressione unilaterale. Gli americani sono, per principio, locofili: filo-italiani in Italia, filo-francesi in Francia e così via: poi a Washington si fa la scelta fra tutti questi entusiasmi locali. La cosa dovrebbe quindi essere veduta a Washington. Quello che mi sembra intanto di poter affermare con sufficiente certezza è che:

1) il giudizio americano sulla solidità intrinseca della Francia, negativo un anno fa, è piuttosto positivo oggi: questo non toglie che può ricambiare domani;

2) gli americani non avrebbero difficoltà ad avallare il leadership francese, qualora esso riesca allo scopo: più che appoggiarlo, credo, lasceranno fare;

3) gli americani, l’integrazione della Germania nell’Europa occidentale restando lo scopo ultimo della loro politica, sembrano disposti, almeno per un certo tempo, a lasciarne l’iniziativa ai francesi, ritenendo che molti degli ostacoli interni francesi potrebbero essere superati se questo processo apparisse come una spontanea politica francese invece che come un’imposizione americana.

Di rimando, i francesi intelligenti, che non sono molti, ma ce ne sono, si rendono conto che se questa politica riesce, bene: se non riesce, non per questo gli americani abbandoneranno l’unificazione, ma invece di far perno sulla Francia faranno perno sulla Germania.

Vista in questo insieme, è evidente che, nel quadro della politica francese, l’Unione doganale italo-francese non può non assumere un significato ed una portata del tutto differente di quello che, non V.E., ma molti in Italia tendevano a darle. Ossia:

1) i francesi non possono, oggi, agli effetti delle reazioni americane, e soprattutto agli effetti di questa loro politica, limitarsi a fare qualche cosa con noi: debbono cercare di fare qualche cosa anche con gli altri: con il Benelux cioè e alla peggio, col solo Belgio. Potranno fare qualche cosa di più con noi, ma debbono fare qualche cosa anche al di là di noi. E vorrebbero far presto prima che l’America cambi idea, e prima che l’Inghilterra possa, anche lei, cambiare idea;

2) l’intesa economica franco-italiana, sia che la si chiami Unione doganale o no, non può essere, come molti di noi la intendevano, la sostituzione di un mercato chiuso a due mercati chiusi, ma solo tappa e preparazione ad un movimento di maggiore ampiezza: il che ne cambia, naturalmente, tutta l’impostazione. Potrebbe essere un’intesa, un’integrazione economica diretta a mettere i due paesi, insieme, in una condizione migliore di fronte alla futura integrazione con la Germania; deve, comunque, prevedere, come prossima tappa, questa integrazione. Ed anche sotto questo punto di vista è evidente che, per i francesi, è molto importante avere, da questa parte, anche il Benelux, o per lo meno il Belgio-Lussemburgo: e presto.

In altre parole, tutta l’Europa occidentale economicamente importante, ossia Francia Italia Benelux Svizzera Germania, deve marciare verso l’unificazione, perché così lo vogliono gli americani. (Gli economisti europei più intelligenti pensano che questo sia anche nell’interesse dell’Europa, ma purtroppo questa loro opinione non sembra, a tutt’oggi, commuovere molto i vari Governi, il nostro incluso). Lo scopo finale restando questo, i singoli paesi possono muoversi su questa strada con velocità differenti, a condizione però di non pregiudicare il fine ultimo. Questi sono oggi i limiti e il quadro in cui si può far risorgere l’idea dell’Unione doganale italo-francese: non altri.

Come V.E. vede, in questo quadro, l’atteggiamento del Governo francese, l’atteggiamento del suo Parlamento diventano cose secondarie. La crisi dell’Unione doganale è che lo sviluppo delle circostanze l’hanno superata. Se tessili, automobilisti, agricoltori, sindacati e compagnia non ci si fossero messi contro, il trattato sarebbe stato certo qui ratificato: ciò nonostante, oggi saremmo allo stesso punto.

E V.E. vede pure come, in questo quadro, la posizione assunta dal Governo italiano nel suo recente comunicato4 può apparire un po’ fuori tempo.

Non vorrei che essa rispondesse poi ad un altro ordine di idee. Non è un mistero per nessuno che l’Amministrazione italiana ha una paura maledetta della liberalizzazione, dell’unificazione economica e così via, anche se la delegazione italiana all’Assemblea di Strasburgo ha ritenuto, su questo argomento, di prendere degli atteggiamenti di punta. E pensando che i francesi, la cui economia è su basi un po’ false come la nostra, abbiano gli stessi timori nei riguardi della Svizzera, del Belgio, per non parlare della Germania, consci della necessità di fare qualche cosa per dare del fumo negli occhi agli americani, ci siamo detti: facciamo la nostra Unione doganale, non troppo pericolosa, così ci eviteremo dal fare altre cose più seccanti. Perché se questo è il nostro pensiero, è meglio che sappiamo subito che i francesi non sono di-sposti a seguirci per questa strada. In altre parole è inutile sperare che noi possiamo nasconderci, per non fare, dietro le spalle dei francesi.

La situazione economica francese ha molte debolezze, come la nostra: essi hanno su di noi il vantaggio di non avere la piaga della disoccupazione ed è grosso vantaggio: ma essi perseguono anche uno scopo politico ambizioso, e per raggiungerlo sono disposti anche a correre dei grossi rischi ed a fare dei grossi sacrifici. Le rayonnement de la France resta sempre qui un forte appello. Noi che non possiamo aspirare a nessun leadership evidentemente siano più preoccupati.

Possiamo dire, e forse con ragione, che questo sogno francese è troppo ambizioso, che esso è al di sopra delle forze della Francia. È probabilmente anche vero: se non che il corso degli avvenimenti non siamo noi che lo possiamo arrestare; lo possono fare gli americani, lo possono fare i fatti, non noi. Resta da vedere se, fallito questo piano, sia possibile, sia per noi che per i francesi, ricadere sulla sola Unione doganale: del che mi permetto di dubitare assai.

Per quello che concerne noi bisogna dunque tener ben presenti alcune considerazioni:

1) questo movimento verso la liberalizzazione degli scambi, verso accordi monetari a larga portata, verso l’integrazione europea, c’é, è voluto, anzi, imposto dagli americani e noi non possiamo sottrarvici: saremo obbligati a seguire gli altri. Tanto più che gli americani ce lo impongono per il nostro bene. Essi, vedendo le cose dal di fuori, vedono l’unificazione, e con ragione, come l’unico rimedio per evitare il disastro. Quello che potremo fare sarà cercare di ottenere, per alcune nostre industrie in sé sane ma necessitanti una nuova sistemazione, delle salvaguardie transitorie. Esiste è vero la riserva di cui al punto 6 della decisione dell’O.E.C.E. del 2 novembre, ma dubito ci convenga ricorrervi. Tra l’altro essa equivale a dichiararci zona di miserie incurabili: può essere anche questa una politica, ma è difficilmente compatibile con il concetto di parità che tanto strenuamente difendiamo in altri campi.

Bisogna quindi che noi concentriamo la nostra immaginazione non sul come sfuggire a questa liberalizzazione ma su quello che è necessario fare, e presto, in tutti i campi, compreso quello amministrativo e fiscale, per metterci in grado di sopportare meglio le temute conseguenze di questa liberalizzazione;

2) per quello che concerne la prossima Conferenza del «Fritalux», voluta ed incoraggiata dagli americani, bisogna che ci veniamo non con l’intenzione di non fare niente o di far solo finta di fare qualche cosa, ma con l’intenzione di fare. I francesi sono anch’essi decisi a procedere con prudenza: sono disposti a fare, con noi, più di quanto faranno con gli altri. Questo non toglie che dobbiamo difendere i nostri interessi reali, come gli altri difenderanno i loro: bisogna però che accettiamo, o ci rassegniamo al principio che qualche cosa si deve fare, e che questo qualche cosa non può essere che una tappa verso mete più vaste, che non possiamo evitare;

3) bisogna decidere se ci conviene di accettare l’invito francese di organizzare le nostre due economie in vista di future trattative con la Germania: trattative vicine certo ma non del domani immediato. E se ci decidiamo per questa alternativa sarebbe bene che cominciassimo a definire le nostre idee su quello che si deve fare e come.

Il punto 2) non ha bisogno di essere qui ripetuto. V.E. lo ha già accettato, con piena chiarezza, nelle sue ultime conversazioni con Schuman.

Se noi accettiamo anche il punto 3), questa è l’Unione doganale, nel suo aspetto politico: lo è anche, nel suo aspetto economico con le riserve di impostazione fatte sopra. Se e in che forma e misura si potrà dare a tutto questo anche forma giuridica è difficile dirlo a priori: è comunque probabile e solo per questa via. Di fatto si potràcerto andare molto avanti. È superfluo che rilevi però che questo significa che noi accettiamo, e ci leghiamo a tutta questa politica francese: anche alle sue possibilità d’insuccesso.

Restare fuori da tutto questo movimento è, ripeto, per noi impossibile. Ciò significherebbe ritirarci dal piano Marshall, dal Patto atlantico, ecc.: una politica cioè che si può formulare in linea di ipotesi teorica di Gabinetto, ma non pensare seriamente. Possiamo limitarci a seguire la sola politica del Fritalux, senza andare più in là: rischiamo però che la Francia riesca ad intendersi con la Germania: quel giorno amicizia, collaborazione italiana conteranno agli occhi della Francia e Germania meno di niente. Non che le conseguenze di questo sarebbero in sé gravi: esse però avrebbero come presupposto che noi ci adattassimo a fare una politica estera di tipo piccolo paese tranquillo, il che è difficilmente compatibile col nostro carattere.

Se accettiamo invece di unirci a questa politica francese, bisogna che lo diciamo subito e chiaramente. Colla riserva, s’intende, che la Francia, come corrispettivo, tenga in dovuta considerazione quegli interessi nostri che dovremmo precisare.

In altre parole, date le circostanze presenti, se noi vogliamo insistere per una politica d’intese speciali con la Francia, di Unione doganale, in termini di realizzazione, questo significa che noi accettiamo di unirci — in realtà di accodarci — alla Francia per tutta questa sua politica verso la Germania. È questa l’idea del Governo italiano? Se sì, bene: se no, è necessario che dell’Unione doganale cessiamo di parlare.

Data questa complessa situazione, che l’ambasciatore a Parigi non può né ignorare, né far finta di ignorare, V.E. comprende come non mi sarebbe possibile esprimermi con Schuman nella stessa maniera con cui V.E. si è espressa con FouquesDuparc5.

Altrimenti, preso alla lettera, questo nostro passo significherebbe solo che noi vogliamo mettere il Governo francese con le spalle al muro, e in circostanze a noi note che lo obbligherebbero a risponderci di no, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero. Ora so, dalle conversazioni che ho avuto con lei a Parigi, che questo non è il suo pensiero.

Mi occorre conoscere, e al più presto, il pensiero del Governo italiano. Si tratta di una svolta importante della politica francese ed europea: le idee francesi sonochiare. È ugualmente chiaro, ripeto, che se noi insistiamo per l’Unione doganale e se non abbiamo in mente di mettere i francesi con le spalle al muro, essi saranno portati ad interpretare questo nel senso che noi accettiamo e seguiamo tutta la loro politica. Tengo a precisare che, personalmente, non avrei nessuna obbiezione a farlo. Con tutti i dubbi che si possono avere sulle sue possibilità di successo, mi sembra che una certa unificazione europea fatta sotto il leadership francese possa essere per noi meglio che un’unificazione fatta sotto il leadership tedesco. Ma non voglio che mi si possa rimproverare di non aver segnalato, a tempo, al mio Governo le difficilmente evitabili conseguenze di una determinata presa di posizione. Se invece non siamo disposti a farlo, è meglio metterlo in chiaro subito, ho perfettamente la possibilità di farlo senza guastare niente: altrimenti diamo un facile pretesto ai francesi di dire che noi ciurliamo nel manico, il che è sempre bene evitare.

Non si tratta adesso di stabilire alcune linee di principio, subordinate — si tratta di un’adesione, oggi, importante per la Francia e che non dovrebbe essere data per niente — come ho detto, all’accettazione francese di certi nostri interessi da difendere. Ma questo dovrebbe essere oggetto di trattative ulteriori di non scarsa importanza ed a cui dobbiamo essere preparati. Ma, dato che nei giorni che precederanno la riunione degli esperti prima, dei ministri dopo, dovrò ben parlarne sia con Schuman che con altri ministri, e non posso non parlarne, sarei imbarazzato a farlo senza conoscere il suo pensiero6.

6 Per la risposta vedi D. 413.

401 1 Vedi D. 390.

401 2 Vedi D. 362.

401 3 Al termine dei colloqui che i tre ministri degli esteri di Francia, Stati Uniti e Gran Bretagnaavevano avuto a Parigi dal 9 all’11 novembre, vedi D. 406.

401 4 Vedi DD. 385 e 396.

401 5 Vedi D. 385.

402

L’INCARICATO D’AFFARI AD HAITI, BARBARICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER POSTA 13842/23. Porto Principe, 15 novembre 1949 (perv. il 7 dicembre).

Il presidente della Repubblica, che mi ha trattenuto a cordiale colloquio per oltre una ora, ha voluto dirmi la sua soddisfazione per decisione presa da Governo italiano di accreditare titolare questa legazione residente in loco «il che svilupperà grandemente, con i facilitati contatti, auspicate relazioni politiche economiche e culturali due paesi».

Circa atteggiamento Haiti all’O.N.U., su mia richiesta, il presidente mi ha confermato avere dato istruzioni «seguire attentamente linea di condotta delegazione italiana». Il che mi era già stato assicurato da questo ministro esteri in occasione mia prima visita ufficiale.

Circa trattato pace ho chiesto e mi ha promesso dare istruzioni per soluzione su nazionalizzazione titoli beni italiani; il che gli ho sottolineato consideravo operazione interna riguardante esclusivamente Governo Haiti dal quale ci aspettiamo tale prova buon volere; per procedere quindi subito dopo ratifica trattato di pace già firmato, ratifica non potrà però avvenire che all’apertura della Camera nuova prevista aprile prossimo.

Presidente della Repubblica non ha esitato dichiararmi suo impegno assunto dinanzi nazione per successo esposizione internazionale e pertanto suo personale interesse a partecipazione italiana esposizione stessa cui lavori preparatori «non sono per altro ancora iniziati». Ho ancora una volta dato ampie assicurazioni circa nostra presenza a quella che egli reputa sua massima realizzazione che però tante critiche solleva nel paese anche perché è costata finora somme equivalenti due terzi intera entrata annuale dello Stato.

Circa convenzione commerciale 1927 mi riservo trattare con nuovo ministro commercio.

403

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2292/758. Mosca, 15 novembre 1949 (perv. il 23).

Riferimento: Mio telegramma n. 238 del 6 novembre u.s.1.

Mi riservo inviare col prossimo corriere la traduzione integrale del discorso di Malenkov al Bolshoi Teatr in occasione del 32° anniversario della rivoluzione di

ottobre. Esso sarà stato certamente pubblicato dalla stampa italiana, ma penso sarà bene averne agli atti una traduzione fedele e completa.

Si tratta di un discorso importante, sia per la personalità dell’oratore, sia per il contenuto, che delinea in modo chiaro la politica estera ufficiale dell’Unione Sovietica.

Quanto all’oratore, non era più un mistero per nessuno ormai che Malenkov stava affermandosi all’interno del Politburò come il giovane astro destinato (se non gli capiteranno infortuni) ad eclissare forse i colleghi e rivali. Di quest’uomo cresciuto e formatosi moralmente ed intellettualmente dopo la rivoluzione d’ottobre, entro il partito, e con una carriera interamente di partito, ebbi già occasione di segnalare l’importanza e di inviare anche una dettagliata biografia politica (vedi mio telespresso 564/183 dell’11 marzo 1949)1. Il fatto che egli abbia parlato in luogo e vece di Molotov presente non è certo privo di significato. Non voglio dire che Molotov sia fin da ora a lui subordinato: Molotov conserva la sua posizione di secondo fra i grandi eroi-santoni della rivoluzione ancora sopravvissuti. Ostinato e fedelissimo seguace di Stalin, legato a lui da vincoli personali, il tempo e l’occasione per una qualsiasi eresia sembrano ormai definitivamente passati per lui. Può darsi che gli si addebiti in parte una responsabilità per gli insuccessi della politica in Germania, in Jugoslavia, e in Grecia, ma ognuno comprende che egli non se l’è potuta assumere senza il consenso di Stalin e del Politburò, sia pure dopo dissensi e discussioni. Egli è apparso, piuttosto, alla solenne riunione del Bolshoi Teatr, dimagrito e invecchiato a taluni osservatori, come già appariva ai funerali del maresciallo Tolbukin: benché relativamente giovane (è nato nel 1890) egli appartiene alla vecchia generazione che ha partecipato a troppe battaglie personali e ideologiche, e, in questa vita difficile di continua lotta, si è un po’ logorata. Scomparso Stalin, è forse più probabile che il comando passi a uomini più freschi, spiritualmente nuovi, e, se possibile, più fanaticamente intransigenti. Malenkov è il prototipo di questi uomini nuovi.

Per intanto, un segno concreto del suo avanzamento è stato dato dalla posizione del suo ritratto nella esposizione, rigidamente gerarchica, che dei membri del Politburò viene fatta qui in occasione delle grandi feste nazionali e comuniste. L’anno scorso Molotov era collocato alla destra di Stalin, Berija alla sinistra; Malenkov stava al terzo posto, alla destra di Molotov. Quest’anno le posizioni di Malenkov e di Berija si sono invertite, Malenkov sta al secondo posto a sinistra di Stalin, Berija al terzo a destra di Molotov. L’ordine gerarchico è ora il seguente: Stalin - Molotov - Malenkov - Berija - Voroscilov -Andreev - Mikoyan - Kaganovic - Kryshov - Bulganin - Shvernik - Kossyghin.

Dunque Malenkov non ha ufficialmente sorpassato né eguagliato Molotov, ma gli si è avvicinato superando Berija: ed alla grande dimostrazione popolare (anche questa rigidamente organizzata) che segue come d’abitudine la parata militare in Piazza Rossa il 7 novembre, la prima sfilata di grandi cartelloni dei gerarchi comunisti seguiva bensì l’ordine stabilito, ma poneva Malenkov all’immediata sinistra di Molotov ed al suo stesso livello (a rispettosa distanza, s’intende, da Stalin) mentre Berija seguiva da lontano. Era questa una specie di spontanea interpretazione, da parte delle organizzazioni cittadine del partito, del corso attuale delle cose.

Malenkov ha pronunciato il suo discorso con dizione chiara e ferma, senza accentuazioni retoriche; quest’uomo piccolo di statura, un pochino tondo, con una grande testa leggermente sproporzionata al corpo, con un volto immobile ed inespressivo, dà una impressione di tranquilla energia e di incrollabile sicurezza di sé.

Potrebbe essere, volendo, anche un oratore, solo che avesse bisogno di convincere gli ascoltatori e non parlasse, come parlano tutti questi dittatori, a folle già convinte o ammaestrate. Sotto questo aspetto egli è superiore sia a Molotov, sia allo stesso Stalin, entrambi, per ragioni diverse, pessimi oratori.

Nel suo insieme, il suo discorso è apparso un po’ più breve dei soliti grandi discorsi ufficiali, chiaro e quadrato. Quanto al tono, esso appariva piuttosto tranquillo e moderato. Quanto al contenuto, la sua attenta rilettura, mi conferma che esso ha voluto esprimere ed ha espresso essenzialmente tre atteggiamenti dell’Unione Sovietica: una seria preoccupazione per la gravità della situazione internazionale e per la minaccia di guerra americana; una volontà senza equivoci di non trasformare ora la guerra fredda in guerra calda; un tranquillo senso di orgoglio e di sicurezza di sé dovuto in parte soltanto al possesso della bomba atomica, ma ben più e soprattutto al grandioso successo cinese.

Quanto al primo punto, per quanto io abbia saggiato i dirigenti sovietici (ebbi occasione di sondare abbastanza lungamente sull’argomento il nuovo vice ministro Lavrentiev, ex ambasciatore a Belgrado, al ricevimento del 7 novembre) non sono mai riuscito a convincermi bene fino a che punto essi credano sul serio alla possibilità di una prossima aggressione americana. Questa possibilità è nella dottrina ufficiale e ad essa i sovietici si attengono: la loro educazione marxista-leninista impedisce loro di dubitare delle conseguenze dell’accerchiamento capitalistico. Esso deve condurre alla guerra: se questa non si verificherà fra i capitalisti stessi, dovrà inevitabilmente consistere nell’ultimo disperato assalto del mondo capitalista contro il mondo socialista.

Questo non vuol dire, tuttavia, che i sovietici credano realmente, come dicono, ad una relativa imminenza dell’attacco americano; e su questa immediatezza del pericolo essi insistono per ragioni di propaganda, per necessità di tenere tesa l’attenzione della loro opinione pubblica, vivi gli odii contro gli occidentali e costanti gli sforzi di preparazione militare e produttiva. Ma essi non ignorano lo spirito democratico e pacifico del popolo americano, la difficoltà di mettere in moto la macchina governativa statunitense a scopo di guerra.

Questa parte del discorso di Malenkov è dunque volutamente esagerata, in quanto prospetta la politica di guerra degli americani come politica a breve scadenza; ma è sentita, in quanto esprime la preoccupazione e la convinzione che la situazione internazionale è tesa e seria e che, continuando così le cose, porterà certamente alla guerra nel corso dei prossimi anni, e non per iniziativa sovietica.

Il secondo punto — volontà di pace — esprime appunto ancora una volta, la ferma decisione sovietica di non passare alla guerra calda fino a che essa non ritenga di avere una preparazione industriale e militare sufficiente ad assicurarle, ragionevolmente, la vittoria. Esprime anche la speranza e la convinzione che, nella guerra fredda, gli sviluppi economici e politici non potranno che accumulare successi a favore del campo sovietico.

Di questa precisa volontà attuale di pace il discorso è pervaso in più punti: esso si apre con una significativa dichiarazione di soddisfazione per lo stato attuale dei confini sovietici in Europa. Si chiude, anziché col solito evviva a Stalin, con un evviva alla pace in tutto il mondo. Ma sopratutto è importante che Malenkov ha riaffermato senza equivoci la volontà di pace del Governo sovietico nel punto in cui ha riassunto l’essenza dalla politica estera sovietica. «Se dobbiamo considerare l’essenziale nella nostra politica estera, questo essenziale, in brevi parole, si può esprimere dicendo che l’Unione Sovietica è per la pace e difende la causa della pace».

E degli attuali vantaggi per i sovietici di questa politica egli ha dato anche le ragioni: «Gli imperialisti sperano nelle avventure belliche, perché temono la pacifica emulazione col socialismo. Ma è del tutto chiaro, che le avventure belliche non promettono agli imperialisti null’altro che catastrofi. Gli uomini sovietici non temono la emulazione pacifica col capitalismo. Perciò essi intervengono contro un nuova guerra, e a difesa della pace, benché essi conoscano bene e siano assolutamente sicuri della loro indomabile forza». Questa frase, nel suo aspetto politico e contingente, può tradursi così: i sovietici hanno attualmente tutto da guadagnare e nulla da perdere dalla continuazione della lotta non armata fra i due mondi, quindi non intendono lasciarsi trascinare alla guerra armata, perché sperano di essere domani molto più forti, nel momento in cui l’eventuale conflitto si renderà inevitabile.

Ma accanto a questa preoccupazione, e a questa volontà di non farsi trascinare in avventure militari, il più interessante e il più nuovo degli accenti del discorso di Malenkov è il senso di tranquilla sicurezza di sé, di forza crescente che egli ha voluto infondere nel suo uditorio, e che certamente ha espresso molto bene col suo contenuto e con tutta la intonazione delle sue parole.

Il diapason di questa espressione di fiducia nelle proprie forze è stata la conclusione della seconda parte del discorso, la quale ha suscitato una eco immediata di applausi spontanei: «Noi non vogliamo la guerra e faremo tutto il possibile per prevenirla. Ma nessuno pensi, tuttavia, che noi siamo impauriti dal fatto che i guerrafondai fanno risuonare le armi. Non noi, ma gli imperialisti e gli aggressori debbono aver paura della guerra. Che cosa ci dice l’esperienza storica? Essa ci dice che la prima guerra mondiale, scatenata dagli imperialisti, condusse alla vittoria della grande rivoluzione socialista di ottobre nel nostro paese. L’esperienza storica ci dice inoltre che la seconda guerra mondiale, scatenata dagli imperialisti, condusse alla instaurazione di regimi democratici popolari in una serie di paesi dell’Europa centrale e sud-orientale, condusse alla vittoria del grande popolo cinese. Vi può essere un qualsiasi dubbio che, se gli imperialisti scateneranno la terza guerra mondiale, tale guerra sarà la tomba non già di singoli Stati capitalisti, ma di tutto il capitalismo mondiale? Bisogna pure ricordarsi di un altro punto. Passò il tempo in cui i guerrafondai riuscivano a prendersi gioco del popolo americano, dicendogli che esso non avrebbe avuto da sopportare i duri sacrifici della guerra e che in Europa e in Asia si troverebbe sufficiente carne da cannone per fare la guerra. Il popolo americano comincia a capire che se i guerrafondai organizzeranno una nuova carneficina, allora il dolore delle madri, delle mogli, delle sorelle e dei bambini visiterà anche il continente americano. E questo è un terribile dolore. In esso soffocheranno e affonderanno i guerrafondai».

Vi è del cattivo gusto e una oscura minaccia nell’ultima parte di queste affermazioni, specialmente là dove esse volutamente dimenticano il contributo diretto dei soldati americani e le loro perdite in Africa e in Italia, in Francia e in Germania e in Estremo Oriente. Ma sopratutto vi è una manifestazione di più tranquilla forza, di un diminuito timore. Questo sentimento è dovuto, come accennavo, sopratutto alla valutazione delle conseguenze mondiali della vittoria di Mao Tse-tung in Cina. È sparito per i sovietici (fino a che, almeno, Mao Tse-tung sarà con loro), il timore di essere attaccati su due fronti; essi ritengono di avere oggi a loro disposizione un blocco compatto di 800 milioni di uomini, che quando fosse economicamente e militarmente preparato, dovrebbe diventare invincibile. Sul fatto stesso dell’arma atomica Malenkov non ha troppo insistito: non solo perché si tratta di argomento segreto dove ogni parola può essere di troppo, ma sopratutto perché il possesso dell’arma atomica può togliere agli americani il monopolio di un’arma decisiva, ma non sposta di per sé sola la valutazione complessiva delle forze territoriali, umane ad economiche. L’affermazione del socialismo in Cina ha, sotto questo aspetto, un’importanza più grande. Malenkov lo ha ripetutamente sottolineato nel suo discorso, e l’uditorio di élite che lo seguiva lo ha inteso pienamente sottolineando con grande entusiasmo e pronta reazione tutti gli accenni al nuovo grande alleato.

Viceversa, assai più tiepidi sono stati gli applausi del pubblico nei passaggi in cui Malenkov ha accennato a Tito ed alla Germania. Quanto alla Jugoslavia, Malenkov è stato significativamente riservato: si è limitato ad attaccare il fascista Tito nel momento stesso in cui sottolineava con soddisfazione il fallimento dei piani di spionaggio occidentali negli altri paesi dell’Europa di nuova democrazia. I dirigenti sovietici offrono qui ai loro cittadini, tutto sommato, una magra soddisfazione: anziché parlare loro della imminente caduta di Tito, vorrebbero contentarli per il fatto che il dilagare del fenomeno nazional-comunista è stato, per ora almeno, arrestato col solito spietato pugno di ferro. Ma la udienza del Bolshoi Teatr non sembrava apprezzare sufficientemente il valore di questa consolazione.

Quanto alla Germania, da un lato i ricordi troppi vicini dell’atroce guerra non possono non creare un certo imbarazzo nelle coscienze, di fronte a questo rinnovato idillio cogli ex-nemici; dall’altro ci si rende conto che la partita è ancora da giocare ed è estremamente dura ed incerta. Malenkov ha sottolineato con tutta la forza possibile l’importanza del problema della Germania per l’Europa, e non soltanto per l’Europa. Le sue parole meritano di essere sottolineate: «Nella creazione della Repubblica democratica germanica trova la sua espressione il processo di unione e di consolidamento delle forze democratiche del popolo germanico. Non è possibile assicurare la pace europea, e quindi la pace mondiale, se non sarà giustamente decisa la questione tedesca. Non è possibile decidere la questione tedesca, se la democrazia germanica non prenderà nelle sue mani il destino del paese, non priverà i magnati della Ruhr delle loro basi politiche ed economiche, non realizzerà nel suo paese radicali riforme democratiche».

Si può dire che con tali parole, Malenkov ha riconfermato la forte accentuazione del problema tedesco quale problema essenziale per l’Europa e per il mondo, che Stalin ha voluto manifestare col suo messsaggio a Grotewohl. Ciò non va dimenticato nel considerare i futuri sviluppi della lotta politica in quel settore e la rivalità fra le due Germanie. Non va nemmeno dimenticato nel valutare i fatti che avvengono in taluni paesi satelliti, specialmente in Polonia. Ma per ora, è chiaro che la Germania costituisce per l’Unione Sovietica un grosso problema e non certo una forza e un successo; èil centro di una lotta che si inizia in condizioni sfavorevoli. È quindi perfettamente spiegabile che, malgrado le ottimistiche espressioni di Malenkov, i passi relativi del suo discorso siano stati accolti piuttosto freddamente dai suoi intelligenti ascoltatori; ed è pure del tutto naturale che lo stesso Malenkov e i sovietici in generale concentrino oggi sulla vittoria in Cina e sugli sviluppi conseguenti in Estremo Oriente le ragioni principali del loro ottimismo e della loro manifestazione di forza tranquilla.

Solo l’aggravarsi della crisi economica americana, sulla quale Malenkov si è pure significativamente dilungato, con grande abbondanza di dati, potrebbe, nelle speranze dei sovietici, costituire a non lunga scadenza un ulteriore elemento di forza a loro favore paragonabile all’elemento cinese. Ma per ora si tratta soltanto di speranze, per quanto corroborate da dati e da cifre tendenziosamente valutate.

403 1 Non pubblicato.

404

L’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13026/107. Ottawa, 16 novembre 1949, ore 20,17 (perv. ore 7,30 del 17).

Oggi iniziandosi discussione bilancio Esteri ministro Pearson giunto appositamente pronunciato dettagliato resoconto politica estera. Discorso contiene vari accenni Italia. Sottolineato canadesi delighted visite V.E. e altri ministri esteri attestanti anche aumentata importanza Canada. Citato ripetutamente insieme Francia, Italia rilevando intensificazione movimento solidarietà politica economica Europa occidentale e dando per primo risalto trattato Unione doganale «firmato quei due grandi paesi». Particolarmente compiaciutosi inizi Unione Europa con accenno inclusione Germania occidentale in quanto democratica. Rilevato notevole regresso estremismo Francia, Italia nonostante tentativi scioperi politici e rafforzamento quelle democrazie e Governi. Intrattenutosi diffusamente sviluppi Patto atlantico sottolineando importanza dare larga applicazione principi articolo due vivamente desiderata Governo canadese.

405

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, CON L’AMBASCIATORE DI SPAGNA A ROMA, SANGRONIZ

APPUNTO1. Roma, 16 novembre 1949.

Stamane, dopo firmato l’accordo economico italo-spagnuolo2, l’ambasciatore di Spagna ha chiesto di parlarmi da solo a solo. Mi ha chiesto: «Poiché il nostro segretario di Stato verrà a Roma per l’Anno Santo, posso assicurarlo che riceverebbe le stesse cortesie (per es. ammessa una visita a V.E.) che saranno usate verso altri ministri degli esteri?».

Gli ho risposto: «Assicuri il marchese de Artajo che non penseremmo neppure a fare la menoma discriminazione». Mi ha ringraziato e ha aggiunto che tale visita potrebbe permettere felici scambi di idee confidenziali. Ho lasciato cadere l’allusione e mi son limitato a dirgli: «Felicitiamoci per ora che oggi abbiamo creato un patto»3.

405 1 Minuta autografa.2 Testo in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXXI, cit., pp. 565-592.

406

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 0318. Parigi, 16 novembre 19491.

Circa le ultime conversazioni a tre sulla Germania2 Schuman mi ha detto che da parte americana era stata sottolineata la necessità di una rapida integrazione della Germania all’Europa occidentale e di una regolarizzazione graduale dei suoi rapporti con il mondo atlantico. Francesi ed inglesi si erano mostrati d’accordo su queste linee generali salvo a definirle nei loro particolari.

L’integrazione economica della Germania aveva già avuto il suo inizio coll’ammissione della Germania all’O.E.C.E.: ed era attraverso il meccanismo dell’O.E.C.E. che essa avrebbe dovuto realizzarsi. L’intenzione della Francia, approvata in questo dagli americani (il che mi è stato confermato da questa ambasciata d’America), era di procedere prima ad una larga misura di integrazione con il Benelux e particolarmente con noi e dopo affrontare il problema integrazione della Germania. Questo avrebbe richiesto del tempo: la capacità di concorrere della Germania non era da sottostimare; occorreva ad un certo momento avere coraggio, ma prima era necessario provvedere a mettere i vari paesi in condizioni di vera parità: prima di ogni altra cosa secondo i francesi occorreva ad esempio risolvere il problema del differente prezzo del carbone tedesco all’interno ed all’estero.

Lo statuto di occupazione sarebbe stato riveduto, ufficialmente dopo un anno: nel frattempo erano state date istruzioni agli Alti Commissari di applicarlo con molta latitudine: era anzi l’esperienza di questa latitudine che avrebbe dovuto ispirare le future modifiche.

Non era stata fatta nemmeno menzione nelle conversazioni della eventuale accessione della Germania al Patto atlantico ed in genere del riarmo della Germania.

Circa gli smantellamenti Schuman è stato molto vago ed era evidentemente imbarazzato: mi ha fatto un lungo e poco comprensibile discorso sui casi singoli,

2 Si riferisce ai colloqui di cui al D. 401, nota 3.

sulle garanzie che avrebbe dovuto dare la Germania, quali l’accettazione dello statuto della Ruhr, e dell’organizzazione di controllo. Del resto tutto questo sta gradatamente venendo fuori sulla stampa. Ad una mia domanda precisa circa le sorti delle officine Thyssen, di cui aveva parlato con V.E., mi ha detto che dalle indagini fatte era poi risultato che in realtà queste officine non avevano una capacità di produzione superiore alle 165 mila tonnellate all’anno: non era quindi il caso di parlare di suoi ulteriori smantellamenti: era parimenti escluso che si procedesse a sue estensioni. Come

V.E. ricorda, due settimane fa Schuman le aveva parlato, come del resto ne ha parlato tutta la stampa, di una capacità di produzione di 2 milioni di tonnellate. Evidentemente, è questa la sua linea di difesa di fronte al Parlamento e non ha voluto confessarmi che la Francia era stata obbligata a mollare.

Circa l’entrata della Germania nel Consiglio di Europa, dopo la discussione al Parlamento francese (per la quale mi ha detto di non prevedere difficoltà) e dopo raccolti molti altri elementi essa avrebbe dovuto essere ultimamente decisa dal prossimo Consiglio dei ministri degli esteri del Consiglio d’Europa.

Quanto all’investimento di capitali francesi nell’industria tedesca me lo ha negato nella forma più recisa: la Francia non avrebbe mai contribuito con i suoi capitali al rafforzamento di un concorrente e di un possibile pericolo: del resto la Francia non aveva capitali in sovrabbondanza. L’ordine di precedenza per la disposizione dei capitali francesi era stato chiaramente tracciato nelle direttive del Governo francese:

1) La Francia metropolitana; 2) l’Unione Francese; 3) i paesi amici ossia l’Italia ed il Benelux.

Non c’era attualmente posto per la Germania.

Avendomi egli accennato al trattato di pace colla Germania come ad un elemento che avrebbe dovuto sostituirsi allo statuto di occupazione, gli ho chiesto se egli veramente pensava che un giorno non molto lontano si poteva sperare nell’adesione della Russia ad un trattato di pace con la Germania. Mi ha detto di non vederne per ora la possibilità; d’altra parte non era concepibile lasciare la Germania in permanenza in stato di guerra: ad un certo momento quindi, e non troppo tardi, si sarebbe dovuto trovare una formula che equivalesse alla pace tra la Germania e l’Europa occidentale.

Avendomi Schuman chiesto di ringraziarla nuovamente per l’appoggio datogli, «in maniera così originale e brillante», per la questione della Sarre, gli ho detto che, come V.E. gli aveva già detto, noi eravamo disposti a procedere nei riguardi della politica verso la Germania d’accordo con la Francia. Ma che per fare effettivamente questo era necessario che da parte francese ci si dicesse senza riserve quale era la politica francese nei riguardi della Germania. Non ci si poteva chiedere di appoggiare ad occhi chiusi una politica delle cui direttive non ci si metteva al corrente: avevamo del resto anche noi degli interessi da proteggere in Germania ed era necessario che da parte francese se ne tenesse conto.

Schuman mi ha risposto:

Per quello che concerne la parte economica dei rapporti con la Germania, essi si sarebbero svolti nel quadro dell’O.E.C.E.: dato questo, e data la nostra posizione nel-l’O.E.C.E., questo significava che noi avevamo di diritto la nostra voce in capitolo.

Per quello che riguardava gli accordi commerciali che erano in corso di negoziazione con la Germania, in sostituzione con i precedenti accordi con la Trizona, teneva ad assicurarmi nella forma più categorica che la Francia non intendeva assicurarsi nessun vantaggio preferenziale: che si considerava legata in priorità con noi, e che questo concetto della priorità italiana avrebbe ispirata tutta la sua politica economica verso la Germania.

Per quello che concerneva la parte militare del problema tedesco esso avrebbe dovuto trovare la sua soluzione nel quadro del Patto atlantico: un organismo del quale facevamo parte: andava da sé quindi che avremmo avuto notre mot à dire.

Per l’integrazione politica della Germania essa si sarebbe effettuata attraverso il Consiglio d’Europa, di cui noi facevamo parte e quindi nulla si poteva fare al di fuori di noi.

Per il regolamento dello statuto della Germania, ossia trattato o patto di pace, era ferma intenzione del Governo francese che quando la questione verrà sul tappeto, tutti i paesi che erano stati vittima dell’aggressione tedesca, fra cui l’Italia, avrebbero dovuto discutere della cosa attorno allo stesso tavolo. Mi ha ripetuto categoricamente che ad ogni trattativa in questo senso, il Governo francese intende che l’Italia vi prenda parte al pari degli altri interessati.

Restava quindi in pratica solo la parte concernente le responsabilità delle potenze occupanti dalla quale noi eravamo fuori.

Gli ho risposto che per quello che ci concerneva eravamo felicissimi di non avere le responsabilità dell’occupante: siccome però era attraverso le responsabilità degli occupanti che procedeva lo shaping della politica nei riguardi della Germania, era precisamente sulla parte francese di questo policy shaping che ritenevo sarebbe stato conveniente, anche alla Francia, se ci teneva ad avere il nostro appoggio, che questo si facesse, in una certa misura in consultazione con noi. Sostanzialmente non credevo ci fossero delle grosse differenze di principio: noi ritenevamo che, nella situazione presente, era un assurdo pensare ad una Europa occidentale senza la Germania: personalmente (ho marcato) andavo più in là; non mi rendevo conto di come si potesse seriamente concepire la difesa militare dell’Europa senza il concorso anche militare della Germania, cosa che del resto era il parere unanime anche dei militari francesi (Schuman ha levato le mani come per dire vade retro Satana). Gli ho aggiunto che sapevo tutte le difficoltà del Governo francese, le reazioni dell’opinione pubblica, che non si trattava di un problema da risolvere oggi, ma che bisognava pure pensare che un giorno esso si sarebbe presentato.

Adenauer mostrava delle disposizioni veramente eccezionali per un tedesco (Schuman mi ha aggiunto di essere convinto che era sincero nelle sue affermazioni, e che riteneva potesse condurre in porto questa sua politica): pur rendendosi conto che colla Germania bisognava prendere delle precauzioni, non bisognava nemmeno, per eccessiva prudenza, perdere una occasione che fra sei mesi, un anno avrebbe potuto non esserci più. Inoltre, essendo convinto che il ritmo della integrazione della Germania sarebbe stato in un certo senso dettato dai russi (un paio di altri colpi Rokossowski e nessuno avrebbe più potuto fermare gli americani) ritenevo, e ritenevo con questo interpretare il pensiero di V.E., che fosse di massimo interesse per tutti che l’iniziativa di questa integrazione della Germania fosse piuttosto francese, si accompagnasse cioè ad una intesa franco-tedesca: ed era solo liquidando il secolare contrasto franco-tedesco che si poteva sperare di dare pace interna al nostro continente. Questo noi desideravamo, perché sinceri amici della Francia, e perché ci sarebbe per questo dispiaciuto che la inevitabile integrazione della Germania fosse imposta da altri e non liberamente accettata dai francesi.

Schuman mi ha detto che questo era pure il suo pensiero: aveva delle grandi difficoltà da superare nei riguardi dell’opinione pubblica francese: il grande difetto dei tedeschi era che una volta ottenuta una concessione ne domandavano subito un’altra: ed era quello che maggiormente turbava l’opinione pubblica francese: per questo egli intendeva essere molto chiaro: ogni concessione doveva restare ferma per qualche tempo: ad ogni passo fatto i tedeschi dovevano fermarsi e mostrarsi soddisfatti.

Pur essendo un convinto assertore della necessità della massima possibile iniziativa del Governo francese, c’era un punto su cui dissentiva profondamente dalle idee espresse da de Gaulle: non riteneva un vantaggio di mettere le conversazioni colla Germania sul piano bilaterale: conveniva, anche nell’interesse francese, che tutta la questione della integrazione tedesca dovesse essere trattata con il concorso del maggior possibile numero di potenze: conveniva sopratutto, anche se questo comportasse qualche sacrificio da parte della Francia, togliere, fin dall’inizio, ogni illusione ai tedeschi sulla possibilità di giuocare fra le varie potenze europee: alla fine questo sarebbe stato un male anche per la Germania: ed era su questo concetto di un fronte unico ragionevole che egli voleva insistere con me sul piano franco-italiano.

Gli ho risposto che su questo punto egli aveva già una precisa assicurazione da parte di V.E.; gli avrei fatto sapere al più presto, se, quanto gli avevo detto a titolo personale, corrispondeva alle direttive del Governo italiano: ma che per questo appunto bisognava che noi prendessimo l’abitudine di parlare fra di noi del problema tedesco nel suo insieme e qualche volta anche nei dettagli.

Su che si è dichiarato d’accordo.

Schuman era evidentemente imbarazzato durante tutta questa conversazione: il suo atteggiamento era quello di un uomo il quale aveva dovuto mandar giù dei grossi rospi e voleva darsi l’aria, e persuadermi, del contrario. Credo si faccia anche delle illusioni sulla facilità con cui egli potrà trascinare con sé l’opinione pubblica francese. Personalmente Schuman è probabilmente una delle pochissime persone del mondo politico francese che è disposta a fare il salto completo dalla parte tedesca: ma è anche, personalmente, il più imbarazzato a farlo perché gli grava sulle spalle il fatto di essere stato suddito germanico.

Per quanto riguarda noi spero di essere rimasto nella linea già accettata da V.E. Noi siamo favorevoli alla integrazione rapida e completa della Germania nel mondo occidentale: di fronte al mondo esterno siamo disposti, in larga misura, ad appoggiare le tesi francesi: ma sul piano italo-francese saremo dei propulsori nel senso del riavvicinamento. È questo sopratutto che ho voluto precisare dicendo che noi non potevamo appoggiare una politica francese della Germania di cui non fossimo al corrente. Naturalmente nell’applicazione di questa linea generale ci vuole molto grano di sale.

Ai nostri fini, mi sembra di un certo interesse avere avuto da parte francese per la prima volta l’assicurazione che la Francia riconosce il nostro diritto a prendere parte alle discussioni concernenti la pace con la Germania. Questo riconoscimento del nostro diritto sarà, in certa misura, effettivo, se si avrà un trattato di pace, o qualcosa di simile solo fra la Germania ed il mondo occidentale. Sarà solo formale se vi interverrà anche la Russia.

Comunque mi sembra interessante fissarlo, e conto di farlo quando saprò se quanto ho detto a Schuman ha la sua approvazione3.

405 3 Sforza trasmise questo documento a De Gasperi con la seguente lettera (n. 1240 segr. pol. del17 novembre): «Per opportuna conoscenza ti invio copia di un appunto circa una mia conversazione conl’ambasciatore di Spagna che ho trasmesso all’ambasciatore Soragna». L’appunto venne inoltre ritrasmesso a Capomazza con il telespresso 1243 Segr. pol. del 18 novembre, non pubblicato.

406 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

407

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 9938/492. Roma, 17 novembre 1949, ore 11,45.

Ella può confermare a Strang quanto detto da d’Ajeta a capo dipartimento Africa che approvo1. Non (dico non) abbiamo obbiezioni in principio a formazione Governo provvisorio Tripolitania. Vi siamo anzi favorevoli, ma consideriamo conforme intese di massima risultanti da conversazioni Alessandrini, che quanto si riferisce Tripolitania sia frutto di collaborazione attiva fra Roma e Londra. Ciò che può anche valere dissipare residue reciproche diffidenze e creare costruttiva atmosfera distensione. Proponiamo quindi che due Governi entrino fra loro in consultazione su questione prospettataci. Dica ben chiaro che ogni opposta decisione unilaterale rischierebbe, dati i precedenti equivoci, di danneggiare quelle buone relazioni cui per parte nostra teniamo.

408

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13043/564. Parigi, 17 novembre 1949, ore 12,58 (perv. ore 15).

Suo 6061.

In tema di Unione doganale Schuman mi ha detto che volontà Governo francese era immutata: alla Commissione esteri era stato comunicato che Governo mantiene sua posizione e sollecitava discussione. Ma non vedeva ancora bene come Unione avrebbe potuto praticamente inquadrarsi con prossime conversazioni a cinque.

A mia richiesta ha precisato come segue principi cui ispirare direttive francesi queste conversazioni:

407 1 Vedi D. 409. 408 1 Vedi D. 385.

1) in attesa futura formulazione Unione doganale Governo francese considera che firma accordo costituisca, nei nostri riguardi, impegno di priorità: nel senso che Governo francese non prenderebbe alcun impegno con Benelux senza prima consultarsi con noi: lo stesso per eventualità — considerata non prossima — di accordi speciali con la Germania;

2) Governo francese è disposto andare, in tutti i campi, molto più avanti con noi che con Benelux. A mia richiesta mi ha detto trattarsi dichiarazione non personale ma di Gabinetto;

3) così pure confermava quanto mi aveva detto Petsche circa impostazione rapporti economici franco-italiani ai fini permettere migliore difesa comune in vista possibile futura integrazione della Germania.

Questi tre principi generali, se accettati dai due Governi, potevano costituire necessarie direttive generali per esperti due paesi nella prossima riunione.

Riferisco più ampiamente con rapporto in arrivo costì sabato mattina2.

406 3 Per la risposta vedi D. 429.

409

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO URGENTISSIMO 13051-13049/681-682. Londra, 17 novembre 1949, ore 13,40 (perv. ore 18,16).

Come telefonato, Stewart ha chiesto ieri sera tardi improvvisamente di vedere d’Ajeta al fine avere, per incarico sottosegretario permanente, amichevole scambio vedute su situazione dopo risoluzione Comitato politico e prevedibili prossime decisioni Assemblea O.N.U.

Conversazione iniziatasi con domanda Stewart tendente conoscere reazioni italiane a predette decisioni. D’Ajeta — premettendo che lo faceva a titolo personale — gli ha risposto, marcando opportunamente limitata soddisfazione, che considerava decisioni stesse un compromesso realistico che, di fronte a molti sacrifici italiani, aveva due soli veri vantaggi per noi: quello di riportarci in qualche modo in Africa con nuova moderna formula non (dico non) in antagonismo con generali aspirazioni popoli, e quello di avere impedito irrimediabile ferita opinione pubblica italiana e, di conseguenza, di rendere attuabile l’inizio di una reciproca maggiore comprensione italo-britannica su altri problemi africani in vista anche futura auspicabile più completa collaborazione.

Stewart si è dichiarato di massima d’accordo su premesse e auspicabili conseguenze espostegli pur non nascondendo però che alcune soluzioni erano andate oltre ben note intenzioni inglesi. Prevedendo consueto accenno a nostra inosservanza inte

se, d’Ajeta lo ha interrotto dicendogli subito che ciò era dovuto, come da tutti ora riconosciuto, a precise generali tendenze grande maggioranza O.N.U. Stewart ha ritenuto allora lasciar cadere argomento generico per venire al vero scopo della conversazione, da lui sollecitata, che era quello di preavvertirci a titolo amichevole (ha aggiunto testualmente «ancora solo ufficioso») della intenzione inglese di costituire in un prossimo futuro un Governo locale in Tripolitania per l’amministrazione interna in ottemperanza a quanto contenuto in proposta del Comitato politico dell’O.N.U.

Piuttosto confuso nelle sue eccessive giustificazioni del progettato provvedimento ha sopratutto chiarito che tale iniziativa sarebbe dettata da serie esigenze locali in ispecie e nord-africane in genere; esigenze condivise pienamente anche da francesi che avrebbero raggiunto uguale decisione per il Fezzan. Ha soggiunto che né inglesi né francesi avevano tuttavia studiato le modalità relative alla costituzione e formazione di queste autorità governative interne. Ha concluso infine affermando con vivacità che tale provvedimento non avrebbe in nessun modo avuto finalità di pregiudicare nostri ben riconosciuti interessi in Tripolitania, che potevano forse anzi essere in tal modo meglio tutelati. Che comunque Londra avrebbe atteso reazioni ed osservazioni italiane prima di prendere misura alcuna.

D’Ajeta (sempre a titolo personale) ha immediatamente risposto che doveva allora ritirare accenno prima fatto a due unici vantaggi per l’Italia del compromesso africano, ed invece francamente dichiarare che «un secondo colpo cirenaico», fatto al di fuori di noi subito dopo decisione Lake Success, oltre che suscitare vivissime reazioni maggioranza O.N.U., era immesso errore psicologico che poteva non soltanto annullare presso nostra opinione pubblica modeste soddisfazioni avute da compromesso africano, ma pregiudicare generale miglioramento rapporti. D’Ajeta ha concluso chiedendo fermamente che «nulla fosse fatto subito e che niente fosse deciso se non con piena conoscenza dell’opinione di Roma».

Ripetendo che decisione inglese era suggerita da ben serie preoccupazioni di necessità Stewart ha allora fatto in parte marcia indietro, garantendo che provvedimenti relativi non sarebbero stati attuati senza avere prima conosciuto parere e tenuto presenti osservazioni italiane. Ha chiuso infine argomento con nuove assicurazioni circa nostri interessi tripolini e cercando sdrammatizzare tutta sua comunicazione con nuovi accenni a miglioramento rapporti ed a nostra possibile collaborazione africana, dando impressione a d’Ajeta che, in certo qual modo, Foreign Office avesse compiuto questo assaggio sotto pressione uffici coloniali1.

Come ho avuto l’onore più volte di segnalare a V.E. le decisioni dell’O.N.U., ormai impostate su unità libica, sembrano avere pregiudicato il più delicato dei compromessi africani suscitando, a torto od a ragione, vive preoccupazioni inglesi e francesi in correlazione con necessità più vasta loro politica nord-africana e mediterranea.

In primo tempo essi hanno tentato con le varie rimostranze e significativi accenni fatticci a Londra come a Roma di accollarci la responsabilità dell’accaduto e quindi di tentare un possibile rinvio di tutte le questioni coloniali. (In ciò Governo Parigi, sia pure in forme diverse, ha dimostrato il più completo accordo con quello di Londra).

Ora, di fronte schieramento americano, arabo-asiatico, non potendo più sostenere tale tesi, giustificandola solamente con qualche per loro eccessivo entusiasmo della nostra delegazione a Lake Success, ricercano, con ogni probabilità, assicurarsi, nelle forme il più possibile ortodosse nei confronti dell’O.N.U., posizioni e garanzie tali anche in Tripolitania da svuotare o ritardare effettiva unificazione libica.

Tale stato di cose, di cui conversazione con Stewart non è che una avvisaglia, ci pone di fronte a seguente serio dilemma sul quale permettomi attirare attenzione di

V.E. poiché decisione italiana potrà forse influire su tutta nostra politica africana ed incidere anche su nostre future relazioni con Inghilterra:

a) o, forti dell’appoggio della maggioranza dell’O.N.U. e della nostra partecipazione alla Commissione consultiva, sfidare il fronte unico franco-inglese e denunziarne gli eventuali trucchi avvalendoci della lettera e dello spirito delle decisioni di Lake Success, e con ciò sanzionare inevitabilmente il nostro ritorno in Africa con un marchio anti-britannico, scontandone conseguenti futuri rischi e possibili oneri nella stessa Tripolitania, in Somalia, in Eritrea;

b) o invece assumere subito l’iniziativa di innestarci in qualche modo nella manovra franco-inglese raccogliendo questo primo tacito invito, a mio parere implicito in alcune delle dichiarazioni di Stewart2.

Tale ultima soluzione importerebbe, credo, prima di tutto una nostra [chiara] ferma presa di posizione affinché nulla sia fatto né contro di noi né senza di noi e poi delle nostre precise offerte per raggiungere degli accordi concreti su di una comune linea politica in Tripolitania — a cominciare dalla formazione del Governo locale — cercando opportunamente salvaguardare al massimo possibile nostri diretti interessi e così anche le giuste esigenze della nostra opinione pubblica.

Con riferimento telegramma ministeriale 4903 è mia impressione che il progressivo sfasamento di tutta la questione libica, dopo giuste ma premature prese di posizione dell’O.N.U. e stretta conseguente solidarietà anglo-francese in materia, ha ormai fatto perfino superare possibilità di riequilibrare situazione con sola eventuale offerta di un nostro «disinteressamento» per Cirenaica.

3 Del 15 novembre, con il quale Sforza aveva dato a Gallarati Scotti le seguenti istruzioni: «Secostì si userà contegno amichevole verso nostri interessi Tripolitania noi useremo completa reciprocitàCirenaica. Ella potrebbe ricordare che io ho detto pubblicamente varie volte che non si fa politica in Africa senza accordo coll’Inghilterra».

408 2 Vedi D. 406. Per la risposta al presente documento vedi D. 412.

409 1 Per la risposta vedi D. 407.

409 2 Per il commento di Sforza vedi D. 414.

410

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI SFORZA

T. SEGRETO 13103/688. Londra, 18 novembre 1949, ore 15,45 (perv. ore 21,30).

Ieri sera, per la prima volta dopo nostri rispettivi congedi, ho rivisto Strang.

Nell’abbordare con lui, dopo vari avvenimenti, il problema dei rapporti italo-britannici ho ritenuto opportuno iniziare il nostro scambio di idee sulle questioni particolari e portarlo successivamente — interpretando le istruzioni di V.E.1 — verso il quadro più vasto di un pratico miglioramento delle nostre relazioni. Mi sono pertanto subito riferito al colloquio Stewart-d’Ajeta2 per ribadire con decisa fermezza il concetto che da ora in poi sulle questioni africane concordate «nulla doveva essere fatto contro di noi o senza di noi», ho quindi sottolineato come il ritorno degli italiani in Africa, voluto dalla grande maggioranza dell’O.N.U., ponesse le relazioni fra i nostri due paesi ad un bivio storico: ritorno in pieno e fattivo accordo con l’Inghilterra oppure in base solo alle decisioni internazionali e quindi in atmosfera di reciproco sospetto ed incomprensione. Inutile dire — confortato dalle direttive di V.E. contenute nei telegrammi 490 e 492 — che avevamo per conto nostro fatta la nostra scelta e che consideravano la soluzione del problema tripolino come la pierre de touche per i futuri sviluppi di quella possibile collaborazione.

Strang ha reagito favorevolmente a questa mia presa di posizione. In un primo tempo ha cercato minimizzare provvedimenti tripolini prospettati giorno prima da Stewart inquadrandoli in risoluzione O.N.U. e derivandoli da dichiarazione pubblica di McNeil al Comitato politico in data 9 novembre. Rendendosi conto, a seguito di quanto gli dicevo, degli specifici interessi italiani in proposito, ha aggiunto che, come Governo britannico aveva immediatamente disposto, avrebbe tenuto tempestivamente informato Governo italiano di ogni ulteriore sviluppo. Ho allora replicato che non si trattava più di semplice informazione ma invece di necessaria intesa nel raggiungere le decisioni riguardanti la politica africana nei settori di riconosciuto comune interesse.

Dopo un momento di riflessione Strang si è dichiarato personalmente favorevole, pur dimostrando qualche perplessità circa modalità per rendere effettiva nostra eventuale intesa nel quadro degli impegni e delle suscettibilità internazionali. Ho immediatamente preso atto delle sue favorevoli disposizioni dichiarandogli che con reciproca buona volontà si poteva sempre trovare la maniera di superare le difficoltà alle quali giustamente accennava e, ottenendo il suo vivo assenso, ho ricordato in proposito la comprovata utilità di confidenziali e dirette conversazioni sul genere di quelle intercorse tra me e lui3 e successivamente tra Alessandrini ed il Foreign Office4.

2 Vedi D. 409.

3 Vedi DD. 5 e 38.

4 Vedi DD. 83, 98, 109 e 161.

Condensando allora il suo pensiero dopo mie precedenti dichiarazioni, Strang mi ha espresso seguenti personali concetti sui quali si riservava, data loro importanza, di riferire al più alto livello per le eventuali successive direttive che, secondo lui, dovevano necessariamente tenere nel debito conto decisioni definitive O.N.U. e reazioni locali:

1) che gli inglesi e francesi, convinti necessità di graduale raggiungimento unità libica, si sarebbero sforzati colle stesse possibilità offerte dalla lettera della risoluzione O.N.U. di salvaguardare al massimo soluzione loose federation. Ciò corrispondeva, per sottosegretario permanente, anche a preciso interesse italiano;

2) ripetendo riserva superiore approvazione avrebbe subito esaminato nostra idea amichevole cooperazione per ricerca reciproca soddisfacente soluzione circa Governo locale tripolino;

3) qualora Bevin, come era prevedibile, entrasse in ordine di idee di favorire questa amichevole pratica collaborazione, riteneva essenziale che problemi africani interessanti i nostri due paesi fossero affrontati «uno alla volta successivamente» iniziando ora con sola questione libica. A questo punto, avvalendomi subito di tale significativa richiesta, ho fatto accenno, non lasciato cadere da Strang, a possibilità che problema Eritrea venga a suo tempo affrontato stesso spirito ed eguali modalità;

4) infine, riprendendo mio concetto che questione tripolina era importante termine paragone per future relazioni nostri paesi, Strang ha riconosciuto necessità di una nostra serena collaborazione di cui indubbiamente avrebbero beneficiato nostri rapporti più generali in via di miglioramento.

Credo poter riassumere importante conversazione rilevando in conclusione: che abbiamo decisamente riaffermato necessità nostra compartecipazione a decisione per Tripolitania: che è stata aperta possibilità a future conversazioni, in un tempo successivo, anche per questione Eritrea: che è stato infine riconosciuto un progressivo miglioramento dei nostri rapporti5.

410 1 Vedi DD. 409, nota 3 e 407.

411

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 9881/4628. Washington, 18 novembre 1949 (perv. il 29).

Come è noto, il 16 corrente è giunto a Washington in visita ufficiale lo scià del-l’Iran. La venuta di questo sovrano trae le sue origini dall’invito ufficiale, rivoltogli dal presidente Roosevelt nel 1943, in occasione della conferenza di Teheran, rinnovatogli lo scorso anno dal presidente Truman.

Lo scià, che è il primo monarca asiatico che visiti gli Stati Uniti, ha fatto una ottima impressione per le sue idee moderne, per i suoi modi disinvolti, per la familiarità con cui ha trattato con la stampa. Oltre ai contatti ufficiali, lo scià ha avuto diverse interviste e conferenze stampa, nel corso delle quali ha voluto smentire l’impressione che egli sia un oriental potentate coperto di smeraldi e di rubini, facendo invece presente che egli è un sovrano liberale e costituzionale, e che gli eventuali rubini e smeraldi della Corona sono custoditi nei forzieri governativi come tesoro dello Stato.

II sovrano dell’Iran, che intende restare negli Stati Uniti circa un mese, si è trattenuto a Washington soltanto quattro giorni, nel corso dei quali, oltre alle poche visite nei luoghi più importanti della capitale, ha avuto contatti diretti col presidente Truman (il quale gli ha messo a disposizione per il viaggio dall’Iran l’areoplano presidenziale, ed inoltre lo è andato ad accogliere all’areoporto e gli ha offerto un pranzo ufficiale) e con Acheson, ha tenuto alcune conferenze stampa ed ha pronunciato brevi discorsi in occasione di pranzi ufficiali.

Da tutta questa attività è emerso che lo scià pone molte speranze negli Stati Uniti per ottenere sensibili aiuti economici, militari e diplomatici. La posizione del-l’Iran ha molta analogia con quella della Turchia, sbarrando alla Russia una delle vie d’accesso al mare libero. Dal punto di vista economico è assai più importante della Turchia, poiché possiede importantissimi giacimenti petroliferi, grazie ai quali il paese occupa il quarto posto nella produzione mondiale del petrolio.

Nonostante l’importanza della sua posizione, non è stata riconosciuta all’Iran che una parte dei 27 milioni circa di dollari che il piano di aiuti militari ha cumulativamente contemplato per l’Iran-Corea-Filippine. Secondo l’opinione espressa dallo scià, ciò è insufficiente. L’Iran ha bisogno di aiuti militari molto maggiori — possibilmente proporzionati a quelli ricevuti dalla Turchia — e di aiuti economici sensibili per sviluppare le sue risorse latenti ed elevare il tenore di vita dei suoi abitanti. Per il suo sviluppo economico — circa il quale il paese sta studiando un grandioso piano settennale del costo di 650 milioni di dollari — l’Iran conta molto sul punto quarto di Truman e su possibili investimenti dell’Import-Export Bank e della Banca Internazionale. Per favorire gli investimenti americani, lo scià ha dichiarato che l’Iran garantisce agli investitori non solo la libera convertibilità in dollari dei proventi degli investimenti stessi, ma anche, in caso di nazionalizzazione, la restituzione dei capitali investiti, nella valuta originaria.

Nei suoi contatti con la stampa, lo scià ha anche toccato alcuni problemi di politica estera riguardanti la Russia, Israele, e la possibilità di un blocco difensivo tra i paesi del Medio Oriente. Circa la Russia, ha detto che le relazioni sono migliorate «un poco» in questi ultimi tempi, ed ha fatto presente che, comunque, i rapporti tra i due paesi debbono basarsi sul mutuo rispetto e sulla reciproca indipendenza. Circa Israele, ha ricordato che l’Iran, pur essendo un paese musulmano, si è sempre mostrato tollerante per le altre credenze fin dall’epoca dei Gran Re (fu Ciro d’altra parte che liberò gli ebrei dalla schiavitù babilonese). Circa la possibilità di un blocco difensivo tra i paesi del Medio Oriente, analogo al Patto atlantico, ha detto che considera l’idea piuttosto prematura, essendo prima necessario che i paesi del Medio Oriente rafforzino la loro situazione economica.

In merito alle impressioni generali sugli effetti della visita del giovane sovrano si riporta, a titolo indicativo, il giudizio espresso dal New York Times: «Lo scià può non raggiungere immediatamente i suoi obiettivi di assistenza economica e militare da parte del Governo americano, però l’inizio è promettente», soggiungendo che «l’Iran viene ora considerato da molti come un paese a cui si può concedere crediti con un rischio ragionevole».

Il 20 corrente lo scià è partito per New York, per proseguire la sua visita negli Stati Uniti.

410 5 Vedi anche D. 414.

412

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO 10018/619. Roma, 19 novembre 1949, ore 13,45.

Suo 5641.

Aperture fattele da Schuman sono soddisfacenti e conformi quanto Consiglio dei ministri desiderava. Occorre peraltro sorvegliare perché esse assumano forme concrete come sarebbe avvenuto se consultazioni di cui al punto 1) avessero preceduto memorandum2. Stessa sorveglianza è necessaria per l’esame a due delle idee di cui al punto 2).

Circa punto 3) V.E. potrà sempre ripetere nel modo più fermo che trattasi di uno dei concetti da me più costantemente affermati. Segue dispaccio3.

413

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 42/15802. Roma, 19 novembre 1949.

Confermandole il mio telegramma n. 6191 e riferendomi al rapporto n. 1210 di

V.E. del 14 corrente2 desidero assicurarla che concordo nella esposizione che ella fa circa la spinta americana e le peculiari caratteristiche della posizione francese. L’evoluzione della situazione politico-economica in questa direzione era del resto da me sempre stata preveduta e tenuta presente, tanto vero che in questo stesso senso ho

2 In base alle raccomandazioni del Consiglio dei ministri dell’O.E.C.E. (vedi D. 362) il Governo francese aveva proposto, con il memorandum del 14 novembre, di avviare le consultazioni per realizzare una associazione economica e monetaria tra Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.

3 Vedi D. 413.

2 Vedi D. 401.

sempre cercato di indirizzare la nostra azione nel campo economico e politico. In particolare abbiamo considerato e consideriamo tuttora l’Unione doganale italo-francese come tappa su tale cammino ed è questo ciò che il Governo italiano ha inteso dire col noto comunicato3. Nessuna esclusiva quindi ma piuttosto la costituzione di un primo nucleo di attrazione per unioni più vaste. Non posso perciò che concordare col punto 3) (pagina 10) del suo rapporto: non si tratta quindi di «decidere», ma di concetto sul quale la decisione del Governo della Repubblica deve considerarsi acquisita.

È appunto per questo che desidererei che l’«invito», cui ella allude, si differenzî da quello fatto ad altri paesi, meno interessati di noi, e della Francia stessa, ad agire in pieno accordo per essere più forti di fronte alla Germania.

412 1 Vedi D. 408.

413 1 Vedi D. 412.

414

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. SEGRETA 3/5231. Roma, 20 novembre 1949.

Ai tuoi telegrammi 681 e 6821 il ministro ha apposto l’annotazione seguente: «Naturalmente Governo italiano è pel secondo corno del dilemma “raccogliendo tacito invito”, ma facendo ben sentire che se Gran Bretagna ce lo imponesse come sua carità noi saremo riluttantemente forzati ad un atteggiamento non già antibritannico ma favorevole alla tesi della indipendenza generale (la quale alla lunga avrebbe formidabili vantaggi)».

Successivamente, e prima che dessi seguito alle istruzioni del ministro, è pervenuto il 6882 relativo al tuo colloquio con Strang che appare soddisfacente. Ieri è poi venuto Mallet a leggermi il resoconto, trasmessogli dal Foreign Office, del colloquio stesso. Vi è un punto, nel resoconto del Foreign Office, che ha attirato la mia attenzione e che mi ha dato modo di chiarire a Mallet il nostro pensiero. Strang ti avrebbe detto che la Gran Bretagna non crede di poter entrare con noi in «alcun accordo particolare concernente la Libia». Ho subito osservato che non si tratta di concludere accordi, che sarebbero del resto formalmente incompatibili con la competenza del-l’O.N.U., ma di collaborare rispettando e tenendo conto dei reciproci interessi sinceramente e francamente espressi da una parte e dall’altra. Le risoluzioni dell’O.N.U. sono quelle che sono. Nella loro applicazione, alla quale siamo interessati tanto noi quanto la Gran Bretagna, è nostra intenzione cercare una cooperazione con Londra. Non è nostra intenzione immischiarci nelle faccende della Cirenaica, ma poichè una nostra particolare posizione è stata riconosciuta anche da parte inglese ai nostri interessi in Tripolitania, riteniamo che, per quanto si riferisce a questo territorio, le deci

2 Vedi D. 410.

sioni da proporsi in sede di Commissione internazionale e da adottarsi e applicarsi praticamente debbano essere previamente concordate da noi e Londra. Se anche i nostri interessi in Tripolitania sono di natura prevalentemente economica, essi non possono essere difesi se non attraverso uno strumento politico; occorre quindi che questo strumento (e cioè il Governo locale, i suoi organi e i suoi capi sino a quando non saranno liberamente eletti) non sia costituito al di fuori di noi e magari contro di noi. In altri termini mentre non abbiamo in mente di esercitare un «condominio», pensiamo che ci si debba consultare per organizzare la struttura della amministrazíone locale indigena e nella scelta delle persone cui affidare i più importanti incarichi in detta amministrazione. Anche per quanto riguarda la posizione che gli italiani verranno ad assumere nel quadro di tale organizzazione sono necessarie consultazioni, così come per quanto si riferisce alla sistemazione dei nostri vari enti ed istituti. Altrimenti si rischierebbe di adottare sin da ora dei provvedimenti che costituirebbero poi dei precedenti o delle situazioni difficilmente modificabili, mentre è nostro interesse che nel periodo interinale, in attesa della indipendenza, si crei a poco a poco quella che dovrà essere la struttura definitiva del nuovo «ente Tripolitania».

Tutto questo ho detto a Mallet. Egli mi ha replicato che non poteva ovviamente dirmi nulla, che probabilmente a Londra e a Tripoli hanno una certa fretta di fare qualcosa in Tripolitania per evitare dimostrazioni o proteste degli impazienti anche in relazione al fatto che una analoga amministrazione è già in funzione in Cirenaica. Gli ho fatto osservare che se la questione «fretta» ci fosse opposta per evitare le da noi richieste consultazioni, ciò sarebbe stato interpretato troppo facilmente come un pretesto per evitare, in realtà, le consultazioni stesse e gli ho ripetuto le considerazioni fatte da D’Ajeta a Steward (vostro 681). Mallet ha concluso che avrebbe informato il Foreign Office della nostra conversazione, che però suo compito era solo stato quello di leggermi il resoconto del tuo colloquio con Strang e che è bene che le conversazioni sulla sostanza della questione continuino a Londra dove sono incominciate.

Di tanto ti informo anche in vista del tuo prossimo colloquio con Bevin e per la preparazione che intenderai farne a più basso livello3.

413 3 Vedi D. 385.

414 1 Vedi D. 409.

414 3 Per la risposta vedi D. 437.

415

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13240/175. Gerusalemme, 21 novembre 1949 (perv. ore 9,30 del 22)1.

Trasmetto seguente telegramma legazione d’Italia Tel Aviv:

«7. Segreto personale per ministro Zoppi. Riferendomi tua lettera 15 corrente2 consiglio vivamente limitarsi per ora prima soluzione cioè rimborso denari anticipati da israeliani. Stiamo per cominciare discussione circa sblocco beni e in genere trattamento nostri interessi qui e ritengo opportuno indispensabile subordinare nostra collaborazione in questo campo (e in particolare in fornitura armi che qui stanno particolarmente a cuore) a rinunzia da parte Governo Israele a posizioni di vantaggio che esso cerca sfruttare come conseguenza della guerra. Nell’interesse nostro lavoro avvenire non soltanto qui ma in tutto il Medio Oriente ritengo dobbiamo cercare ritorno Palestina in condizioni almeno di assoluta eguaglianza anche a costo di prolungare trattative per alcuni mesi. Anzilotti».

416

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13242/468. New York, 21 novembre 1949, part. ore 1,40 del 22 (perv. ore 10,30).

Per iniziativa di Sale, membro della delegazione americana, il noto esperto americano Spencer, addetto alla delegazione etiopica, ha incontrato Alessandrini e gli ha fatto dichiarazioni che, sebbene prudenti, sono interessanti in quanto rappresentano il primo tentativo di contatto con lui autorizzato, ed anzi evidentemente ricercato, dal Governo etiopico.

Spencer ha detto che egli sarebbe lieto di poter rappresentare al Governo etiopico ogni nostro eventuale progetto per Eritrea che tenga sufficientemente conto delle necessità e delle aspirazioni etiopiche. Alessandrini gli ha risposto non essere in grado fare alcuna dichiarazione ma di essere tuttavia disposto riferire a me ed a V.E.

Spencer ha esposto punti di vista etiopici già noti, dando tuttavia ad intendere come Governo etiopico non sarebbe alieno da prese di contatto sopratutto se esse fos

sero basate su trattazione questioni di carattere pratico quali pagamento riparazioni, ecc. Sale, presente al colloquio, ha, a tale punto, suggerito possibilità inizio relazioni fra Italia ed Etiopia per pagamento riparazioni con forniture varie da stabilirsi ad opera di una eventuale nostra delegazione commerciale.

Sale ci ha successivamente detto che il colloquio, riferito al ministro degli esteri Aklilou, ha prodotto buona impressione sulla delegazione etiopica ed ha contribuito ad attenuare il discorso finale di Aklilou in Assemblea che è stato effettivamente abbastanza moderato.

Gli americani suggerirebbero una continuazione dei colloqui in Washington, da parte dell’ambasciata dato che la delegazione etiopica vi si recherà i giorni prossimi. Per accogliere tale suggerimento vorrei pregare V.E. darmi a Washington, con la necessaria eventuale autorizzazione, tutte le istruzioni del caso1.

415 1 Manca l’indicazione dell’ora di partenza.2 Non rinvenuto.

417

L’INCARICATO D’AFFARI A BERNA, P. PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1/4856/1539. Berna, 21 novembre 1949 (perv. il 24).

Il 17 corr. il consigliere federale Petitpierre ha parlato a Soletta sul tema «Doveri del Dipartimento politico federale», nel quadro dei corsi di istruzione civica che hanno luogo attualmente in varie città della Svizzera. Il suo discorso ha superato i limiti dell’argomento prestabilito, estendendosi all’esame di tutti i principali problemi della politica estera elvetica.

Fatta la premessa di rito sulla tradizionale e immutabile neutralità svizzera, Petitpierre ha tuttavia soggiunto che la Confederazione «prende viva parte» agli avvenimenti internazionali, pur senza intervenirvi direttamente. Distinzione che implicitamente sottolinea la crescente difficoltà di una posizione di equilibrio — o equidistanza — in un mondo diviso da una netta frattura.

Il capo del Dipartimento politico ha poi accennato a questioni già da lui trattate in precedenti discorsi: i negoziati con alcuni Stati esteri per l’indennizzo ai proprietari svizzeri di beni nazionalizzati; il contributo elvetico alla ricostruzione dei paesi maggiormente colpiti dalla guerra; la partecipazione svizzera ad iniziative di pacifica collaborazione internazionale.

Il nostro status di neutralità perpetua — ha dichiarato Petitpierre a proposito del-l’ultimo argomento — non viene né deve essere minimamente attenuato dal nostrosentimento e dalla nostra convinzione profonda e reale di solidarietà internazionale. È ben per questo che ci asteniamo dall’assumere qualsiasi impegno di carattere politico

o militare. Così la Svizzera, pur facendo parte di alcune organizzazioni tecniche affiliate all’O.N.U., è rimasta al di fuori dell’organizzazione politica delle Nazioni Unite.

La posizione della Svizzera — ha continuato l’oratore — è più difficile nel quadro strettamente europeo, sia a causa della debolezza del vecchio continente sul piano economico, finanziario e militare, sia a causa del contrasto fra due opposte ideologie.

Due organizzazioni sorte in Europa — egli ha detto — interessano particolarmente la Confederazione: l’O.E.C.E. e il Consiglio d’Europa. Per quanto riguarda la prima, nulla si è finora in essa verificato che apparisse tale da minacciare la neutralità elvetica. Allorché si è trattato della ripartizione degli aiuti americani, l’atteggiamento svizzero è stato ovviamente passivo, poiché la questione non era di diretto interesse elvetico. Ma allorché si è parlato dei rimedi atti a risanare l’economia europea, la collaborazione svizzera è stata attivissima. «Le proposte fatteci dal Consiglio dell’O.E.C.E. in relazione al problema dei diritti di traenza (droits de tirage) hanno di gran lunga superato — ha affermato l’oratore — gli stessi nostri desideri».

Petitpierre ha poi illustrato alcuni vantaggi o privilegi che la Confederazione ha ottenuto nel quadro dell’O.E.C.E.: l’autorizzazione di acquisti off shore in Svizzera; la rinunzia americana all’accordo bilaterale. Egli ha quindi estesamente trattato del problema della liberalizzazione degli scambi: la Svizzera — egli ha detto — ha un interesse vivissimo per la libertà del commercio e accoglie con sincera soddisfazione ogni iniziativa che tenda a realizzarla. Accordi bilaterali in tale senso sono già stati conclusi dalla Svizzera con alcuni Stati.

Il Consiglio d’Europa — ha proseguito il capo del Dipartimento politico — pur essendo sorto da iniziative individuali, ha assunto, per la presenza di rappresentanti dei Governi e di parlamentari, un innegabile carattere politico. Difficile oggi fare dei pronostici sul suo avvenire: le possibilità pratiche di tale complessa creazione, che è un misto di realismo e di idealismo (più di realismo, tuttavia, ha soggiunto Petitpierre), dipendono in gran parte dal modo in cui saranno risolti i numerosi problemi nati dalla guerra e rimasti insoluti per il disaccordo fra i vincitori. In particolare il Consiglio d’Europa può svolgere una funzione attiva in due campi: permettendo alla Germania — alla Germania occidentale almeno per il momento — di riprendere il suo posto fra le nazioni europee e di avere in comune coi suoi ex nemici un forum alle cui discussioni essa possa intervenire su un piede di parità; in secondo luogo favorendo la formazione di una coscienza collettiva europea, coscienza che purtroppo ancora non esiste.

«La Svizzera — ha dichiarato Petitpierre — deve seguire con interesse, con grande simpatia, l’evoluzione del Consiglio d’Europa. La questione della nostra adesione potrà anche porsi un giorno: comunque, essa non sarebbe di competenza esclusiva del Consiglio federale. Spetterà alle Camere e poi, ove occorra, al popolo intero (referendum) di pronunciarsi definitivamente».

Egli ha così concluso il suo discorso: «Se la situazione politica nel mondo non migliorerà, se le divisioni ideologiche fra le nazioni si accentueranno, se gli interessi politici degli uni e degli altri si combatteranno con accresciuta violenza, se la forza continuerà a prevalere sul diritto, non vi è alcun dubbio che i compiti della nostra politica estera diventeranno sempre più difficili. Viviamo in un’epoca in cui non si può prevedere l’avvenire a lunga scadenza, ma in cui bisogna rassegnarsi a vivere alla giornata. Io penso tuttavia che non dobbiamo lasciarci impressionare dalla mali-ce des temps e che un popolo come il nostro può e deve considerare con fiducia l’avvenire, se è deciso a rimanere fedele ai principi che hanno finora assicurato la sua esistenza e indipendenza; a continuare a migliorare la sua organizzazione economica e sociale nel senso della libertà e della giustizia; infine se, cosciente dei suoi doveri verso gli altri popoli, esso si sforzerà di collaborare pacificamente con loro per la realizzazione nel mondo di un regime di pace e di sicurezza».

Nel discorso del capo del Dipartimento politico vanno, a mio avviso, sottolinea-ti i seguenti punti:

— -l’affermazione preliminare, che del resto ho già messo in rilievo, che la Svizzera «prende viva parte agli avvenimenti internazionali, pur senza intervenirvi direttamente», affermazione che rappresenta una sfumatura non insignificante nei riguardi del concetto tradizionale di intransigente e immutabile neutralità; — -la dichiarazione relativa al «particolare interesse» elvetico per l’O.E.C.E. e per il Consiglio d’Europa. Se si considera il fatto che delle due organizzazioni fanno esclusivamente parte Stati dell’Europa occidentale, tale «particolare interesse» appare significativo, sia pure con tutte le riserve che la «speciale posizione» svizzera può implicare; — -l’ammissione dell’eventualità che la Svizzera debba un giorno decidere circa la sua adesione al Consiglio d’Europa, ammissione che acquista maggior valore se esaminata alla luce di quanto ho messo in rilievo nel punto precedente; — -la perorazione per un sollecito ritorno della Germania — e Petitpierre ha qui fatto, sia pure a titolo temporaneo, una distinzione a favore di quella occidentale — nel consesso delle nazioni libere, su un piede di parità. Essa non va sottovalutata, data l’abituale estrema prudenza di linguaggio degli uomini politici elvetici allorché si tratti di problemi la cui soluzione sia motivo di contrasti fra terzi Stati, anche se si può osservare che la dichiarazione di Petitpierre è, in fondo, gratuita, dato che gli sviluppi della situazione tedesca dopo il recente convegno di Parigi sono facilmente prevedibili.

Nel complesso, mi sembra che il discorso del capo del Dipartimento politico vada giudicato — nel quadro dei principi cui si è finora ispirata la politica estera elvetica — come un abile e coraggioso richiamo alla realtà, rivolto a tutti coloro che ancora nutrono l’illusione che la politica elvetica di neutralità possa identificarsi con la politica dello struzzo.

416 1 Vedi D. 422.

418

L’AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. RISERVATA 29/5. New York, 21 novembre 1949.

Con la votazione del pomeriggio si è chiusa e credo, possiamo dirlo, soddisfacentemente chiusa la prima e più difficile fase della questione coloniale italiana e liquidata al tempo stesso una delle ultime e più penose eredità imposte alla nuova Italia democratica.

Con i quotidiani telegrammi e con le periodiche relazioni inviate dall’Ufficio dell’osservatore abbiamo tenuto al corrente il Ministero della cronaca e dei retroscena delle tormentate discussioni dell’O.N.U. Alessandrini e Castellani, di cui mi è particolarmente gradito ripeterle quanto abbia apprezzato la costante, competente e fatti-va collaborazione, le riferiranno ulteriormente sulle fasi più interessanti dei lunghi e certo non agevoli negoziati.

Sarò quindi molto breve nei miei commenti: ritengo in coscienza, come le ho già scritto, che, date le circostanze e l’ambiente, la decisione dell’Assemblea generale possa essere considerata, nell’insieme e nei dettagli, un successo della diplomazia italiana.

Per i dettagli basterà ricordare, a titolo d’esempio, l’inclusione di un rappresentante delle minoranze nel Consiglio per la Libia; la formula molto attenuata circa la presenza di altre potenze in Somalia; il rinvio della decisione per l’Eritrea ottenuto contro l’opposizione fermissima ed attiva degli Stati Uniti e della Inghilterra. A parte poi del fatto che le varie soluzioni adottate hanno, se non altro, il vantaggio di costituire per noi un minore onere finanziario o di ridurre la nostra quota di responsabilità.

Tale risultato mi sembra dovuto soprattutto a due fattori.

Il primo di essi è l’impostazione particolarmente felice della nostra posizione, mediante la formula della subordinazione degli interessi specifici dell’Italia a quelli più generali delle popolazioni locali e della collaborazione euroafricana. Alle simpatie che tale formula non poteva non suscitare negli ambienti delle Nazioni Unite, dove tanto peso hanno ormai assunto i giovani paesi ex coloniali, si sono aggiunte quelle destate dal tono dignitoso ed elevato, ma al tempo stesso moderato ed umano, della sua dichiarazione1, tono che ci siamo sforzati di mantenere durante tutta la durata del negoziato e della discussione pubblica.

Il secondo fattore è costituito dall’utile combinazione tra l’appoggio latino-americano — a noi teoricamente assicurato in ogni caso e per ogni evenienza ma che è stato necessario guidare, amalgamare e qualche volta puntellare — e l’influenza arabo-asiatica. Tale combinazione è stata senza dubbio facilitata dalla nuova impostazione da noi data al problema specifico; ma ciò non toglie che si siano in tal modo gettate le basi di una proficua collaborazione tra i due gruppi, suscettibile di interessanti sviluppi sia in seno all’Assemblea sia, e soprattutto, per la nostra attività internazionale.

A riprova del fatto che la discussione circa la sorte delle nostre ex colonie ha rivelato la possibilità di un nuovo raggruppamento di forze in seno alle Nazioni Unite sta la circostanza che le potenze anglosassoni, e coloniali in genere, hanno seguito con attenzione e con ammirazione, ma anche con qualche preoccupazione, l’opera nostra: qualcuno dei rappresentanti anglosassoni è arrivato ad accusarci di aver creato un «mostro» che potrebbe sfuggire al controllo delle potenze occidentali. Ho mostrato di non condividere tale preoccupazione ed in realtà ritengo che la combinazione creata a Lake Success possa essere suscettibile, come ho detto, di interessanti sviluppi ma non porti di necessità ad una intesa costante e pericolosa tra i due predetti gruppi. Noi stessi abbiamo dovuto e potuto, a seconda delle circostanze, e ferma restando la costante latino-americana, manovrare l’influenza arabo-asiatica contro quella delle potenze coloniali e viceversa.

Dall’esame dei fattori che hanno reso possibile una soluzione sufficientemente soddisfacente del problema coloniale mi sembra poi che derivino alcune conseguenze d’ordine pratico: la prima riguarda la nostra azione nei prossimi mesi ed anni per assicurare un’ordinata, proficua ed a noi favorevole esecuzione delle decisioni del-l’Assemblea generale.

So che il Governo, e lei in particolare, si sono già preoccupati di tale problema e se mi permetto quindi di svolgere qui di seguito alcune considerazioni personali è soltanto perché esse sono il frutto dell’esperienza testé fatta.

Il nostro trusteeship sulla Somalia è stato approvato in seguito ad un negoziato politico: ma molte delle delegazioni delle potenze ex coloniali sono rimaste sotto l’impressione della continua, anche se non sempre abile, propaganda svolta contro di noi dalla Somali Youth League. I rispettivi Governi continueranno quindi a seguire con attenzione i risultati della nostra azione in Somalia.

È necessario pertanto che la scelta accurata dei nostri rappresentanti nei vari organi creati dalle decisioni della Assemblea generale sia particolarmente oculata nel caso dell’amministratore per la Somalia, che dovrà avere speciali doti non solo organizzative ma, e soprattutto, di tatto sia per i rapporti colle popolazioni locali sia per quelli con i tre del Consiglio consultivo.

È ovvio inoltre che l’opera di questi nostri membri nei vari Consigli debba essere continuamente ed opportunamente fiancheggiata dalle nostre agenzie diplomatiche presso le potenze minori che, a vario titolo, hanno ricevuto incarichi relativi alle nostre ex colonie e che sono estremamente sensibili ad ogni manifestazione di cortesia. Per esempio, ove non fosse stato già disposto, mi pare che sarebbe necessario ora regolarizzare i nostri rapporti con la Birmania che sarebbe senza dubbio suscettibile ad un gesto del genere.

Per l’Eritrea, essendosi ottenuto il rinvio, il lavoro principale mi pare sia da svolgere in loco, tanto da parte nostra quanto da parte dell’elemento locale che sostiene la tesi dell’indipendenza. Se vogliamo che tale tesi convinca la Commissione d’inchiesta sarà senza dubbio necessario intervenire con ogni possibile sostegno morale e materiale, inclusi naturalmente aiuti economici. Ad evitare tuttavia eventuali accuse di eccessive interferenze mi sembra che una delle forme più utili ed efficaci di assistenza finanziaria potrebbe essere quella di un aiuto indiretto alle industrie locali attraverso l’acquisto dei loro prodotti, ancorché questi possano essere poco utili per la nostra economia. Mi rendo conto delle difficoltà di tradurre in pratica un suggerimento di questa natura, ma se la questione della indipendenza dell’Eritrea costituisce uno degli scopi della nostra politica estera mi pare che non dovrebbe essere impossibile di far comprendere ai nostri organi economico-finanziari la necessità di adottare delle provvidenze speciali del genere di quelle di cui sopra.

Per sviluppare poi l’opera di solidarietà con le nazioni latino-americane felicemente intrapresa sia con la missione svolta da lei nel 19462 e continuata con la missione Aldisio-Brusasca3 e coi contatti di Lake Success e per rafforzare i nuovi rappor

3 Sull’argomento vedi la relativa voce della Tavola metodica.

ti stretti con i paesi arabo-asiatici, mi sembra necessario che la nostra azione a tale riguardo abbia un più largo respiro.

Missioni straordinarie e speciali gesti di amicizia saranno senza dubbio utili e serviranno a intensificare tali rapporti. Ma mi sembra soprattutto necessario non disperdere proprio a Lake Success il patrimonio di collaborazione, stima e fiducia accumulato in questi mesi, durante i quali l’Italia, ufficialmente assente ma costantemente presente, ha influenzato, come ha sottolineato il delegato sovietico, un rilevante numero di delegazioni.

Tale azione, resa possibile dalla presenza di una nostra numerosa e qualificata delegazione, non può essere svolta dall’Ufficio dell’osservatore nelle attuali condizioni di personale, sede e mezzi finanziari. Ritengo pertanto particolarmente opportuno che, pure in difetto della nostra ammissione all’O.N.U., la nostra rappresentanza ufficiosa presso tale organizzazione sia fornita di tutti quei mezzi, soprattutto di rappresentanza, che normalmente spettano ad una legazione. So bene le difficoltà amministrative che si oppongono all’adozione di un provvedimento del genere (per quanto esso sia stato favorevolmente risolto nel caso dell’O.E.C.E.) ma ho ritenuto lo stesso che fosse mio dovere di attirare la sua attenzione su tale delicato problema di natura squisitamente politica.

Una menzione a parte meritano i nostri rapporti con l’Etiopia. Gli etiopici sono i grandi perdenti di questa sessione ed è pertanto significativo che le loro espressioni di dolore siano state, dopotutto, moderate.

Tale moderazione è in parte frutto della nostra azione intesa a rassicurare le loro apprensioni, della calma con la quale abbiamo accolto i loro attacchi iniziali, nonché della buona volontà da noi costantemente dimostrata, specie attraverso i buoni uffici americani, per un eventuale contatto diretto.

Mi sembra ancora prematuro esprimere un giudizio sulla possibilità di sviluppi dell’incontro tra Alessandrini e Spencer, di cui le ho telegrafato ieri4. Non mancherò di seguire la cosa a Washington e le riferirò.

418 1 Vedi D. 253.

418 2 Vedi serie decima, vol. IV, D. 393.

419

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO

T. 10105/53. Roma, 22 novembre 1949, ore 22.

Questo ambasciatore canadese mi ha intrattenuto in merito sistemazione problemi tuttora pendenti tra due paesi, in relazione clausole economiche trattato di pace.

Gli ho fatto presente che per iniziare trattative concrete occorre conoscere dati precisi e definitivi circa loro richieste e nostri beni bloccati. Pregola riferire prossimo corriere su eventuali risposte e reazioni codeste Autorità ai passi svolti da codesta

ambasciata in base istruzioni contenute telespressi 33100, 08550 e 13873 rispettivamente del 28 dicembre 1948, 10 maggio e 19 luglio scorso1.

418 4 Vedi D. 416.

420

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13268/569. Parigi, 22 novembre 1949, ore 19,50 (perv. ore 24).

A seguito mia comunicazione telefonica stamane con segretario generale confermo che Alphand mi ha detto che da parte francese si riterrà opportuno che delegazione italiana venga a Parigi prima del 29 per conversazioni a due allo scopo:

1) decidere atteggiamento comune in seno riunione a quattro;

2) esaminare quello che si può fare fra l’Italia e Francia ribadendo che comunque da parte francese si ritiene possibile e si è disposti andare con l’Italia molto più in là che con altri sia nel campo commerciale che in quello finanziario.

Principio conversazioni a due essendo stato già accettato da parte nostra converrebbe comunque che nostra prima delegazione comprendesse rappresentanti principali Ministero Banca d’Italia e che da parte nostri responsabili si venga qui con programmi completi.

Mi permetto ricordare che è da risultati queste conversazioni a due che sarà possibile o di diritto o di fatto Unione doganale e che probabilità sua realizzazione sono in dipendenza da ciò che di effettivo e concreto sarà possibile realizzare fra i due paesi senza troppo tardare1.

421

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. 10137/628. Roma, 23 novembre 1949, ore 21.

Suo 5691 e suo 03162.

Iniziativa francese è più che opportuna e siamo stati lieti accoglierla. Non tutta delegazione potrà partecipare riunione poiché essa è trattenuta da riunioni in sede

2 Non pubblicato.

Governo il quale sta tuttora esaminando direttive di fronte problemi così complessi ed involgenti conseguenze di tanta portata.

Ciò malgrado scambio preventivo idee sarà utilissimo e sua constatazione attraverso un comunicato gioverà come giovò ultima conversazione di V.E. con Schuman3.

Quanto a previ programmi completi dai quali possa addirittura dipendere avvenire Unione doganale, debbo constatare che mancano taluni elementi indispensabili quali nostra tariffa e conoscenza futuri dazi con Francia e la non conoscenza reali intendimenti ed effettiva portata memorandum francese4. A parte questione Germania manca anche conoscenza se Benelux ed in particolare Paesi Bassi entreranno sistema ed in quale estensione. Tutto ciò occorrerebbe per determinare fin d’ora se e che cosa di più si possa fare con sola Francia. Quello cui dobbiamo tendere ora è di creare e non soltanto a parole una atmosfera di intesa morale. Voglia vedere mia intervista New York Times che uscirà domani5.

419 1 Non pubblicati. Per la risposta vedi D. 434.

420 1 Per la risposta vedi D. 421.

421 1 Vedi D. 420.

422

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 10142/562. Roma, 23 novembre 1949, ore 22,30.

Suo 468 da New York1.

Ella può informare delegazione etiopica che siamo disposti discutere questione riparazioni ed altre questioni economiche dipendenti trattato pace come già fatto con altri paesi. Conversazioni potrebbero iniziarsi con esperti etiopici al più presto possibilmente a Roma dove nostri esperti sono trattenuti per analoghe trattative con rappresentanti altri paesi Grecia Jugoslavia.

È appunto nostra intenzione partire da trattazione questioni suddette per dissipare ogni residuo infondato sospetto ed esplorare con migliori disposizioni possibilità collaborazione economica italo-etiopica.

4 Vedi D. 412, nota 2.

5 Per la risposta vedi D. 425.422 1 Vedi D. 416.

421 3 Vedi D. 408.

423

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

T. 10150/C. Roma, 23 novembre 1949, ore 23.

Esprima a codesto Governo apprezzamento e gratitudine Governo della Repubblica per risolutivo appoggio prestatoci cui devesi successo tesi italiana conseguito all’O.N.U.

424

IL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13361/19. Francoforte, 24 novembre 1949, ore 14,05 (perv. ore 19,30).

Da notizie attendibili risulta che accordo fra Alto Commissariato e Governo federale tedesco sarebbe stato parafato da cancelliere Adenauer martedì sera ore 21,45 e da lui firmato ieri sera Cancelleria federale.

In base risultati discussione in corso fra cancelliere Adenauer e rappresentanti diverse frazioni parlamentari cancelliere deciderà se rendere noto contenuto accordo seduta pubblica pomeriggio Bundestag ovvero altra forma.

Governo tedesco impegnerebbesi: 1) firmare Statuto Ruhr; 2) partecipare Allied Security Board; 3) garantire decartellizzazione industria tedesca.

Alleati occidentali concederebbero:

1) sospensione smantellamenti per trenta-quaranta fabbriche non appartenenti produzione bellica; 2) rallentamento smantellamenti per belliche non originariamente destinate tale scopo, suscettibili essere trasformate in produzione pace; 3) partecipazione Germania occidentale organizzazioni internazionali; 4) rappresentanze consolari tedesche estero; 5) flotta mercantile tedesca.

Due questioni restano ancora insolute e formerebbero oggetto ulteriore discussione:

1) pratica sospensione stato di guerra senza atto formale che importerebbe per Governo Bonn riconoscimento divisione Germania in due parti; 2) accreditamento missioni straniere oltre che presso Alto Commissariato anche presso Governo tedesco.

Circoli governativi e politici non nascondono loro soddisfazione risultati trattative che avrebbero fatto compiere Repubblica federale tedesca grandi passi verso suo consolidamento e loro compiacimento anche per trattamento usato nei confronti di Adenauer che è stato posto durante le trattative su piede completa uguaglianza anche dal punto di vista protocollare.

425

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13386/575. Parigi, 24 novembre 1949, ore 21,50 (perv. ore 9 del 25).

Suo 6281.

Non comprendo bene cosa si intenda per «comunicato».

Se interpretando suo telegramma in base a precedente 6192 (ben altrimenti chiaro ed impegnativo che non il 628) significa che noi vorremmo che da parte francese si precisassero in un comunicato tre punti di cui a mia conversazione con Schuman3, tengo ad avvertire ad ogni buon fine che comunicato in questo senso non (dico non) sarà mai accettato dai francesi.

Permane, nonostante tutto, radicale differenza concezione accordi economici franco-italiani dalle due parti. Noi vogliamo regime monogamia, francesi regime poligamia in cui Italia potrà essere anche favorita ma non ufficialmente.

Comunicato che fissi tre punti equivarrebbe dare ottimo pretesto Benelux e domani Germania tirarsi indietro, e questo appunto è quello che francesi non vogliono.

Tre punti potranno essere intesa segreta ma mai accordo ufficiale.

426

L’INCARICATO D’AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 4308. Madrid, 24 novembre 1949 (perv. il 25).

La firma dell’accordo commerciale con la Spagna1 mi ha indotto a far visita a questo ministro degli affari esteri, signor Martin Artajo, parendomi che le buone disposizioni che la conclusione del trattato non può mancare di provocare in Spagna

2 Vedi D. 412.

3 Vedi D. 408.

nei nostri riguardi, andassero opportunamente valorizzate per ottenere una rapida soluzione di due importanti questioni che permangono da anni insolute e che appesantiscono, senza ragione, i rapporti diplomatici fra i due paesi. Alludo alle controversie in materia di marina mercantile, e per le quali da parte nostra è stato nell’agosto scorso proposto il ricorso alla procedura arbitrale; ed alla questione del pagamento delle competenze che il Governo spagnolo deve al personale italiano dell’Amministrazione internazionale di Tangeri, a seguito della temporanea assunzione dell’Amministrazione stessa, durante gli anni di guerra.

Di queste due questioni, la seconda è già risolta, perché v’è il riconoscimento da parte spagnola del nostro diritto, e perfino lo stanziamento dei fondi relativi nel bilancio dell’Alto Commissariato del Marocco spagnolo. Però non è stato finora possibile di ottenere che venisse eseguito il pagamento, per il quale l’ambasciata è oggetto di sollecitazioni quasi quotidiane da parte dei connazionali interessati.

Il ministro Artajo mi ha promesso di impartire immediate istruzioni agli uffici — e mi consta che lo ha fatto — perché riprendano rapidamente in esame le due questioni.

Nel corso della conversazione, il signor Martin Artajo mi ha accennato al suo progetto di un viaggio a Roma per assistere alle cerimonie di inizio dell’Anno Santo e per rendere omaggio, a nome del Governo spagnolo, al Santo Padre.

Premetto che quando ho parlato con Martin Artajo non avevo ancora ricevuto l’appunto redatto da V.E. — e che il Ministero mi ha trasmesso — sulla conversazione avuta dall’E.V. con l’ambasciatore Sangroniz2.

Da quanto ho potuto ricostruire, la primitiva idea del viaggio deve farsi risalire all’ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede, signor Ruiz Jimenez, creatura del ministro Artajo, ed esponente importante dell’Azione cattolica spagnola.

L’ambasciatore Ruiz Jimenez ha dato, sin dai primi giorni della sua missione, prova di grandissimo zelo per migliorare i rapporti fra la Spagna e la Santa Sede, rapporti che non sono sempre stati così stretti come si è voluto far apparire. È a lui che si deve l’iniziativa del viaggio a Madrid del cardinale Tedeschini e la stipulazione di alcuni importanti accordi ecclesiastici col Vaticano, che potrebbero poi essere riuniti in un unico testo e costituire un nuovo concordato.

Naturalmente il ministro Martin Artajo, che rappresenta in seno al Governo il solo vero partito politico, di fatto, esistente in Spagna, quello cattolico, è portato a dare la massima importanza ai rapporti della Spagna con il Vaticano, non solo per evidenti ragioni internazionali, ma anche per ragioni di politica interna. Fra l’altro, si occupa, egli personalmente, dell’organizzazione dei pellegrinaggi a Roma. Rientra perciò perfettamente nella linea della politica di questo Governo il gesto di inviare costì per l’apertura dell’Anno giubilare il ministro degli affari esteri. Ricordo che qualche mese fa, prendendo occasione della consegna delle reliquie di San José de Calasanz, venne a far visita al Pontefice questo ministro della pubblica istruzione, signor Ibañez Martin, il quale, nel corso della sua permanenza nella città eterna, ebbe anche contatti col suo collega italiano ministro Gonella.

Ritengo, però, che la possibilità di avere costì una conversazione di natura, sia pure ufficiosa, con l’E.V., ed eventualmente col presidente De Gasperi, oltre che con esponenti del partito democristiano, abbia avuto importanza determinante nel decidere questo ministro degli esteri a compiere il viaggio, nonostante che esso coincida con le feste natalizie.

Martin Artajo ha tenuto a dirmi che l’ambasciatore Sangroniz gli aveva riferito di avere parlato del progetto a V.E. e che l’E.V. lo aveva assicurato che da parte italiana non vi erano difficoltà. Artajo ha aggiunto di sperare — mi è parso di comprendere che egli avesse già ricevuto assicurazioni in tal senso dal proprio ambasciatore — che l’occasione gli avrebbe fornito la possibilità di qualche utile scambio di idee con l’E.V., ed ha vagamente accennato all’utilità di una politica di intesa di tutti i paesi latini, i quali, pur rappresentando un blocco importante, sono oggi totalmente al rimorchio del mondo anglosassone.

Questo della latinità, come l’E.V. ben conosce, è un tema qui preferito, sul quale, in mancanza di altre manifestazioni politiche concrete, ci si compiace di imbastire degli schemi.

Con il ministro Martin Artajo mi sono tenuto molto sulle generali anche perché, come ho detto, ignoravo ancora della conversazione dell’E.V. con l’ambasciatore Sangroniz; ma ho creduto opportuno di riparlare più a lungo della cosa con il ministro Erice, che è senza dubbio la mente di questo Ministero degli esteri, perché diffido un po’ di una certa euforia abituale del ministro degli esteri.

Ho detto ad Erice che lo pregavo di tenermi al corrente di ogni decisione, e dettaglio, circa questo viaggio perché, pur essendo esso pienamente giustificato dalla circostanza dell’Anno Santo, poteva tuttavia dar luogo a speculazioni. Mi pareva pertanto opportuno, se esso doveva veramente realizzarsi, che fosse accompagnato da tutte le cautele necessarie, nell’interesse stesso dei rapporti fra i due paesi, ad evitare di porre in imbarazzo tanto il nostro Governo, quanto lo stesso ministro Martin Artajo.

Erice ha convenuto con me sull’opportunità di quanto gli dicevo e mi ha assicurato che non avrebbe mancato di tenersi in contatto con me per tutto quanto poteva concernere il viaggio. Ha aggiunto che v’era l’idea che il ministro fosse accompagnato dal sottosegretario, Conde de Casa Real (un funzionario di carriera e che ha funzioni un po’ analoghe a quelle di un sottosegretario permanente), il quale, essendo il capo di tutti i servizi amministrativi del Ministero, pensava di approfittare così del viaggio per procedere ad una ispezione dei consolati spagnoli e delle numerose ed importanti istituzioni culturali e religiose che la Spagna possiede in molte città d’Italia3.

425 1 Vedi D. 421.

426 1 Vedi D. 405, nota 2.

426 2 Vedi D. 405.

426 3 Sforza trasmise a De Gasperi questo rapporto con la seguente lettera (n. 3/5609 del 9 dicembre): «A seguito della mia lettera del 17 novembre u.s. [vedi D. 405] con la quale ti inviavo copia di unappunto relativo ad una mia conversazione coll’ambasciatore di Spagna in merito alla prossima visita aRoma del ministro degli esteri marchese Martin Artajo, ti accludo per opportuna conoscenza copia di unrapporto sull’argomento, inviato in data del 24 novembre dal nostro incaricato d’affari a Madrid».

427

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1230/4394. Parigi, 24 novembre 1949.

Rispondo alla tua lettera n. 3/5196 del 18 corrente1.

Sono contento, ma al tempo stesso molto sorpreso, di sentire da te che siamo tutti d’accordo. Che il ministro fosse d’accordo lo sapevo anche dai miei ultimi colloqui con lui: che tu fossi d’accordo lo supponevo largamente dalle lettere, anche se le nostre conversazioni in proposito sono un po’ lontane: ma dal tono di tutta la corrispondenza avuta con il Ministero, da qualche mese a questa parte, ammetterai che era per me molto difficile dedurne che eravamo tutti d’accordo. Ed è difficile crederlo anche dopo la lettera tua e quella del ministro2.

Mi limito a citare i telegrammi che ho avuti oggi:

1) un telegramma a firma del ministro in cui nella forma più chiara ed esplicita si accettano i tre punti di Schuman, con la riserva, del resto fatta anche da me, di sorvegliare che essi diventino realtà3.

2) Un telegramma pure a firma del ministro4 che contiene una serie di complesse precisazioni di carattere tecnico le quali significano, in parole più semplici, primo, che non possiamo fare niente se non sappiamo una quantità di cose che non si possono certo sapere prima della Conferenza a cinque (e allora la Conferenza a due era inutile) e, secondo, che non possiamo — o non vogliamo — fare niente. Poi la chiusa, evidentemente di pugno del ministro: «quello a cui dobbiamo tendere è di creare e non soltanto a parole una atmosfera di intesa morale».

3) Due telegrammi a firma Grazzi e Notarangeli5, concernenti alcune questioni più tecniche dei rapporti commerciali italo-francesi, che sono una chiara manifestazione di spirito polemico, e di nessuna voglia di fare niente.

Ora, caro Zoppi, ammetto che i due telegrammi di cui al punto tre, fra tanti, tu non li avrai nemmeno letti, e tanto meno li avrà letti il ministro, ma non posso sopprimere il fatto di due telegrammi, tutti e due a firma del ministro, dei quali il secondo praticamente annulla il primo. Di concreto resta solo alla fine la «volontà di creare una atmosfera di intesa morale». Il telegramma potrebbe essere riassunto così: vogliamo fare, ma non possiamo fare niente.

Ossia torniamo a quello che ho detto tante volte, sia al ministro che a te: la parte tecnica italiana non vuole l’Unione doganale. Era pronta cioè a volere l’abolizione delle tariffe doganali, mantenendo in piedi tutto il sistema dei contingenti e

2 Vedi D. 413.

3 Vedi D. 412.

4 Vedi D. 421.

5 Non pubblicati.

dei controlli di cambio, perché in queste condizioni l’Unione doganale sarebbe stata una pura finzione: è invece contraria ad un alleggerimento dei contingenti e del controllo dei cambi perché questo significherebbe invece fare effettivamente qualche cosa. Si tratta di andare più a fondo e vedere come stanno le cose: sono i tecnici contrari e i ministri favorevoli? Allora bisogna segnalare la cosa ai ministri competenti: oppure come credo anche i ministri tecnici sono contrari? Allora bisogna che la questione sia chiarita in Consiglio dei ministri e si decida cosa si vuol fare: ed una volta deciso cosa si vuol fare bisogna allora dare agli organi esecutivi delle istruzioni effettive e chiare.

Non credere che non capisca che si tratta in realtà di una manovra politica contro il ministro: ma come gli ho detto, anche di recente, bisogna appunto che lui metta in chiaro, ed ha tutte le possibilità di farlo, che non gli si può rimproverare il fallimento di una politica, quando la parte tecnica la appoggia a parole e la sabota in fatto.

Altrimenti, il significato reale della presa di posizione del Consiglio dei ministri è soltanto che noi vogliamo metterci colla Francia in polemica per decidere se il fallimento dell’Unione doganale è colpa della Francia o dell’Italia; nel qual caso probabilmente si potrà arrivare alla conclusione che la colpa è francese, ma non credo ne trarrà vantaggio nessuno, e certo non i rapporti italo-francesi.

Per ultimo, sia nella lettera del ministro che in quella tua, c’è una ultima frase, certamente non farina del sacco vostro, in cui ci si lagna soprattutto che l’invito è stato fatto non specificatamente a noi ma anche ad altri paesi.

Ora i francesi ci hanno detto:

1) ci consideriamo legati all’Italia con priorità, 2) siamo disposti ad andare con Italia più avanti che con gli altri, 3) vi invitiamo a venire qualche giorno prima per metterci d’accordo.

Cosa vogliamo di più? Volevamo che il memorandum francese6 portasse una busta speciale alla cara bene amata Italia? Non ti dimenticare del resto che il primo memorandum francese dell’agosto7 ha provocato da parte nostra un no grande come una casa, e che se avessi eseguite le istruzioni di Roma avrei dovuto dire ai francesi che non era una cosa seria. Anche interpretandolo attraverso le attenuazioni della tua lettera di accompagno8 ammetterai che era difficile per i francesi trarne la conclusione che eravamo d’accordo.

Con tutto questo che precede poco c’è da aspettarsi dalla prossima riunione: con istruzioni non chiare ma anzi contraddittorie si metteranno a contatto Grazzi che odia Alphand, Dall’Olio che detesta Philipp e così via: prospettiva ultra consolante.

Vengo adesso alla seconda parte della tua lettera.

Quanto tu dici circa gli improvvisi abbandoni da parte della Francia è giusto e non potrei per mia parte fare obiezioni. L’unica difficoltà viene dal fatto che i francesi da parte loro fanno esattamente le stesse lagnanze nei nostri riguardi ed anche loro hanno ragione.

7 Vedi D. 223, nota 1.

8 L. 12034/178 del 29 agosto, non pubblicata.

Noi, ossia gli ambienti politici governativi e parlamentari, troviamo che siamo stati turlupinati dalla Francia in materia di Unione doganale: in realtà non è così: Schuman si è impegnato senza rendersi conto di quelle che sarebbero state le sue difficoltà parlamentari: noi Ministero abbiamo commesso l’errore di dare per fatta una cosa che non era invece fatta per niente affatto (spero riconoscerai che questo l’ho detto su tutti i toni).

I francesi, gli stessi ambienti che da noi, da parte loro ci accusano di averli lâché sulla questione delle colonie: hanno torto, almeno entro certi limiti, ma è così.

D’accordo con te: nessuno sa più come comportarsi: ma anche noi non siamo immuni da questo male. Tanto più grave fra francesi e italiani perché abbiamo tutti e due terribilmente la coda di paglia. Ad essere pessimisti bisognerebbe arrivare alla conclusione che c’è da disperare dei rapporti italo-francesi: ad esserlo meno bisogna fare la ormai vecchia constatazione che i rapporti italo-francesi sono estremamente difficili e complessi, che bisogna farci estremamente attenzione e che si è sempre sulle sabbie mobili: tutto questo sono pagato per saperlo.

E detto questo mi preparo con grande rassegnazione a seguire i lavori della prossima conferenza9.

427 1 Con essa Zoppi aveva trasmesso le proprie osservazioni su quanto segnalato da Quaroni conil D. 401.

427 6 Vedi D. 412, nota 2.

428

IL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13433/20. Francoforte, 25 novembre 1949, ore 15,45 (perv. ore 7,30 del 26).

Dichiarazioni fatte dal presidente del Consiglio De Gasperi sulla Germania nel suo discorso martedì alla Camera dei deputati1 qui diramato da agenzia tedesca

D.P.A. riprodotte per esteso su tutta la stampa tedesca con molto rilievo anche tipografico. Riferisco per corriere su compiacimento ambienti governativi. Stampa riporta commento agenzia secondo il quale tutti i settori della Camera, ad eccezione del-l’ala sinistra, accolte dichiarazioni con profonda soddisfazione.

427 9 Si riferisce alla conferenza che avrebbe avuto luogo a Parigi dal 29 novembre al 9 dicembretra i rappresentanti di Francia, Italia e Benelux (Fritalux) per la quale vedi DD. 438, 443, 457 e 462. Perla riposta al presente documento vedi D. 463.

428 1 Rispondendo a Nenni, che aveva evocato il militarismo prussiano «ora che la Germania sidispone ad entrare nella nuova Europa», De Gasperi aveva affermato: «Noi abbiamo il dovere di incoraggiarla sulla via del risanamento politico ed economico, perché anche là vi sono stati dei perseguitati, dellevittime, non solo dei complici, e v’è stata anche in Germania molta gente che ha difeso e conservato ilsenso della libertà. Noi ci auguriamo che quella parte della Germania che non fu responsabile dei tragicierrori e terrori della guerra, possa ottenere che tutti i popoli liberi seguano i suoi sforzi con simpatia. Enoi, che abbiamo sofferto tra complici e vittime, noi dobbiamo accompagnare questo sforzo con tutta lanostra simpatia». Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1949, vol. IX, seduta del 22 novembre 1949, pp. 13698-13708.

429

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. SEGRETO URGENTE 2099/0110. Roma, 25 novembre 1949.

Suo telespresso urgente 0318 in data 16 c.m.1.

Quanto ella ha detto a Schuman interpreta esattamente il mio pensiero.

È indubbiamente importante per noi poter contare sull’appoggio francese per sostenere il nostro diritto a prendere parte alle discussioni concernenti la pace con la Germania. Bisogna tuttavia tener presente che il trattato, se e quando ci si arriverà, rappresenterà la conclusione formale, e soltanto in parte la premessa, di una completa integrazione della Germania nel sistema occidentale; cioè, a lungo termine, nel sistema atlantico. Ora questo processo è destinato a dominare negli anni prossimi, e forse con ritmo assai più rapido di quanto i francesi credono, sperano, o temono, l’intera politica europea.

In questo senso è nostro interesse cercare di trasformare le assicurazioni francesi da quel che hanno ancora, in questa prima fase di contatto, di formale, in un costume di concrete e costanti consultazioni, sulle linee generali del problema tedesco. La sua osservazione che la posizione della Francia come potenza occupante in Germania le dà una parte notevole nella determinazione della politica tedesca e che precisamente per questa parte avevamo desiderio e convenienza ad essere tenuti alcorrente, è giustissima. È bensì vero che ogni singolo aspetto di questa politica troverebbe la sua sede e la sua esplicazione in uno degli organismi internazionali dei quali anche l’Italia fa parte: O.E.C.E., Patto atlantico, Consiglio d’Europa. Ma in queste organizzazioni, come ella ben sa, si registrano, non si formulano, né tanto meno si concordano, gli indirizzi politici generali e di dettaglio. Cioè ad esse, ed alla parte che noi ci possiamo avere, si applica la stessa osservazione che per il trattato di pace con la Germania.

È mio desiderio, perché lo ritengo di interesse generale, oltre che francese, che la Francia prenda l’iniziativa formale di questo processo di inserimento della Germania in Europa, processo che è del resto fatale, non fosse che perché è stato già fermamente deciso a Washington. Ed è legittimo che la Francia, nel guidarlo, e potrebbe farlo soltanto guidandolo, apporti ad esso quei temperamenti che giudicherà indispensabili per la sua sicurezza, e per le esigenze di gradualità della sua opinione pubblica. Il Governo italiano ha piena comprensione di queste circostanze e sarà lieto di appoggiare tale politica; ma per essere in grado di farlo dovremo essere tenuti al corrente, non delle conclusioni, ma delle intenzioni e degli obiettivi del Governo francese su ogni problema di maggior rilievo.

429 1 Vedi D. 406.

430

IL SEGRETARIO PARTICOLARE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, CANALI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI1

APPUNTO. Roma, 26 novembre 1949.

Mallet si è dichiarato lieto dello scambio di cortesi dichiarazioni tra il presidente del Consiglio e Bevin nei rispettivi Parlamenti2, scambio che egli interpretava come l’efficace inizio di una distensione.

Venendo a parlare della Somalia, ha detto: «Noi vogliamo andare via al più presto possibile: vogliamo evitare le responsabilità e le spese. Se non si fa a febbraio, bisognerà aspettare chi sa quando, per via dei monsoni. Speriamo quindi che voi avrete pronto il progetto per l’Amministrazione fiduciaria per la riunione che dovrà aver luogo a gennaio a Ginevra».

Venendo a cadere il discorso sull’allarme provocato all’O.N.U. e sulla stampa internazionale dalle voci di grossi invii di truppe, Mallet ha detto: «Io non mi preoccupo di questo, perché si tratta certamente di voci infondate. I nostri rappresentanti militari sono in contatto con i vostri per l’esecuzione del trapasso dell’amministrazione, e certamente verranno rispettati gli accordi relativi al numero degli effettivi da inviare per la sostituzione delle truppe».

431

L’AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1360/7001. Roma, 26 novembre 1949 (perv. il 27).

Allego una notizia informativa2, emanante da informatore vaticano non autorizzato, concernente la propensione, che si noterebbe negli ambienti missionari, verso un pronto riconoscimento del Governo cinese comunista da parte delle potenze occidentali.

Per il caso che notizie del genere pervenissero anche a codesto Ministero per altri canali, credo non inutile precisare che si tratta, evidentemente, di opinioni che sono state raccolte dalla bocca di qualche missionario, ma di fronte a cui i dirigenti mantengono la massima riserva.

2 Si riferisce al discorso di Bevin alla Camera dei Comuni del 17 novembre e alle dichiarazioni di De Gasperi alla Camera dei deputati del 22 novembre. Per le dichiarazioni di De Gasperi vedi Attiparlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1949, vol. IX, pp. 13698-13708.

In Segreteria di Stato, non mi pare che si nutrano serie speranze che il riconoscimento del Governo di Mao Tse abbia ad influire in modo sensibile sulle disposizioni degli ambienti comunisti verso la Chiesa cattolica cinese. È troppo presto in ogni modo, vi si dice, per dare un giudizio di qualche peso sulla via da seguire per provocare una evoluzione in meglio della Cina popolare. Da parte vaticana, quindi, mentre non si pensa in nessun modo a riesaminare la propria posizione diplomatica, non si intenderebbe neppure di incoraggiare negli altri la tendenza a codesto riesame, di cui si è troppo realistici però per non vedere i lati convenienti e, forse, l’ineluttabilità politica.

A Propaganda Fide, dove i sentimenti dei missionari si fanno sentire più vivi, trattandosi del loro proprio ambiente, ho riscontrato la stessa prudenza di espressioni. Anzi, mi si è negato che voci missionarie autorizzate abbiano mai espresso a Propaganda parere favorevole al riconoscimento (la Santa Sede, naturalmente, sempre esclusa); pur non escludendosi che parecchi, discutendone in via privata, possano avere pensato ed ammesso certi eventuali benefici.

Sembra dunque che, anche a Propaganda, non si creda di vedere abbastanza chiaro se i contatti diplomatici colle nazioni democratiche occidentali, coi grandi vantaggi che porteranno al nuovo regime cinese, saranno di natura da fortificare dannosamente la posizione dell’oligarchia comunista dominatrice o se, invece, favoriranno l’assorbimento dei nuovi conquistatori e delle loro teorie da parte della Cina millenaria e confucista. Attualmente, la situazione della Chiesa può dirsi ancora in bilico, nei grandi centri almeno. Se la Cina popolare, dopo i riconoscimenti, e col conseguente apporto commerciale e finanziario dell’Occidente (di cui difficilmente potrebbero fare a meno) riesce a doppiare il capo della sua presente situazione, da qual parte traboccherà la bilancia?

E siccome le decisioni pratiche non spettano alla Santa Sede ed ai suoi organi, così essi non sentono il bisogno di decidere nel dilemma e si limitano ad attendere gli avvenimenti.

430 1 In Archivio De Gasperi.

431 1 Ritrasmesso con Telespr. 21/23778/C. del 12 dicembre alle ambasciate a Bruxelles, Londra, New Delhi, Parigi e Washington, alle legazioni a Copenaghen, L’Aja e Lisbona, ed al consigliere ad Hong Kong.2 Non pubblicata.

432

IL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13494/21. Francoforte, 28 novembre 1949, ore 18,03 (perv. ore 8,05 del 29).

Alta Commissione alleata comunicami che, in relazione richiesta mio accreditamento fatta da Alverà su istruzioni ministeriali in data 28 ottobre scorso, data presentazione mie credenziali stata fissata giorno 15 dicembre.

Permettomi fare presente che, secondo quanto mi riferisce capo cerimoniale McCloy, Alta Commissione alleata convocata appositamente in forma ufficiale per quel giorno e che sarebbe necessario depositare copia credenziali una settimana prima.

Sarei grato pertanto inviarmi documento via aerea.

433

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13497/249. Mosca, 28 novembre 1949, ore 23,51 (perv. ore 7,30 del 29).

Mio telegramma n. 2391.

Trattative per il grano sono giunte ormai ad un punto critico. Con mio telegramma in riferimento facevo presente che, su base economica e secondo le istruzioni ricevute, i nostri negoziatori erano ormai sul punto di interrompere trattative.

In base ad eventuali considerazioni politiche inerenti nostre forniture industriali pregavo dare definitive istruzioni che mi sono giunte con telespresso urgente 96/0585 il 15 novembre2. In base ad esse nostri esperti hanno ragionatamente offerto 85.

I sovietici, pur intendendo benissimo che tale offerta consentiva ancora un piccolo margine di elasticità, non solo non hanno fatto controfferta ma hanno invitato nostri negoziatori a ritornare con un’altra offerta radicalmente migliorata. In questa condizione non vedo alcuna possibilità di accordo su basi indicate. Ulteriori nostre offerte infirmerebbero serietà posizione finora assunta da parte italiana e ci avvierebbero a conchiudere a poco meno del prezzo di 95 voluto dai sovietici.

Ciò stando ho ritenuto opportuno intervenire oggi personalmente presso ministro Menshikov facendogli presente che nostri delegati erano effettivamente al limite loro facoltà ed invitandolo a fare rivedere posizione dai suoi negoziatori, perché altrimenti accordo sul grano, e quindi tutto l’accordo commerciale, rischiava rimanere paralizzato. Egli non ha mostrato di cedere per nulla ed ha ripetuto continuamente che il prezzo richiesto da loro è giusto e non vede ragione di modificarlo.

È mia convinzione che solo disponendosi effettivamente ripartire i nostri negoziatori avranno ancora qualche probabilità indurre sovietici rivedere sia pure limitatamente loro posizione. In relazione tuttavia odierna comunicazione Federammassi a Ferretti prego autorizzare telegraficamente urgenza rientro delegati se ragioni d’ordine diverso non impongono fare nuova offerta con le conseguenze sopraindicate3.

433 1 Del 10 novembre, non pubblicato.2 Non pubblicato.3 Per la risposta vedi D. 464.

434

L’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO 13521/111. Ottawa, 28 novembre 1949, ore 23,24 (perv. ore 9,15 del 29).

Telegramma di V.E. n. 531.

Riferisco dettagliatamente per corriere su trattative per nostri beni bloccati nonché su varie conversazioni avute sino ad oggi riguardo altre questioni crediti circa 28 milioni di dollari vantati da Governo canadese per cosidetti civilian supplies.

Ambasciatore Desy in previsione prossimi colloqui con V.E. ha qui telegrafato chiedendo trattare con urgenza seconda questione separandola da prima. D’altra parte queste Autorità sono state di tale idea fino da agosto 1948, quando seconda questione fu sollevata costì da ambasciatore canadese.

Ritengo per parte mia che tale separazione convenga anche a noi ad evitare eventuali tentativi canadesi di rivalsa, in base articolo 79 trattato di pace, su beni italiani bloccati: ammontare attuale tali beni sarebbe infatti circa 3 milioni e mezzo dollari mentre claims privati canadesi per danni di guerra ammonterebbero a meno 2 milioni di dollari e mezzo (cifra quest’ultima probabilmente gonfiata e riducibile dopo singoli accertamenti).

Peraltro pur considerando due questioni come distinte, ho semplicemente qui insistito fino ad oggi perché accordo per definizione di esse venga stipulato contemporaneamente senza finora incontrare opposizione di rilievo.

Permettomi quindi sottoporre V.E. opportunità mantenere tale punto di vista.

Aggiungo infine che mentre mi adopero da circa un anno per soluzione prima questione, la seconda questione è stata risollevata qui da parte canadese solo alla fine del settembre scorso.

435

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13537/584. Parigi, 28 novembre 1949, part. ore 13,05 del 29 (perv. ore 16).

Trasmetto seguente telegramma urgente [di Grazzi]:

«Per dare a rapporti franco-italiani consistenza diretta e più ampia che in quelli regionali con Benelux, ho proposto che:

1) negoziati tariffari fra Francia-Italia si inizino al più presto ed in luogo che ottemperare ai criteri livellatori dettati da G.A.T.T. si ispirino a criteri derivanti da Unione e tengano conto futuro stabilimento tariffa comune;

2) vengano promosse e dirette intese fra gruppi industriali e agricoli determinati per specializzare produzione e condurre ribassi prezzi al fine facilitare libera[lizza]zione fra due paesi maggiore che con altri;

3) vengano scelti vari settori per procedere armonizzazione legislazioni sociali fiscali e economiche in genere;

4) venga costituito Comitato misto funzionari ed esperti che pel momento sostituirebbe previsto Consiglio dell’Unione assumendone parte suoi compiti.

Autorità francesi si sono dichiarate in genere d’accordo talché potremmo avviare pratica realizzazione Unione al di fuori approvazione parlamentare.

Comunicato stampa sarà emesso domani.

Sussistono con francesi divergenze sostanziali campo intese regionali. Esse vertono su:

1) libera[lizza]zione movimento capitali;

2) assicurazione sistema automatico pagamenti e flessibilità cambi;

3) estensione libera[lizza]zione scambi al di sopra 50%.

Francesi appaiono decisi compiere sforzo effettivo in materia libera[lizza]zione e annunciasi progetto Benelux sia pure a fini propagandistici ancora più estensivo talché nostra posizione manifestasi difficile. Telegraferò1.

Prego comunicare urgenza C.I.R., ministri interessati, Banca Italia».

434 1 Vedi D. 419.

436

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 28 novembre 1949.

Il ministro Schwarzenberg sarà ricevuto domani da V.E. e le presenterà due promemoria. Uno ufficiale, che precisa il punto di vista del Governo austriaco sulla questione delle opzioni e su varie altre questioni di carattere amministrativo e finanziario connesse con la principale1; l’altro, che è stato redatto da Schwarzenberg a titolo personale, riassume le istruzioni verbali date da Gruber al ministro in occasione di una sua recente visita a Vienna2.

Riassumo brevemente lo stato attuale della questione. Con tre diverse ordinanze, le prime due del novembre 19483, la terza del maggio 19494, il Governo austriaco

2 Vedi Allegato II.

3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 769.

4 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 878 e, in questo volume, D. 79.

ha preso una serie di misure che hanno per scopo convergente di «forzare» gli optanti a chiedere il riacquisto della cittadinanza italiana e il rientro degli optanti in Italia. In conseguenza di queste decisioni del Governo austriaco, l’optante si trova nelle seguenti condizioni:

1) gli è stato tolto lo status giuridico provvisorio che lo parificava di fatto ai cittadini austriaci. Di qui il timore di ricadere nello status dell’apolide o del cittadino tedesco al quale da un momento all’altro può essere negato il permesso di soggiorno in Austria;

2) per acquistare comunque la cittadinanza austriaca gli è stato fatto obbligo di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per ottenere la cittadinanza italiana;

3) deve dimostrare anche, per rimanere in Austria, qualora la sua domanda di riacquisto della cittadinanza italiana sia stata accolta, di essere nell’impossibilità materiale di fare ritorno in Italia. Impossibilità oltremodo difficile a dimostrarsi; comunque, per «incoraggiare» il ritorno in Italia, le Autorità austriache locali hanno cominciato a licenziare gli optanti che, avendo già inoltrato domanda di riacquisto, attendono di conoscerne l’esito.

La conseguenza di questo stato di cose, che è stato a suo tempo chiaramente denunziato al Governo austriaco, è che gli optanti hanno presentato in massa, più del 92%, la domanda di riacquisto della cittadinanza e che la maggior parte di questi, contro la loro volontà ed il loro stesso interesse, sarebbero costretti a far ritorno in Italia. Il punto di vista del Governo italiano è che queste misure costituiscono una aperta violazione dell’Accordo di Parigi5 il quale, partendo dalla premessa che la prima opzione determinata dall’Accordo Mussolini-Hitler era stata viziata da costrizione morale (ciò che già in se stesso è discutibile), mirava a ridare agli optanti la possibilità di prendere, in piena libertà di coscienza, la decisione più conforme ai propri interessi.

Noi consideriamo perciò che tutte le domande presentate dopo il 27 novembre ’48 (data della pubblicazione dei due primi provvedimenti) sono soggette alla legittima suspicione di essere viziate nella volontà. Disgraziatamente la legge italiana sulle opzioni, emanata a seguito dell’Accordo De Gasperi-Gruber, non dà modo di respingere per tale motivo le domande. Abbiamo perciò preso la sola decisione che fosse possibile prendere: abbiamo praticamente bloccato l’esame delle domande di opzione, presentate successivamente al 27 novembre ’48, nell’attesa che gli austriaci ci facessero qualche proposta di accettare un compromesso.

Trattative riservate fuori della normale via diplomatica, sono state effettivamente portate avanti per qualche tempo: ma, per ragioni tecniche che sarebbe troppo lungo spiegare a V.E., sono fallite.

Perciò Gruber ha mandato a chiamare Schwarzenberg a Vienna e gli ha dato istruzioni di riproporre l’intera questione, e le questioni annesse, al Governo italiano, richiamando la nostra attenzione sul pericolo, a suo dire imminente, che questo stato di cose porti ad attacchi sulla stampa e in Parlamento, e cioè ad una crisi nei rapporti italo-austriaci.

Il ministro d’Austria farà cenno probabilmente a V.E. anche di una proposta conciliante che egli afferma però essere per ora soltanto di sua ispirazione personale e non approvata dal suo Governo. Questa proposta consisterebbe nel far ritirare al Governo austriaco il provvedimento di cui al n. 2. Gli optanti potrebbero cioè richiedere, e il Governo austriaco prometterebbe di considerare benevolmente tale richiesta, di ottenere la cittadinanza austriaca anche qualora non fossero in condizioni di dimostrare che la loro domanda è stata respinta. Ho detto a Scwarzenberg, che me ne ha parlato a lungo oggi, che a mio parere sarebbe stato necessario annullare anche il provvedimento di cui al n. 3, cioè l’obbligo di dimostrare l’impossibilità economica materiale di ritornare in Italia; ciò che comporterebbe, naturalmente, anche l’annullamento dei licenziamenti

Comunque la proposta Schwarzenberg merita indubbiamente di essere presa attentamente in esame, esame che dovrebbe estendersi a tutti i suoi aspetti giuridici e tecnici. Soltanto qualora, sul piano politico e diplomatico, si fosse raggiunta una intesa di principio, sarebbe opportuno e necessario riunire le due delegazioni che avrebbero per compito di risolvere questo e tutti i problemi ad esso connessi6.

ALLEGATO I

LA LEGAZIONE D’AUSTRIA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA 433-RES/49. Roma, 24 novembre 1949.

Il Governo federale austriaco ha il rammarico di dover constatare, malgrado i propri ripetuti interventi per iscritto e verbali — per ultimo in occasione dei colloqui intercorsi a Roma nel luglio u.s. tra il consigliere di Stato Innocenti ed il ministro Versbach-Hadamar7, di cui era a conoscenza il Ministero italiano degli affari esteri — che le questioni connesse al problema degli optanti non sono ancora state portate ad una attuazione definitiva.

In modo particolare, si desidera tra l’altro attirare l’attenzione del Governo italiano sulle seguenti questioni:

1) sulla questione relativa al conferimento della cittadinanza italiana ai rioptanti. Il termine estremo stabilito dal decreto sulle opzioni (art. 13) per la decisione della Commissione in merito alle domande di riopzione presentate, è scaduto il 5 novembre c.a. Sembra che per una gran parte di tali domande non sia ancora seguita alcuna decisione da parte della citata Commissione: di modo che quei rioptanti attendono sempre invano una definizione delle proprie domande di riopzione.

7 Vedi DD. 122, 151, 211, 269 e 299.

2) Sulla questione della riassunzione dei rioptanti, già impiegati pubblici nei pubblici servizi italiani, come pure su quella della assunzione delle pensioni ed assicurazioni sociali, argomento sul quale, nel gennaio c.a., si è discusso con una delegazione austriaca un apposito disegno di legge predisposto da parte italiana. Il disegno di legge, per quanto consta al Governo austriaco, non è stato ancora presentato al Parlamento italiano. Eppure esso costituisce, per un gran numero di rioptanti, l’indispensabile premessa alla loro possibilità di rimpatriare.

3) Sulla questione del rimborso delle pensioni e delle assicurazioni sociali versate dal Governo federale austriaco ai rioptanti, nel periodo tra la riassunzione della cittadinanza italiana e il loro rimpatrio. Un accordo su tale argomento venne siglato a Roma il 22 gennaio c.a. Tale accordo fino ad ora non è stato firmato e non è entrato in vigore. Finora non è pertanto avvenuto un rimborso degli importi versati dall’Austria sotto forma di anticipi. È noto che il Governo federale austriaco ha deciso di non prendere in considerazione per scopi propri tali importi legittimamente dovutigli, oltre ad altri rimborsi da convenire prima col Governo italiano, bensì ad utilizzarli nell’ambito dell’accordo, ancora da concludersi, sui trasferimenti per i rioptanti che rimpatriano, cioè in favore di cittadini italiani.

4) Sul problema, già brevemente accennato nel precedente punto 3, relativo al trasferimento dei patrimonii dei rimpatrianti altoatesini. Prima della conclusione di un accordo sui trasferimenti, non esiste la possibilità, per i rioptanti rimpatrianti, di trasferire in Italia i crediti già esistenti in Austria o quelli risultanti da vendite occasionate dal loro rimpatrio, fatta eccezione per quelle minine somme di cui le reciproche disposizioni valutarie autorizzano l’esportazione ed importazione, somme che bastano appena a coprire il costo della vita per pochi giorni, senza parlare della sistemazione delle sia pure più necessarie masserizie domestiche. Uno schema dettagliato di proposte in vista di un apposito accordo è stato presentato da parte austriaca alla fine di giugno u.s. Malgrado ripetute insistenze, da quella data non è ancora stato fissato alcun termine per le trattative relative ad un problema di così estrema urgenza.

5) Infine, sulla questione dell’esercizio professionale in Italia di un gruppo numericamente assai ristretto di rioptanti, titolari di diplomi universitarii, i quali hanno già esercitato la loro professione in Italia. Sarebbe desiderabile dare la precedenza, in uno spirito di cordiale conciliazione, ad una soluzione di questo speciale problema, che non si ritiene debba presentare difficoltà insuperabili.

Il Governo federale austriaco resta in attesa che il Governo italiano voglia adoperarsi a dare sollecite disposizioni relative ai punti dall’1 al 3, ed alla più sollecita fissazione di un termine per la ripresa delle trattative relative alle altre questioni connesse col problema degli optanti8.

ALLEGATO II

RIASSUNTO DI ISTRUZIONI VERBALI RICEVUTE DAL MINISTRO SCHWARZENBERG

Il ministro Gruber si rammarica anzitutto che i contatti personali così fruttuosi, stabiliti nel novembre dell’anno scorso a Roma9, in quell’atmosfera di cordiale simpatia che il ministro Sforza aveva saputo creare intorno ad essi, non abbiano dato i risultati sperati in un campo che sta particolarmente a cuore al ministro Gruber, quello cioè del problema degli optanti.

Il ministro Gruber si preoccupa in particolare del fatto che l’aver oltrepassato la scadenza del termine previsto per il regolamento della questione degli optanti possa produrre perturbamenti negli ambienti parlamentari austriaci, specialmente del Tirolo, e dar luogo ad attacchi contro il Governo italiano per non aver esso soddisfatto ad impegni stabiliti da un trattato. Il ministro si troverebbe certamente in difficile situazione per rispondere a tali attacchi. Egli fa pertanto appello all’alta comprensione del ministro Sforza ed all’amicizia che gli è stata sempre da lui dimostrata, per pregarlo di voler intervenire in un momento in cui l’inopportuno rinvio di decisioni divenute assai urgenti rischia di compromettere i buoni rapporti finora felicemente esistenti fra i due paesi.

Si tiene ad affermare da parte austriaca di non ritenere affatto che il rinvio delle trattative e di soluzioni così necessarie ed urgenti possa essere in qualsiasi modo attribuito a S.E. il consigliere di Stato Innocenti. Il ministro Versbach-Hadamar ha avuto del resto occasione di testimoniare ripetutamente che S.E. Innocenti, anche in precedenti circostanze, si era attivamente adoperato per ottenere decisioni più sollecite nelle questioni in argomento.

È comunque indispensabile che le trattative vengano riprese; oppure, se ciò non dovesse sembrare in alcun modo opportuno alle Autorità italiane, che venga trovata un’altra formula per riavvicinarsi ad una soluzione dei problemi rimasti aperti.

Da parte austriaca si è pronti all’immediata discussione di qualsiasi suggerimento che le Autorità italiane ritengano utile presentare in questo campo, purché si possa intravedere in esso un progresso nelle note questioni.

Il ministro Gruber sarà pertanto grato a S.E. Sforza se questi vorrà interporsi nel senso che ancora entro quest’anno si raggiunga un accordo almeno sulle questioni più importanti ed urgenti collegate col problema degli optanti e che quest’ultimo, il quale esercita un peso così grave sui rapporti fra i due paesi, venga finalmente risolto con spirito di amichevole collaborazione.

435 1 Vedi D. 438.

436 1 Vedi Allegato I.

436 5 Vedi serie decima, vol. IV, D. 251.

436 6 In calce a questo appunto Sforza ha annotato in data 29 novembre: «Ricevuto il ministro chemi ha rimesso il promemoria e a titolo privatissimo, il riassunto. Gli ho detto che a Vienna hanno avutotorto di fare delle furberie, che noi abbiamo ragione, che potremmo portar sicuri la cosa all’Aja, ma che,quel che conta essendo l’avvenire, lo assicuro che darò qui istruzioni perché si trovi un componimento. Èvero che io so che Gruber ha sbagliato: ma so anche che è in una difficile posizione personale e che, inuna certa misura, lo aiuteremo a uscirne». Vedi D. 484.

436 8 Per la risposta italiana vedi D. 484, Allegato.

436 9 Vedi serie undicesima, vol. I, DD. 586 e 621.

437

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 5199/2693. Londra, 28 novembre 1949.

Ti ringrazio per le due lettere n. 3/5231 del 20 corr.1 e n. 3/5269 del 22 corrente2.

Mi trovo perfettamente consenziente sia con quanto tu scrivi così esauriente-mente a Gaja3 come sulla annotazione apposta dal ministro ai miei telegrammi 681 e 6824. Ritengo tuttavia da qui che per quanto si riferisce ad un nostro eventuale ritorno anche polemico alla tesi della indipendenza generale, esso sia arma da maneggiare con infinita prudenza poiché io non so se potremmo davvero averne dei grandi vantaggi. A mio avviso non certamente fino a quando non avremo potuto «rifarci le ossa», ben s’intende nel senso più pacifico dell’espressione. Non mi pare si possa non tenere conto che Inghilterra e Francia sono attualmente le potenze amministratrici che hanno già messo profonde radici nella Libia intera mentre noi arriviamo purtroppo dal di fuori, in una situazione delle più difficili e mercé l’aiuto di una coalizione di appoggi internazionali di carattere indubbiamente significativo e simpatico per la nostra ripresa, ma in sostanza eterogenea e labile per quanto riguarda il futuro.

La formula unità è più facile sia manovrata abilmente da chi già lavora dal di dentro che da noi. Non dimentichiamo poi che la Francia appare in questo momento legata sempre più a filo doppio con la Gran Bretagna e per motivi connessi col rinascente dinamismo germanico e per impedire quelli che a lei sembrano effetti disastrosi di una nostra possibile azione definitami «demagogica» nei rinnovati rapporti col mondo arabo della quale hanno avuto preoccupanti sintomi e ripercussioni in questa settimana all’O.N.U. Nei miei recentissimi rapporti con Massigli e con il ministro consigliere dell’ambasciata di Francia ho infatti avuto la precisa impressione del vivo disappunto di Parigi nei riguardi della nostra azione a Lake Success. Essi mi hanno lasciato ben chiaramente intendere che noi «abbiamo contribuito ad aprire pericolosamente i cancelli alle forze arabe» con eventuale minaccia per le posizioni dell’Europaoccidentale. È naturale che la conseguenza logica di questi timori sia, a Parigi, come a Londra, il cercare reciprocamente difesa a tempo con l’altra potenza amministratrice.

Il mio parere perciò è che da parte nostra, mentre l’Assemblea delle Nazioni Unite siede ancora a Lake Success, si affretti l’entrata in azione della Commissione dei Dieci (questo è il positivo nostro successo) onde non avvengano, prima che essa cominci a funzionare, fatti tali che rendano poi più difficile la nostra azione e la salvaguardia dei nostri interessi, non solo economici, in Tripolitania.

Ritengo poi che nello stesso senso convenga lavorare, se possibile, presso le

N.U. per quanto riguarda la Commissione consultiva in Somalia e quella in Eritrea. Tali Commissioni possono, in ogni modo, rappresentare «l’occhio aperto» delle N.U.

2 Non rinvenuta.

3 Lettera del 21 novembre, non pubblicata.

4 Vedi D. 409.

a tutela anche dei nostri interessi sopra una situazione che può diventare pericolosa ove gli elementi a noi sfavorevoli fossero con precisa intenzione contrari ai nostri interessi. In caso cioè di fallimento di una collaborazione italo-britannica per indiscutibile, caparbia intransigenza nei nostri riguardi.

Certo è che il nostro ritorno in Somalia ha un’importanza capitale per la nostra posizione generale anche nelle altre colonie e soprattutto per il futuro dell’Eritrea. Esso costituisce una esperienza storica per la dignità e il prestigio del nostro paese e l’impressione mia è che da tutte le parti ci si aspetti al varco di questa difficoltà per giudicare della serietà non soltanto delle nostre aspirazioni per un ritorno in Africa ma anche delle nostre vere possibilità.

437 1 Vedi D. 414.

438

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13579/587. Parigi, 29 novembre 1949, part. ore 11,03 del 30 (perv. ore 15).

Trasmetto seguente telegramma ministro Grazzi:

«Prima seduta1 dà luogo constatazioni allarmanti. Se da un lato Francia, che in precedenti colloqui con noi si era mostrata tendenzialmente molto più avanzata nei progetti libera[lizza]zione che non Italia, oggi ha invece sposata nostra tesi di progressi lenti e non legati a percentuali libera[lizza]zione fissa, sono apparse le seguenti profonde divergenze:

1) Benelux subordina l’applicazione accordi regionali ad inclusione Germania. Francia, appoggiata da nostra delegazione, rinvia esame questione;

2) da parte olandese insistesi su libera[lizza]zione 75% contingenti entro 1° gennaio 1951, e 100% entro 31 luglio salvo eccezioni limitatissime;

3) Olanda e Belgio propongono che avvenga, unitamente a libera[lizza]zione contingenti, revisione dazi doganali perfino quelli concordati recentemente Annecy;

4) francesi insistono per cambio flessibile cui Olanda si oppone.

Evidente esagerazione proposte olandesi può dimostrare tentativo silurare conferenza, ma comunque pone nostro paese, specialmente in relazione ai punti 2 e 3, in posizione estremamente difficile. Atteggiamento francese pertanto sta avvicinandosi al nostro. Oggi potrebbe predirsi, salvo ulteriore svolgimento, insuccesso lavori per cui se noi non vorremo essere accusati di una condotta del tutto negativa, cui insuccesso potrebbe esserci imputato, dovremo per lo meno adattarci ad allargamento politica liberale con la sola Francia».

438 1 Grazzi presiedeva la delegazione italiana alla Conferenza Fritalux.

439

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO

TELESPR. SEGRETO 3/5434. Roma, 29 novembre 1949.

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato il 21 novembre la risoluzione propostale dal Comitato politico sulla questione delle ex colonie italiane, risoluzione che, per quanto riguarda l’Eritrea è del seguente tenore:

«L’Assemblea generale …

Per quanto concerne l’Eritrea raccomanda:

1. -Che una Commissione composta dei rappresentanti di non più di cinque Stati membri, e cioè Birmania, Guatemala, Norvegia, Pakistan, Unione del Sud Africa, venga nominata allo scopo di accertare con maggiore completezza i desideri degli abitanti dell’Eritrea e i mezzi più adatti per promuoverne il benessere, di esaminare la questione della sistemazione dell’Eritrea e di preparare un rapporto per l’Assemblea generale unitamente a quelle proposte che essa riterrà appropriate per la soluzione del problema eritreo. 2. -Nell’espletare tali sue funzioni la Commissione effettuerà tutti gli opportuni accertamenti, comprese le informazioni scritte e verbali dell’attuale potenza amministratrice, dei rappresentanti delle popolazioni del territorio, minoranze incluse, dei Governi e di tutte quelle organizzazioni e quegli individui che essa riterrà necessario. In particolare, la Commissione terrà in considerazione:

a) le aspirazioni e il benessere degli abitanti dell’Eritrea, le esposizioni dei vari gruppi razziali, religiosi e politici delle provincie di detto territorio, e la capacità delle popolazioni ad autoamministrarsi;

b) gli interessi della pace e della sicurezza in Africa orientale;

c) i diritti e le aspirazioni dell’Etiopia, basati su motivi geografici, storici, etnici o economici e, in particolare, il legittimo bisogno dell’Etiopia di un adeguato sbocco al mare.

3. -Nel formulare le sue proposte, la Commissione terrà conto dei vari suggerimenti circa la sistemazione dell’Eritrea che sono stati presentati durante la quarta sessione ordinaria del-l’Assemblea generale. 4. -La Commissione si adunerà nella sede delle Nazioni Unite non appena possibile. Si recherà in Eritrea e visiterà anche tutti gli altri luoghi che a suo giudizio ritenga necessario per espletare le sue funzioni. La Commissione adotterà proprie regole di procedura. Il suo rapporto, la sua proposta o le sue proposte verranno comunicate al segretario generale non più tardi del 15 giugno 1950 per essere distribuite agli Stati membri in guisa da rendere possibile l’esame definitivo della questione durante la quinta sessione ordinaria dell’Assemblea generale. Il Comitato interinale dell’Assemblea generale, esaminerà il rapporto, la proposta o le proposte della Commissione e preparerà, a sua volta, un rapporto con le sue conclusioni alla quinta sessione ordinaria dell’Assemblea generale.

È per noi motivo di particolare compiacimento il fatto che il Guatemala sia stato compreso nella Commissione che dovrà svolgere in Eritrea la inchiesta decisa dalle N.U. e ritengo opportuno che la S.V. prenda al più presto contatto con codesto Governo — e possibilmente con la persona che verrà designata da costì come membro della Commissione — per illustrare ancora una volta, e nella presente fase della questione eritrea, il nostro punto di vista.

Come le è noto, noi abbiamo per lungo tempo richiesto che venisse affidata all’Italia l’amministrazione fiduciaria di questa sua antica colonia e in tale richiesta abbiamo anche avuto l’apprezzato appoggio di codesto Governo. Fu soltanto quando la realizzazione di tale, del resto più che giustificata aspirazione, apparve impossibile, che dovemmo studiare altre soluzioni. Nella ricerca di tali soluzioni, il primo scopo da conseguire fu quello di evitare l’annessione dell’Eritrea all’Etiopia in quanto ciò avrebbe prodotto in breve volgere di tempo la rovina dell’opera di civiltà che a prezzo di sangue, di lavoro, di capitali, due generazione di italiani vi avevano compiuto, elevando anche il tenore di vita alle popolazioni indigene (musulmane e copte) oggi assai superiore a quello delle finitime popolazioni sottoposte alla sovranità etiopica. Per rendersi conto del destino che in tale caso sarebbe stato riservato all’Eritrea basta considerare ciò che già è avvenuto nella stessa Etiopia dove quasi tutte le opere di bonifica e di valorizzazione compiute dall’Italia nei cinque anni compresi fra il 1936 e il 1941 si trovano ora in pieno abbandono, quando non sono addirittura state distrutte.

Sarebbe stata questa una jattura non solo dal punto di vista italiano, ma altresì dal punto di vista della civiltà europea e cristiana. La nostra Nota verbale 3/722/C. del 4 marzo 1949 (di cui ad ogni fine si allega il testo in italiano e spagnolo, annesso I)1 tendeva appunto ad evitare l’annessione dell’Eritrea all’Etiopia e le considerazioni contenute in tale nota possono considerarsi tuttora attuali. Sostanzialmente miravamo con tale Nota ad ottenere un rinvio per facilitare a tutti la comprensione del problema ed evitare affrettate e fatali decisioni. Come le è noto fu avanzata più tardi una proposta di spartizione che contemplava speciali statuti per le città di Asmara e Massaua2. Tale proposta non fu approvata dalle Nazioni Unite, ma comunque, ad un più approfondito esame apparve che le garanzie da essa contemplate per la comunità italiana non risultavano in pratica sufficienti a tutelarne né lo sviluppo né la esistenza (vedi annesso II)3.

Nel frattempo tuttavia si era palesata una forte tendenza all’indipendenza del territorio, idea questa alla quale rapidamente si associavano molti degli stessi «unionisti» che sino allora avevano sostenuto l’annessione all’Etiopia. Questa tesi dell’indipendenza non poteva del resto che incontrare, come infatti incontrò, largo favore all’O.N.U. e risultò tosto chiaro che soltanto tale proposta avrebbe potuto avere sufficiente forza psicologica e politica per attrarre la maggioranza delle popolazioni interessate. Da ciò le istruzioni contenute nel telespresso ministeriale n. 3/3529/C. del 1° settembre u.s.4 a sostegno della tesi dell’indipendenza e, in linea subordinata, di un nuovo rinvio. Questo obbiettivo è stato nella recente sessione dell’O.N.U. raggiunto in quanto, pur tra vivaci contrasti per la opposizione britannica, la tesi dell’indipendenza ha fatto ampio cammino, mentre scarso appoggio ebbe tanto la tesi della annessione all’Etiopia quanto quella della spartizione. Va qui rilevato che le tesi intermedie, recentemente presentate all’O.N.U. in via di compromesso, e poi ritirate,

2 Ibid., D. 875.

3 Non rinvenuto.

4 Vedi D. 172.

dalla delegazione americana, non appaiono contenere sufficienti garanzie per l’Eritrea. Infatti, l’unione dell’Eritrea con l’Etiopia, come due distinte unità sotto la corona del negus, non salvaguarderebbe in alcun modo l’individualità della antica colonia italiana. In breve volgere di tempo infatti data la continuità territoriale, l’intransigenza propria di un paese arretrato come l’Etiopia e la difficoltà di ottenere che i gregari etiopici rispettino norme di diritto internazionale (quando nemmeno rispettano quelle di diritto interno), l’Eritrea si troverebbe completamente amalgamata alla Etiopia e in preda a disordini e rovine. Lo stesso dicasi per la proposta di federazione. Diversa invece una unione economica la quale implica semplicemente libero scambio di prodotti fra i due territori e libero uso dei porti eritrei da parte dell’Etiopia.

Confidiamo pertanto che codesto Governo anche attraverso il proprio rappresentante nella Commissione di inchiesta continui a prestare alla causa dell’indipendenza, che ha del resto profonde radici nella tradizione storica di codesto paese, il suo valido appoggio.

In pacco a parte le rimetto alcune pubblicazioni sull’Eritrea che ella vorrà consegnare alla persona designata da codesto Governo come proprio rappresentante nella Commissione di inchiesta, con riserva di fargli pervenire tutte quelle informazioni che esso potrebbe desiderare e che la S.V. vorrà eventualmente richiedere a questo Ministero.

439 1 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 484.

440

IL MINISTRO A BAGHDAD, ERRERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13575/33. Baghdad, 30 novembre 1949, ore 13,40 (perv. ore 16,45).

Mi riferisco al telespresso di V.E. 45/22034 del 19 novembre1.

Stamane questo ministro degli affari esteri mi ha annunziato ufficialmente che a seguito deposito strumento ratifica trattato di pace Iraq considera formalmente terminato stato di guerra con Italia. Inizia trattativa sblocco beni.

440 1 Con il quale era stato ritrasmesso il Telespr. 1159/4039 del 24 ottobre da Parigi, non pubblicato, relativo all’adesione dell’Iraq al trattato di pace.

441

IL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 218/114. Francoforte, 30 novembre 1949 (perv. il 3 dicembre).

Ho fatto visita stamani all’alto commissario francese signor François-Poncet che ha molto gradito il messaggio verbale di saluto del quale ero stato incaricato, e che è stato poi particolarmente sensibile all’autografo dedicatogli da V.E. sull’opuscolo affidatomi.

Egli si è subito espresso in termini di altissima ammirazione per V.E. aggiungendomi che purtroppo le idee camminano tra gli uomini troppo a rilento e che egli stesso, per quanto riguarda l’Italia, aveva, in tempi che sembrano ormai remoti1, auspicato quella politica e quei concetti che a V.E. è dato oggi di poter personalmente perseguire.

Gli ho allora riconfermato che le direttive della politica estera italiana, secondo le parole di V.E., erano ispirate alla necessità di una profonda intesa fra i nostri due paesi, che insieme non potevano che meglio servire la causa dell’Europa e della pace. Il signor François-Poncet a questo punto, profondamente compiaciuto di quanto gli dicevo, mi ha espresso il suo rammarico che, nonostante gli insegnamenti del passato e per sole resistenze di ambiente, non si sia ancora compiuto tutto il cammino che sarebbe stato necessario percorrere ed ha citato ad esempio l’Unione doganale come uno degli elementi della politica tra i due paesi che egli avrebbe già voluto vedere un fatto compiuto.

Egli mi ha detto: occorre abbandonare la politica dei contingenti e delle restrizioni commerciali, se si vuol giungere a quella intesa europea che tutti auspichiamo; occorre che ad esempio il setaiolo di Lione e quello di Como non si considerino dei concorrenti, ma degli associati, e che si giunga ad una determinazione perfino dei rispettivi mercati di esportazione. Per la Germania ad esempio, egli mi ha detto, vi sarà posto per le esportazioni ortofrutticole tanto italiane che francesi e così per altri prodotti. La Germania tra pochissimo tempo sarà un mercato con capacità di assorbimento incalcolabile.

Gli ho chiesto a questo momento quale fosse il suo pensiero sulla aspirazione della Germania, di cui mi pareva si avevano chiari indizi, ad entrare in una organizzazione economica come quella progettata tra l’Italia, la Francia ed il Benelux; se in particolare egli era favorevole ad estendere alla Germania il principio della liberalizzazione. Il signor François-Poncet mi ha risposto affermativamente aggiungendo: si dovrà giungere ad un tale provvedimento — ed egli pensava evidentemente alla integrazione della Germania alla Europa — in un avvenire non lontano; meglio affrontare il problema, con tutti i suoi rischi, subito, al momento cioè in cui la Germania è debole e la sua produzione — egli ha insistito su questa affermazione — è scadente.

Gli ho chiesto se gli risultava, giungendomi su ciò notizie contradditorie, che esistesse una politica dei prezzi in Germania. Certo mi ha detto, e dovremo farla cessare; esiste una tendenza a praticare il dumping, veda cosa succede col carbone! Ma, egli ha aggiunto, in questo caso essi hanno la protezione non degli americani ma degli inglesi.

Avendogli io dato qualche impressione dello stato d’animo dei tedeschi, quale mi era apparso in queste prime settimane di soggiorno in questo paese, ed accennato a questo sentimento di apatia che sembra prevalere nella massa della popolazione, e che solo in questi ultimi giorni, di fronte alla eccezionalità del momento politico, ha sembrato risvegliarsi lentamente all’interesse della cosa pubblica, il signor François-Poncet mi ha risposto: è esatto, ma lo spirito tedesco di sempre sta tornando a poco a poco alla superficie, a sfondo nazionalistico e, ha aggiunto, non senza una punta diarroganza. È un continuo tentare de nous arracher qualche concessione, o le missioni diplomatiche, o la maggiore potenza del naviglio mercantile o altro.

Qui le cose camminano molto in fretta: abbiamo redatto lo statuto di occupazione tre mesi fa, egli mi ha detto, chi avrebbe mai pensato di doverlo già rivedere a così breve distanza di tempo? Ed è necessità anche per noi di camminare in fretta e procedere alla integrazione all’Europa della Germania occidentale, per evitare che possa rivolgersi verso Oriente. Essendomi mostrato scettico a questa eventualità — non essendomi apparso per ora il benché menomo sintomo non dico nelle sfere governative, ma nemmeno nella opinione pubblica in genere e nel campo sindacale in particolare, che possa far pensare a questo — il signor François-Poncet mi ha detto con una frase molto indicativa del fondo del suo pensiero: in Germania è possibile tutto, sopratutto dei repentini cambiamenti di carattere politico, avendo in ciò forse piuttosto presenti gli avvenimenti dell’immediato anteguerra in regime totalitario che le possibilità di manovra di un Governo in regime democratico sottoposto alla pressione della opinione pubblica.

Lo stesso signor François-Poncet a questo punto, seguendo il filo logico del suo pensiero, mi ha parlato della situazione internazionale: non mi ha nascosto le sue apprensioni, mi ha accennato alla impossibilità di un eterno perdurare del presente stato di cose, al dilemma dell’avvenire il cui segreto risiede nell’evoluzione dei rapporti Russia-Stati Uniti e spontaneamente è passato al problema del riarmo della Germania.

Ci si sarebbe potuti attendere da lui a questo punto una presa di posizione simile a quella assunta dalla maggioranza della Camera dei deputati francese nella recente discussione degli accordi di Petersberg. Il signor François-Poncet non ne ha fatto il minimo cenno. Egli mi ha invece semplicemente detto che il riarmo della Germania è oggi una cosa impossibile perché potrebbe essere considerato un casus belli dalla Russia. E pur mostrandosi scettico sulla volontà combattiva del popolo russo in questo momento egli ha detto che non vi è dubbio che in caso di conflitto la Russia vincerebbe la prima manche. Occorrerebbe passare alla seconda, che perderebbe, e non ha aggiunto altro.

Accanto a questa opinione di un uomo politico francese sui pericoli di un riarmo tedesco credo interessante citare — mi sia permessa una illazione — la concomitanza di pensiero di essa con quella di una acuta personalità tedesca che per la sua posizione potrebbe rappresentare il riflesso delle idee prevalenti in seno al Governo di Bonn, e cioè del dr. Fritze, direttore della D.P.A. — la grande agenzia di informazioni della Germania — che è venuto a farmi visita la scorsa settimana. Sullo stesso argomento egli si è espresso quasi con le stesse parole aggiungendo: gli Alleati potranno fare tutto e la Russia tacerà o protesterà sul terreno politico: il trattato di Potsdam resta in piedi. Esso sarà però veramente lacerato il giorno in cui si passasse al riarmo della Germania.

Riferendomi all’accenno da lui fattomi sul risveglio del nazionalismo, ho chiesto al signor François-Poncet se egli ritenesse che i tedeschi desiderassero il riarmo. Mi ha risposto negativamente e mi ha aggiunto di ritenere che l’ideale per i tedeschi in questo momento sarebbe addirittura quello di diventare qualcosa come la Svizzera, un paese neutrale.

Sul problema del riarmo mi riserbo tuttavia di riferire ancora a V.E. in prosieguo di tempo, sopratutto in relazione ad una segnalazione giuntami da Monaco secondo la quale avrebbe avuto luogo colà recentemente una riunione segreta di ufficiali tedeschi con la presenza di un osservatore americano.

Il signor Fraçois-Poncet ha terminato il nostro incontro con un ultimo accenno al problema generale della Germania. La Germania, egli mi ha detto, ed è interessante rilevare in qual modo questa sua osservazione si inserisca nella successione logica del nostro colloquio, deve essere restituita all’Europa, attraverso i vari mezzi di integrazione, ma come parte di una unità organica, che si chiama Occidente europeo.

Il signor François-Poncet, che ha improntato tutta la nostra conversazione ad uno spirito di franchezza e di grande amicizia per il nostro paese, mi ha infine promesso tutto il suo appoggio nel corso del mio lavoro qui, e mi ha invitato ad andarlo a vedere ogni volta che ne avessi la necessità.

Da parte mia lo ho ringraziato della cordiale accoglienza riservatami assicurandolo che avrei trasmesso a V.E. — alla quale egli si riprometteva di scrivere anche personalmente — il suo amichevole messaggio di saluto.

441 1 Quando era stato ambasciatore a Roma negli anni ’38-’40.

442

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13621/722. Londra, 1° dicembre 1949, ore 14,20 (perv. ore 16).

Nostra delegazione che, presieduta da Magistrati, ha avuto in questi giorni incontro con delegazione americana nel quadro dei contatti previsti dal Patto atlantico, ha terminato ieri suoi lavori.

Atmosfera dell’incontro stesso è apparsa ispirata a cordialità e comprensione. In riassunto da parte nostra, con esposizione documentata della nostra situazione e delle nostre possibilità, è stato fatto presente come Governo italiano, pur senza prendere oggi alcun preciso impegno finanziario né dare affidamenti di natura immediatamente concreta, ritiene che nostra industria possa presentare, ai fini comuni difensivi, prospettive di notevolissimo interesse. In altre parole si è molto insistito, anche con memorandum confidenziale, su particolare fisionomia delle nostre possibilità costituite da esistenza efficienti attrezzature e mano d’opera specializzata.

Da parte americana è stato consegnato il questionario, già inviato in allegato al mio telespresso 041 del 29 novembre1, cui risposte dovranno essere date nelle prossime settimane a Roma.

Delegazione americana ha dato alla stampa un comunicato cui testo, preventivamente sottoposto alla nostra delegazione per approvazione, è stato telefonato iersera a codesto Ministero.

Prego informare Ministeri tesoro e difesa.

443

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTISSIMO 13658-13660/594-595. Parigi, 1° dicembre 1949, part. ore 12,35 del 2 (perv. ore 15).

A firma Grazzi: «Conferenza sembra sia giunta limite rottura. Francesi si sono accostati, come già segnalato1, nostra tesi salvo per questione cambio flessibile con quotazioni mercato ossia con rottura delle cross rate su cui insistono rigidamente.

Benelux per immediata libera[lizza]zione 75% ed impegno senza nessun correttivo libera[lizza]zione totale, che come massima concessione potrebbe giungere al dicembre 1951. Nostra delegazione invece sostiene in via immediata modesto aumento globale libera[lizza]zione in confronto al piano generale O.E.C.E. salvo ricorso altre forme quali aumento contingenti e comunque necessità che libera[lizza]zione totale sia dipendente da sviluppo ed applicazione prima parte memorandum francese2 cui abbiamo anche aggiunto liberalizzazione mano d’opera; nonché libera[lizza]zione avanzi progressivamente mediante trattative bilaterali nel quadro multilaterale.

Delegazione francese, riprendendo nostra idea, è passata proposte concrete e cioè libera[lizza]zione 60% per categorie entro breve termine (per noi dopo tariffa C) e restante dopo soddisfacente sviluppo misure generali con clausola a salvaguardia (da precisare) e clausola eventuale riduzione dazi proibitivi secondo clausola già stabilita O.E.C.E.

Tutte delegazioni si sono riservate risposta per stasera.

Sta di fatto:

1) tutto dipende da rigidità ed estensione che riusciremo dare e fare accettare nostri impegni e proposte di cui prima parte memorandum francese;

2 Non pubblicato ma vedi D. 412, nota 2.

2) da maggiore o minore arrendevolezza che francesi finiranno col mostrare relativamente grado applicazione clausole stesse al fine pervenire libera[lizza]zione totale.

In caso arrendevolezza francese ci troveremmo è vero isolati, ma tuttavia con migliori possibilità di difesa di fronte americani, giustificando nostro rifiuto con rifiuto altrui di armonizzare sostanzialmente economie paesi partecipanti. Comunque a seguito rigidità istruzioni impartiteci da C.I.R. non potremmo aderire.

In tale caso occorre massima urgenza esaminare se convenga:

a) sottoscrivere una raccomandazione di minoranza;

b) sottoscrivere risoluzione comune ma esprimendo gravi riserve circa possibilità approvazione nostro Governo. Ciò consentirebbe è vero ulteriore esame da parte Governo italiano ma successivo nostro rifiuto aggraverebbe già delicato aspetto politico nostra decisione.

Prego telegrafarmi massima urgenza:

1) quale via sia giudicata preferibile caso eventuale rottura;

2) se nostre istruzioni sono suscettibili di una certa elasticità in tutti i settori controversi compresa questione cambio.

Occorre che istruzioni pervengano mezzogiorno sabato e siano comunque risultato deliberazione di Governo3».

442 1 Non rinvenuto.

443 1 Vedi D. 438.

444

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. URGENTE 089. Roma, 1° dicembre 1949.

È presumibile che si arrivi entro più o meno breve termine a riconoscimento Governo comunista cinese da parte Gran Bretagna, India e altri membri Commonwealth; è anche da prevedere che buona parte Stati europei, per influenze Londra, e sopratutto per necessità salvaguardare loro interessi in Cina, seguano esempio britannico. In tal caso si presenterebbe anche per noi problema riconoscimento Governo comunista. Noi non abbiamo interessi materiali tali che ci impongano una linea di condotta piuttosto che un’altra. Ma stessa mancanza tali interessi non (dico non) ci pone in contrasto con Governo comunista, e toglierebbe nostro riconoscimento carattere mercanteggiamento o timorosa difesa.

In tali condizioni ci si può domandare se nostro eventuale riconoscimento effettuato insieme primo gruppo non ci darebbe possibilità di osservazione e di interventi

in Cina, che potrebbero riuscire utili anche Stati Uniti e quegli altri Governi che, come francese, potrebbero avere motivi per ritardare formale riconoscimento.

Abbiamo provato nostra volontà collaborare lealmente con codesto Governo accogliendo immediatamente sua richiesta associarsi a protesta per trattamento inflitto ad autorità consolari americane in Manciuria. Confermiamo, anche in questa occasione, nostro proposito non prendere iniziative senza prima averne informato codesto Governo. Tuttavia non possiamo nasconderci che incalzare avvenimenti politici e militari potrebbero portarci a situazione in cui nostra continuata astensione da riconoscimento, appunto per mancanza particolari interessi, acquisterebbe valore politico ancora più marcato.

Prego V.E. accennare opportunamente quanto precede al Dipartimento di Stato e far conoscere telegraficamente cosa si pensi costà a tale proposito, anche per nostro orientamento in relazione al memorandum britannico1 e contatti con principali Governi interessati2.

443 3 Le istruzioni furono date per telefono, vedi D. 446.

445

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13678/730. Londra, 2 dicembre 1949, ore 20,45 (perv. ore 7,30 del 3).

Mio telegramma 7231 e odierna telefonata.

In odierna lunga conversazione Stewart prendendo atto nuovamente con soddisfazione della riconferma del passaggio da Londra dei nostri esperti diretti a New York, ha sottolineato:

1) tutta l’importanza che fosse da parte nostra preparato quale possibile base di discussione un progetto di accordo di trusteeship al fine di cercare che il preliminare esame di New York avvenisse su di un nostro progetto e non invece su delle proposte avanzate dai paesi più estremisti in materia di controlli coloniali;

2) l’opportunità inoltre che con degli scambi di vedute amichevoli e discreti si cercasse di concordare preventivamente a Londra un testo che, pur salvaguardando gli impegni internazionali assunti e le altrui suscettibilità, permettesse anche alla Gran Bretagna di svolgere ogni utile azione al fine di farne facilitare l’approvazione. Data la ristrettezza del tempo secondo il F.O. tali scambi di vedute potrebbero esaurirsi in due giorni.

2 Per la risposta vedi D. 460.

Circa il punto primo, parlando a titolo confidenziale, Stewart si è chiaramente riferito all’interesse italiano di limitare l’ingerenza ed i controlli internazionali relativamente al mandato somalo, in quanto se le tendenze più estreme dell’O.N.U. dovessero prevalere, Italia rischierebbe accollarsi i gravosi oneri militari e finanziari con limitati corrispettivi, amareggiati da probabili rischi e endemiche interferenze nella sua azione di amministrazione. A tale riguardo le ultime informazioni britanniche segnalavano da più parti l’intenzione di fare dell’accordo di trusteeship italiano «trattato modello» concretizzante le nuove formule raggiunte dall’O.N.U. in materia coloniale. In parole povere un accentratissimo controllo internazionale con ogni probabilità regolamentato da paesi inesperti di problemi africani.

Circa il punto 2, senza dirlo esplicitamente, Stewart ha tuttavia fatto comprendere che l’interesse britannico a ricercare, d’accordo con noi, una base di discussione per il trattato era dettato da un duplice motivo: il primo, quello di facilitarne l’approvazione da altri dopo che fosse stato vagliato dagli uffici inglesi; il secondo, indubbiamente di impedire, pur salvaguardando tutte le forme, che fosse creato un precedente pericoloso in Africa, estendibile in tempi successivi ai territori di amministrazione britannica.

444 1 Vedi D. 359.

445 1 Del 1° dicembre, con il quale Gallarati Scotti aveva riferito circa l’interesse britannico a chegli esperti italiani diretti a New York passassero per Londra e l’auspicio che fossero latori di un progettodi accordo di trusteeship.

446

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13687/598. Parigi, 3 dicembre 1949, ore 14,04 (perv. ore 15,30).

Trasmetto seguente telegramma del ministro Grazzi:

«Riferimento telefonata odierna Venturini. Delegazione ringrazia per istruzioni ed incoraggiamento pervenuti. Come prevedevo questa mattina di fronte certezza sospensione conferenza delegazione francese ha offerto ad olandesi molte concessioni che salvo discussione che prosegue pomeriggio non (dico non) mi paiono accettabili da noi nel rapporto comune. Prevedo quindi che in taluni punti dei rapporti finali ci potranno essere affermazioni o riserve da parte della sola delegazione italiana»1.

446 1 Con il T. 13709/600, pari data, Grazzi riferì sulla riunione pomeridiana: «Avendo conseguitoche francesi moderassero loro offerte a Benelux, fronte franco-italiano è rimasto, almeno per ora, inalterato. Così delegazione olandese e belga ritenendo che nemmeno con questo ulteriore passo, che lascia tuttavia ancora alcune grosse questioni aperte, loro Governi possano aderire proposte franco-italiane sonopartiti per consultare e rientreranno mercoledì. Comitati continuano frattanto loro lavori».

447

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 13696/734. Londra, 3 dicembre 1949, ore 14,04 (perv. ore 20).

Seguito mio telegramma 7301.

In corso conversazione di ieri sera che, per delicate questioni trattate e grandezza scambi vedute, ha dato impressione accentuazione tendenza collaborativa britannica, Stewart ha voluto anche approfondire argomento nostro ritorno in Somalia in alcuni suoi più delicati aspetti politico-militari.

Ha premesso che sue osservazioni e consigli, del tutto amichevoli e strettamente confidenziali, erano ispirati da vive preoccupazioni regnanti al Foreign Office per inevitabili rischi, locali ed internazionali, connessi con il nostro effettivo ritorno in Somalia. Questi suggerimenti erano anche dettati dalla comune necessità che, di fronte ad africani e soprattutto all’O.N.U., momento passaggio poteri nonché tutto periodo di saldatura — cioè fino a definitiva approvazione da parte prossima Assemblea (settembre 1950) dell’accordo di trusteeship — trascorressero i più lisci possibili.

Volendo sintetizzare suo pensiero Stewart ha testualmente affermato che nostra occupazione e amministrazione dovevano subito corrispondere — ad avviso del Foreign Office — a seguenti requisiti: «serietà», «fermezza» e «tatto».

Per serietà intendeva soprattutto quella organizzativa militare, per la quale Foreign Office faceva ulteriore appello a che nostro corpo di spedizione rispondesse pienamente (senza per questo cascare in impolitiche esagerazioni auspicate da alcuni organi di stampa italiana) a quanto era stato al riguardo concordato. Ciò in particolare per quello che concerneva il numero dei militari e la necessità che fossero, almeno per i primi mesi, dei bianchi cioè: truppe di tutta fiducia. Rispondendo su questo punto ad un preciso quesito postogli, Stewart ha detto doversi senz’altro prevedere, per motivi ovvi dopo gli anni e gli avvenimenti trascorsi, degli incidenti locali ma non potersi anche escludere che esasperazione abissina dopo decisioni O.N.U. si avvalga in qualche modo di questo nostro primo ritorno ai confini dell’Etiopia per fomentare movimenti ostili più gravi, più vasti e più continui. Circa quest’ultimo confidenzialissimo accenno a possibile azione etiopica, Stewart ha voluto però subito aggiungere che Governo britannico non (dico non) ne aveva assolutamente ora alcuna prova e che accenno stesso ci era fatto solo per motivi prudenziali.

Fermezza era consigliata dalle recenti esperienze dell’amministrazione inglese e dal timore che a Roma non si realizzasse appieno che la situazione locale era ben cambiata da come l’Italia l’aveva lasciata. Qualche mese di nostra giusta ma necessariamente ferma disciplina avrebbe potuto tonificare l’ambiente.

Tatto: assolutamente necessario in relazione alle situazioni ed alle necessità più sopra prospettate, poiché avremmo avuto su di noi gli occhi del mondo ed in ogni

caso un ben preciso e non comodo controllo internazionale che, date le presenti tendenze dell’O.N.U., sarebbe pronto ad accentuarsi, anche per l’interessato intervento di terzi, ad ogni possibile occasione e quindi a complicare la nostra già non facile azione di amministratori.

Conversazione si è chiusa con ulteriore richiamo a suo carattere amichevole e confidenziale.

447 1 Vedi D. 445.

448

L’AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13719/142. Varsavia, 3 dicembre 1949, ore 22 (perv. ore 15,45 del 4).

Mio telegramma n. 1371.

Nostre proposte transattive, sempre quando reiteratamente illustrate e appoggiate anche da argomentazioni non puramente economiche, hanno qui formato oggetto riunione interministeriale presieduta da Minc e risulta a me questo ministro degli affari esteri si è adoperato per studiare e adattare opportuna formula.

Risposta datami oggi è seguente:

«Governo polacco è pronto inviare delegazione commerciale per realizzare protocollo relativo beni investimento e un delegato per condurre conversazioni finanziarie. Compito di questo delegato consisterebbe nel confrontare approssimativamente, insieme ai delegati italiani, reciproche pretese e discutere modus procedendi per futuro».

Ho replicato che, a mio avviso, questa era da considerarsi risposta negativa ma che, comunque, avrei riferito a codesto Ministero per le decisioni del caso.

Avendo domandato ancora una volta, (mio telespresso urgente 022)2 ed in modo preciso se Polonia aveva tuttora specifico interesse a sviluppare scambi con l’Italia mi è stato risposto affermativamente.

Questo colloquio ha riconfermato mia precedente impressione che, oggi, atmosfera politica si ripercuote negativamente anche su quello che sarebbe beninteso interesse polacco.

Poiché serie ragioni famiglia mi costringono prendere primo mezzo utile per breve soggiorno Roma, sarò costì a disposizione prossima settimana per eventuali chiarimenti ed istruzioni.

448 1 Del 28 novembre, con il quale De Astis comunicava che le trattative commerciali erano incorso e non si ritenevano opportune sollecitazioni.2 Non rinvenuto.

449

LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA RISERVATA URGENTE 3410/36435/486/3/2. Roma, 3 dicembre 1949.

In relazione al telespresso segr. pol. n. 16/1315 del 1° corr.1, questa Presidenza ritiene che per la risposta da dare al memoriale presentato il 29 novembre u.s. dal ministro di Austria, concernente le questioni connesse al problema degli optanti, siano da tener presente i seguenti punti:

1) per quanto riguarda il conferimento della cittadinanza italiana ai rioptanti, a parte la considerazione che il termine stabilito dall’art. 13 del decreto sulle riopzioni — secondo l’interpretazione giuridica unanimamente accettata — non ha carattere di perentorietà ma è soltanto ordinatorio, il Governo italiano si è visto costretto a soprassedere all’esame delle domande presentate dopo il 27 novembre 1948 dagli optanti emigrati in Austria, a seguito delle pressioni su di essi esercitate dal noto deliberato austriaco del 2 novembre2, il cui carattere di intimidazione venne sostanzialmente ribadito col successivo provvedimento del 3 maggio scorso3.

È noto che l’irrigidimento austriaco di fronte alla richiesta italiana di rendere di pubblica ragione il trattamento che sarebbe stato riservato in Austria agli alto-atesini che non avessero ritenuto di valersi del diritto di riopzione (pro-memoria consegnato al ministro d’Austria il 22 dicembre 1948)2 ha posto il Governo italiano nella necessità di mantenere fermo il suo atteggiamento, e di sottoporre le domande presentate dopo il 27 novembre 1948 ad un supplemento di istruttoria, inteso — tra l’altro — anche ad accertare i casi nei quali l’istanza stessa potesse ritenersi non presentata sotto l’assillo delle intimidazioni e suggestioni propagandistiche austriache (presidenziale n. 830/36435/486/3/2 del 23 marzo 1949)4;

2) circa la riassunzione degli optanti, già impiegati nei pubblici servizi italiani, il Governo austriaco è stato informato ufficiosamente (lettera del cons. di Stato Innocenti al ministro Versbach del 22 gennaio 1949, inviata in copia al ministro Guidotti il 24 stesso mese - v. all. 1)4 e successivamente in via diplomatica che la presentazione al Parlamento dello schema di disegno di legge (all. 2)4 predisposto nel gennaio scorso a conclusione delle conversazioni avvenute con la delegazione austriaca presieduta dal ministro Versbach, è subordinata alla conoscenza dei provvedimenti che lo stesso Governo austriaco intende adottare affinché i rioptanti possano realizzare il valore dei beni patrimoniali o delle attività economico-professionali dagli stessi posseduti od esercitate in territorio austriaco (note riconvenzionali italiane del 14 dicembre 1948 e del 20 gennaio 1949).

Nessuna risposta in proposito è ancora pervenuta da parte del Governo di Vienna;

D. 436. 2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 769. 3 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 878 e, in questo volume, D. 79. 4 Non pubblicato.

3) per la questione del rimborso degli anticipi di pensioni corrisposte dal Governo austriaco ai rioptanti emigrati a partire dalla data del riacquisto della cittadinanza italiana e fino al loro definitivo rimpatrio, sul quale argomento è stato siglato il verbale 22 gennaio u.s. (all. 3)4 valgono le stesse considerazioni di cui al punto 2) (lettera del cons. di Stato Innocenti al ministro Versbach 3 febbraio 1949, inviata in copia nella stessa data al ministro Guidotti - v. all. 4)4;

4) per il trasferimento del patrimonio valutario dei rimpatriandi, è in corso la presentazione al Governo austriaco della Nota verbale redatta a conclusione della riunione tenutasi il 28 ottobre c.a. presso il sottosegretario di Stato al Tesoro, on. Malvestiti;

5) circa l’ammissione all’esercizio professionale di rioptanti titolari di diplomi universitari, che hanno già esercitato la loro professione in Italia, mentre si ricorda che nessun obbligo per la soluzione di tale problema deriva all’Italia dall’Accodo di Parigi5 che prevede soltanto un riconoscimento di «certi titoli di studio e diplomi universitari» (e non anche la abilitazione professionale), si fa presente che il problema è stato affacciato soltanto in uno dei punti del cosidetto gentlemen’s agreement6 che per le note ragioni non può avere alcun seguito allo stato degli atti.

Da quanto sopra ricordato risulta confermato che non è dipesa dal Governo italiano la stasi nelle trattative.

Per la ripresa di esse, di cui da parte italiana si ravvisa l’opportunità solo nel caso che si presenti una prospettiva di esito positivo, è pertanto da considerare come prima condizione che il Governo austriaco corregga gli effetti dei precedenti deliberati dando soddisfazione e pubblica assicurazione che i rioptanti anche dopo l’eventuale riacquisto della cittadinanza italiana saranno liberi di continuare a risiedere in Austria e ad esercitare le attività fin qui svolte, (revoca del provvedimento austriaco del 3 maggio 1949) e che ad essi sarà, non solo consentito, ma altresì facilitato l’ulteriore acquisto della cittadinanza austriaca7.

449 1 Non pubblicato: con esso erano stati trasmessi alla Presidenza del Consiglio i due Allegati al

450

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13723/183. Gerusalemme, 4 dicembre 1949, ore 19 (perv. ore 23).

Prima fase dibattiti su questione Gerusalemme presso O.N.U., conclusasi con voto positivo risoluzione australiana, ha rivelato importanza corrente favorevole regime internazionale e prodotto forte impressione cittadinanza ebrea.

6 Vedi DD. 122, 151, 211, 269 e 299.

7 Per il promemoria italiano vedi D. 484, Allegato.

Diffusi appassionati commenti stampa riflettono preoccupazione e sorpresa; esprimono rammarico per atteggiamento Unione Sovietica; cercano dimostrare che voto sotto-commissione non riflette immagine fedele opinione Comitato politico e Assemblea; affermano infine che comunque nessun piano internazionalizzazione potrà essere realizzato opponendovisi volontà Israele e incapacità O.N.U. applicare sue decisioni. Manifestazioni presiedute autorità cittadine stanno svolgendosi per confermare determinazione dirigenti e abitanti ebrei rimanere uniti Israele facendo di Gerusalemme capitale nuovo Stato.

Trattative segrete cui partecipa primo ministro Ben Gurion vengono intanto condotte con personalità giordaniche nella speranza di raggiungere l’accordo diretto e porre O.N.U. davanti fatto compiuto.

È presumibile che contatti giordanici abbiano pieno assentimento Gran Bretagna la quale indirettamente vorrebbe evitare creazione zona internazionale per rimanere arbitra situazione.

449 5 Vedi serie decima, vol. IV, D. 251.

451

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13769/985-986. Washington, 5 dicembre 1949, ore 20,04 (perv. ore 7,30 del 6).

Ho avuto oggi lungo colloquio con Acheson, con cui ho voluto subito riprendere contatto dopo lunga assenza da Washington.

Riferirò dettagliatamente per corriere1. Frattanto riassumo conclusioni su singoli argomenti trattati.

Colonie e Etiopia. Acheson ha convenuto che decisioni Lake Success costituiscono miglior compromesso raggiungibile nelle presenti circostanze ed ha assicurato che Stati Uniti accetteranno lealmente conclusioni Commissione inchiesta Eritrea. Nell’informarlo dei nostri contatti con rappresentanti etiopici2, gli ho fatto pressante appello per intervento americano Addis Abeba tendente far cessare ogni azione delittuosa unionisti. Mi ha promesso che farà tutto il possibile e si è mostrato compiaciuto del calmo e costruttivo atteggiamento italiano.

Situazione interna italiana. Acheson si è informato minutamente su riforma agraria e riforma fiscale, mostrando anche di preoccuparsi di possibili attacchi in Congresso, ove critici poco informati possono semplicisticamente denunciare inerzia Governo italiano. Ha espresso speranza che Governo italiano darà prove tangibili sua volontà fare subito quanto possibile nel campo agrario. Ha espresso, a tale proposito, grande fiducia nelle capacità realizzatrici presidente De Gasperi. Circa riforma fiscale si è mostrato soddisfatto risultati finanziari raggiunti, da me illustratigli.

2 Vedi DD. 416 e 422.

Unione economica europea. Acheson ha manifestato vivo apprezzamento per opera da V.E. svolta a favore intesa con Francia e viva speranza che stretta collaborazione italo-francese consenta premere opportunamente su Benelux. Mi ha detto aver fatto chiaramente intendere a Bevin, durante recenti colloqui Parigi, necessità che Gran Bretagna faciliti indispensabile amalgama paesi europei. Circa Germania, mi ha espresso convinzione che essa debba entrare a far parte comunità europea e che altri paesi europei debbano rafforzare loro vincoli reciproci onde riceverla «tra loro e non sopra di loro». A questo proposito mi ha ripetuto apprezzamento per azione italiana favorevole a collaborazione europea e, a mia richiesta, ha promesso svolgere opera di persuasione all’Aja nel senso da noi desiderato.

Lavoro italiano in Africa. Ho menzionato ad Acheson scarsa cooperazione britannica circa utilizzazione lavoro italiano in Africa. Acheson mi ha confermato aver presenti miei precedenti accenni in proposito ed aver a cuore tale problema anche in relazione a possibilità inquadrarlo in punto quarto.

Patto atlantico. Acheson ha sottolineato necessità valorizzare Patto atlantico mediante concordi sacrifici di tutti i paesi partecipanti.

Trieste. Acheson mi ha detto che Bebler ha sondato recentemente Perkins circa possibilità intervento americano per provocare accordo italo-jugoslavo su Trieste. Acheson ha fatto rispondere che Stati Uniti restano fermi su dichiarazione 20 marzo 19483 e che, pur vedendo con favore qualsiasi soluzione gradita ad entrambe le parti, non intendono premere né sull’una né sull’altra. Ho chieso ad Acheson se Bebler avesse accennato in concreto a qualche possibile soluzione. Mi ha risposto di no. Gli ho quindi detto che anch’io avendo visto Kardelj e Bebler a New York, avevo genericamente espresso loro speranza proficua collaborazione fra due paesi. Ho aggiunto che comunque Trieste è sempre più italiana e che nessun compromesso è possibile su suo inserimento nei confini italiani. Acheson me ne ha dato atto. So che in proposito Dunn intratterrà V.E. Da parte mia cercherò assumere ulteriori informazioni presso Uffici4.

451 1 R. 10373/4870, pari data, non pubblicato.

452

L’INCARICATO D’AFFARI AD ATENE, MARIENI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3275/1161. Atene, 5 dicembre 1949 (perv. il 9).

La dichiarazione di McGhee, riportata dalla stampa locale, che gli ambasciatori americani riunitisi ad Istanbul hanno convenuto non essere necessario alcun patto militare nel Medio Oriente con la partecipazione degli Stati Uniti, ha distrutto ancora una volta le speranze greche nella formazione di un sistema politico-militare del Mediterraneo orientale, agganciato al Patto atlantico, cui avrebbe partecipato anche questo paese.

4 Vedi D. 473.

I viaggi di McGhee e di Shinwell, avvenuti quasi contemporaneamente, avevano fatto nascere parecchie illusioni in tal senso, o meglio avevano favorito il risorgere di esse. Con particolare diligenza erano state raccolte le voci le più disparate provenienti al riguardo dalle capitali occidentali e da esse si era voluto trarre illazioni assai azzardate. Un significato favorevole nello stesso senso era stato attribuito alle parole con le quali il presidente del Consiglio aveva reso noto di essersi intrattenuto con McGhee «sulle conversazioni in corso concernenti l’allargamento del sistema di sicurezza europea». E nonostante voci contrarie e la risposta — «è un sogno» — data dallo stesso Diomidis ad alcuni giornalisti greci che lo interrogavano sulla possibilità della formazione di un blocco turco-greco-persiano, la stampa ha continuato ad insistere nel suo atteggiamento fino all’ultimo momento. E non è detto che negli stessi circoli politici dirigenti qualcuno non abbia partecipato, nel suo foro interiore, di tali illusioni.

Ciò si spiega quando si tenga presente che esse sono il frutto di uno stato d’animo assai diffuso in questa opinione pubblica ed espresso anche recentemente da Venizelos in termini assai semplici: egli ha detto che la Grecia non ha altre garanzie che la dottrina Truman e le assicurazioni verbali britanniche e che pertanto «sarebbe augurabile che tali garanzie assumessero una forma più sistematica e più larga». Questo il punto centrale: sensazione di scarsa sicurezza e quindi ansioso desiderio di sempre nuove assicurazioni e, ancor più, di entrare a far parte del sistema atlantico, sia pure attraverso eventuali propaggini mediterranee.

Tale stato d’animo, a prescindere dalle sue origini remote, ha cominciato a svilupparsi in occasione dell’esclusione della Grecia dal Patto atlantico e delle difficoltà frapposte alla sua ammissione al Consiglio d’Europa; ciò venne infatti considerato come una ingiusta sottovalutazione della funzione politico-strategica della Grecia, per non parlare del significato morale che vi si volle attribuire. Da quel giorno, ciò che era stato in sostanza una nuova manifestazione della fervida fantasia politica di Tsaldaris — la conclusione di accordi mediterranei — è divenuta a poco a poco una esigenza sentita sempre più diffusamente. Esclusi dal Patto atlantico, i greci cominciarono dunque a sperare in accordi mediterranei la cui minore o maggiore utilità era sentita in relazione alle alterne vicende della situazione interna e internazionale, per cui l’inverno scorso, nei giorni in cui la ribellione si faceva sempre più minacciosa, il patto mediterraneo fu all’ordine del giorno, mentre con le successive vittorie estive esso venne temporaneamente accantonato. In questi ultimi tempi l’esigenza di tali accordi si è fatta nuovamente sentire con maggiore intensità come conseguenza di una serie di fatti eterogenei e di diverso valore se considerati singolarmente, ma che, visti nel loro insieme, formano un quadro che turba gli animi di per sé eccitati, stanchi e suscettibili dei greci.

Il ritiro delle truppe britanniche da Salonicco e la riduzione degli effettivi imposta dagli americani; l’impressione che tali misure costituiscano una nuova conferma della volontà di appeasement nei confronti della Russia; l’atteggiamento, giudicato debole, degli occidentali nel corso del dibattito sulla questione greca all’O.N.U. e l’evidente insufficienza della risoluzione adottata; il ripetersi dei tentativi di conciliazione a Lake Success e il timore che essi siano incoraggiati dagli stessi anglo-americani; l’ostinata opposizione di Washington e Londra alla realizzazione delle mire greche sull’Albania; l’appoggio sempre più sostanzioso concesso a Tito; le pressioni per la concessione di una amnistia interna; le voci oscure, e per questo più paurose, sulla dislocazione e i futuri obiettivi dei 12 mila ribelli rifugiatisi oltre frontiera; la fase delicata che stanno attraversando i rapporti tra gli amministratori americani e gli amministrati greci e i ripetuti, significativi avvertimenti dei primi circa la non lontana fine degli aiuti Marshall; gli articoli e i commenti che appaiono con maggior frequenza sulla stampa anglo-americana non scevri di critiche e riserve sull’operato dei dirigenti ellenici; la mancata udienza di Acheson a Tsaldaris e Venizelos durante la loro lunga permanenza negli Stati Uniti; la fredda accoglienza che Bevin sembra aver fatto a New York ai due ministri greci; ecco i più significativi fra gli elementi che compongono il quadro così poco gradito agli occhi greci.

Per conto suo il Governo, consapevole di ciò, non tralascia occasioni per saggiare il terreno nella direzione sopra accennata. Ne è conferma recente l’atteggiamento della delegazione greca all’O.N.U. Quale intrinseco significato si deve infatti attribuire alle dichiarazioni di Tsaldaris nei giorni in cui si cominciò a parlare di riduzione degli effettivi? Offrendo la smobilitazione totale delle forze armate elleniche il ministro degli esteri veniva in sostanza a chiedere tacitamente come contropartita una qualche forma di garanzia; esclusa quella dell’O.N.U., estremamente improbabile da ottenere e inoltre di assai dubbia efficacia, non sarebbe rimasta che l’inclusione della Grecia nel Patto atlantico, o, in via sussidiaria, in un patto mediterraneo agganciato al primo. Il piano non è riuscito e pertanto la Grecia si è dovuta accontentare della promessa di una riunione straordinaria dell’O.N.U. nel caso di un nuovo attacco dei ribelli. Non molto, in verità, specie se vi si aggiunga la contemporanea riduzione degli effettivi e la partenza degli inglesi da Salonicco. (La stampa non ha mancato di dare rilievo ad un articolo dell’Observer nel quale si attribuisce tali misure a «mercanteggiamenti» fra le grandi potenze). Tutto ciò spiega il diffuso malumore e le accuse a Tsaldaris e Venizelos di tornare a mani vuote. E spiega perché in occasione del successivo passaggio di McGhee l’ufficioso Messager d’Athènes si sia affrettato ad annunciare, in una nota evidentemente ispirata, che nei colloqui con McGhee «il paraît que des assurances claires et catégoriques ont été données que les Etats-Unis continueront à s’intéresser à la sécurité de la Grèce». Assicurazioni che sono andate ad aggiungersi alle altre numerose e di cui Governo ed opinione pubblica greca, in mancanza di meglio, non sembrano essere mai sazi.

L’inclusione della Grecia in un sistema politico-militare operante automaticamente non appena e ovunque un pericolo concreto dovesse presentarsi: questa, dunque, continua ad essere la massima aspirazione di questo paese i cui abitanti non si rendono conto, o meglio non vogliono riconoscere la validità delle considerazioni che inducono tuttora le potenze occidentali a non soddisfarla. E nel caso specifico di accordi mediterranei neppure si rendono conto che ai motivi originari determinanti l’atteggiamento negativo in proposito degli occidentali, assai probabilmente è venuto ad aggiungersene uno nuovo e cioè la favorevole evoluzione dei rapporti fra l’Occidente e Tito.

In primo luogo è evidente che essa determina, in se stessa una parziale svalutazione dell’importanza della Grecia nell’economia generale della politica occidentale. In secondo luogo è assai probabile che Tito non sia favorevole alla conclusione di un patto mediterraneo; ciò pertanto costituisce un nuovo argomento per indurre gli anglo-americani a perdurare nell’attuale atteggiamento. Infine l’inclusione della Grecia in tale ipotetico patto renderebbe forse più difficile il ravvicinamento grecojugoslavo auspicato da Washington e Londra, facendo sorgere ulteriori difficoltà proprio su quel terreno dove, solo, potrebbe realizzarsi: il terreno politico. È infatti da ritenere che Tito farebbe difficoltà ancora maggiori di quelle che fa oggi al ravvicinamento ad una Grecia divenuta potenza direttamente o indirettamente «atlantica».

Le speranze greche in questo campo sembrano quindi destinate a rimanere tali per un tempo che è difficile determinare.

Ed è anche per questo che le recenti dichiarazioni di Acheson circa la volontà americana di rispettare e far rispettare pienamente la risoluzione dell’O.N.U. sul divieto di inviare armi in Albania sono state accolte con grande, eccessivo plauso. Senza soffermarsi a valutarne con spirito obiettivo l’esatta portata, si è subito voluto interpretarle come l’annuncio di un prossimo blocco delle coste albanesi; ciò che sembra per lo meno prematuro. In tal modo si coltivano nuove speranze destinate con ogni probabilità a trasformarsi in nuovi motivi di amarezza e disinganno; quell’amarezza e quel disinganno che nascono oltre tutto dalla quotidiana esperienza dell’impossibilità ed incapacità di consolidare politicamente i successi ottenuti sul terreno militare; del timore cioè che le belle vittorie riportate sui ribelli non diano i frutti desiderati.

451 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

453

IL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 0274/134. Francoforte, 5 dicembre 19491.

Nel mentre mi accingevo a riferire a V.E. sul problema del riarmo della Germania — per quanto di esso mi era possibile desumere dagli elementi in mio possesso — è sopravvenuta la intervista di Adenauer al giornale di Cleveland The Plain Dealer, della quale trasmetto il testo apparso su questa stampa, che ha improvvisamente posto il problema stesso all’ordine del giorno all’interno e fuori della Germania.

Avevo già accennato, in miei precedenti rapporti, al progressivo accentuarsi di questo problema: la tendenza a parlare di riarmo tedesco era andata difatti aumentando in queste ultime settimane, fino ad assumere, in coincidenza con le riunioni dei capi di Stato Maggiore delle dodici nazioni del Patto atlantico2, un carattere quasi di attualità e divenire ormai oggetto di pubblico dibattito.

È certo difficile formarsi un giudizio preciso sullo stato della questione senza conoscere le conclusioni alle quali è pervenuto il recente convegno di Parigi; vi sono tuttavia chiari indizi che il problema sia non solo stato colà discusso, ma che di esso, verosimilmente sia già stata fatta parola ad Adenauer in sede delle trattative che hanno condotto agli accordi di Petersberg3. Sugli elementi poi che fanno pensare si

sia già passati — da parte americana almeno, ed in forma per ora del tutto segreta — ad un principio di attuazione riferirò più appresso.

Il signor François-Poncet, d’altra parte, nella conversazione avuta con lui giorni or sono, ebbe già a sottolinearmi la necessità di un rapido reingresso della Germania in Europa, attraverso i «vari mezzi di integrazione» e non mancai di rilevare nel mio rapporto in data 30 scorso mese4 come questa sua affermazione si inserisse nel nostro colloquio quasi a conclusione della parte di esso concernente appunto il riarmo della Germania, veduto in altri termini come «contributo ad una unità organica» che si chiama Occidente europeo.

Il cancelliere federale nella sua intervista sembra quasi farsi eco di queste parole, quando si dichiara favorevole, e sembra anzi quasi patrocinare, la costituzione di una «armata europea» alla quale dovrebbero partecipare anche soldati tedeschi.

Il cancelliere federale in altri termini, nel mentre si dichiara ancora una volta in linea di principio contro il riarmo del suo paese e respinge ad ogni modo vigorosamente l’idea di permettere l’arruolamento di soldati tedeschi per le armate delle potenze occidentali, giacché ciò significherebbe «l’assoldamento di soldati mercenari», offre tuttavia l’aiuto della Germania al comune potenziamento e consolidamento dell’Europa occidentale, se questo venisse inteso come partecipazione ad una armata europea sotto il comando di un Supremo Comando militare europeo. Qualora un tale Comando supremo venisse creato, egli ha continuato, non solo sarebbe giusto ma anche necessario estendere gli aiuti militari americani anche alla Germania. Tali forze armate tedesche, autorizzate dalle potenze occidentali, rappresenterebbero in tal modo soltanto una frazione di un comune esercito sotto un comune Comando supremo europeo, ed ammonisce: «Una volta raggiunto il Reno i russi avrebbero tutta l’Europa sotto il loro controllo. Se si dovesse decidere fra il pericolo costituito dal-l’Unione Sovietica e quello costituito dal riarmo tedesco, ha dichiarato Adenauer, la minaccia russa prevarrebbe».

Il problema del riarmo tedesco, in una forma o nell’altra, è venuto così alla ribalta proprio ad opera di Adenauer, della persona cioè che nemmeno i suoi più accaniti avversari politici osano tacciare di militarismo ed in questo suo atteggiamento vi è, sono convinto, un profondo sentimento di solidarietà alla comune difesa del-l’Occidente, alla preservazione di una civiltà alla quale egli appartiene attraverso la sua cultura umanistica e la sua profonda fede religiosa.

La sua intervista al giornale americano ha tuttavia provocato una pioggia di dichiarazioni qui e all’estero, e un vivace dibattito sulla stampa, ed essa va quindi esaminata sopratutto sui moventi che possono averlo indotto a prendere una iniziativa di così grave portata.

L’interventista ha, difatti, tutta l’aria di una vasta azione di sondaggio.

Per quanto concerne le reazioni all’interno, non sono certo queste che mancheranno. Troppo solennemente è stato finora dichiarato, da tutti gli uomini responsabili dei vari partiti, che troppo sangue è stato versato e che la Germania ripudia ormai ogni velleità a riarmare. A parte però una levata di scudi della frazione comunista che già chiede ad Adenauer una aperta discussione in seduta plenaria al Bundestag, ed

una iniziativa del partito del centro (cattolico, rappresentato da dieci deputati) per la promulgazione di una legge in cui venga garantito il diritto di rifiuto del servizio militare in tempo di guerra, vi è stata finora soltanto una larvata opposizione quasi di natura programmatica da parte del partito di Schumacher. La opinione pubblica appare insomma nel suo insieme sorpresa e disorientata.

Anche la stampa mantiene un atteggiamento piuttosto riservato. Ieri il grande organo indipendente, ma con simpatie socialdemocratiche, il Frankfurter Allgemeine Zeitung ha preso posizione sulle dichiarazioni del cancelliere federale, accusandolo però sopratutto di avere indebitamente anticipato un atteggiamento ufficiale in una questione che era bene lasciare invece chiarire alle potenze occidentali, ed attendere da queste delle proposte.

In un precedente editoriale però lo stesso giornale era stato molto più aspro e deciso sull’argomento: «creazione di una legione straniera sull’Elba composta sopra-tutto di tedeschi; grande errore; non si può comperare l’abilità militare tedesca ecc.» erano frasi correnti nell’articolo. Ma vi era anche un’altra frase indicativa dello spirito che informava tutto lo scritto: «parità di diritti»; ed è evidentemente su questa base offrendo cioè alla Germania con le armi anche il prestigio di una piena integrazione politica all’Europa, che si porrebbe in grado il Governo Adenauer di vincere ogni ostilità all’interno, e verrebbe restituito, a quel che sarà consentito di forze armate tedesche, prestigio e fiducia, condizioni essenziali per una vera efficienza militare.

Per quanto riguarda l’estero si sono avute invece recise dichiarazioni da Londra, una nuova presa di posizione francese basata sulle recenti votazioni alla Camera dei deputati, e solenni dichiarazioni di alti funzionari americani della Commissione di controllo alleata di Francoforte, che ammoniscono gli ambienti politici responsabili della Germania occidentale affinché la stampa e l’opinione pubblica non concentrino il loro tempo e le loro energie in contemplazioni, speranze e desideri la cui realizzazione è fuori discussione, ma dedichino la loro attenzione ai numerosi problemi della ricostruzione.

Questa la parte ufficiale. Di contro ad essa stanno altre indicazioni, le chiare allusioni fattemi dall’alto commissario francese, sulle quali ho già riferito (e non è sfuggito a questa opinione pubblica l’articolo di Léon Blum sul Populaire, della settimana scorsa, che espone delle idee più o meno concordanti con quella di Adenauer) e sopratutto gli elementi contenuti nell’unito rapporto pervenutomi dal console di Monaco5 su una riunione segreta che ha avuto luogo in quella città alcuni giorni or sono alla quale hanno partecipato alti ufficiali dell’ex esercito tedesco e personalità americane, e che non escludo trovi confronto con qualche altra del genere che possa aver avuto luogo in qualche altra località della Germania.

Anche questa riunione ha assunto il carattere di un sondaggio, ma non è non meno pienamente indicativa che vi sia intenzione, in forma palese o con reclutamenti di natura diversa, di passare ad una fase di pratica attuazione a più o meno breve scadenza.

Per quanto riguarda l’iniziativa di Adenauer, se anche essa ha avuto, d’accordo

o meno con gli Alleati, il carattere di sondaggio di ben più vasta portata, doveva essere diretta non solo a far reagire la opinione pubblica all’interno, ma anche all’estero, compresa e forse sopratutto in Germania orientale ed in Russia.

È infatti opinione diffusa che un riarmo della Germania potrebbe presentare dei pericoli immediati. François-Poncet mi disse chiaramente che la Russia potrebbe considerarlo un casus belli. Ed in tal caso è una felice circostanza che la parola riarmo sia uscita dalla bocca di Adenauer — della sola personalità politica cioè del mondo occidentale — che non solo non impegni menomamente gli Alleati, ma che consenta facilmente le più solenni smentite ed i più recisi dinieghi. In tutte le discussioni provocate dall’intervista del cancelliere federale si è ovunque accuratamente evitato di parlare degli accordi di Potsdam, ad eccezione del portavoce della Commissione di controllo britannica che ha ricordato la esistenza di essi ai quali l’Inghilterra si sente oggi, come prima, legata. Che tali accordi siano ormai lettera morta per i russi è chiaro, però anche essi hanno — se le notizie sono esatte — già predisposto in Germania orientale la costituzione di un esercito popolare composto di sei gruppi d’armata, ma con tuttal’aria di voler creare una forte polizia. È infatti di pochi giorni fa una dichiarazione del consigliere politico del maresciallo Tschinkov, ambasciatore Semjonov, il quale, a proposito delle voci di pace separata tra Russia e Germania orientale, ha affermato che una tale eventualità verrà discussa solo quando dovessero venire prese concrete misure per una rimilitarizzazione dello Stato occidentale tedesco.

Occorrerebbe cioè ritenere che da parte alleata la formula verso la quale pare ci si stia avviando — del contributo tedesco ad una armata europea — viene ancora considerata compatibile con la lettera degli accordi che stanno alla base della demilitarizzazione della Germania.

Non mancherò di seguire attentamente quanto possa emergere successivamente qui sul problema e riferire quindi a V.E., sopratutto per quanto concerne il definitivo orientamento di questa opinione pubblica che appare per ora, come ho già detto, sorpresa e disorientata. È pensiero diffuso che il tempo stia ormai lavorando rapidamente per la Germania. È anche avviso di molti, sullo specifico problema del riarmo, che ad esso siano interessati un po’ tutti nel mondo occidentale: se l’America sembra già avviata verso decisioni concrete, e l’Inghilterra aderirà alle deliberazioni del Comitato atlantico, la Francia tra il timore di una Germania nuovamente forte e l’ansia di vedere la linea di difesa allontanarsi dal Reno, troverà garanzie sufficienti in una incorporazione di forze tedesche in una più vasta organizzazione di difesa europea; e per quanto riguarda l’Italia apparirà ovvio il nostro interesse al potenziamento della Germania come fattore politico e come fattore militare — cose che non possono evidentemente essere disgiunte — ed alla costituzione di una linea che diluisca proporzionalmente fino al Mare del Nord il peso del mondo sovietico che il vuoto in Europa centrale porta di fatto a gravitare verso di noi.

453 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.2 Il Comitato di difesa si era riunito a Parigi dal 29 novembre al 1° dicembre.3 Vedi D. 424.

453 4 Vedi D. 441.

453 5 Non pubblicato.

454

L’AMBASCIATORE AD ANKARA, R. PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 2073. Ankara, 6 dicembre 1949 (perv. il 15).

Nel luglio 1948, e precisamente al momento delle nostre conversazioni con la Grecia per la conclusione di un trattato di amicizia e stabilimento e di una convenzione di conciliazione, ebbi da V.E. istruzioni di proporre al Governo turco un parallelo aggiornamento dei rapporti convenzionali fra Italia e Turchia che giovasse a riaffermare le nostre amichevoli relazioni con Ankara e a porle sullo stesso binario di quelle fra Roma ed Atene1.

Tornai, dopo quella data, sullo stesso discorso a parecchie riprese, proponendo per ultimo — e precisamente nel febbraio scorso — al ministro Sadak, come del resto V.E. gli aveva già accennato a Roma, di tralasciare la convenzione di stabilimento — che presumevo fosse la ragione o la ragione principale delle perplessità turche — e di fissare invece la nostra attenzione sulla convenzione di conciliazione, che avrebbe potuto essere rafforzata con un preambolo e una qualche generica clausola di amicizia, sul tipo di quella che figura in testa al trattato di stabilimento, commercio e navigazione da noi concluso con la Grecia.

Neanche codesta molto più semplice proposta valse tuttavia a rompere il silenzio di questo Governo, sicché giudicai opportuno non insistere più oltre, sia per non aver l’aria di elemosinare alcunché a chicchessia (e perché avremmo dovuto farlo?) sia perché, come allora le scrissi, mi parve che la riluttanza turca fosse sopra tutto motivata, non da ragioni che particolarmente ci riguardassero, ma dal proposito e dalla speranza di porre in piedi quell’accordo mediterraneo che fu per molto tempo le grand projet di questo Governo e dalla persuasione che l’accordo evidentemente minore da noi proposto potesse in definitiva riuscire piuttosto di ostacolo che di incentivo al conseguimento di quell’obbiettivo.

Venne poi la nostra inclusione nel Patto atlantico; la conseguente reazione turca, com’ella sa, di estremo dispetto; gli ulteriori tentativi di accordo mediterraneo ecc. ... circostanze tutte che mi persuasero essere, tutto sommato, miglior cosa attendere.

Tutto questo per dirle che il ministro Sadak mi fa oggi sapere di avere finalmente esaminato la nostra proposta ultima (trattato di conciliazione rafforzato con formula d’amicizia) e di essere giunto alla conclusione che l’iniziativa è buona e val dunque la pena di attuarla. Mi pregava di farlo sapere a V.E. Gli ho risposto che le mie istruzioni non erano affatto cambiate e che la nostra disposizione a concludere il cennato accordo permaneva immutata. Ero dunque molto lieto della sua comunicazione. Ho approfittato dell’occasione per riprendere un’altra nostra vecchia proposta intesa a dare maggiore sviluppo ai rapporti culturali fra i due paesi e gli ho chiesto se per avventura non ritenesse che, insieme o separatamente, si potesse, oltre che all’accor

do di conciliazione, giungere a qualcosa di analogo a quanto è stato firmato giorni or sono fra Turchia e Grecia (di cui V.E. troverà il riassunto in altra parte di questo corriere) e che ha del resto già in passato formato oggetto di corrispondenza con codesto Ministero (mio telegramma n. 163 del 27 novembre ’47)2. Dovrebbe in sostanza trattarsi di porre in piedi, mediante scambio di note, una Commissione mista che abbia il compito di studiare un semplice e concreto programma di lavoro inteso a dare maggiore e più ampio sviluppo, nel campo culturale, alle relazioni fra i due paesi.

Mi ha risposto di essere in massima favorevole. Sicché mi propongo di riprendere anche queste nostre vecchie proposte e di possibilmente portarle in porto al più presto, congiuntamente o separatamente a quelle altre.

Gioveranno forse due parole di commento generico. Non vi è dubbio che la Turchia è oggi, e si sente, in una posizione di maggiore, relativa sicurezza che non nel passato. L’assistenza militare ed economica degli Stati Uniti comincia a portare i suoi frutti. Le frequenti dichiarazioni degli uomini di Stato americani più responsabili hanno indubbiamente contribuito ad acquetarla e a calmarla. La riconferma dell’alleanza tripartita anglo-franco-turca3, valga quello che valga, ha operato sullo stesso senso. Sicché si è in pari tempo allentata l’affannosa ricerca di comunque giungere alla conclusione di un patto regionale, che, agganciandosi a quello atlantico, potesse allargare anche sulla Turchia l’ombra protettrice della garanzia americana. Non dico che quest’ultimo obbiettivo non sia tuttora vivo e presente nell’animo dei turchi, che sarebbe evidentemente dir troppo, ma soltanto che, in vista appunto di codesto aumentato senso di sicurezza, l’esigenza a conseguirlo è molto meno risentita e attuale. Cessato dunque il timore che concludere un modesto accordo con noi potesse in qualche modo pregiudicare il più grosso accordo mediterraneo, è naturalmente prevalsa ora la persuasione ch’esso può invece indubbiamente giovare a rinsaldare le relazioni con un grosso paese, come il nostro, in risveglio, e a rafforzare quella solidarietà fra popoli mediterranei, che è la sola piattaforma che consenta ragionevoli sviluppi avvenire. Credo che la decisione di Sadak, dopo così lunga attesa, apparentemente improvvisa, si sia lentamente maturata alla luce di codesti e altri ragionamenti analoghi. È comunque decisione che viene incontro ai nostri propositi e che certamente varrà a dare al nostro paese, nel Medio Oriente, peso ed autorità progressivamente maggiori. Sicché mi propongo, con l’approvazione di V.E., di concretarla al meglio e al più presto4.

454 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 210.

454 2 Non pubblicato.3 Vedi serie undicesima, vol. II, DD. 911, 964, 1071, 1105 e 1116. 4 Per la risposta vedi D. 489.

455

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,

AL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 10494/209. Roma, 7 dicembre 1949, ore 11.

Suo 261.

Notizia riportata Frankfurter Rundschau è inesatta essendo Governo italiano favorevole ammissione Repubblica [federale] tedesca nel Fritalux. Peraltro gravi difficoltà per unione fra Italia e Francia, per realizzare Benelux e infine per integrazione economie francese italiana e Benelux dimostrano opportunità che unione europea avvenga — se la si vuole sul serio — gradualmente. Auspicata inclusione Germania appare quindi nella fase attuale delle trattative prematura e soltanto suscettibile aumentare tali difficoltà. Comunque tale modo considerare problema è d’iniziativa francese cui ci siamo associati. Quanto precede per sua opportuna informazione e norma.

456

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 10523/588. Roma, 7 dicembre 1949, ore 24.

Suo 9931.

Ricevendo oggi Dunn gli ho detto che l’eccesso di pubblicità dato alla nomina di Jacobs non mi pareva opportuno perché a mio avviso tutti i paesi aderenti al Patto atlantico hanno da guadagnare da quanto accentua opera unitaria del Patto nel campo politico lasciando gli sviluppi militari nella zona silenziosa dei tecnici.

Dunn non contraddisse ma osservò solo che Jacobs veniva qui come un suo subordinato collaboratore e non come un suo sostituto per problemi militari. Dunn mi assicurò che tutto continuerebbe ad essere diretto e firmato da lui.

Gli osservai che un chiarimento sarebbe opportuno per meglio ridurre al silenzio gli oppositori comuni.

455 1 Del 5 dicembre, con esso Babuscio Rizzo aveva segnalato le notizie giornalistiche circa unapresunta opposizione italiana all’ammissione della Repubblica federale di Germania nel Fritalux.

456 1 Del 6 dicembre, con esso Tarchiani aveva comunicato l’avvenuta designazione di Jacobs arappresentante statunitense a Roma per gli aiuti militari aggiungendo: «Designazione personalità di cosìelevato rango, superiore a quello dei suoi colleghi presso altri paesi, è stata qui osservata con interesse».

457

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13856/604. Parigi, 7 dicembre 1949, ore 21,06 (perv. ore 8 dell’8).

A firma Grazzi: «In lunga conversazione ho esposto Harriman motivi generali, e speciali per Italia, che spingevano nostro Governo ritenere progetto franco-italiano rappresentasse non solo massimo raggiungibile ma sostanziale sforzo per creare solida possibilità raggruppamento europeo effettivo. A nostro avviso semplici misure libera[lizza]zione (come in fondo olandesi propongono) non accompagnate da coordinamento generale e progressivo, non risolverebbero problemi sostanziali pur dando luogo perturbazioni con conseguenze anche di politica interna.

Harriman ha finito con ammettere che misure potrebbero avvenire per gradi e con coordinamento vari settori; ma, ciò malgrado, è stato reciso riaffermare necessità che entro 1950 tutte misure restrittive commerciali e finanziarie debbono essere eliminate; che riduzioni daziarie avrebbero potuto iniziarsi subito dopo; e che Germania dovrebbe venire inclusa sino da primo momento.

Suo avviso Europa sta dando prova estrema irragionevolezza la quale ostacola unità politico-militare di cui quella economica è elemento pregiudiziale. Egli prevedeva quindi nocive conseguenze da atteggiamento prudenziale franco-italiano che evidentemente persisteva ritenere quasi negativo.

Pur facendo debita parte a speciale atmosfera missione E.C.A. è evidente che ambienti americani hanno idee cui vicendevolmente non vengono da noi e da loro realizzate ampiezza e rischi.

Comunque per limitarsi al presente è da prevedere che E.C.A. e O.S.R. faranno tutto possibile per premere in senso opposto tanto su Francia quanto su Paesi Bassi al fine evitare quello che essi stimerebbero fallimento nostre riunioni»1.

457 1 Per la replica di Sforza vedi D. 458.

458

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 10549/657. Roma, 8 dicembre 1949, ore 20,15.

Autorizzandola comunicare confidenzialmente mia impressione là ove ciò possa giovare, la prego trasmettere ministro Grazzi quanto segue:

«Temo che la sua conversazione con Harriman1 avrà avuto solo risultato fargli credere che nelle direttive che sembrano prevalere noi abbiamo portato una convinta influenza mentre ciò è contrario alla realtà delle cose.

Accanto a tutte le più giustificabili precauzioni di carattere transitorio occorre affermar sempre una leale volontà di arrivare. Di fronte a titubanze che forse pagheremo care nessuna conversazione può convincere di ciò gli americani».

459

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13880/747. Londra, 8 dicembre 1949, ore 14,18 (perv. ore 19).

Mi sono recato ieri da Strang per intrattenerlo incidenti Eritrea segnalati da codesto Ministero.

Strang ha ascoltato attentamente mie osservazioni, particolarmente quando ho attirato nel modo più serio sua attenzione su ripercussioni che sanguinosi avvenimenti avevano su nostra opinione pubblica e fatto che Governo britannico aveva precisa responsabilità mantenimento ordine in quanto esercitava amministrazione.

Strang ha tenuto subito ad esprimermi profondo rincrescimento del Governo britannico per luttuosi incidenti provocati, secondo lui, da ben nota difficoltà situazione acuita da recente decisione O.N.U. Al riguardo ha voluto ricordare che Governo inglese considerava tuttora suo progetto divisione Eritrea fosse soluzione più adatta. Tuttavia decisione Assemblea O.N.U. imponeva ora più che mai che Autorità britanniche mantenessero atteggiamento più stretta neutralità al fine permettere in prossimo futuro a Commissione O.N.U. esatta valutazione situazione Eritrea.

Con fermezza Strang ha aggiunto che Governo britannico realizzava pienamente sue responsabilità e che a tal fine erano state inviate nuove precise istruzioni a Drew circa rigido mantenimento ordine pubblico e, per quanto concerneva recenti incidenti, disposizioni adottare tutte misure che fossero necessarie nei riguardi anche dei capi unionisti che si fossero resi responsabili di atti terroristici.

Al tempo stesso Foreign Office sentiva suo dovere richiamare attenzione di tutti gli interessati al problema eritreo sulla assoluta necessità di cessare ogni azione che potesse comunque — direttamente od indirettamente — contribuire a mantenere attuale pericoloso stato tensione. A tale proposito mi ha detto che mentre mi parlava era stato convocato al Foreign Office l’ambasciatore di Etiopia al quale veniva dato, in questo senso, il più serio avvertimento. Ha aggiunto, tuttavia, dopo avermi dato queste assicurazioni, che non poteva prescindere per i motivi sopra esposti dal farmi presente che anche da parte italiana occorreva compiere ogni sforzo per aiutare Autorità inglesi e creare condizioni per tregua politica assolutamente necessaria in attesa future decisioni.

Pertanto non poteva nascondermi che attività rappresentante italiano all’Asmara apparivano per la B.A.E. pregiudizievoli alla tranquillità locale, e causa non ultima attuali dolorosi incidenti. Mi ha dato in proposito lettura rapporto circostanziato di Drew circa attività di Gropello particolarmente in ambienti indigeni.

Egli ha aggiunto che rivolgeva la più viva preghiera al Governo italiano affinché Gropello ricevesse istruzioni di svolgere la sua missione in modo da evitare che la sua azione potesse comunque apparire provocatoria.

Nel corso della conversazione ho, s’intende, opportunamente controbattuto argomentazioni di Strang circa gli incidenti e le loro cause ed ho concluso, secondo anche personale desiderio di V.E., facendo il più vivo appello al Governo britannico per quanto riguardava anche l’aspetto umano delle condizioni difficili e preoccupanti nelle quali si trovano le nostre collettività in Eritrea, e sulla legittimità di una reazione italiana a questo sanguinoso stillicidio.

458 1 Vedi D. 457.

460

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13898/1001. Washington, 8 dicembre 1949, ore 21,03 (perv. ore 7,30 del 9).

Suo telespresso 0891.

Dipartimento Stato conferma che non (dico non) intende riconoscere Governo comunista cinese finché questo non dimostrerà sapersi comportare come Governo paese civile. Ritiene che abbandono questa posizione di attesa non sarebbe compreso da opinione pubblica americana e soprattutto avrebbe gravi ripercussioni Indonesia ed altre regioni Asia sud-orientale. A giudizio Dipartimento Stato, eventuale riconoscimento da parte altri paesi non gioverebbe in nessun modo a Stati Uniti e, caso mai, indurrebbe Governo cinese ad accentuare maltrattamento cittadini americani.

Dipartimento Stato dichiara non aver nascosto tale atteggiamento a Governi amici, ma essersi astenuto da dare consigli o fare contrarie pressioni a riconoscimento preferendo che ciascuno prenda liberamente sue decisioni. Si ha impressione che questa indifferenza su atteggiamento altrui sia più forma che sostanza.

Dipartimento ha mostrato interesse conoscere atteggiamento Vaticano ed ha domandato confidenzialmente a questa ambasciata se Governo italiano abbia notizie al riguardo2.

460 1 Vedi D. 444.

461

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 10586/533. Roma, 9 dicembre 1949, ore 23.

Nei giorni scorsi lungo confidenziale mio colloquio con Mallet a casa, poi del presidente del Consiglio con Mallet al Viminale.

Mallet mi disse che mio assoluto silenzio dopo certe sconvenienti pubblicazioni ufficiose inglesi gli aveva mostrato coi fatti quanto tenevo al miglioramento delle relazioni e mi domandò cosa pensavo si potesse fare per un serio passo avanti. Gli risposi che per parte mia sconsigliavo fermamente qualunque invio di statisti, conferenzieri, principi, ecc.; mentre si uccidevano italiani in Eritrea sarebbe uno scherno e aggiunsi: «Se volete meglio sfuggire dalle critiche per gli assassinii decidete il negus riprendere relazioni diplomatiche con noi e così saremo anche noi a discutere e influire in Addis Abeba». Idea non spiacque Mallet che tuttavia cercò spiegare gli assassinii come reazione a una pretesa nostra politica locale di sussidi. Gli spiegai l’assurdità morale del paragone e egli quasi se ne scusò.

Conversazione col presidente del Consiglio ebbe analogo ritmo ma il presidente poté aggiungere il suo attristato stupore per la notizia frattanto giuntaci circa ostruzionismo contro gli italiani nella Rodesia. Stasera in conversazione confidenziale colla stampa estera, essendo stato interrogato circa voce visita Bevin, presidente del Consiglio rispose: «Saremo sempre felici di vederlo se viene Italia ma gli incontri politici son solo utili se ben preparati con reciproco buon volere».

460 2 Vedi D. 431.

462

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13948/613. Parigi, 9 dicembre 1949, ore 22 (perv. ore 6 del 10).

[A firma Grazzi]: «Raggiunto accordo tra cinque paesi su rapporto da presentare ai Governi. Solo su taluni limitati punti di non grave importanza esistono osservazioni diverse ad opera singole delegazioni. Riserva più importante è quella olandese che subordina applicazione accordo ad entrata Germania. Tra Italia e Francia quasi tutte le riserve elevate sono comuni. Possibilità maggiori legami fra i due paesi nel quadro intesa generale è considerata nel rapporto comune. Aggiungo che ho scambiato con Alphand nota 1 di cui avevo riassunto proposte con mio telegramma precedente2. Delegazione italiana ritiene risultati definitivi raggiunti come soddisfacenti tanto dal punto di vista politico che economico e si augura che anche Governo vorrà considerarli tali».

ALLEGATO

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI E FINANZIARI DEL MINISTERO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, ALPHAND, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI

NOTA. Parigi, 9 dicembre 1949.

Il est apparu à mon gouvernement qu’il serait d’autant plus facile d’arriver à une véritable coopération européenne, but ultime de ses efforts, que les lines qui unissent déjà deux à deux certains pays, se resserreraient davantage et que s’élargiraient les bases des relations économiques entre eux.

Les études poursuivies entre nos deux pays en vue de l’Union douanière fournissent dés maintenant des éléments qui permettent d’élargir sans plus attendre les bases de leurs relations économiques. C’est porquoi j’ai l’honneur de vous proposer de constituer, conformément aux recommandations du compte-rendu de la Commission mixte franco-italienne d’Union douanière, «un organisme chargé de poursuivre la tâche de préparation de l’Union douanière et de coordonner l’ensemble des mesures à prendre pendant la période intermédiaire qui précédera la constitution de l’organisme définitif». Cet organisme, qui pourrait être mis en place dans un délai d’un mois, serait un Comité mixte de fonctionnaires auxquels pourraient se joindre éventuellement des experts.

Ce Comité proposerait toutes mesures utiles en veu de parvenir à libéraliser le plus largement possible les échanges franco-italiens. Dans ce cadre, il aurait notamment pour tâche:

2 Vedi D. 435.

1) de rechercher comment il serait possible d’harmoniser les législations agricoles, industrielle, sociale, fiscale, monétaire, douanière et, de façon plus générale, toute législation à incidence économique des deux pays;

2) de provoquer des rencontres entre les groupements professionnels des deux pays en vue de parvenir à la plus large spécialisation possible de la production et à la réduction des prix de revient et de vente. Les ententes ainsi constituées, qui seraient mises sous la surveillance des deux Gouvernements, permettraient de supprimer plus rapidament les restrictions quantitatives et de définir les mesures temporaires et exceptionnelles qui pourraient s’avérer nécessaires avant d’arriver à una libéralisation complète dans divers secteurs de production. Des ententes de cette nature ont déjà été mises à l’étude entre professionnels des deux Pays. Dans le domaine de la sidérurgie notamment un accord semble pouvoir être mis en vigueur prochainement;

3) de procéder à des négociations tarifaires qui devraient fixer les droits perçus sur les marchandises échangées entre les deux pays. Ces négociations seraient aussi larges que le permettent les dispositions de l’Accord Général sur les tarifs douaniers et le commerce et tiendraient compte de l’intention des deux gouvernements d’établir, dans le cadre de l’Union douanière franco-italienne, un tarif douanier commun.

Je vous serais obligé de bien vouloir me faire savoir si le Gouvernement italien est d’accord sur ces propositions3.

462 1 Vedi Allegato.

463

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 3/5608. Roma, 9 dicembre 1949.

Rispondo alla tua lettera del 24 novembre n. 1230/43941 e successiva trasmissione della «Vie financière» n. 16559 del 3 u.s.2.

Le contraddizioni da te osservate sono effettive e derivano dalla contraddizione esistente fra la nostra volontà unionista che si manifesta, anche in concreto, sopratutto in campo politico, e le nostre possibilità economiche derivanti dalla particolare struttura della nostra economia. I tecnici e lo stesso Governo sono su questo punto divisi, non tanto per proteggere degli interessi particolari o monopolistici secondo le viete spiegazioni demagogiche, ma per timore di disoccupazione e quindi di disordini sociali.

2 Non pubblicato.

Troverai qui unito un appunto redatto dopo una mia esposizione al ministro Pella3. Puoi farlo leggere a Cattani. Il ministro Pella mi è parso persuaso e ha anzi proposto di affidare la direzione del Comitato all’on. Campilli e mi parrebbe una buona scelta perché Campilli è un convinto fautore della integrazione.

Quando Pella verrà costì parlagli nello stesso senso senza dirgli che ho fatto appunto della conversazione con lui, ecc.

ALLEGATO

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 8 dicembre 1949.

Ho avuto una conversazione col ministro Pella sulla questione della integrazione economica dell’Europa.

Erano presenti il ministro Magistrati e il prof. Ferrari Aggradi.

Ho detto al ministro Pella che il Ministero degli affari esteri non poteva nascondere di nutrire certe comprensibili preoccupazioni per il modo con cui la questione delle liberalizzazioni e delle intese regionali veniva da noi affrontata. In effetti il Governo italiano aveva assunto nella questione della unificazione dell’Europa una posizione politica quasi di punta, e ciò aveva fatto non soltanto o non tanto per crearsi dei meriti presso l’opinione pubblica e il Governo americani che perseguono tale intento, ma anche perché, ad un meditato esame, ciò era apparso e appare il miglior metodo per preservare l’Italia e l’Europa, per ora almeno quella occidentale, da nuove lotte fratricide e per creare una solidarietà capace di difenderle e di farle sopravvivere di fronte a nuovi eventuali pericoli. Ciononostante risultava ormai chiaro che ogni qualvolta venivano posti in concreto progetti che, sul terreno economico, costituiscono il corollario di tali enunciazioni politiche, l’Italia vi fa figura di elemento restio e ritardato-re. Ciò era apparso evidente nel corso delle attuali conversazioni parigine per l’integrazione economica italo-franco-benelux e ciò non poteva che riuscirci di danno. Di danno morale e politico non potendosi evitare negli altri il dubbio che la palese contraddizione fra atteggiamenti generici e fatti concreti fosse in sostanza prova di cattiva volontà ad incamminarci sulla via per la quale, sotto la pressione degli americani e, direi, degli eventi storici, ci si deve ormai incamminare. Danno economico in quanto il sistema da noi adottato ci portava a cedere inevitabilmente passo passo le nostre successive linee di difesa lasciandoci scoperti e in balia delle conseguenze che tali successivi, forse rapidi, e non preparati cedimenti possono avere sulla nostra economia interna. Non mi nascondevo le buone ragioni che suggerivano — data la nostra struttura economica — la resistenza che i nostri organi tecnici oppongono all’adozione di misure liberalizzatrici negli scambi, ma mi domandavo, e domandavo a lui, se non valesse meglio — dato che su questa via inevitabilmente si marcia e che non ci conviene essere pattuglia di coda — prendere un atteggiamento diverso da quello sinora adottato. Si tratterebbe, secondo il pensiero del Ministero degli esteri, di dire: «non solo siamo pronti a liberalizzare,

ma vorremmo poter fare su tale via il passo più lungo di ogni altro paese, e se di una cosa ci rammarichiamo è che la nostra struttura economica ci obblighi talora a qualche prudenza; ma non vediamo in ciò argomento per tirarci indietro (del resto non lo potremmo) né per ritardare la marcia generale, bensì per allargare il problema ed esaminarlo nel suo insieme e promuovere una graduale integrazione economica dell’Europa che proceda parallelamente in tutti i suoi aspetti: economici, finanziari e strutturali, in modo da prevenire quelle conseguenze dannose che per determinate economie singole o per taluni settori di dette economie possono verificarsi nelle varie fasi dello sviluppo integrativo».

Ho detto al ministro Pella che a tale scopo occorrerebbe in primo luogo fare un esame sereno della nostra situazione e che, riprendendo un suggerimento fattoci tempo fa pervenire da parte americana, sarebbe stato utile creare un Comitato di studio composto di economisti, tecnici e persone d’affari, per possibilmente arrivare, noi italiani, a proposte concrete. Il Comitato dovrebbe avere un mandato imperativo di studio: l’integrazione economica europea con particolare riguardo alla economia italiana.

Il ministro Pella ha detto di condividere le nostre preoccupazioni e ha accolto il suggerimento. Ha dato seduta stante a me e al prof. Ferrari Aggradi l’incarico di porre in atto la costituzione di tale Comitato.

462 3 Grazzi rispose lo stesso 9 dicembre riproducendo, come da prassi diplomatica, l’intero testodi questa nota ed aggiungendo: «J’ai l’honneur de vous faire savoir que mon Gouvernment est d’accordsur ce qui précède». Entrambe le note sono edite in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXXI, cit., pp. 657-660.

463 1 Vedi D. 427.

463 3 Vedi Allegato.

464

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. 10591/137. Roma, 10 dicembre 1949, ore 17.

Suo 2491.

Governo italiano non (dico non) rendesi conto atteggiamento assunto da codeste autorità che renderebbe praticamente impossibile raggiungimento intesa per acquisto note 200 mila tonnellate grano. Date ripercussioni che mancati acquisti grano avrebbero su accordi italo-sovietici, voglia intervenire presso ministeri Affari esteri e Commercio estero precisando posizione nostra come segue:

1) nonostante esistenza nostre larghe disponibilità granarie intendesi dare ulteriore esecuzione accordi dicembre 1948 procedendo acquisto note 200 mila tonnellate grano sovietico;

2) ultimo prezzo offerto da sovietici e cioè 85 dollari fob. rappresenta massimo sforzo possibile da parte italiana, fatto unicamente per non compromettere attuazione accordi in vigore. Infatti detto prezzo corrisponde a quello effettivo riconosciuto ad Argentina, tenuto conto naturalmente differenze qualitative e oneri speciali per sistemazione vecchia pendenza per mancato ritiro strutto; mentre Governo italiano potrebbe approvvigionarsi oggi a condizioni più vantaggiose.

Ci attendiamo che competenti Ministeri sovietici intervengano prontamente presso Exportleb.

In caso contrario dovremmo concludere che U.R.S.S. non annette stessa importanza dell’Italia alla esecuzione accordi vigenti tra due paesi e vedremmoci quindi obbligati richiamare nostri delegati.

In considerazione inevitabili conseguenze di una eventuale rinunzia acquisto grano è necessario che responsabilità rottura trattative ricada interamente su sovietici.

Prego riferire circa esito passo compiuto, restando inteso che nostra suddetta offerta massima non (dico non) deve essere superata2.

464 1 Vedi D. 433.

465

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 10610/594. Roma, 10 dicembre 1949, ore 21,45.

Telegrammi di V.E. 969 e 9741.

Progetto accordo bilaterale, dopo chiarimenti forniti da V.E., sembra in linea di massima accettabile. Salvo ulteriori modificazioni che potrebbero risultare da trattative con altri paesi, rimangono, per quanto ci concerne, ancora due punti non definiti.

Primo concerne nostri obblighi finanziari. Nonostante precisazioni fornite da

V.E.- e nonostante che ci si orienti verso soluzione positiva, Tesoro non ha ancora comunicato sua approvazione definitiva. V.E.- potrá eventualmente far valere questo argomento, che del resto è ben noto a questa ambasciata d’America, per prendere tempo qualora si rendesse utile far coincidere conclusione nostro accordo con quella altri paesi tuttora in corso trattative.

Circa articolo VIII sarebbe possibile adottare formula originale proposta costà soltanto qualora forma da darsi all’accordo fosse tale da esimere Governo da presentazione accordo al Parlamento.

Tale forma potrebbe essere soltanto quella di note confidenziali da scambiarsi con questa ambasciata d’America.

Noi desidereremmo ciò nell’interesse comune perché ci sembra convenga a tutti che il Patto atlantico assuma una forza superiore ad ogni discussione ciò che non accadrebbe se i partiti manovrati da Mosca trovassero pretesti di lotta in non necessari ostruzionismi parlamentari.

Dunn si rende conto nostro punto di vista e per parte sua non avrebbe nulla in contrario.

Condizione indispensabile per far ciò sarebbe però che accordo avesse per tutti i paesi stessa forma, cioè che tutti i Governi si impegnassero a non (dico non) pubblicarlo e a non presentarlo rispettivi Parlamenti2.

464 2 Per la risposta vedi D. 468.

465 1 Del 29 e 30 novembre, con i quali Tarchiani aveva comunicato le modifiche apportate alloschema di accordo bilaterale con particolare riferimento alle possibili formule circa l’entrata in vigoredell’accordo.

466

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13992/514. Parigi, 10 dicembre 1949, ore 23,50 (perv. ore 7,30 dell’11).

Katz e Bissell accompagnati dai loro principali collaboratori hanno presentato oggi molto confidenzialmente al Consiglio O.E.C.E. un piano preliminare americano relativo scambi e pagamenti per il 1950. Mentre invio per corriere aereo testo e commento addizionale ritengo necessario esporre qui punti principali piano che costituisce logico sviluppo delle posizioni americane di cui ho già riferito. Non sarebbe infatti a mio avviso possibile a V.E. ed altri ministri valutare risultati riunioni regionali chiuse ieri1 senza avere presenti proposte americane che vanno molto più lontane. Piano americano prevede:

1) eliminazione fra tutti partecipanti della massima parte delle restrizioni quantitative bilaterali sugli scambi visibili entro 30 giugno p.v.; restrizioni residue dovrebbero essere multilateralizzate e poi abolite entro 31 dicembre 1951. Parallelamente dovrebbero essere liberate nella misura massima possibile transazioni invisibili correnti;

2) libertà completa dei pagamenti correnti fra tutti partecipanti compresi area sterlina. Sarebbero esclusi dal pieno gioco sistema uno o due paesi (ritengo Grecia e Austria) in particolare situazione critica;

3) regolamento rapporti valutari tra partecipanti attraverso una moneta comune di conto amministrata da un fondo centrale in regime di completa convertibilità delle monete partecipanti fra loro compresa sterlina;

4) regolamento squilibri nelle bilance pagamenti reciproci attraverso fondo centrale in parte in oro e dollari in parte attraverso margini di credito multilaterale in moneta europea;

5) in linea di massima percentuale oro e dollari nei pagamenti da parte debitori sarebbe considerevolmente maggiore che non percentuale che riceverebbero cre

ditori, le differenze andrebbero aumentate coll’aumento dei deficit in modo incitare partecipanti ridurre squilibri;

6) si riconosce che squilibri sono in parte strutturali e che sistema richiede perciò iniezioni dollari E.R.P. in fondo centrale: si suppone modifiche in struttura scambi incorreranno tale necessità nel 1952;

7) per facilitare tali modifiche fondo centrale disporrebbe di dollari al di là di quelli previsti come necessari per coprire parzialmente squilibri non strutturali;

8) fondo sarebbe amministrato nel quadro dell’O.E.C.E. da Comitato composto rappresentanti partecipanti maggiori nonché parte dei membri a rotazione e delibererebbe a maggioranza;

9) fondo distribuirebbe dollari supplementari di cui al precedente numero 7 in relazione sforzi interni dei paesi bisognosi per avvicinarsi posizione squilibrio non eccessiva sia mediante modificazione politica economica interna sia mediante aggiustamento suoi tassi cambi. Se tali sforzi mancassero o non riuscissero paesi in eccessivo squilibrio dovrebbero uscire da sistema ed essere quindi assoggettati discriminazione da parte altri partecipanti;

10) sistema non dovrebbe essere incompatibile con sviluppo intese regionali che prevedessero ancora maggiori integrazioni reciproche fino forse al punto in cui intesa entrerebbe in nuovo sistema pagamenti come se tutti i paesi che lo costituiscono formassero un tutto unico;

11) infine piano americano sottolinea necessitá di armonizzare azioni politiche economiche finanziarie paesi partecipanti fondo.

Primi commenti dei delegati inglesi olandesi svizzeri e danesi hanno indicato interesse accompagnato da dubbi circa ritmo e estensione dei progressi; in ispecie sotto l’aspetto degli scambi che appare loro primario rispetto pagamenti: delegato francese ha espresso a titolo personale timore che piano renda praticamente molto difficile progresso su piano regionale.

Da parte mia mi sono limitato esprimere mio interessamento e a porre alcune questioni che espongo nel rapporto per corriere. Desidero comunque anticipare che risposta finale americana è stata che, indipendentemente da previsioni circa quella che potrà essere posizione effettiva dell’Europa rispetto mondo esterno nel 1952 di cui al precedente numero 6, piano da essa proposto è basato come ha detto testualmente «sull’ipotesi di lavori su cui ritiene si debba procedere in questo mondo di peccati e afflizione».

Sarei grato a V.E. comunicare quanto precede ministro Pella e a governatore Menichella sottolineando carattere strettamente confidenziale e impegno preso capi delegazioni mantenere segreto2.

465 2 Con il T. segreto 14096/1013 del 13 dicembre Tarchiani rispose di essersi al momento astenuto dal prospettare la formula dello scambio di note in considerazione dei numerosi emendamenti pro-posti e dell’intenzione statunitense di pubblicare e registrare l’accordo presso le Nazioni Unite. Egli suggeriva inoltre di presentire le altre capitali interessate risultando al Dipartimento di Stato essere prevalente la preferenza per la formale ratifica dell’atto.

466 1 Si riferisce alla Conferenza Fritalux svoltasi a Parigi dal 29 novembre al 9 dicembre, vediDD. 438, 443, 446, 457 e 462.

466 2 Per le istruzioni di Sforza vedi D. 470.

467

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 14001/515. Parigi, 11 dicembre 1949, ore 20,05 (perv. ore 7,30 del 12).

Mio telegramma 5141.

Poiché nuovo piano americano nonché rapporto Fritalux2 faranno indubbiamente oggetto conversazioni almeno ufficiose durante riunione Gruppo consultivo ministri O.E.C.E. 20 corrente ritengo necessario comunicare telegraficamente V.E. commenti ed impressioni che andrò man mano raccogliendo affinché pervengano senza ritardo ministri interessati. Da primo confronto tra punti essenziali piano americano e rapporto Fritalux emergono differenze sostanziali che spiegano reazione Alphand riferita mio di ieri.

In materia libera[lizza]zione scambi:

1) Fritalux prevede libera[lizza]zione attraverso trattative bilaterali del 75% entro fine 1950 e 100% salvo eccezioni entro 1951. Piano americano prevede invece abolizione totale restrizioni bilaterali entro giugno prossimo ed eliminazione integrale restrizioni multilaterali entro dicembre 1950. Breve tempo sembra rendere superflue trattative;

2) in Fritalux eliminazione dei contingenti sarebbe subordinata abolizione altre pratiche restrittive e discriminatorie nonché progresso nel coordinamento economico e sociale tra paesi associati: permangono differenze circa estensione e misura tale coordinamento. Piano americano prevede invece soltanto coordinamento delle politiche economiche finanziarie generali ed in materia tasso cambi ciò che corrisponde sostanzialmente tesi olandese in Fritalux pur andando più lontano tesi inglese esposta O.E.C.E. principio novembre. Naturalmente piano americano presuppone valida decisione O.E.C.E. 2 novembre scorso3 che prevedeva progresso in varie altre direzioni parallele progresso libera[lizza]zione scambi;

3) mentre Fritalux questione entrata Germania è rimasta in sospeso e francesi appaiono desiderosi rinviarla nel tempo e limitarla nella portata, in piano americano Germania sarebbe senz’altro compresa conformemente tesi olandese in sede Fritalux;

4) così pure in piano americano sarebbe senz’altro superata questione rapporti Gruppi regionali con Inghilterra.

In materia pagamenti:

1) trasferibilità monete europee fra loro, che Fritalux ammette per le monete ivi associate ma con certe restrizioni, sarebbe estesa nel piano americano a tutte monete O.E.C.E. compresa tutta l’area sterlina ed avrebbe carattere …4 ed automatico;

2 Vedi D. 462. 3 Vedi D. 362. 4 Parola mancante.

2) mentre rapporto Fritalux non affronta questione pagamenti per transazioni invisibili limitandosi a raccomandazioni generiche, [piano] americano ne prevede massima libertà possibile entro 1950;

3) disposizioni circa movimento di capitali appaiono analoghe;

4) circa rigidità o flessibilità rapporto cambi piano americano è muto ma sua struttura sembra implicare rigidità anziché formula compromesso di Fritalux. Entrambi piani prevedono aggiustamento tasso cambi dei singoli partecipanti come strumento per raggiungere equilibrio;

5) piano americano prevede inoltre a tal fine meccanismo incentivo quasi automatico.

In materia coordinamento delle economie:

1) fondo riserva Fritalux avrebbe carattere dichiaratamente monetario mentre fondo centrale piano americano avrebbe carattere di strumento amministrativo e cioè sostanzialmente politico per assicurare efficacia e continuità coordinamento delle politiche economiche finanziarie e valutarie di tutti i gruppi O.E.C.E. compresa area sterlina;

2) piano americano ammette intesa regionale ma data portata piano medesimo intesa perde carattere associazione diretta realizzare libera[lizza]zione scambi un poco più in fretta che O.E.C.E. e non si giustifica che patrocini mezzi per realizzare fra paesi associati effettiva unione economica integrale.

In sostanza piano americano andrebbe molto più lontano del rapporto Fritalux sia come estensione territoriale (Germania, area sterlina) sia come ritmo di applicazione sia come strumento di effettivo coordinamento.

Piano americano giustificherebbe tesi sostenuta in sede Fritalux da Olanda secondo cui libera[lizza]zione scambi è possibile con coordinamento limitato alla politica economica finanziaria ma allo stesso tempo giustificherebbe tesi franco-italiana secondo cui reale scopo intesa regionale è realizzare profonda integrazione dei paesi associati. Il problema delle intese regionali verrebbe quindi a porsi in forma del tutto nuova dominata assai più di prima da considerazioni di ordine politico-economico permanente che trascende questione libera[lizza]zione scambi. Tale proposta prende particolare significato contrastante circa problema mano d’opera indicato nel capitolo primo paragrafo 7° ed in capitolo terzo n. 4 del rapporto Fritalux. Su tale questione conto riferire ampiamente tra due o tre giorni una volta terminati lavori Comitato mano d’opera O.E.C.E.

Nel quadro della impostazione americana potremo certo far valere nostre esigenze di coordinamento più ampie e coordinamento profondo ma non come condizione e quindi come possibile freno al processo di libera[lizza]zione scambi e coordinamento politiche generali e valutarie. Questo punto è stato sottolineato da Harriman in conversazione Grazzi e con me. Nostre esigenze dovrebbero ricercare soddisfazione graduale e parziale in seno a tutto gruppo O.E.C.E. e soddisfazione in seno intese regionali impostate come sopra accennato.

Sono evidenti grandi rischi e difficoltà di applicazione che incontrerà piano americano. Non dobbiamo però a mio avviso sottovalutare decisione americani di realizzarlo, lungamente maturata e cosciente dei suddetti rischi. In seduta del Consiglio ieri domandammo americani ragioni per cui prevedono ritmo così celere nonché se è vero che struttura piano implica che modificazioni strutturali in economia europea dovrebbero avere prodotto nell’anno 1952 uno stato di equilibrio generale del bilancio pagamenti in cui i verosimili deficit intraeuropei potranno essere coperti surplus in dollari. Risposta è stata che non si tratta ora di calcolare se equilibrio sarà stato raggiunto nell’anno 1952 ma di agire senza ritardo nella direzione indicata finché rischi più gravi sono coperti da E.R.P. che si esaurirà nel 1952.

Sarò grato a V.E. di comunicare quanto precede ministro Pella, agli altri ministri interessati e a governatore Menichella5.

467 1 Vedi D. 466.

468

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14016/262. Mosca, 12 dicembre 1949, ore 18,14 (perv. ore 20,30).

Telegramma 1371.

Come comunicai con mio telegramma 2492 ho già esaurito col Ministero commercio estero ogni possibile passo intervenendo personalmente presso ministro Menshikov al quale in lunga conversazione ho fra l’altro ampiamente esposto quanto codesto Ministero mi incarica di riferire senza ottenere minimo segno incoraggiamento. Irrigidimento in trattative commerciali sembra ora un atteggiamento deliberato del Governo sovietico come dimostrerebbero esito negativo recenti trattative francesi, belghe, svedesi e inizi apparentemente difficili di quelle finlandesi. Per concretare esecuzione istruzioni ricevute chiederò oggi vedere Gromyko o Zorin per metterli al corrente della situazione nel senso indicatomi e lascerò loro promemoria ai fini della indispensabile fissazione delle responsabilità. Prevengo tuttavia che non (dico non) ritengo mio passo possa avere risultati concreti. Probabilmente Ministero esteri declinerà competenza o prometterà pro forma di informarsi. Se ciò sarà, ulteriore presenza delegati renderebbesi insostenibile e essi partirebbero senz’altro fine settimana dichiarando trattative sospese per eventuale loro ripresa Roma dopo riesame situazione da entrambe le parti. Ciò a meno che nel frattempo ricevessi contrarie disposizioni le quali tuttavia non avrebbero effetto sulle trattative se non accompagnate da una rilevante modificazione prezzo offerto.

2 Vedi D. 433.

467 5 Per le istruzioni di Sforza vedi D. 470. 468 1 Vedi D. 464.

469

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 14033/520. Parigi, 12 dicembre 1949, ore 23,35 (perv. ore 8 del 13).

Riferisco telegraficamente circa incontri confidenziali che hanno avuto luogo ieri e oggi con Bissell, dati loro riflessi su esame nuovo piano americano pagamenti e rapporto Fritalux.

Incontro ieri ha riunito Bissell, Marjolin e principali esperti economici britannico, francese, italiano, olandese. Partecipava per noi Malagodi.

Conversazione, che si è svolta con intiera libertà e senza impegnare rispettive delegazioni, aveva per oggetto presentazione al Congresso della richiesta di fondi per terzo anno E.R.P., ed in relazione a ciò struttura rapporto che O.E.C.E. dovrà presentare in gennaio ad E.C.A.

1) E.C.A. non intende preparare studio generale e «Country studies» voluminoso come anno scorso ma piuttosto una ampia raccolta dati e previsioni statistiche organicamente presentati.

2) Su tale base E.C.A. prenderebbe linea seguente: primi due anni E.R.P. hanno prodotto ingente aumento produzione e notevole progresso in ristabilimento stabilità economica e finanziaria in Europa. Ora, conto tenuto delle rettifiche valutarie del settembre scorso, occorre che Europa si indirizzi verso rapido e ingente aumento sue esportazioni in dollari e verso altre aree di rifornimento. Se azione europea, compresa liberalizzazione scambi e pagamenti, sarà sufficientemente intensa e accompagnata da adeguate misure di politica commerciale americane, sforzo può produrre nel 195253 situazione ancora difficile ma di quasi equilibrio nella bilancia dei pagamenti fra Europa e resto del mondo, compresa area dollaro.

3) Europa non abbisognerà quindi aiuto tipo E.R.P. dopo 1952. Faranno probabilmente eccezione Austria e Grecia.

4) Inoltre Bissell ci ha informati che a Washington si sta esaminando la opportunità che Acheson, Snyder e Hoffman compaiano insieme in gennaio davanti alle Commissioni competenti del Congresso per fare una esposizione d’insieme della politica economica estera americana. L’esposizione comprenderebbe l’E.R.P., l’aiuto per Filippine, il punto quarto e forse una proposta aiuto per Asia sud-orientale. L’aspetto finanziario dell’aiuto militare in base M.A.P. sarebbe compreso o in tale esposizione o in un’altra esposizione d’insieme della politica di difesa.

5) Nell’esposizione suddetta ministri americani farebbero risultare necessità che America tragga le conseguenze della sua posizione di creditore e renda possibile equilibrio economico del resto del mondo, liberalizzando la sua politica d’importazione e di investimenti all’estero. Accento verrebbe messo su necessità mondiale, non soltanto europea, di tali sviluppi: se ad una area si dovrà dare speciale risalto, sarà probabilmente l’Asia sud-orientale.

6) Questa presa di posizione di fronte al Congresso e al paese sarebbe seguita da nomina di una «public Commission», sul tipo della Commissione Harriman che tanto contribuì nel 1947-48 all’accettazione del piano Marshall. La nuova Commissione dovrebbe riferire entro breve termine sulle misure pratiche necessarie per realizzare la politica di cui al precedente numero 5.

7) Gli interlocutori europei di Bissell hanno manifestato tutti viva soddisfazione destata in loro da questo ordine d’idee. Nostro rappresentante ha sottolineato nostra comprensione per carattere costruttivo dei propositi americani, nonché per la necessità della Amministrazione americana di procedere gradatamente entro le limitazioni nel suo sistema costituzionale e politico. Al tempo stesso ha ricordato come da tempo i progressi ulteriori del piano di ricostruzione siano rallentati, e possano ad un certo punto essere impediti, se i paesi europei non si sentono sicuri che la loro opera si svolge nel quadro di una cooperazione permanente con l’America. Ciò non significa meccanica continuazione dell’E.R.P. oltre il 1952, ma appunto la realizzazione dell’insieme di idee esposte da Bissell. È necessario ad esempio che l’Amministrazione americana comprenda difficoltà economiche e politiche che presenta per Governi europei un piano pagamenti e scambi sulle linee del nuovo piano americano, con la prospettiva di notevoli cambiamenti strutturali in un periodo socialmente e politicamente ancora molto difficile in tutta Europa, a meno che non vi siano appunto concreti affidamenti pel futuro che permettano di scorgere una integrazione economica estesa a tutto il mondo atlantico, anche se composta di raggruppamenti meno vasti ma più stretti.

8) Concetti analoghi sono stati svolti anche dagli altri europei nel corso della discussione. Bissell pur tenendo naturalmente a diminuire la portata dei problemi interni europei, ha mostrato effettiva comprensione ed ha dichiarato in conclusione che rientrando a Washington svolgerà tutta possibile azione perché cose procedano nel senso indicato.

9) Durante discussione, uno collaboratori Bissell ha avanzato idea che Stati Uniti potrebbero entrare in O.E.C.E. Si sono constatate grandi difficoltà nel momento attuale, ma, al livello tecnico, idea è stata considerata molto interessante, con una ombra di freddezza da parte francese.

10) Incontro stamane ha riunito Bissell con Marjolin e gruppo esperti economici Comitato esecutivo incaricato redazione rapporto O.E.C.E. ad E.C.A., per esaminare particolarmente situazione quale si prospetta per 1952-53. Esame Segretariato mette infatti evidenza la verosimile persistenza di un deficit molto considerevole, anche se Stati Uniti migliorano sostanzialmente loro politica commerciale. Esperti europei hanno anche fatto notare come aumenti produzione e esportazione europea oltre livelli attuali non potranno essere molto rapidi e come politica completa libera[lizza]zione scambi, per quanto indubbiamente utile entro alcuni anni per riduzione costi europei, potrà produrre sua prima fase un rallentamento delle esportazioni europee in dollari.

11) In conseguenza esperti europei inclinavano non tentare vero e proprio calcolo possibile situazione 1952-53, ma esporre pittosto natura e ordine grandezza dei problemi (come produzione, esportazioni, spostamenti di acquisti su aree non dollaro) nonché linee della politica necessaria, in Europa e in America, per risolverli. V.E. ricorderà che questa fu posizione già da noi assunta nell’autunno 1948, discutendosi primo rapporto interim, ed ora generalizzatasi.

12) Bissell, per ragioni di opportunità in America, ha invece insistito sulla necessità di una presentazione quantitativa, pur riservandosi di riconsiderare punto vista europeo.

13) Egli ha aggiunto che raccomanda vivamente che rapporto O.E.C.E. non appaia come anticipata richiesta di fondi pel 1952-53 e che eventuali discussioni al riguardo siano lasciate all’E.C.A.

14) Nel complesso seconda riunione ha confermato serietà con cui E.C.A. e in genere Amministrazione americana considera situazione; sua crescente consapevolezza delle questioni in gioco, anche sotto profilo politico europeo; e sua intenzione andarle affrontando. Bissell ha tenuto assicurarci che tale consapevolezza si manifesta ora anche nelle sfere dirigenti dei sindacati e dell’industria americana.

Sarò grato a V.E. se vorrà disporre perché quanto sopra sia comunicato anche a delegazione per opportuna segnalazione ai ministri, sottolineandone carattere segreto (dico segreto).

470

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO 10650/671. Roma, 13 dicembre 1949, ore 15,30.

Riferimento telegrammi 514 e 515 delegazione1, voglia appurare intenzioni codesto Governo circa piani americani libera[lizza]zione anche in relazione recenti formule di intese per progetto regionale. Sarebbe desiderabile che al riguardo potesse stabilirsi linea comune italo-francese2.

471

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14079/264. Mosca, 13 dicembre 1949, ore 21,08 (perv. ore 23).

Mi riferisco al mio telegramma n. 2621.

Oggi ho parlato con Gromyko al quale ho prospettato situazione trattative riassumendole in promemoria che gli ho consegnato. Gli ho aggiunto le considerazioni opportune per fargli intendere serietà nostra posizione, impossibilità esigere da noi ulteriori sensibili sacrifici e gravità conseguenze su nostri rapporti economici e generali. Pur non declinando affatto competenza su questione e anzi dimostrando interessarsene vivamente, egli si è dichiarato non al corrente e si è riservato prendere posi

2 Per la risposta vedi D. 477.

zione ed eventualmente rispondere dopo aver preso contatti con Commercio estero. È quasi certo che secondo abitudini sovietiche tale risposta non verrà se non eventualmente attraverso ulteriore atteggiamento Exportleb. Salvo istruzioni contrarie, nostri delegati si recheranno venerdì 16 corrente dal presidente Exportleb per prendere congedo e se egli non prenderà iniziativa riaprire conversazioni su basi ragionevoli partiranno sabato 17 corrente.

470 1 Vedi DD. 466 e 467.

471 1 Vedi D. 468.

472

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2480/817. Mosca, 13 dicembre 19491.

Poiché il riarmo della Germania è uno dei punti che più preoccupano i sovietici in tutto il corso della politica europea, è naturale che le recenti discussioni fra gli Alleati al riguardo del riarmo germanico, e le recenti dichiarazioni di Adenauer2 sul-l’argomento, siano seguite qui con grandissimo interesse.

È una vera e propria nuova campagna di stampa la quale si sta sviluppando finora non ancora vistosa, ma già insistente, per denunciare questo nuovo sviluppo dei piani imperialistici anglo-americani. Lo spunto è stato dato essenzialmente dalla notizia, proveniente da Bonn, secondo la quale l’accordo di Petersberg firmato dai comandanti supremi delle potenze occidentali e da Adenauer3 conterrebbe un certo numero di articoli segreti, il più importante dei quali riguarderebbe la formazione di un esercito mercenario della Germania occidentale.

Più recentemente (11 dicembre) Stella Rossa pubblicava una notizia secondo la quale, dopo violenta discussione, i tre alti commissari occidentali per la Germania avrebbero concordato un piano organizzativo di formazione di «forze di polizia allargate» consistenti in undici divisioni di 10 mila uomini, armate di artiglieria leggera e di tanks ed alloggiate in baracche militari. L’iniziale armamento dovrebbe essere americano.

Su questa notizia la campagna di stampa svolge i temi principali del disaccordo fra gli Alleati — gli americani favorevoli, gli inglesi e francesi restii al riarmo — e della resistenza dell’opinione pubblica francese di fronte alla eventualità di un riarmo tedesco.

Non vi è dubbio che i sovietici cercheranno di impiegare tutti i mezzi a loro disposizione per impedire o almeno ritardare il riarmo, e per contenerlo entro i limiti più ristretti.

Tali mezzi non possono che essere i movimenti popolari all’interno dei paesi occidentali, la cui efficacia, del resto, essi sanno, è relativa. Ma su questo tema del riarmo tedesco molti francesi, belgi ed olandesi, anche anticomunisti, sono decisamen

2 Vedi D. 453.

3 Vedi D. 424.

te diffidenti e contrari. Molti nord-americani ed inglesi sono quantomeno esitanti. I sovietici sperano qui di trovare un terreno più favorevole, se non per raggiungere lo scopo, almeno per allargare la loro propaganda di pace e per raccogliere nuovi adepti.

È quindi da prevedere che la loro azione al riguardo si svilupperà e potrà raggiungere una notevole intensità, non soltanto sulla stampa (che è diretta principalmente alla opinione pubblica interna) ma anche e sopratutto mediante le agitazioni popolari nei paesi occidentali.

È da presumere che la loro azione non avrà sugli americani alcuna influenza, anzi sarà controproducente; ed a questo riguardo bisogna dire che gli americani e gli occidentali in genere commetterebbero un evidente errore a lasciarsi vincere da considerazioni di diffidenza eccessiva verso i tedeschi, o di opportunità di non provocare i sovietici.

Il punto da risolvere in generale è anzitutto se ed in che misura bisogna oggi spingere la campagna degli armamenti, anche a scapito di quella per la ricostruzione economica e sociale del mondo occidentale; risolto questo punto, e comunque sia risolto, non si possono volere amici i tedeschi e nello stesso tempo rifiutare loro i segni più tangibili di questa fiducia ed amicizia, ed esporre il loro paese a divenire un campo di battaglia ch’essi non avrebbero il diritto di difendere. In quel momento si tratterà semplicemente di vedere se e come si riuscirà ad inquadrare ed a moderare entro una Europa unita le rinascenti forze tedesche.

472 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

473

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 10639/5036. Washington, 13 dicembre 1949 (perv. il 20).

Con il mio rapporto n. 10373/4870 del 5 corrente1, ho segnalato a V.E. quanto mi era stato detto dal segretario di Stato Acheson sulla conversazione avuta da Beblercon Perkins circa la questione del Territorio Libero di Trieste. È stata mia cura di accertare nei giorni scorsi, presso gli uffici, gli esatti termini del passo di Bebler.

Ci è stato anzitutto detto che il segretario di Stato si era espressamente astenuto dal fornirmi lui stesso maggiori dettagli circa la predetta conversazione appunto perché aveva cercato di non suscitare in me l’impressione che egli, sia pure col riferire le idee jugoslave, volesse esercitare una qualsiasi forma di pressione sul Governo italiano o anche soltanto avanzare un suggerimento.

Gli uffici hanno poi ripetuto quanto mi aveva detto Acheson e cioè che il Governo americano rimane fedele alla dichiarazione del 20 marzo 19482, ma che

naturalmente avrebbe preso volentieri in esame, con gli altri firmatari del trattato di pace, qualsiasi soluzione del problema del Territorio Libero di Trieste che fosse di gradimento dei Governi italiano e jugoslavo.

Ciò premesso, ci è stato detto che Bebler aveva formalmente chiesto al Governo americano di intervenire presso il nostro Governo perché acconsentisse a risolvere la questione del Territorio Libero di Trieste. Richiesto di precisazioni da parte degli americani, Bebler avrebbe premesso che, nonostante la salda posizione interna del regime di Tito, era impossibile che il Governo jugoslavo accettasse, specie nell’attuale delicato momento dei suoi rapporti con il Cominform, una soluzione del problema di Trieste che non «salvasse la faccia». Egli ha poi menzionato l’esistenza di località abitate da slavi site nella Zona A del T.L.T., nonché di comunità italiane comprese nella Zona B e, senza entrare in dettagli, ha detto che la Jugoslavia era interessata all’inclusione nei suoi confini dei centri slavi. Vagamente Bebler avrebbe poi accennato alle conversazioni Tito-Togliatti del 19463.

Da parte americana, data la pregiudiziale dichiarazione da essi fatta, si è evitato di discutere con Bebler i predetti particolari.

Ricordata brevemente quale sia sempre stata la nostra posizione circa il ritorno di tutto il Territorio Libero alla sovranità italiana, abbiamo anche noi evitato di discutere dettagli e ci siamo limitati a ringraziare per le informazioni, aggiungendo che avremmo riferito a V.E. questi ulteriori elementi, che sarebbero serviti ad illuminare il carattere e la portata delle avances di Bebler.

A prescindere dagli aspetti puramente giuridici (sia nei confronti di tutti i firmatari del trattato di pace sia nei riguardi del Consiglio di sicurezza) mi pare che la questione si presenti sempre nei termini da me prospettati a V.E. col mio rapporto n. 6099/2693 del 14 luglio u.s.4. Spetta a noi cioè di decidere se preferiamo mantenere, e chiedere che venga mantenuto, l’attuale status quo, con i suoi inconvenienti ma con le sue garanzie, o se desideriamo invece esplorare le possibili vie di una soluzione definitiva del problema del Territorio Libero di Trieste, soluzione che non può che essere di compromesso.

Come scrivevo nello scorso luglio a V.E., sarà necessario esaminare attentamente e tempestivamente gli aspetti legali e politici della reazione sovietica ad un eventuale accordo italo-jugoslavo circa Trieste. Mi risulta che i competenti uffici del Dipartimento hanno iniziato tale studio, specie dal punto di vista legale. Per quanto riguarda l’aspetto politico, segnalo a V.E. una valutazione, del resto personale, di uno dei nostri interlocutori americani. Secondo il predetto, la Russia si verrebbe a trovare in serio imbarazzo, nei confronti del partito comunista italiano, se decidesse di opporsi ad una soluzione del problema di Trieste che raccogliesse contemporaneamente il favore di Roma e Belgrado. In tale ragionamento vi è certo del vero ma, a mio giudizio, non dovremmo sottovalutare la particolare mentalità dei russi, che potrebbero ancora una volta atteggiarsi, sia pure in contrasto con quello che appare un loro interesse politico, a campioni della legalità5.

4 Non pubblicato.

5 Per la risposta vedi D. 500.

473 1 Non pubblicato ma vedi D. 451.2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

473 3 Vedi serie decima, vol. IV, D. 478.

474

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 10698/541. Roma, 14 dicembre 1949, ore 19,30.

Suo telespresso urgente 0541.

Poiché il linguaggio di Clutton sembrava volutamente poco conciliante ho pregato Zoppi dire subito Mallet quanto segue:

1) che Governo italiano tiene al di sopra di tutto alla buona intesa coll’Inghilterra ma che vi sono casi in cui il nostro onore e la nostra stessa ragion d’essere ci impedirebbero di tacere;

2) che tale caso sarebbe la continuazione degli assassinî in Eritrea;

3) che quindi si deve sapere costì che noi dovremmo appellarci all’opinione mondiale anche perché quella è la sola via di conservare il rispetto del popolo britannico che è all’oscuro della barbara avventura.

Codesta ambasciata deve dirlo con addolorata franchezza.

475

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 10723/599. Roma, 14 dicembre 1949, ore 22.

Suo 10131.

Stamani dissi Dunn e Bruce della nostra proposta scambio note illustrando loro le ragioni psicologiche cioè nostro comune interesse non fare periodicamente discutere un principio importante come quello del Patto atlantico.

Ambedue furono d’accordo meco e spontaneamente mi dichiararono che telegraferebbero subito costì.

474 1 Del 10 dicembre, con il quale Gallarati Scotti aveva trasmesso un appunto relativo alla consegna al Foreign Office di una nota sugli incidenti in Eritrea e ai commenti di Clutton e Stewart.

475 1 Vedi D. 465, nota 2.

476

L’INCARICATO D’AFFARI AD ATENE, MARIENI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3337/1184. Atene, 14 dicembre 1949 (perv. il 16).

Durante un ricevimento dato dall’addetto militare americano, il segretario permanente di questo Ministero affari esteri, recentemente rientrato da Lake Success, mi ha intrattenuto in colloquio per circa mezz’ora.

Il signor Pipinelis mi ha voluto esprimere tutta la sua soddisfazione per le conversazioni avute con S.E. l’on. Brusasca durante la sua breve sosta a Roma e per i contatti con personalità italiane a New York.

Egli mi ha detto di essere contento del modo come vengono applicati i recenti accordi di collaborazione economica da ambo le parti — dichiarazioni in tal senso Pipinelis aveva già fatto alla stampa locale al suo rientro in patria — e come, sbarazzato il terreno da queste conseguenze della guerra, sia ormai notevole l’identità di vedute ed interessi fra Italia e Grecia sui maggiori argomenti di politica internazionale e come sia pertanto utile e necessario rendere sempre più frequenti e quasi regolari i contatti di uomini responsabili dei due paesi. Ha soggiunto che sarebbe lieto se il Governo greco potesse avere l’occasione di ospitare ad Atene qualche personalità influente della politica estera italiana nell’eventualità di viaggi, nel Medio Oriente, da parte di membri del nostro Governo.

Ho ringraziato il signor Pipinelis di questo indiretto invito e gli ho detto che condividevo pienamente le idee da lui espresse. Al tempo stesso ho ritenuto di dover cogliere l’occasione per ricordargli come nell’atmosfera sempre più amichevole che si va felicemente instaurando fra i due paesi sarebbe molto apprezzata una pronta liberazione dei nostri quattro militari ancora in carcere in Grecia; ciò toglierebbe di mezzo una delle ultime conseguenze lasciate dalla guerra. Mi ha risposto di essere pienamente d’accordo e mi ha dato formali assicurazioni che sarebbe stato provveduto molto presto, in un modo o nell’altro, alla loro liberazione.

Da tutto il colloquio e soprattutto dalla sua insolita cordialità ho avuto l’impressione che effettivamente si voglia cercare una maggiore intimità di rapporti col nostro paese e stia lentamente sfumando quella atmosfera di sospetti nei nostri riguardi, intrattenuta fin’ora dai dirigenti politici locali, e quella ridicola aria di superiorità tanto cara a molti greci e dovuta al fatto di essere usciti fra i vincitori dal conflitto mondiale. A tutto ciò certamente non sono estranee le numerose delusioni patite e l’instabile equilibrio della politica estera greca che ha dovuto incassare molte ripulse alle sue aspirazioni da parte dei Grandi e non è riuscita ad inserirsi stabilmente nella coalizione dell’Occidente e a costituire di essa parte attiva e integrante, rimanendone invece solo una appendice, tutelata e protetta sì, ma con funzioni pienamente passive. Tutto ciò mentre l’Italia, uscita vinta dal conflitto, sta riprendendo quota rapidamente nel campo internazionale.

Identica impressione di mutato atteggiamento nei nostri riguardi ho dovuto registrare in colloqui avuti con membri della delegazione parlamentare greca all’Assemblea d’Europa reduci da Strasburgo, che hanno voluto esprimermi la loro ammirazione (non sempre esente da gelosia e disappunto) per la nostra «miracolosa ripresa» e rendere omaggio al sincero sentimento di solidarietà europea che anima tutta la nostra politica estera.

477

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 14160/621-622. Parigi, 15 dicembre 1949, ore 21,08 (perv. ore 7,30 del 16).

Suo 6711.

Schuman mi ha fatto comunicare da Alphand che è d’accordo anzi desideroso azione comune franco-italiana.

Alphand mi ha aggiunto che Governo francese, preso come è da tempestose discussioni per bilancio, non ha ancora avuto tempo studiare questione né in se stessa né in rapporto a Fritalux.

Sua impressione — che condivido — è che ci troveremo di fronte programma americano ben definito che si potrà rivedere in qualche dettaglio, forse dilazionare nei suoi termini, ma a cui non si può opporre seria resistenza nemmeno passiva, senza spiacevoli conseguenze, anche perché sostanzialmente ragionevole.

Quanto a Fritalux, sua impressione, che pure condivido, è che essa sia già sorpassata nella sua attuale forma. Progetto americano va più avanti proposte Fritalux sia per quello che riguarda liberalizzazione scambi sia per pagamenti. Unica cosa di più che ha Fritalux è che esso prevede coordinamento investimenti, politica economica e fiscale ecc. Bisogna però riconoscere che anche in questo campo Fritalux prevede solo creazione Commissioni le quali, a meno di avere istruzioni tassative dai loro Governi, che non ci sono, non possono fare altro che elencare difficoltà.

Governo francese ritiene che politica Fritalux era questa: ma di fronte progetto americano è anche inutile tentare servirsene come alternativa: lo sarebbe possibile solo in caso, difficilmente prevedibile, fallimento progetto americano. Se si vuol continuare Fritalux bisognerebbe essere decisi a misure vere e proprie integrazione economica che vadano al di là progetto americano: cosa a cui oggi nessuno dei Governi partecipanti sembra disposto.

Politicamente pertanto, dal punto di vista interno francese, egli ritiene (e ritengo abbia ragione) che, di fronte ad offensiva scatenata sia da organizzazioni sindacali che da organizzazioni padronali nei confronti politica liberalizzazione, sia impossibile a qualsiasi Governo francese presentare sua opinione pubblica, oltre a misure abolizione contingenti e restrizioni monetarie, anche misure abbassamento o addirittura

abolizione tariffe doganali, sia pure solo in certi settori, il che sarebbe necessario di fare se si vuole pensare a misure ulteriori integrazioni.

Egli ritiene che, qualora si spieghi chiaramente ad opinione pubblica che per liberalizzazione si intende solo abolizione tutte pratiche restrittive mantenendo però protezione doganale, si riuscirà a convincere che effetti saranno tutt’altro che disastrosi tranne che per alcune frazioni monopolistiche. Campagna sarà comunque dura e sarà necessario scalare problemi: rimandare cioè ad un secondo tempo misura sia generale che ridotta in aree più ristrette diminuzione od abolizione tariffe doganali.

Mi ha specificato che queste sono sue opinioni personali, condivise pure personalmente da Schuman ma non (ripeto non) da altri membri Governo. Ritiene però che, appunto per ragioni politiche interne, siano punti di vista che finiranno per prevalere.

Siccome vedrò Schuman su questo argomento lunedì prossimo [il 19] mi sarebbe utile, se possibile, avere in proposito opinione V.E. e Governo italiano2.

477 1 Vedi D. 470.

478

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 10765/603. Roma, 16 dicembre 1949, ore 13,20.

Suo 10121.

Riferimento riunioni novembre commercio Europa orientale2, atteggiamento italiano ha fatto oggetto di passo ambasciatore Dunn che ha espresso vivo apprezzamento suo Governo. Raccomandazioni Comitato consultivo sono state da noi integralmente accettate. A suo tempo saranno comunicate V.E. decisioni e atteggiamento Governo statunitense, inglese, francese, belga, olandese, danese e norvegese. Svezia e Svizzera assenti novembre non parteciperanno prossima riunione gennaio. Tra raccomandazioni principale è costituzione Segreteria permanente con sede Parigi. Candidato, appoggiato statunitensi, per posto Segreteria è funzionario italiano.

477 2 A questo documento non è stata rinvenuta risposta alcuna, né v’è traccia di un colloquio diQuaroni con Schuman il 19 dicembre. Per il loro successivo incontro vedi D. 519. 478 1 Del 13 dicembre, con esso Tarchiani aveva comunicato gli ulteriori emendamenti proposti daparte statunitense allo schema di accordo bilaterale.2 Non sono stati pubblicati documenti su tali riunioni ma vedi D. 330.

479

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14206/185. Gerusalemme, 16 dicembre 1949, ore 19 (perv. ore 23).

Mio telegramma n. 1841.

Ministri e Assemblea costituente Israele verranno sistemati provvisoriamente residenza Agenzia ebraica. Secondo le notizie confermate devesi a carattere impulsivo ed autoritario Ben Gurion improvvisa decisione trasferire Gerusalemme Parlamento e sede Governo.

Ministri appartenenti stesso partito capo Governo e ministri blocco religioso tentarono opporsi ogni azione suscettibile essere interpretata come sfida O.N.U. Altri suggerirono attendere ritorno ministro affari esteri dall’America.

Prevalse corrente Ben Gurion il quale aveva ottenuto intanto adesione Mapan, maggior partito della opposizione. Rispondendo allocuzione sindaco Gerusalemme per corresponsione cittadinanza onoraria Ben Gurion ha dichiarato essere consapevole gravità determinazione presa, asprezza lotta che Israele dovrà sostenere cui aspetto importante e decisivo sarà quello economico. Primo ministro alludeva così eventuali sanzioni economiche da parte Nazioni Unite.

Ove America avesse votato favorevolmente, internazionalizzazione Gerusalemme poteva considerarsi fatto compiuto.

480

IL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14211/36. Francoforte, 16 dicembre 1949, ore 21,50 (perv. ore 7 del 17).

Presentato ieri a Petersberg credenziali all’Alta Commissione alleata. In seguito decisione procedere cerimonia unica per tutti i nuovi capi missione che avevano già depositato copia proprie credenziali quasi tutti i paesi Europa occidentale nonché Canada e India hanno ora in Germania proprio rappresentante diplomatico. Stampa dato grande pubblicità avvenimento su cui riferisco per corriere pur rilevando che esso ha ancora una volta messo in luce che nuovo Stato tedesco non ha ancora condotta propria politica estera. Istituzione missione italiana stata particolarmente rileva

ta e su di essa è apparso stamane su Neue Zeitung il primo di una serie di brevi articoli che il quotidiano proponesi dedicare varie missioni estere.

Presentazione presidente Heuss stata rinviata prima settimana gennaio forse collettivamente per farla coincidere con auguri Capo d’Anno1.

Vedrò subito dopo cancelliere federale2 e in questa occasione porgerò messaggi verbali di cui sono stato incaricato, tempestivamente pervenutimi e dei quali ringrazio. Su essi mi sono già intrattenuto in via amichevole favorevolmente con alto commissario francese presidente di turno Alta Commissione.

479 1 Del 14 dicembre, con il quale Silimbani aveva dato le prime notizie sul trasferimento a Gerusalemme del Parlamento e di alcuni Ministeri di Israele.

481

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATISSIMO 3139. Belgrado, 16 dicembre 1949 (perv. il 20).

Durante una conversazione con questo ministro aggiunto agli affari esteri, signor Popovic, già ambasciatore a Mosca, un giornalista inglese gli ha chiesto quale potrebbe essere una soluzione del problema del Territorio Libero di Trieste.

Il signor Popovic, esprimendo una opinione personale, e dopo avere invitato il giornalista inglese a non renderla pubblica, avrebbe prospettato la seguente soluzione:

— -Zona A all’Italia con rettifiche di frontiera a favore della Jugoslavia; — -Zona B e Gorizia alla Jugoslavia.

Ho ritenuto opportuno informarla su tale conversazione, perché, a quanto mi risulta, è la prima volta che da parte di una personalità politica jugoslava, sia pure a titolo personale, si accenna ad una soluzione in termini così concreti del grave problema.

La circostanza che Popovic abbia fatto tale dichiarazione ad un giornalista inglese, può essere messa in relazione al probabile desiderio che la stampa ed il Governo inglese patrocinino, a tempo opportuno, una soluzione gradita a questo Governo.

V.E. ricorda che il Times ebbe ad accennare alla soluzione del problema con l’attribuzione della Zona A all’Italia e della Zona B alla Jugoslavia. Riferii pure, a suo tempo, che, durante una conversazione con questo ambasciatore di Gran Bretagna, il signor Bebler chiese a quest’ultimo se il Governo inglese non avesse una soluzione da proporre (mio telespresso 1021/505 del 26 aprile u.s.)1. Che qui si punti più sull’Inghilterra che sull’America, sembra doversi desumere dalla circostanza che non mi risulta che analoghi accenni siano stati fatti ad esponenti della stampa e della politica americana.

2 Vedi D. 539.

È anche vero però che, mentre da parte inglese è stato fatto qualche sondaggio, sia pure occasionale, da parte americana è stato mantenuto, almeno da parte dell’ambasciatore Cannon, un maggiore riserbo.

La dichiarazione di Popovic rivela infine che questo Governo non ha ancora rinunciato all’idea di Gorizia, come del resto ne avevo avuto l’impressione nel mio colloquio con Bebler del luglio scorso (mio telespresso del 29 luglio n. 1906/927)2.

Mi onoro infine riferire che, in un recente colloquio di questo ministro del Belgio col maresciallo Tito3 questi ha espresso la speranza di trattative dirette con l’Italia per la soluzione della questione del Territorio Libero di Trieste4.

480 1 Vedi D. 532.

481 1 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 815.

482

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3166/2492. Sofia, 16 dicembre 1949 (perv. il 20).

Riferimento: Mio telespresso 3164/2490 del 16 dicembre 19491.

Sul processo Traicio Kostov — circa il quale riferisco in dettaglio col rapporto succitato — si possono dal punto di vista politico fare i seguenti rilievi:

1) il processo è un episodio della politica sovietica diretta a consolidare il suo dominio sugli Stati satelliti, spietatamente eliminando nei rispettivi partiti comunisti qualsiasi personalità che non mostri a Mosca pieno ossequio e cieca disciplina. Il vero movente della disgrazia di Traicio Kostov è che questi, insieme con un gruppo di altri comunisti bulgari, aveva mostrato velleità di indipendenza nei riguardi del-l’U.R.S.S., e creduto possibile di conciliare la fede comunista con la difesa di interessi nazionali bulgari. In Bulgaria, come negli altri Stati satelliti, Mosca intende schiacciare ogni germe di «titoismo», in modo da evitare la ripetizione del caso jugoslavo;

2) col processo Traicio Kostov, l’U.R.S.S., pur avendo raggiunto lo scopo di effettuare una purga nel partito comunista bulgaro, ha nel contempo suscitato profonda reazione — destinata a rimanere senza effetti concreti — nell’animo della grande maggioranza dei bulgari; il processo ha infatti sottolineato, e messo quasi in rilievo, lo sfruttamento economico esercitato dall’U.R.S.S. in Bulgaria, al quale hanno cercato di far argine, per un certo tempo e per quanto hanno potuto, uomini di primo piano nello stesso partito comunista. Invano Mosca ha procurato, architettando artificiosamente il processo, di velare l’azione di difesa degli interessi bulgari, svolta dal gruppo dei condannati, con accuse di tradimento, spionaggio, sabotaggio, ecc. Al pubbli

3 Martino ne aveva riferito con il R. 3199 del 23 dicembre, non pubblicato.

4 Per la risposta vedi D. 509.

co bulgaro è risultata evidente la sostanza del contrasto, come l’infondatezza dei principali capi d’accusa; ed a ciò ha anche contribuito il rinnegamento, fatto nel dibattimento, da Traicio Kostov, delle confessioni da lui scritte, evidentemente estortegli con i noti sistemi. Da questo punto di vista il processo Traicio Kostov ha avuto effetti negativi per la posizione e la valutazione dell’U.R.S.S. fra il popolo bulgaro. Ed è quindi anche una speculazione sbagliata quella di far coincidere la fine del processo con la data fissata per le elezioni generali politiche, anche se queste, forzatamente, risulteranno plebiscitarie;

3) la tecnica impiegata nel processo è di netta impronta moscovita, e ricorda gli analoghi processi del partito comunista bolscevico contro compagni di primissimo piano che avevano dimostrato velleità antistaliniane, come pure il recente processo Rajk a Budapest. Anche nel processo Kostov non si può parlare di «giustizia» nel senso occidentale, in quanto non vi è un’obbiettiva ricerca di appurare la verità dei fatti. Vi è soltanto un determinato scopo politico e di propaganda da raggiungere; in relazione a questo scopo, si inventano dei fatti mai accaduti, che non hanno sovente neppure il carattere della plausibilità, e si obbligano gli imputati, con i noti sistemi di pene corporali, di intimidazione o di promesse, a confessare che i detti fatti inventati sono loro realmente accaduti; e così pure si agisce verso i testimoni, gran parte dei quali, nel processo Traicio Kostov, erano già in prigione, e vi sono rimasti per essere sfruttati nei nuovi, già annunciati processi.

Nulla questa artificiosa macchina ha a che fare con un vero procedimento giudiziario, a parte il disgusto che dà il vedere trattati degli esseri umani con procedimenti rivoltanti.

481 2 Vedi D. 86, nota 2.

482 1 Non pubblicato.

483

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14246/265. Mosca, 17 dicembre 1949, ore 20,10 (perv. ore 21,30).

Arrivo Mao Tze-tung a Mosca è stato una completa sorpresa per tutti diplomatici occidentali che ne hanno avuto notizia dalla radio. Solennità accoglienza ed immediato ricevimento da parte Stalin con largo autorevole seguito dimostra come leader cinese si sia preventivamente assicurato ricevimento corrispondente al piano sul quale sovieti e cinesi intendono porre i due rispettivi Stati. Opinione più accreditata qui corrente, confermata anche da testi della breve locuzione di Mao Tze-tung alla stazione, è che la visita non sia connessa con imminente anniversario Stalin1 ma abbia significato politico.

A tal riguardo si formula ipotesi ragionevole che l’oggetto principale delle conversazioni sarebbe — oltre quello di un giro di orizzonte su complessi problemi internazionali sorgenti da creazione nuovo Stato — principalmente revisione trattato cinosovietico del 14 agosto 1945 in conformità a recenti dichiarazioni ministro esteri cinese circa revisione o denunzia trattati in vigore. Si ritiene pure che saranno particolarmente trattati problemi inerenti Manciuria. Benché anche problema aiuti economici sovietici alla Cina possa essere toccato, la stessa composizione della missione Mao Tze-tung, nella quale non risultano ministri né esperti economici, esclude che esso formi oggetto principale delle trattative. Finora non vi sono commenti stampa. Mi riservo ulteriori informazioni.

483 1 Si riferisce al compleanno di Stalin il 21 dicembre.

484

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

TELESPR. SEGRETO 1392 SEGR. POL. Roma, 17 dicembre 1949.

Il giorno 29 novembre il ministro d’Austria mi ha consegnato il pro-memoria ed il riassunto acclusi1.

Nel riceverli ho detto chiaramente a Schwarzenberg che l’atteggiamento del Governo italiano era pienamente giustificato da ragioni morali e di diritto. Gli ho detto anche la mia certezza che se andassimo alla Corte dell’Aja, questa ci darebbe ragione.

Ma ho aggiunto subito che avevo troppo a cuore le buone relazioni con l’Austria per prospettarmi un conflitto aperto. Ritenevo anzi necessario giungere ad un’intesa amichevole, ma tuttavia tale che il principio morale e politico che aveva a suo tempo ispirato gli accordi di Parigi2, fosse in qualche modo restaurato.

In risposta al pro-memoria consegnatomi da Schwarzenberg ella vorrà consegnare formalmente a codesto ministro degli affari esteri il pro-memoria che egualmente si acclude3. Ho ragione di supporre che Gruber non abbia mai letto, o quanto meno mai pienamente meditato, le nostre precedenti comunicazioni cui fa riferimento il pro-memoria presente; o, peggio ancora, che egli abbia ritenuto il nostro atteggiamento un espediente tattico del momento escogitato dagli uffici, dietro al quale mancava il peso di una considerata azione di Governo. Voglia convincerlo del contrario, ma al tempo stesso rendere evidente la nostra buona volontà di giungere ad un accordo onorevole per le due parti e ad entrambi conveniente.

Ritengo più utile per il momento non formulare proposte concrete, lasciando agli austriaci, ove accettino la nostra proposta di un prossimo negoziato, di farlo. Il

2 Vedi serie decima, vol. IV, D. 251.

3 Vedi Allegato.

gentlemen’s agreement, di cui si era parlato l’estate scorsa tra il consigliere di Stato Innocenti e il barone Versbach4 è caduto di fronte a nuovi ostacoli di natura politica e giuridica; ma esso sta a dimostrare che la via di un accordo esiste qualora il Governo austriaco (e noi siamo pronti a facilitargli il compito ricercando di comune accordo una formula che non abbia nulla di umiliante per lui) si mostri disposto a rimuovere gli ostacoli che ancora rimangono.

ALLEGATO

IL MINISTERO DEGLI ESTERI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI D’AUSTRIA

PROMEMORIA. Roma, 17 dicembre 19495.

Con il promemoria del 24 novembre 1949, consegnato dal ministro d’Austria al ministro degli affari esteri, il Governo federale austriaco ha esposto il suo punto di vista sulla questione delle opzioni, nonché su alcune altre questioni di carattere finanziario ed amministrativo che alla questione delle opzioni si connettono.

Il Governo italiano si riserva di precisare nuovamente, in un secondo momento, le sue vedute sulle questioni di cui ai punti 2, 3, 4 e 5 del promemoria; ma non puó non rilevare sino da ora che la loro soluzione appare subordinata alla soluzione di quella di cui al punto 1, e che perciò, a suo parere, una trattativa su questi argomenti tecnici non puó essere condotta a buon fine sinché non sia stato raggiunto un accordo tra i due Governi sul problema principale.

D’altra parte il Governo italiano non puó ritenersi responsabile per il ritardo verificatosi nella procedura stabilita per l’esame delle domande di riopzione. Si ricorda, a questo proposito, che già con il promemoria del 2 ottobre 19486 erano state espresse riserve circa l’azione di pressione svolta da alcuni organi periferici austriaci sugli optanti. A seguito, poi, delle decisioni del Governo di Vienna del 2 novembre 1948, il Governo della Repubblica, con promemoria del 22 dicembre7 chiedeva che si rendesse di pubblica ragione il trattamento che sarebbe stato riservato in Austria agli altoatesini i quali non avessero ritenuto di valersi del diritto di riopzione.

Il Governo austriaco rispondeva il 1° febbraio 19498, tramite il suo ministro a Roma, lasciando cadere tale richiesta e dichiarando che considerava la questione chiusa.

Il Governo italiano ritornava sul problema delle riopzioni con il promemoria del 9 marzo c.a.9 In quest’ultimo si ribadiva ancora una volta il punto di vista, giá illustrato nei promemoria precedenti, secondo il quale le decisioni prese il 2 novembre 1948 dal Governo austriaco avevano infirmato il principio che indubbiamente sta alla base dell’Accordo De Gasperi-Gruber, il cui obiettivo era di porre ciascun optante, libero da ogni costrizione esterna, in condizione di prendere la decisione più conforme al proprio sentimento ed ai propri interes

5 Consegnato da Cosmelli a Gruber il 21 dicembre, vedi D. 494.

6 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 474.

7 Ibid., D. 769.

8 Vedi serie undicesima, vol. II, D. 216.

9 Ibid., D. 519.

si materiali, e ciò nell’intento di riparare quelle ingiustizie che, a quanto si sosteneva da parte austriaca, si sarebbero verificate nell’esecuzione degli accordi italo-tedeschi del 1939.

La fondatezza della tesi italiana sul carattere coercitivo delle misure austriache del 2 novembre 1948 veniva del resto comprovata dal fatto che il ritmo delle domande di riopzione, mantenutosi normale sino al 27 novembre 1948 (data di pubblicazione delle misure medesime), ha segnato, negli ultimi due mesi precedenti alla scadenza del termine fissato (4 febbraio 1949), un brusco e rapidissimo aumento, fuori di ogni proporzione con l’incremento pur previsto con l’approssimarsi di tale termine, fino a raggiungere la quasi totalità degli optanti residenti in Austria.

Il promemoria italiano del 9 marzo rimaneva però senza riscontro ed una ulteriore ordinanza del 14 maggio u.s. faceva obbligo al rioptante, per poter chiedere la cittadinanza austriaca, non solo di dimostrare di aver richiesto quella italiana, ma addiritura di provare di non essere materialmente in grado di trasferirsi in Italia, prova che, tra l’altro, è assai difficile a produrre.

Il Governo italiano, in vista di un auspicato possibile chiarimento della questione, si era astenuto sinora dall’attirare l’attenzione del Governo austriaco sulla portata e sulle conseguenze di questa nuova ordinanza. Ma, in relazione ai solleciti che gli sono pervenuti con il promemoria cui si risponde, non puó non rilevare che essa contribusce in modo notevole ad aumentare ancora tra gli optanti lo stato di grave disagio morale di cui giornalmente giungono gli echi.

Nel dare esecuzione all’impegno assunto con l’Accordo di Parigi del 5 settembre 1946, di «rivedere in uno spirito di larga equità il regime delle opzioni di nazionalità quale risulta dagli accordi del 21 ottobre 1939», il Governo italiano intende tener fede al principio umano universalmente applicato nei paesi democratici — ed al quale ovviamente si ispirava l’Accordo stesso — secondo cui ogni eventuale mutamento di nazionalità deve dipendere essenzialmente dalla libera scelta degli interessati la cui volontà non può essere in alcun modo coartata; è alla luce di tale principio che il Governo italiano si propone di vagliare le domande di riopzione presentate dopo il 27 novembre 1948.

Fermo restando questo punto fondamentale, il Governo italiano, animato com’è dal desiderio di trovare al complesso problema una soluzione conforme sia all’umanità ed alla giustizia, sia ai legittimi interessi di entrambi i paesi, e nella certezza che il suo desiderio è pienamente condiviso dal Governo federale, ritiene indispensabile al riguardo una franca spiegazione tra i due Governi nell’intento di addivenire ad un accordo. Ritiene anche che, tale accordo dovendo precedere le ulteriori intese sulle questioni tecniche, un primo scambio di vedute dovrebbe aver luogo al più presto sul piano politico e diplomatico, e suggerisce perciò che il Governo austriaco provveda a designare un suo rappresentante con l’incarico specifico di iniziare senz’altro a Roma conversazioni su questo argomento10.

48410 Per la risposta austriaca vedi D. 552, Allegato.

484 1 Vedi D. 436, Allegati I e II.

484 4 Vedi DD. 122, 151, 211, 269 e 299.

485

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. SEGRETO 15/296. Roma, 17 dicembre 1949.

Riferimento: Telespressi ministeriali n. 15/226 del 1° ottobre e n. 15/264 del 12 novembre u.s.1.

1) Coi telespressi citati V.E. è stata tenuta al corrente delle istruzioni impartite all’ambasciata in Londra per cercare di discernere gli intendimenti del Foreign Office in materia albanese e di provocare un chiarimento circa l’attività di agenti britannici che, quanto agli obiettivi, è tutt’altro che rassicurante per noi e, per i metodi e mezzi impiegati, finisce col coinvolgere, anche involontariamente e a nostra insaputa, responsabilitá italiane.

A complemento della documentazione di cui ella già dispone invio qui unito un appunto confidenziale2 che dà il resoconto di una conversazione svoltasi un mese fa tra Markaggioni e il colonnello Maclean, il quale ultimo — prima di rientrare a Londra dopo le ormai note scorribande fra Belgrado, Atene e Malta e le coste adriatiche — si è fermato a Roma per occuparsi della crisi del «Comitato Albania Libera», ora risoltasi con l’elezione di Hassan Dosti al posto del defunto Midhat Frasheri.

Da tale resoconto (sulla cui attendibilità non abbiano dubbi) risulta confermato l’orientamento «titoista» — sia pure a scopi tattici e contingenti — dell’attività dei servizi inglesi — ed emerge pure che gli insuccessi «operativi» in Albania hanno persuaso il Maclean dell’utilità di guadagnare al suo gioco gli esponenti albanesi amici dell’Italia.

2) V.E. ha riferito che il Quai d’Orsay — come noi — non riesce a veder chiaro in questo maneggio in cui, come osserva V.E. «sembra rivelarsi una rivalità se non un contrasto anglo-americano». E in connessione con ciò, si registrano vari elementi della situazione internazionale che meritano la nostra più seria attenzione. I risultati negativi dei lavori della Commissione dell’O.N.U. chiamata a conciliare le divergenze greco-albanesi e greco-bulgare; la dichiarazione del rappresentante jugoslavo nella Commissione stessa che «il suo Governo non esclude la possibilità di negoziare un accordo separato e diretto con la Grecia»; l’appoggio dato dal rappresentante nord-americano nella stessa Commissione al punto di vista greco circa l’impossibilità per il Governo di Atene di rinunciare formalmente alle rivendicazioni verso il cosidetto Epiro settentrionale; il tono della recente nota indirizzata dal Governo di Belgrado a quello di Tirana a seguito della denuncia jugoslava del trattato di amicizia con l’Albania: questi ed altri elementi meno appariscenti potrebbero infatti essere o divenire atti preparatori di una trattativa greco-jugoslava in materia albanese, mentre sono chiaramente indicativi del proposito di Belgrado di riacquistare — alla pari di Atene — «libertà di azione», nel settore albanese.

2 Non pubblicato.

3) In tali congiunture noi pensiamo che potrebbe rispondere a un comune interesse occidentale, oltre che al generale interesse di scongiurare i gravi rischi insiti nelle irrequiete ambizioni dei paesi balcanici, giungere ad un coordinamento di informazioni e iniziative con Washington e Londra, attraverso una consultazione riservata a quattro da svolgersi in una delle capitali interessate.

Prego V.E. di voler in via strettamente confidenziale sentire se il Quai d’Orsay sia disposto a prendere una iniziativa in tal senso, la quale non potrebbe che essere ispirata al rispetto della libertá, indipendenza e integrità dell’Albania3.

485 1 Non rinvenuti, ma vedi D. 397.

486

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, MALLET

L. Roma, 17 dicembre 1949.

Nella conversazione che ebbi con lei il 12 dicembre ella menzionò come una delle cause del terrorismo di cui sono rimasti vittime tanti italiani in Eritrea, la propaganda che da parte italiana viene fatta a favore della indipendenza di quel territorio. Secondo il pensiero del Governo britannico, se ben comprendo, quale da lei espressomi e quale trovo riportato da una recentissima conversazione fra Gallarati Scotti e Mr. Wright1, sarebbe tale propaganda che determinerebbe la reazione sanguinosa degli elementi unionisti.

Devo dirle con tutta franchezza che il Governo e l’opinione pubblica italiani non possono condividere tale modo di considerare la situazione e stento a credere che troverebbe, se lo si conoscesse, un accoglimento favorevole nell’opinione pubblica dei paesi democratici.

Di fronte a un problema così importante come quello dell’avvenire del loro paese, tutti gli eritrei, siano essi musulmani, copti o italiani, hanno il pieno diritto di esprimere liberamente la loro opinione: la libertà di opinione, di parola, di stampa e di propaganda sono appunto il fondamento della democrazia. Alla vigilia di qualsiasi consultazione elettorale in ogni paese e alla vigilia di plebisciti o inchieste internazionali che debbono decidere sulle istituzioni o sul destino di un paese è quindi più che naturale che i vari partiti si valgano di tali libertà fondamentali. Naturalmente l’esercizio di queste libertà deve essere mantenuto nei limiti consentiti dalle leggi ed è compito dell’Autorità responsabile curare che tale limite venga rispettato. Non lo rispettano evidentemente quelle persone e quei partiti che, oltre a valersi della libertà di parola, di stampa e di propaganda, adoperano come mezzo di lotta politica l’intimidazione e l’assassinio.

Ora il richiedere, come sembra voler fare l’Amministrazione britannica dell’Eritrea, che taluni partiti rinuncino a valersi delle libertà democratiche, ovunque ricono

486 1 T. segreto 14196/791 del 16 dicembre da Londra, non pubblicato.

sciute, per evitare atti terroristici da parte di partiti politici loro avversari, equivarrebbe a mettere quella delle parti che svolge la propria propaganda legalmente, in stato di palese inferiorità nei confronti dell’altra parte che ricorre invece a criminosi mezzi intimidatori; equivarrebbe quindi a riconoscere l’efficacia di questi mezzi come sistema di lotta politica e automaticamente, sebbene involontariamente, ad incoraggiarli.

Ho appreso da lei che la B.A.E. lamenta che la propaganda fatta dai partiti indipendentisti sia sostenuta finanziariamente anche dagli eritrei italiani. Non vedo in ciò, anche se fosse esatto, alcun comportamento illegale. Se gli eritrei italiani si sono associati ai partiti indipendentisti e li aiutano, ciò fanno certamente perché è loro onesta convinzione che la loro vita, i loro averi, il loro lavoro possono essere meglio garantiti in una Eritrea sinceramente a sé stante che in una Eritrea divenuta provincia etiopica: e i recenti sanguinosi avvenimenti non possono che averli rafforzati in tale convincimento. Senza il menomo atto violento, essi e con essi tutti gli eritrei non unionisti, svolgono una pacifica propaganda valendosi dei pochi mezzi che posseggono, mentre il partito unionista adopera le ingenti somme di cui notoriamente dispone per alimentare il brigantaggio a fine politico.

Ciò premesso, e ricordando quanto le promisi di farle sapere, debbo dichiararle nel modo più formale che i funzionari italiani amministrano mensilmente, ma molto irregolarmente, perché non sempre tale somma è disponibile, circa 5 mila sterline, con le quali devono provvedere alla assistenza degli italiani bisognosi, ai rimpatri gratuiti e alla gestione del relativo ufficio, alla assistenza dei bimbi meticci compiuta attraverso il Vicariato apostolico, a sussidi a favore di vecchi ascari che sono tuttora creditori del Governo italiano pel soldo arretrato e per depositi da essi fatti alle casse militari, ad acconti della stessa natura sulle spettanze degli ex militari italiani.

È ben poco, e ben giusto, come ella vede. Ho comunque provveduto a informare i funzionari suddetti, ad ogni utile eventuale fine, circa i rilievi formulati dalla B.A.E.

485 3 Per la risposta vedi D. 501.

487

L’INCARICATO D’AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 4596. Madrid, 17 dicembre 1949 (perv. il 21).

Il viaggio che compirà a Roma dal 20 al 26 dicembre il ministro degli affari esteri di Spagna, signor Martin Artajo, per assistere all’apertura della Porta Santa e rendere omaggio al Sommo Pontefice, fornirà, suppongo, l’occasione di contatti anche col Governo della Repubblica nel corso dei quali il discorso, oltre che su problemi di carattere generale, potrebbe in modo più particolare cadere sui rapporti italo-spagnoli.

È per questo che ritengo non del tutto inutile fare come suol dirsi il punto, rifacendomi un poco a quelli che sono i più immediati precedenti della questione.

Sono noti i tentativi fatti da Hitler e, in parte, da Mussolini, per trascinare la Spagna nella guerra al loro fianco.

Se Franco, più astuto di loro, non si lasciò prendere da facili entusiasmi, neanche dopo la rapida invasione della Francia da parte delle armate tedesche, i circoli dirigenti spagnoli ed il paese in genere, quella parte, per lo meno, del paese che allo stato delle cose conta nella vita spagnola, non lesinarono alla Germania e all’Italia, in modo particolare a quest’ultima, le loro simpatie ed anche, in qualche circostanza, la loro silenziosa complicità.

Dopo la guerra, noi abbiamo creduto di dover presentare alla Spagna una serie di reclami per non avere essa sufficientemente tutelato, quando la cosa avrebbe fatto a noi comodo, la neutralità dei suoi porti, ove la flotta inglese ebbe eccessive facoltà di scorazzare; mentre abbiamo dimenticato le numerose altre circostanze nelle quali siamo stati noi, inconsapevoli o tacitamente consapevoli gli spagnoli, ad abusare per i nostri scopi militari di quella neutralità.

Terminata la nostra guerra, vi fu un momento in Spagna, dal 1943 al 1945, chi credette alla possibilità che l’Italia sarebbe sparita per lungo tempo dalla scena politica del Mediterraneo, ed il suo posto avrebbe potuto essere occupato dalla Spagna, alla quale Churchill, in qualche momento di euforia, aveva anche fatto delle generiche promesse.

Unamuno ha lasciato scritto che l’invidia è una delle principali virtù del popolo spagnolo. Non so se ci convenga applicare questa massima anche ai rapporti italo-spagnoli in quel periodo o se non sia più onesto da parte nostra ammettere, come perfettamente umana, quella vaga aspirazione politica che la nostra sconfitta aveva fatto sorgere nel Governo e in alcuni, limitati, circoli di questo paese. Può forse confortarci il pensiero che i più aggressivi ed i più acidi verso di noi in quella circostanza, furono proprio quegli stessi falangisti che avevano sostenuto Mussolini e che dalla vittoria dell’Asse avrebbero finito col trarre prestigio e forza politica per estendere e rafforzare il loro potere.

A distanza di qualche anno è giocoforza riconoscere, con quella serenità o obiettività che il tempo solo consente, che nel fondo il vero popolo spagnolo, al di sopra di quegli sparuti circoli direi attivisti che non seppero celare la loro soddisfazione, vivamente si dolse della sorte che toccò all’Italia, e, senza troppo imbarazzarsi di considerazioni politiche, provò simpatia per le nostre sventure e si sforzò in tutti i modi di dimostrarlo nei contatti personali ed umani che ebbe con gli italiani che si trovarono in Spagna o che di poi qui sbarcarono, nonostante la riprovazione fra loro largamente diffusa per le circostanze della morte di Mussolini che offendevano il senso di «hidalguia» spagnolo (salvo che, in circostanze analoghe, questo popolo — senza dubbio molto più sanguinario del nostro — avrebbe probabilmente fatto anche di peggio).

Ad aiutare il popolo spagnolo in questi suoi sentimenti verso l’Italia, contribuì la vista del crescente pericolo comunista nel nostro paese che, se da un lato serviva di soddisfazione a posteriori ai detrattori che ha la democrazia in Spagna, dall’altro disponeva alla simpatia per la preoccupazione che dopo la disgrazia della guerra perduta dovessimo cadere anche nell’altra del comunismo, proprio noi che, in altri momenti, avevamo aiutato la Spagna a difendersi dallo stesso malanno.

Più tardi è stata esaltata ed ammirata la maniera con la quale questo pericolo noi abbiamo schivato e l’ammirazione è stata maggiore in vasti strati di questa popolazione per la dimostrazione che noi abbiamo dato di essercene saputi difendere senza sacrificare le nostre recenti conquiste democratiche, laddove la Spagna per fare lo stesso ha dovuto sacrificare le sue libertà.

Questi sentimenti non si esauriscono unicamente in manifestazioni sentimentali, ma dopo lo smarrimento e la confusione che avevano provocato il nostro armistizio e la piega presa dal conflitto, lo stesso Governo spagnolo, superando proprio in forza di questi sentimenti, e nonostante la contraddizione che in ciò potrebbe apparire, la circostanza dell’esistenza in Italia di Governi che condannavano senza reticenze il regime franchista, iniziò, al disopra della politica, un’azione di avvicinamento all’Italia, alla nuova Italia democratica, uscita dalla caduta del fascismo, ritenendo che entrambi i paesi avessero, per diverse ragioni, interesse e necessità di uscire dal loro isolamento e che la Spagna in questo avrebbe potuto dare, come suol dirsi, una mano.

Di questo, in realtà, sembrava proprio la Spagna aver bisogno.

In quegli anni (1945-46) si veniva realizzando la politica di ostracismo di cui erano state gettate le basi a Potsdam, politica che si concretò nella dichiarazione di non ammissione della Spagna alle Nazioni Unite, nella misura praticamente molto più grave adottata dal Governo francese di chiudere la frontiera dei Pirenei al traffico dei passeggeri e delle merci, nella pubblicazione del Libro bianco americano sulla collaborazione fornita da Franco ai Governi dell’Asse1 e, infine, nella mozione del dicembre 1946 con la quale le Nazioni Unite raccomandarono il ritiro degli ambasciatori da Madrid.

Di tutti questi provvedimenti, quello che ebbe conseguenze pratiche di vera e propria sanzione, fu senza dubbio la chiusura della frontiera con la Francia, non tanto per il danno, direi morale, che alla Spagna ne derivava, visto che da un certo punto di vista i Pirenei sono chiusi da secoli, ma perché nel momento in cui l’Europa sentiva urgente il bisogno di riprendere alla meno peggio i suoi commerci di pace, e la marina mercantile mondiale non aveva unità sufficienti da fornire ai traffici, la Spagna si vide privata delle sue comunicazioni ferroviarie con tutto il continente.

La missione dell’ambasciatore Gallarati Scotti a Madrid2 fu caratterizzata da questo desiderio del Governo spagnolo di ristabilire cordiali rapporti con l’Italia e trovò nell’azione del nostro ambasciatore piena rispondenza. Ne fu dimostrazione pratica l’aver accettato questo Governo di pagare anticipatamente, attraverso un accordo commerciale3, sotto forma di forniture di materie prime e di generi alimentari necessari alla nostra economia, alcune aliquote non ancora maturate di quel prestito di guerra che era nato dall’intervento di Mussolini in Spagna, e ciò nonostante che il Governo italiano, il quale ne reclamava il pagamento, quella politica, ed ogni manifestazione con essa connessa, avesse ripudiato.

Giudicando gli avvenimenti dal solo osservatorio di Madrid, quale è mio dovere di fare, bisogna riconoscere che se non fosse intervenuto il richiamo del nostro ambasciatore4, in conseguenza del nostro allineamento con le decisioni delle Nazioni Unite, i rapporti italo-spagnoli avrebbero continuato a migliorare e noi avremmo finito col trarre localmente vantaggio dall’assenza, sopratutto della Francia, per riprendere una serie di posizioni economiche che la guerra e gli avvenimenti immediatamente successivi ci avevano in parte fatte perdere e per crearcene delle nuove.

2 Vedi serie decima, vol. II, D. 67.

3 Ibid., DD. 393 e 394 e vol. III, D. 83.

4 Ibid., vol. IV, D. 600.

Nel richiamo dell’ambasciatore era insito un raffreddamento generale dei rapporti italo-spagnoli. Si sarebbe però potuto attenuarne la portata mediante una efficace azione in loco che, tenendo presenti, al di là della contingenza del momento, i nostri interessi permanenti, fosse riuscita a creare relazioni personali di tale cordialità da far dimenticare, almeno parzialmente, la misura adottata.

Tale fu il cammino in cui si mise senz’altro l’ambasciata di Francia, appena i socialisti abbandonarono la Presidenza del Consiglio. Quell’incaricato d’affari, infatti, iniziò una politica di riavvicinamento e direi quasi di collaborazione, accantonando la questione politica che aveva condotto al richiamo degli ambasciatori e nell’intento di ricercare una formula di comune convivenza nel quadro della quale potessero essere difesi gli importanti interessi francesi che esistono in questo paese ed il commercio fra Spagna e Francia, largamente complementari nella loro economia.

Questa politica «realistica» culminò nella riapertura, dopo circa tre anni, della frontiera franco-spagnola, nella ripresa dei rapporti commerciali fra i due paesi e nella stipula di un importante trattato di commercio che ha permesso all’industria della vicina Repubblica, non solo di effettuare importanti forniture, ma di precostituirsi buone posizioni per contribuire più tardi a quella che sarà l’inevitabile e fatale industrializzazione della Spagna negli anni avvenire.

Sono queste considerazioni, e questi esempi, nel quadro di quelli che considero gli interessi permanenti della Spagna e dell’Italia, che hanno ispirato il mio quotidiano lavoro da quando ho avuto l’onore di reggere l’ambasciata di Madrid in qualità di incaricato d’affari.

V.E. sa bene come il lavoro sia lento in questo paese e come tutto debba sempre essere compiuto e realizzato su di un piano personale, quasi che lo Stato fosse nostra proprietà e la politica che si pratica fosse nel nostro privato interesse e non in quello del paese che rappresentiamo. Con questi metodi e questi sistemi, evidentemente, le realizzazioni non possono essere rapide. Sono stati necessari circa due anni di trattative perché si potesse giungere alla conclusione di una vasta convenzione aerea ed oltre un anno di quotidiano lavoro della Direzione generale degli affari economici di codesto Ministero e di questa ambasciata perché si potesse giungere alla conclusione del nuovo accordo commerciale5.

A contribuire a questo miglioramento dei rapporti fra i due paesi, che sul piano locale io ho modo di constatare ogni giorno anche nelle più piccole manifestazioni della vita dell’ambasciata e delle nostre istituzioni culturali, hanno senza dubbio molto contribuito la circostanza che il Governo italiano non ha posto ostacoli al permanere dell’ambasciatore Sangroniz a Roma (diversamente da quanto hanno fatto gli Stati Uniti e l’Inghilterra, ma non la Francia), e soprattutto la visita che compì a Madrid

S.E. l’onorevole Giulio Andreotti in occasione dell’incontro calcistico Italia-Spagna. Quella visita, accompagnata da un avvenimento sportivo che ci fece sotto ogni punto di vista molto onore, valse a confermare questo Governo nella convinzione che se l’Italia mantiene la sua rappresentanza diplomatica a Madrid in una situazione irregolare, ciò non significa inimicizia per il Governo e il popolo spagnoli. Il ministro degli esteri Martin Artajo riconobbe esplicitamente con l’onorevole Andreotti le necessità nelle

quali l’Italia erasi trovata di adottare la misura del richiamo del suo ambasciatore da Madrid, e, mostrando di rendersi conto di quelle ragioni, fece di tutto per dimostrargli che la Spagna non ce ne serbava rancore.

Sebbene molti mesi siano passati da quella visita, e nel frattempo numerosi paesi sudamericani abbiano qui accreditati loro capi missione, il che ha fatto sorgere l’aspettativa che anche qualche paese europeo possa a quella misura associarsi, ritengo che Martin Artajo, nei contatti che avrà costì, pur non mancando, come è perfettamente naturale data l’eccezionalità dell’occasione che gli si presenta, di spezzare una lancia, e forse più d’una, a favore del ritorno di un nostro ambasciatore a Madrid, si atterrà in sostanza alla linea di condotta che già seguì con l’onorevole Andreotti, anche per evitare che la pregiudiziale dell’ambasciatore possa gettare una nube sul successo di cordialità che qui si spera — mi ricorre il dovere di segnalarlo all’E.V. — di cogliere dai contatti che egli, Martin Artajo, pensa di avere costì con il presidente De Gasperi e con l’E.V. stessa.

Come ho accennato nei miei rapporti a codesto Ministero, e per ultimo nel mio

n. 4308 del 24 novembre u.s.6, il motivo generico della latinità, del Mediterraneo, della comune cultura e religione, ecc., sono qui temi preferiti, ai quali non si manca mai di ricorrere, specialmente quando manchino più concreti argomenti. Non dubito che il cliché verrà servito anche a V.E. ed al presidente De Gasperi.

Ora io ritengo che fra Spagna e Italia, come mi pare risulti da tutto quanto ho esposto, esista una base concreta sulla quale si possa lavorare senza che ci si debba necessariamente imbarcare, se non lo si desideri, sul cammino di un’intesa mediterranea a sfondo politico, come è nelle segrete speranze di questo Governo.

Questa base concreta è la possibilità umana che esiste fra gli individui dei due paesi di intendersi e di lavorare assieme meglio che altri, nonostante le loro differenti mentalità.

Questo è vero soprattutto dello spagnolo verso l’italiano, nel senso che mentre l’italiano, per il suo spirito più universale, ha un’attitudine ed una possibilità di intendersi con molti altri popoli, anche se di razza diversa dalla sua, lo spagnolo, per la sua eccessiva fierezza, per il suo radicato individualismo, per la maniera particolare nella quale si è svolta la sua storia, non si intende, praticamente, sul piano umano, con nessun’altro popolo. Fanno soltanto eccezione, ed entro certi limiti, i sudamericani in America, e gli italiani in Europa.

Dò un esempio: il mio collega francese ha un bell’essere attivo e zelante; ma quando giungono a Madrid due gruppi di industriali, uno francese ed uno italiano, per creare una fabbrica di automobili — e mi riferisco proprio al fatto concreto del processo che ha portato alla creazione, imminente, di una fabbrica della Fiat a Barcellona — a parità di condizioni, e forse anche senza che questa parità esista del tutto, lo spagnolo preferisce mettersi d’accordo con l’italiano anziché col francese, perché questa collaborazione sul piano pratico e tecnico ha dato già i suoi frutti; e gli ingegneri italiani, i nostri tecnici, i nostri operai si sono qui finora intesi benissimo con dirigenti, tecnici ed operai spagnoli, destando inoltre massima ammirazione per la serietà e l’impegno che mettono nel loro lavoro.

Si può anzi dire che da quando non esiste più un’identità politica fra i due regimi, le nostre possibilità in Spagna sono molto migliorate — per paradossale che la cosa potrebbe a prima vista apparire — perché, mentre qualche anno fa dietro il nostro tecnico si vedeva lo zampino del Governo fascista, oggi questa preoccupazione più non esiste, ed i nostri industriali ed i nostri tecnici appaiono alla Spagna, tali quali sono, dei capitani di industria e degli esperti che hanno creato dal nulla un’industria ed un’economia italiane rispettate ed ammirate in tutto il mondo e che potrebbero aiutare la Spagna, che ha più risorse naturali di noi, a fare altrettanto.

Esempi di questo genere ne esistono parecchi: si chiamano Sniace (filiazione della Snia Viscosa), Pirelli, Olivetti, Fiat, ecc. Un mio entrare in dettagli sull’attività che queste società hanno svolto in Spagna e che si sono risolte in un arricchimento per questo paese ed in un aumento di guadagni, di interessi e di prestigio per il nostro, appesantirebbe senza necessità questo mio rapporto.

Soltanto pochi giorni or sono questo ministro di industria e commercio signor Suanzes, dal quale mi sono recato per appoggiare la nostra richiesta di continuazione del cartello del mercurio, mi ha tessuto l’elogio dei risultati vantaggiosi che avevano tratto i due paesi, in modo particolare l’economia spagnola, dalla collaborazione già in atto in molti campi dell’industria, grazie all’iniziativa privata di alcuni importanti nostri industriali. Il ministro Suanzes si compiaceva che fosse stato concluso il trattato di commercio perché così, aperta la via ad una ripresa dei traffici e superata la paralisi che erasi verificata durante l’anno passato, si sarebbe potuto portare il discorso su altre forme di collaborazione economica. In modo particolare mi espose un suo per ora vago progetto (vedasi mio telegramma n. 110 del 7 dicembre u.s.)7 di un’intesa italo-spagnola per la vendita su terzi mercati degli agrumi, della frutta, dell’olio e del sughero. Il ministro Suanzes vedeva addirittura questo accordo esteso agli altri paesi mediterranei interessati: Francia, Grecia e paesi del Medio Oriente.

Mi mancano elementi per apprezzare, da qui, se accordi del genere possano essere anche del nostro interesse, ma se lo dovessero essere, ritengo che essi potrebbero servire a gettare appunto le basi di una più stretta collaborazione italo-spagnola, schivando così per ora, ma preparando per un eventuale sviluppo futuro, se ritenuto opportuno, il problema di un’intesa mediterranea a sfondo più o meno politico.

V.E. ricorderà che durante le trattative per la stipula del nuovo accordo commerciale si parlò molto, e venne redatto anche un progetto, di un protocollo di collaborazione economica. Ormai che il terreno è sbarazzato dal trattato, nulla osterebbe a che la questione del protocollo di collaborazione venisse ripresa e se ne allargassero i limiti sino a comprendere in esso — nella forma che si riterrà migliore — un accordo per evitare una dannosa concorrenza fra i due paesi nella vendita di alcuni dei più importanti prodotti similari della loro agricoltura.

Naturalmente, se a un accordo di questo genere si dovesse arrivare, in un avvenire più o meno prossimo, si dovrebbe pretendere da parte nostra che nello stesso quadro, e nello stesso spirito, venisse rinnovato anche il cartello del mercurio che gli spagnoli hanno recentemente denunciato, e per la denuncia del quale la responsabilità mi pare debba farsi, almeno per buona parte, risalire a noi stessi.

V.E. vorrà scusarmi se io mi sia permesso di prendere tanta parte del suo tempo per illustrare lo stato dei rapporti italo-spagnoli, ma mi è parso che l’occasione della presenza a Roma del ministro Martin Artajo rendesse necessario questa specie di sguardo panoramico sulle relazioni fra i due paesi. Nel tracciarlo mi sono tenuto su di un terreno per quanto è possibile diretto e concreto, evitando, con intenzione, di indulgere in speculazioni circa l’eventualità, che da Madrid appare per ora ancora di là da venire, di un ingresso attivo della Spagna nella collaborazione internazionale mediante una sua ammissione nel piano Marshall ed una sua adesione al Patto atlantico.

Per terminare, ritengo doveroso ricordare come siano tuttora in discussione col Governo spagnolo, e formino parte del quotidiano lavoro dell’ambasciata, una serie di questioni relative alla marina mercantile che sono il residuato del nostro ultimo conflitto. Sopra tali questioni io ho esposto ripetutamente il mio pensiero al Ministero e nulla ho tralasciato perché esse giungessero ad una soluzione per noi soddisfacente. Ritengo che avrebbe la massima importanza se da parte nostra si facesse presente direttamente al ministro Martin Artajo la necessità che il terreno venga sbarazzato di queste questioni pendenti che appesantiscono i rapporti fra i due paesi senza ragione.

Le questioni alle quali alludo non sono insolubili; a renderle finora tali hanno soltanto contribuito le lungaggini ed i sistemi dilatori di lavoro che sono propri della burocrazia spagnola. Perciò, l’attirare sulla cosa l’attenzione del ministro potrebbe servire a dargli un’idea dell’importanza che noi attribuiamo ad una loro soddisfacente sistemazione8.

487 1 The Spanish Government and the Axis, Washington, Department of State Printing Office, 1946.

487 5 Vedi D. 405, nota 2.

487 6 Vedi D. 426.

487 7 Non pubblicato.

488

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 10883/611. Roma, 20 dicembre 1949, ore 19.

Suoi 10121 e 10242.

Emendamenti proposti sono da noi considerati accettabili con riserva per quanto riguarda sostituzione in articolo V, paragrafo 1, dizione «to the Embassy in Rome» che non (dico non) ci sembra preferibile a formula originaria. Tuttavia se nuova formulazione fosse da tutti accettata non (dico non) intendiamo farvi opposizione.

Per quanto concerne impegno finanziario di cui a punto 1) mio 5943, questione appare ora superabile, almeno per esercizio finanziario in corso, mediante utilizzosomme già stanziate in attuale bilancio Forze armate. È bene a questo proposito V.E.

2 Del 15 dicembre, non pubblicato.

3 Vedi D. 465.

faccia presente costà che spese articolo V dovrebbero essere contenute in limiti ristrettissimi e possibilmente inferiori alla cifra minima indicata in suo 9594.

Comunque sarebbe bene che conclusione formale nostro accordo, che dovrebbe concretarsi in scambio note secondo quanto telegrafato con miei 5943 e 5995, non avvenisse prima di quella altri paesi.

487 8 Per la risposta vedi D. 511. Grazzi, interpellato sull’argomento, espose le sue considerazionicon il D. 527.

488 1 Vedi D. 478, nota 1.

489

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE AD ANKARA, R. PRUNAS

T. 10919/71. Roma, 21 dicembre 1949, ore 23.

Suo rapporto n. 20731.

Confermo precedenti istruzioni circa stipulazione con Turchia accordo di conciliazione e regolamento giudiziario nel testo firmato a San Remo con Grecia2 rafforzato da clausola generica di amicizia.

Tenute presenti istruzioni di cui a telegramma ministeriale 894 del 23 gennaio 19483, ella potrà proporre altresì dichiarazione aggiuntiva, da farsi con contemporaneo separato scambio note, contenente impegno procedere successivamente a trattative per un accordo culturale.

490

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA,

T. 14390/267. Mosca, 21 dicembre 1949, ore 17,09 (perv. ore 18).

Dopo la partenza delegati trattative grano avvenuta lunedì 19, sono stato ieri sera chiamato da ministro commercio estero Menshikov il quale mi ha comunicato che il Governo sovietico, in conseguenza passo fatto da me presso di lui ed in seguito presso vice ministro Gromyko, aveva deciso venire incontro al Governo italiano riducendo propria richiesta in via definitiva a 90 dollari tonnellata Fob. Si è così confermato quanto da me affermato telegrammi n. 262 e 2641 ossia che unica speranza indurre sovieti atteggiamento ragionevole era la dimostrazione della nostra seria

5 Vedi D. 475.

2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 595.

3 Non pubblicato.

volontà sospendere trattative. Mi sono limitato ringraziare Menshikov della comunicazione dicendogli cha data avvenuta partenza esperti non mi era possibile dargli una risposta e promettendogli comunicare subito offerta mio Governo al fine di sapere come e dove potevano continuare trattative. Manifestai pure moderata soddisfazione e speranza che si possa ora giungere accordo.

A questo punto tuttavia è mia impressione che tenuto conto anche convenienza di non compromettere contratti industriali non sia opportuno irrigidirci. Se non ostassero ragioni di principio o economiche assolute sarei d’avviso comunicare io personalmente a Menshikov accettazione prezzo 90 sottolineandogli fortemente anche con promemoria scritto portata nostro grave sacrificio non costituente precedente per avvenire. Se viceversa si volesse ancora contrattare converrebbe offrire 87 facendo presente che questo era nostro estremo punto di arrivo, al fine di arrivare poi ad incontro fra 88 e 89. Ma dubito che valga la pena prolungare mercanteggiamento per guadagnare probabilmente un solo punto, tenendo presente sopratutto che potrebbero ora irrigidirsi sovieti su offerta personalmente qualificata definitiva da loro ministro col rischio interrompere trattative su una posizione per noi difficilmente sostenibile.

Ad ogni modo in questo secondo caso bisognerebbe pure decidere se trattative dovrebbero essere riprese da Mancini assistito da Zamboni con Exportleb oppure a Roma da stessi Ferretti e De Pascale con Kamenski. Su entrambi punti attendo urgenti istruzioni telegrafiche che dovrebbero giungermi immediatamente in modo poter concludere prima 31 dicembre termine decadenza previsto in importanti contratti industrie italiane2.

488 4 Del 25 novembre, non pubblicato.

489 1 Vedi D. 454.

490 1 Vedi DD. 468 e 471.

491

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 10942/617. Roma, 22 dicembre 1949, ore 20.

Suo 10231.

Non abbiamo altre osservazioni circa decisioni sessione Parigi Comitato difesa e Comitato militare.

V.E. è comunque pregato di ritornare, nel modo che riterrà più opportuno, in occasione prossima riunione Comitato Consiglio nord-atlantico, su dichiarazione ministro Pacciardi in merito a questione Segretariato Comitato difesa e Comitato militare ed a questione partecipazione Italia lavori Gruppo Europa occidentale2, nei termini di cui ai verbali relativi sessione predetta.

490 2 Per la risposta vedi D. 544.491 1 Del 15 dicembre, con esso Tarchiani aveva richiesto istruzioni in vista della sua partecipazione alla prossima riunione del Consiglio nord-atlantico.2 Vedi DD. 225 e 270.

492

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI1

L. Roma, 22 dicembre 1949, mattina.

Assente dal Consiglio di venerdì2 per urgenti impegni familiari stimo dover mio esprimerti il mio pensiero circa l’invio truppe in Somalia.

È bene che la Difesa si sia preparata ai più larghi bisogni, anche per caso che non sia possibile far intendere ragione ai militari inglesi.

Ma son profondamente convinto che, anche senza le urgenti ragioni di bilancio che ci premono, noi assolveremo meglio il nostro compito, militarmente e politicamente, diminuendo quanto più si può le truppe bianche e valendoci delle indigene che ci costeranno tanto meno, anche perché sono sul posto.

Militarmente: perché v’è in Somalia una forte tradizione di leale servizio militare sotto ufficiali italiani, e sarebbe pericoloso disilludere gli antichi e nuovi ascari che non pensano ora ad altro che tornare sotto la nostra bandiera;

perché uno dei migliori pregi dei nostri ufficiali e sottufficiali è di sapersi render fedeli fino alla morte gli indigeni; romper questa bella tradizione sarebbe nefasto; anche nella guerra d’Etiopia i nostri corpi somali si batterono benissimo;

perché il clima somalo fiacca il soldato bianco, come accadde alla Peloritana di fascistica memoria;

perché se viene ucciso un indigeno o anche un drappello di indigeni ciò non crea incidente, e neppur telegramma; è proprio al contrario se dei bianchi perissero;

perché infine, col mandato ridotto a dieci anni solo, coi somali che già sognano si crei una bandiera somala, sarebbe il più grossolano errore psicologico rifiutar loro quel servizio militare che possiamo pubblicizzare come primo passo alla loro dignità civica; e ciò per sostituir loro dei bianchi che bighellonerebbero nel paese, incapaci della menoma marcia, della menoma vita individuale.

Politicamente: perché il nostro vero interesse coloniale è di divenire amici del-l’Etiopia che sarebbe già sotto la nostra influenza economica se non fosse intervenuta la nefasta guerra mussoliniana; un corpo che possa sembrare una «spedizione» potrebbe ora crearci dei guai coll’Etiopia;

tanto più che nei nostri lunghi decenni di dominazione in Somalia mai usammo truppe bianche. Gli etiopici direbbero: «perché ora?».

Le stesse potenze musulmane e arabe, che tanto ci aiutarono all’O.N.U. lo scorso ottobre, sarebbero sorprese di una decisione nostra che prenderebbero come una smentita a quanto dissi colà circa la certezza di nostra fraterna concorrenza coi somali.

D’altronde la Somalia è paese feudale. Se noi spenderemo in sussidi ai capi la millesima parte di quel che ci costerebbero le truppe bianche saremo là più sicuri che se ci avessimo una divisione. In Somalia nessuno disubbidisce al capo tribù.

Ci si può domandare: «Perché gli inglesi insistono perché noi mandiamo tanti bianchi?».

La cosa è così incomprensibile che mi domando se non la si può spiegar così: colla tema che noi pensassimo a arruolare gli ascari per la Somalia in Eritrea, rinnovando così vincoli e amicizia anche cogli eritrei. Ho qualche ragione per crederlo.

Conoscendo bene la regione somala (salvo la italiana che è la peggiore delle tre) non ho mai dubitato della necessità dell’uso di truppe indigene e così mi espressi con Pella che mi parve si trovò in accordo meco con le spese necessarie.

492 1 In Archivio De Gasperi. 2 Si riferisce al Consiglio dei ministri del 23 dicembre. Vedi CONSIGLIO DEI MINISTRI, Verbali del Consiglio dei ministri, maggio 1948 - luglio 1953, vol. I, cit., pp. 817-820.

493

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. PERSONALE. [Montignoso], 22 dicembre 1949, sera.

Quando stamani ti ho scritto1, pensavo queste cose, ma ero certo che le pensavi anche tu, e quindi non le ho scritte. Non le ho scritte, anche perché mi è parso che un malo pensiero su alleati (pel Patto atlantico) non era da leggersi a sedici persone.

Ma se le mando a te stasera2 — a te che non ne hai bisogno — è perché debbo confessarti:

— che io, che tu hai sempre trovato ottimista e fidente, sono invece in questo caso inquieto e timoroso;

— -perché il rischio che ti ho detto c’è ed è gravissimo; — -perché la colpa sarebbe di chi ha messo un dito in un ingranaggio fatale.

Devi tu dare il tuo nome a siffatta insana possibilità? E io il mio?

Se credi, leggi queste cose a Zoppi che ne parli subito a Mallet (salvo il dubbio sugli alleati).

Il nostro pensar così prova la nostra dirittura.

Scrivimi se credi, il telefono non è privo di rischi.

ALLEGATO

APPUNTI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

Ammettiamo che ci siano 4 o 5 mila truppe bianche, fra Mogadiscio e i soliti posti tradizionali. Non ce ne sarebbe verso il confine etiopico, se non altro perché è zona desertica. Venga un’incursione etiopica sia pur di predoni che si possono da Addis Abeba sconfessare,

2 Vedi gli appunti in Allegato.

gente che viene a rubar le rare mandrie. La sola reazione possibile è di mandar loro incontro altre bande di somali. È probabile che non ci saranno dei veri e propri scontri. Ma se ci fossero, che figura farebbero i bianchi che stan immobili nei posti tranquilli mentre altrove si lotta per l’incolumità del suolo somalo la cui tutela è a noi affidata?

Mandare allora truppe italiane? E chi ci assicura che non sia quello l’agguato lungamente [at]teso, sia per farci apparire aggressori dell’Etiopia (ricordiamoci che non c’è una linea precisa di frontiera), sia per scaraventare sulla Somalia un’inondazione etiopica che ci può gettare a mare anche se siamo oltre 5 mila bianchi? E chi ci assicura che, non il Gabinetto inglese della cui onestà mi porterei garante, ma dei genietti dello Stato Maggiore britannico abbian da lungo tempo meditato questo «bellissimo inganno», per dirla col Machiavelli?

È per quest’ordine di pensieri che si deve rimproverare il nostro Stato Maggiore di non essersi reso conto che il nostro massimo e più pericoloso problema africano non si chiama né Libia né Somalia ma Etiopia e i nostri rapporti con essa. Come non parlaron mai a te o a me?

493 1 Vedi D. 492.

494

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 4910/1020. Vienna, 22 dicembre 1949 (perv. il 24).

Riferimento: Dispaccio di V.E. del 17 corr. n. 13921.

Ho ieri rimesso al ministro Gruber il noto promemoria. Lo ha esaminato attentamente, ma, anche in relazione forse a quanto aveva già riferito Schwarzenberg, le sue prime impressioni ed espressioni sono state negative e ispirate ad un completo pessimismo, non senza qualche discreta recriminazione su quanto era avvenuto specialmente in relazione alle note conversazioni Versbach-Innocenti2.

Valendomi subito dopo di tutta l’autorità di V.E. e del peso di quanto ella mi aveva incaricato di farmi interprete, come espressione di una meditata direttiva politica, ho commentato più ampiamente il promemoria, sopratutto accentuandone il significato generale. Riferendomi allo stesso originario Accordo di Parigi3, e allo spirito che vi aveva allora presieduto e che permane, ho tracciato, ricostruendola nelle sue fasi, la ormai lunga vicenda della questione delle opzioni, illuminandone i lati politici e giuridico-amministrativi, con le loro ombre e le loro luci, per concludere che non potevo condividere il pessimismo così radicale che il ministro mi aveva manifestato.

Gruber mi ha ascoltato con crescente interesse e partecipazione, esprimendomi in molti punti il suo consenso e la sua adesione a tesi e a apprezzamenti che andavo manifestando.

2 Vedi DD. 122, 151, 211, 269 e 299.

3 Vedi serie decima, vol. IV, D. 251.

Non sono entrato in dettagli più particolari, ma la conversazione e discussione, durata lungamente, si è indirizzata e conclusa su un tono più realistico e in senso che dovrei ritenere positivo. Egli ha concluso dicendo che avrebbe riflettuto su quanto gli avevo detto e riesaminato anche il promemoria e che ci saremmo rivisti per riparlare della questione. Non riteneva d’altra parte che vi fosse un’urgente necessità tale da giustificare che dovesse rinunciare ad un brevissimo periodo di vacanza sulla neve (è un appassionato sciatore) che aveva appunto già da tempo progettata, approfittando della pausa delle prossime festività.

Non voglio naturalmente anticipare nessuna affrettata conclusione ottimistica, ma ho l’impressione che la situazione sia tempestivamente matura per veramente giungere ad una fase conclusiva dei problemi posti, e del resto in gran parte già risolti, dall’Accordo di Parigi.

Ho oggi poi avvicinato altri collaboratori o persone di fiducia del ministro Gruber, del resto già informati dell’incontro di ieri sera, e che ho opportunamente illuminati e orientati su quello che era stato il nucleo essenziale della conversazione col ministro e delle tesi e considerazioni da me svolte. Ho trovato anche presso queste persone — che sono del resto, come è comprensibile, anche meglio al corrente del ministro stesso dei dettagli e complicazioni tecnico-giuridiche che presentano le questioni controverse — disposizioni di larga comprensione della situazione, nonché delle sue possibilità e delle sue necessità.

Siamo certamente in una fase preliminare e ancora fluida di pensieri, intenzioni e preoccupazioni. Anche da queste odierne conversazioni sarei indotto a trarre però delle conclusioni piuttosto positive.

Vi sono infatti oltre le questioni di fondo, anche delle questioni di procedura, nonché di negoziatori, da esaminare e risolvere, prima di giungere alla trattativa vera e propria da noi prospettata. La stessa accettazione austriaca di questa nuova apertura di discussioni comuni, come da alcuni mi è stato oggi ad esempio prospettato, dovrebbe essere preceduta da qualche scambio di idee su metodo, programma e possibili soluzioni, che, sia pure inofficiosamente, preparino in certo qual modo l’anzidetto negoziato più propriamente detto.

Pur non avendo ancora io stesso idee precise in proposito, anche in assenza del resto di più precise direttive da parte di V.E., posso dire di condividere almeno in parte tali ordini di preoccupazioni.

A titolo strettamente personale ho comunque esposto a Gruber, come sopra accennato, nonché oggi ai suoi collaboratori, anche su alcuni punti più precisi della questione delle opzioni, opinioni e apprezzamenti, sulla linea che ho avuto l’onore ripetutamente e nelle più varie occasioni di riferire e chiarire a codesto Ministero.

Siamo comunque rimasti d’accordo che per intanto, subito dopo Natale, avrei rivisto, ad esempio, il direttore generale degli affari politici per comunicarci, a titolo sempre personale, i frutti delle reciproche riflessioni di questi giorni di pausa.

È superfluo dica che, anche nella trattazione di singoli e ben noti punti, mi sono mantenuto oltre che a titolo personale, su terreni assolutamente generali e in complesso, come espressamente sottolineato e reciprocamente concordato, a scopo puramente esplorativo.

In rapporto appunto a quanto sopra esposto, ritengo che almeno per il momento sia più utile e anzi necessaria la mia presenza qui, ma non escludo che più tardi, in gennaio, potrebbe a un certo momento essere utile un mio contatto a Roma, anche per tanti riflessi di politica interna, che certamente risorgeranno in una fase che voglia essere veramente finale dell’annoso problema.

Mi permetto infine anche prospettare l’ipotesi che venisse a Vienna lo stesso consigliere Innocenti, e non tanto per trattare con gli austriaci, quanto per illuminare me; ma non so se ciò sia fattibile, come esso quadri con altre cose e se non presenti d’altra parte e per altri lati inconvenienti.

Da parte mia, debbo dire che, ormai da tempo e con progressiva maturazione e precisazione, ho idee abbastanza definite sulle possibili soluzioni, in ogni caso da tentare di ottenere, alle quali però manca il coronamento di alcuni elementi giuridici, amministrativi e anche politici, che non mi possono provenire che dagli organi amministrativi più competenti e da superiori direttive di Governo4.

494 1 Vedi D. 484.

495

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 11001/620. Roma, 24 dicembre 1949, ore 16.

Suo 10421.

Sta bene per primo scambio di note, che preferiremmo restasse segreto qualora tutti i paesi fossero d’accordo mantenerlo tale.

Confermole quanto comunicatole con telegramma 6112 circa necessità che somma sia quanto più possibile inferiore quella minima indicata suo 9593, tenendo anche conto assicurazioni in tal senso dateci di recente da questa ambasciata d’America.

Siamo di accordo anche per secondo scambio note, da rimanere segreto, cui contenuto dovrebbe essere circoscritto in limiti e motivi indicati suo telegramma in riferimento.

2 Vedi D. 488.

3 Del 25 novembre, non pubblicato.

494 4 Con T. 135/1 del 5 gennaio 1950 Sforza rispose:«Ho preso atto di quanto riferito da V.S. conrapporto n. 1020 del 22 dicembre ed autorizzola venire a Roma per conferire».

495 1 Del 21 dicembre, con il quale Tarchiani aveva comunicato la proposta statunitense di un doppio scambio di note: il primo per determinare la somma messa a disposizione degli Stati Uniti da ciascunGoverno interessato ed il secondo per stabilire l’eventuale adeguamento di tale somma in caso di eventiimprevisti.

496

L’AMBASCIATORE AD ANKARA, R. PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 2122/1006. Ankara, 26 dicembre 1949 (perv. il 2 gennaio 1950).

Il ministro Sadak mi ha fatto ier l’altro un fugace accenno alla eventualità che

V.E. possa giudicare opportuno e conveniente fare, nel prossimo gennaio, a data da fissarsi, un salto di poche ore o giorni ad Ankara per firmare con lui l’accordo di conciliazione e di amicizia che andiamo negoziando in questi giorni e che andrà in porto fra breve.

L’accenno è caduto da sé, svolgendosi la conversazione in luogo pubblico ed essendo stata interrotta proprio a quel punto da estranei e non più, per il momento, ripresa.

Ma è probabile che il Sadak ritorni con me sull’argomento o incarichi per avventura il suo ambasciatore a Roma di rivolgere la stessa domanda e invito.

Sicché vorrei dirle che, a parte la circostanza che l’accordo in gestazione non ha evidentemente una sostanza politica tale da giustificare uno spostamento di ministri (che peccherebbe dunque per eccesso e darebbe luogo alle esagerate implicazioni conseguenti) una sua venuta a questo scopo ad Ankara — e non è soltanto una questione protocollare — potrebbe anche parere da parte di un paese come il nostro, che è posto a ben altro livello della gerarchia internazionale, un portare troppo remissiva acqua al mulino turco, il quale, a mano a mano che l’assistenza americana corre e con essa gli indiscriminati elogi occidentali, sta infatti diventando mulino tendenzialmente presuntuoso e quindi condotto a smarrire appunto il senso delle gerarchie e cioè dell’equilibrio, come mi pare che, sebbene indubbiamente ispirata a sensi di amicizia, la domanda del Sadak in sostanza riveli.

Io credo che se proprio qualcuno dovesse spostarsi, dovrebbe questi essere il Sadak, che ha d’altra parte frequenti occasioni di muoversi verso Occidente e di far sosta in Italia.

Ciò detto ed ammesso, non vi è tuttavia dubbio che un sia pur breve soggiorno di V.E. in Turchia, sarebbe qui avvenimento grosso e susciterebbe larghissima eco e molto vasto consenso e riporterebbe l’Italia alla ribalta e sotto la luce dei riflettori, qui e nel Medio Oriente, con nostro evidentissimo utile e vantaggio.

Per quel che mi concerne ritengo tuttavia che le prime considerazioni dovrebbero in definitiva prevalere forse — nonostante il loro peso — sulle seconde, sebbene è superfluo io le dica con quale estremo piacere — se i motivi personali dovessero entrare in calcolo — la vedrei qui, sia pure per poco, e come la sua presenza gioverebbe ad ogni mia ulteriore azione e qual incoraggiamento e conforto essa darebbe agli italiani di qui, che vivono da troppo tempo staccati dal paese e vanno quindi progressivamente estraniandosene.

V.E. può comunque giudicare assai meglio di me, alla luce di eventuali considerazioni più generali e di criteri di opportunità e di tempestività di cui non ho modo di rendermi da qui conto esatto, se convenga valutare, e sino a che punto, codesto accordo oltre i suoi limiti naturali e quale sia la migliore risposta da dare al Sadak, se questi dovesse, come ritengo probabile, riprendere l’argomento.

Ed io le sarò molto grato se vorrà cortesemente farmi parte del suo punto di vista affinché io possa orientarmi in proposito ed orientare questo ministro degli esteri nel senso ch’ella crederà, tutto sommato, più conveniente1.

497

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1341/4895. Parigi, 27 dicembre 1949.

Ti invio personalmente, come al solito, un mio rapporto riassuntivo su tutte le varie trattative che si sono svolte qui a Parigi nel campo economico1.

Se è polemico, non lo prendere personalmente: so benissimo che il ministro, te e Guidotti siete perfettamente d’accordo sulla necessità di fare il salto. Lo ho scritto in questo tono e questa linea come mia cooperazione di fiancheggiamento a quella azione che voi dovete sostenere, e violentemente, su altri fronti interni.

Tutto quello che ho scritto in questo rapporto è quello che ho detto, nel corso di varie conversazioni, ed in forma certo non meno decisa a Pella e a Ferrari Aggradi. Debbo dire che, se non gli argomenti di Cattani e miei, le conversazioni con Harriman, Katz e Co. li hanno fortemente scossi. Tutti e due, Ferrari Aggradi più di Pella, sono convinti che la liberalizzazione non è affatto la rovina dell’Italia (in realtà molto meno cooperativo si mostra Campilli che sostiene la tesi o cooperazione integrale o niente): e sembrano anche loro disposti a dar battaglia.

Circa la collaborazione italo-francese su questo argomento, Trabalza mi ha portato il messaggio di Guidotti e tuo: il che mi ha fatto piacere: devi esserti accorto tu stesso delle mie reazioni reticenti al vostro telegramma in proposito2. Lo stesso ragionamento l’ho fatto a Pella — e l’ho trovato d’accordo — per cui ho manovrato in maniera, data la ristrettezza del tempo, perché non avesse luogo una vera conversazione con i francesi: è tornato a casa vergine di ogni impegno.

Siccome però, anche in questo campo, è bene non urtarci con i francesi credo che formula da me proposta (e su cui ho insistito con Pella) — ossia: concentrarsi sul progetto Bissell ma lasciare in piedi, per la soddisfazione visiva di tutti, le Commissioni, sia italo-francese che Fritalux — possa benissimo essere sostenuta e permetterci di continuare la collaborazione italo-francese.

Quello che occorrerebbe, se possibile, sarebbe che una nostra decisione di principio intervenisse prima della riunione dei ministri di Fritalux (magari se occorre

2 Vedi D. 470.

potremmo dire che in vista della possibile crisi ministeriale preghiamo di rimandare la riunione) perché, se non abbiamo una linea decisa, rischiamo di cacciarci in complicazioni.

Per tua norma ti aggiungo che l’argomento che ha fatto più effetto su Pella è l’alternativa di dichiararci «caso speciale»: questo, dice lui, nessuno lo può accettare.

496 1 Per la risposta vedi D. 521.

497 1 Vedi D. 498.

498

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1342/4902. Parigi, 27 dicembre 1949 (perv. il 30).

Alla vigilia di un eventuale incontro dei ministri del Fritalux, ritengo mio dovere riassumere la situazione creata da questo accavallarsi di progetti.

Il povero Fritalux si è infatti trovato a durare l’espace d’un matin, già superato dal progetto americano1 per quel poco di concreto che esso rappresentava, ossia la parte liberalizzazione degli scambi e dei pagamenti. Anzi, il progetto americano, che va sotto il nome di piano Bissell, è la risposta americana al fallimento del Fritalux. Esso era in maturazione da tempo: gli americani lo hanno tenuto in serbo aspettando di vedere se gli europei, o parte di essi, erano realmente interessati a fare qualche cosa da soli. Appena informati di come andavano i lavori del Fritalux, abbiamo avuto prima il discorso di Hoffman2, poi il progetto Bissell, sottolineato da una serie di manifestazioni americane orali e scritte, a Parigi od altrove, tendenti tutte a darci l’impressione che si tratta di una cosa seria, che essi intendono sia presa sul serio.

La nostra delegazione, giunta qui con istruzioni tassative ma negative da parte di tutti i Ministeri tecnici, ha fatto miracoli per evitare che dovessimo assumere noi laresponsabilità del fallimento. È stata facilitata nel suo compito dal fatto che i funzionari francesi, e con loro il ministro Petsche, si erano, con il loro progetto3, spinti molto in là: e quando il progetto Guinday4 ha cominciato ad essere conosciuto nelle sue linee generali, ha suscitato l’opposizione di tutti i gruppi di interessi contrari a qualsiasi alterazione dello statu quo: forse, in altre circostanze Petsche e Schuman, interessati tutti e due, per le ragioni già esposte, avrebbero potuto tentare, parlamentarmente, la battaglia. Nelle circostanze attuali del Gabinetto Bidault, questo non era materialmente possibile: sono stati quindi ben felici di trovare una via di uscita ad una situazione imbarazzante, servendosi sia dell’oltranzismo olandese, sia delle istruzioni negative dei nostri.

2 Vedi D. 362. 3 Vedi D. 412. 4 Vedi D. 223.

Siamo riusciti quindi a stabilire un fronte comune italo-francese ... per non far niente. Perché, come osserva giustamente Grazzi a pagina 7 della sua relazione5, anche le modeste misure di liberalizzazione previste dal Fritalux sono subordinate ad un pari passo del coordinamento delle misure fiscali, finanziarie, sociali, di mano d’opera e così via dicendo. Ora, chi abbia avuto un minimo di esperienza di tutti questi problemi di coordinamento, sa benissimo che si tratta di questioni di estrema difficoltà che non potranno mai essere risolte in via di commissione. Si tratta di coordinare tutta la politica, fiscale, di credito, di assistenza sociale, di investimenti, di cinque differenti paesi: ossia di coordinare tutta la politica economica interna dei paesi stessi: coordinare vuol dire, nella maggior parte dei casi, rivedere da capo a fondo questa politica. Una commissione composta di autorevolissimi funzionari può anche riuscirci, ma a condizione di avere, prima, delle precise istruzioni, da parte delle supreme Autorità politiche, di procedere. Se questa decisione non c’è — e non c’è — queste commissioni non possono fare altro che elencare le difficoltà, che non sono poche, ma non fare del lavoro costruttivo. La sostanza del Fritalux è quindi questa: alcune modeste misure di liberalizzazione, subordinate ai risultati positivi del lavoro di alcune commissioni, le quali non possono fare niente.

Fin qui niente di nuovo: il Fritalux si è messo per la strada, ormai abituale, di tutte le espressioni di cooperazione europea. La stessa Unione doganale italo-francese, se fosse stata ratificata dai due Parlamenti, si sarebbe risolta essa stessa, in realtà, in una grossa commissione con un numero imponente di sottocommissioni: c’è un neologismo nel linguaggio burocratico francese odierno: invece di dire che una questione viene messa agli atti si dice: on l’encommissionne.

Il fatto nuovo è invece un altro: che gli americani, finalmente, se ne sono accorti. Ed invece di battere le mani al progetto del Fritalux, ci hanno messo sotto il naso un progetto loro: preceduto, ripeto, dal discorso Hoffman che non poteva essere più chiaro. Situazione non inattesa: molte delle delegazioni all’O.E.C.E., fra cui la nostra, da un pezzo avvertivano i loro Governi dove si andava a finire. Alla fine Cassandra ha avuto ragione. Su questo argomento del resto mi sembra che le impressioni riportate da tutti coloro che hanno avuto occasione di parlare con Harriman ed i suoi collaboratori non si prestano più a nessun equivoco.

In altre parole, la diplomazia, intesa nella sua forma deteriore come l’arte di imbrogliare il prossimo (in questo caso gli americani), è arrivata, in materia di cooperazione europea, al limite delle sue risorse. Di fronte al piano Bissell è inutile sperare di potersi trarre d’impaccio proponendo nuove formule fumogene o creando ancora nuove commissioni: gli Stati europei, fra cui noi, debbono prendere chiaramente posizione ed assumere la loro responsabilità: debbono dire sì o no.

Non voglio qui entrare nel merito della questione se la liberalizzazione degli scambi, che significa in realtà solo rinunciare a tutte le misure che intralciano il commercio internazionale che non siano la vecchia forma delle tariffe doganali, sia in realtà cosa disastrosa per il nostro paese o non soltanto per certi ristretti interessi sia di produttori che di burocrati. Quelle che possono essere le mie idee personali in proposito non hanno nessuna importanza. La decisione spetta al Governo italiano; ma

siamo arrivati al punto in cui bisogna prendere una decisione e in base a questa decisione orientare in un senso o in un altro tutta la nostra politica.

A parole, noi siamo stati, specie in questi ultimi tempi, i più entusiasti per la cooperazione europea: ai fatti, non siamo stati molto più cooperatori dell’Inghilterra. Alcuni da noi sostengono che in realtà non c’è contraddizione: noi siamo, diciamo,partigiani della cooperazione integrale: questa sì, l’accettiamo ma niente di meno. È la politica di Grandi alla Conferenza del disarmo6: ormai non attacca più soprattutto di fronte agli americani. Oggi la politica estera non è più politica pura: è per l’80% politica estera economica: non è più solo il Ministero degli esteri che è proiettato all’estero: lo sono tutti i Dicasteri economici, lo sono adesso anche i Dicasteri militari. Non è possibile, per un paese come il nostro, avere direttive in gran parte contraddittorie. La posizione di V.E., e la sincerità delle sue intenzioni, sono note in Italia e nel mondo: ma se questa posizione non è condivisa dai Dicasteri economici essa rischia di essere — la prego di voler scusare la mia franchezza — non la politica estera dell’Italia ma la posizione sua personale. Cito come esempio il caso della delegazione italiana del Fritalux: Grazzi aveva da V.E. delle istruzioni di andare avanti al massimo possibile, ma si trovava a capo di una delegazione di rappresentanti di vari Dicasteri e della Banca d’Italia, i quali avevano invece delle istruzioni anche più tassative, dai loro capi, di non fare praticamente niente. Cosa poteva fare in queste circostanze se non trincerarsi dietro formule fumogene e cercare poi di dimostrare nella sua relazione, certo contro la sua convinzione personale, che questo niente era invece qualche cosa?

Tutto questo non può portare che a confusione, equivoci, se non peggio. Se realmente noi non possiamo liberalizzare sul serio senza mettere sottosopra l’Italia, economicamente, socialmente o politicamente, va bene; ma allora bisogna che lo diciamo francamente e rinunciamo a fare la pattuglia di punta, verbale, della collaborazione economica europea. Se si arriva invece alla conclusione che il salto non è poi tanto pericoloso, e che la situazione internazionale dell’Italia, e le sue esigenze, non ci permettono di ritirarci in un isolamento economico autarchico, allora bisognerà che i Dicasteri tecnici si rassegnino anche loro a diventare collaboratori sul serio, con tutte le conseguenze che ne derivano. Continuare, come si sta facendo adesso, a dire e a fare due cose differenti non è più possibile senza seri inconvenienti.

Il piano Bissell ci offre teoricamente un’alternativa: già Grecia ed Austria sono stati dichiarati «casi a parte»: nulla ci vieta di sostenere che anche l’Italia è un caso a parte. Dovremo certo farlo riconoscere dagli americani, e dagli altri europei, il che non sarà facile; perché specialmente i primi sembrano invece convinti che noi non siamo poi in queste condizioni disperate: dovremo anche attendere, durante questo processo di riconoscimento dell’Italia caso speciale, le critiche, del resto già note anch’esse (e che sarà difficile mantenere segrete), a tutta la politica economica del Governo italiano, soprattutto all’uso che è stato fatto del piano Marshall, orientato prevalentemente verso l’importazione di beni di consumo invece che di beni strumentali. Il discorso che dovremmo fare in questo caso è più o meno questo: noi siamo un povero disgra

ziato paese; abbiamo tutta la buona volontà di integrarci, ma non lo possiamo fare adesso senza mandare per aria tutta la nostra struttura; bisogna che prima passiamo, per un certo numero di anni, in clinica per una cura seria (cura che non sarà certo fatta senza una seria supervisione sia degli americani che dei colleghi europei per quello che riguarda i metodi di cura e la loro applicazione). Niente di grave se lo stato dell’Italia è realmente così disastroso; diremmo la verità e la verità, a lungo andare, è sempre meglio della menzogna: non occorre però che dica che questa politica significa, per un certo numero di anni, la rinuncia, e sul serio, a tutta la politica di prestigio che, sia pure con misura, stiamo invece facendo. Non si può al tempo stesso dire: l’Italia è una grande potenza; l’Italia è un povero e disgraziato paese.

Se non accettiamo questa alternativa o essa non è necessaria, allora non resta che l’altra: regolarizzare al più presto la nostra posizione in materia di tariffa doganale, e poi deciderci al salto verso la liberalizzazione.

Una terza via non c’è.

Si è detto: procediamo d’accordo con la Francia. La cosa, in sé, è possibilissima ma in senso negativo. La Francia si trova, in questo, in una situazione peggiore della nostra: noi, ancora, volendo, possiamo sperare di fare accettare il caso speciale Italia: la Francia no. Nel caso di un paese ricco come la Francia le cause non possono essere altre che disfunzione della direzione. Politicamente, il Governo italiano, una volta decisa una certa linea di condotta, ha la possibilità di farla passare al Parlamento: il Governo francese dovrebbe probabilmente andare alle elezioni. Esso cercherà di fare tutte le resistenze possibili: sarebbe quindi, certo, disposto a farle con noi, coprendosi in un certo senso dietro di noi: ma ci conviene questo? Se gli americani, come è l’impressione che si può avere da qui, sono realmente decisi a portare a fondo il loro progetto, non sarà certo l’unione delle debolezze italo-francesi che riuscirà a fermarli. Ci può convenire solo nel caso che noi decidiamo che dobbiamo dichiararci caso speciale e preferiamo ritardare il giorno della dichiarazione. Ma se invece decidiamo che il salto lo si può ragionevolmente tentare, ci conviene di più, a tutti i fini, compreso e soprattutto quello americano, di dichiarare fin dal principio che siamo in favore della liberalizzazione. L’importanza delle ripercussioni americane è troppo evidente perché ci si debba tornare su. Se noi decidiamo che l’Italia può fare la politica di liberalizzazione, è evidente che poche cose potrebbero metterci in buona luce presso Washington quanto una propaganda aperta (nessuno ignora che non la si potrebbe fare accettare senza discussione interna) da parte del Governo italiano per convincere la sua opinione pubblica della necessità, nel nostro interesse, di una politica di liberalizzazione.

Nelle conversazioni che ho avuto qui con varie personalità italiane è stata avanzata un’altra ipotesi: chiedere all’America, in cambio e come condizione alla nostra accettazione, una serie di promesse precise concernenti specialmente il problema degli investimenti e quello della mano d’opera. Dalle conversazioni avute qui con alte personalità americane è risultato chiaramente che si può continuare ad attirare l’attenzione americana su questi nostri problemi; che la loro consapevolezza di questi problemi è in progresso, ma che non è possibile avere da loro assicurazioni precise ed impegnative; che comunque essi non accetterebbero mai di considerarle come condizioni alla nostra accettazione. Si potrebbe, forse, ottenere, in qualche forma, un’assicurazione molto generica che l’America sta studiando questi problemi italiani ma nulla di più.

In fatto, in sede di discussione del progetto Bissell, credo si potrà ottenere dagli americani qualche rinvio, non grande, del termine finale per la liberalizzazione completa degli scambi nonché di riservare la difesa, temporanea e graduata, di alcuni settori ristretti, ben delineati e giustificati: per esempio, nel caso nostro, il settore siderurgico sia attraverso il mantenimento di contingenti sia attraverso tariffe doganali proibitive (più probabilmente la prima che la seconda formula). Più in là non credo si possa andare: si può forse arrivare a far saltare tutto il progetto: quali ne possano essere le conseguenze, lo ha detto con molta chiarezza la nostra ambasciata a Washington col rapporto trasmesso col telespresso 44/16014 del 24 novembre7: anche in questo caso sarebbe sempre utile che fosse chiaro, ma con i fatti, che questo non è per colpa nostra e nemmeno per colpa di noi associati con i francesi.

È necessario che tutto questo sia ben chiaro per noi, sia per l’eventuale conferenza del Fritalux, sia per gli approcci diplomatici precedenti che sarebbero utili, forse necessari, sia soprattutto per il momento, non lontano, in cui bisogni affrontare la discussione del progetto americano.

Non è possibile accontentare gli americani parlando di Unione doganale italo-francese: non lo sarebbe possibile nemmeno se il Parlamento francese la ratificasse, poiché anche in questo caso l’Unione doganale, ripeto, non sarebbe che una grande commissione. Ancora meno è possibile farlo con una piccola commissione prevista dall’accordo del 9 corrente8. Se questo accordo ci può servire per poter dire all’interno che l’Unione non è messa agli atti, benissimo: ma, agli effetti pratici, è evidente che anche il solo pensiero, che con questa commissione si possa fare l’Unione doganale al di fuori del Parlamento francese, è peggio che una illusione. Gli accordi fra gli industriali, soprattutto sotto la bandiera dell’antitrust, non sono certo una cosa facile da fare; non so cosa si possa fare in Italia: in Francia non saranno certo quattro funzionari che potranno indurre gli automobilisti o i tessili a fare quello che non vogliono.

È ugualmente impossibile contentare gli americani facendo il Fritalux quale esso è stato proposto: ossia creando alcune commissioni; lo si potrebbe tentare facendolo sul serio; resta a vedere allora se sia più facile fare sul serio il Fritalux che non accettare il piano Bissell.

Inoltre, in vista delle gravi difficoltà interne che si incontreranno da noi per superare gli interessi lesi o presunti tali, mi domando se non stiamo mettendo troppa carne al fuoco. Si parla di Unione Europea, di Unione italo-francese, di Fritalux, di non so quante altre cose: non vedo come l’opinione pubblica italiana, o di altri paesi, possa non essere disorientata. Mi domando se non sarebbe meglio concentrarci sopra una cosa sola, oggi la più importante, il piano Bissell. L’abolizione di tutte le altre restrizioni lasciando in piedi la protezione doganale, non è l’unione economica europea, non è la libertà degli scambi ma, di fronte alla confusione ed all’arbitrio del sistema attuale, costituisce dopo tutto un progresso. Dopo fatto questo salto, e dopo constatato, come forse si constaterà, che non è poi il finimondo, si potranno, in un tempo successivo, affrontare altri problemi, come quello della riduzione ed anche dell’abolizione, a Dio piacendo, delle tariffe doganali.

8 Vedi D. 462, Allegato.

Questo non significa che si debba cessare di parlare di tutto il resto. Possiamo benissimo mettere in funzione la piccola (per ora) Commissione dell’Unione doganale: possiamo anche dire che è una cosa importante e seria (a condizione di non crederci): ciò farà certo piacere a noi e non dispiacerà ai francesi. Per far piacere ai francesi, per le ragioni già esposte da me in un precedente rapporto, possiamo non abbandonare nemmeno il Fritalux: manteniamo solennemente in vita le commissioni che si incaricano di tutte le coordinazioni. Le indennità di missione dei nostri funzionari sono tanto basse da non costituire un serio aggravio per il bilancio: le riunioni danno occasione a discorsi, interviste …: in una parola ça leur fait tellement plaisir... Non combineranno niente ma non faranno nemmeno niente di male: e in caso di fallimento di tutto si potrà sempre cercare di ricadere su una di queste formule se gli americani continueranno a domandarci del fumo. Ma il lavoro serio, la decisione della linea di Governo e l’opera di propaganda all’interno indispensabile in qualsiasi alternativa prescelta, forse non sarebbe male concentrarle sopra di una cosa sola, che oggi sembra la più urgente, la più seria e probabilmente anche la più realizzabile. Ma, mi permetto di ripeterlo ancora una volta, le possibilità di portare a spasso gli americani con delle formule fumogene sono finite. Bisogna che affrontiamo i fatti con i fatti e non con le parole. Era un nodo che doveva arrivare al pettine: adesso ci è arrivato. Non riconoscerlo è pericoloso per tutti; più pericoloso per noi che non siamo certo i più forti; ancora più pericoloso se dovessimo essere solo noi, o noi con i francesi, a non riconoscerlo.

Mi permetto di ripetere che sarebbe utile, anzi necessario, che la nostra decisione fosse presa prima della riunione dei ministri del Fritalux: questo ci permetterebbe qui, in quel momento, di prendere una linea chiara e coerente con le nostre possibilità.

498 1 Vedi D. 466.

498 5 Dell’11 dicembre, non pubblicata.

498 6 Il riferimento è alla Conferenza del disarmo che si aprì a Ginevra il 2 febbraio 1932. Per l’atteggiamento di Grandi vedi serie settima, vol. XI, DD. 193, 203 e 248.

498 7 Non pubblicato.

499

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR 1465 SEGR. POL.1. Roma, 29 dicembre 1949.

Riferendomi al telespresso di V.E. del 12 dicembre (n. 1288/4664)2 ho appena bisogno di significarle che questo Governo, come quello francese, ben si rende conto che, nelle sue iniziative diplomatiche — invero molto discrete — il Governo di Madrid cerca sopratutto argomenti di prestigio immediato sia presso il suo popolo sia presso gli Stati ove persegue una politica di hispanidad; ma che esso in realtà non è veramente desideroso di legami politici attivi. Ciò è nella legge storica attuale di quel paese, divenuto il più insulare di Europa. Madrid fece con noi ai tempi d’oro della

Triplice un trattato3 che mai eseguì; fece durante la prima guerra mondiale, come nella seconda, una politica di costanti ondeggiamenti formali; ben deciso a mai intervenire, nel che Franco mostrò un buon senso di cui Mussolini fu purtroppo privo.

La conversazione che ebbi il 21 corrente con Artajo4 mi confermò che la situazione spagnola rimane, come si pensa costì, essenzialmente statica. Sotto generalizzazioni verbali non si pensa a Madrid che a una modesta conquista: la sostituzione di ambasciatori agli attuali incaricati d’affari; cosa che da parte nostra siamo prontissimi a fare appena qualcun altro cominci.

499 1 Diretto per conoscenza anche alle ambasciate a Londra e Washington. 2 Con il quale Quaroni aveva comunicato le considerazioni del Quai d’Orsay sulla situazioneinternazionale della Spagna.

500

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI1

L. 1477 SEGR. POL. Roma, 29 dicembre 1949.

Rispondo al suo rapporto del 13 dicembre2.

V.E. conclude la sua relazione circa il colloquio Acheson-Bebler osservando: «Spetta a noi di decidere se preferiamo mantenere, e chiedere che venga mantenuto, l’attuale status quo, con i suoi inconvenienti ma con le sue garanzie, o se desideriamo invece esplorare le possibili vie di una soluzione definitiva del problema del Territorio Libero di Trieste, soluzione che non può che essere di compromesso».

Se il dilemma si pone così, noi dobbiamo, per ora almeno, favorire l’attuale status quo.

Ma a noi conviene lumeggiare una terza possibilità non foss’altro perché essa fornirebbe una nuova prova del come noi concepiamo le varie soluzioni di tanti problemi europei o africo-europei che, con i vecchi metodi, rischiano di rimanere elementi di discordia e di sospetti.

Sol che dal lato jugoslavo si riscontri appena un inizio di mentalità progressiva, immune dai vecchi e sterili nazionalismi, noi dovremmo tentare di persuadere quel Governo e i nostri Alleati, garanti del ritorno a noi di tutto il T.L.T., che siamo pronti a far ben altre concessioni che non quelle della sovranità jugoslava su qualche oasi slovena o croata nel Territorio Libero; e cioè che siamo pronti a concretare con Belgrado una vasta serie di intese economiche e sociali che quasi sovrastino alla frontiera politica e permettano agli interessi slavi di sentirsi a casa loro quanto a uso del porto, a transiti ferroviari, a facilità doganali, di navigazione, ecc.

Non sappiamo se il Governo jugoslavo sia maturo per rendersi conto del prestigio che una tale intesa conferirebbe ad esso come a noi. Sappiamo peraltro che nei

4 Vedi D. 511.

2 Vedi D. 473.

paesi garanti della nostra sovranità politica sul T.L.T. tale modo di concepire la soluzione del problema accrescerebbe le simpatie alleate verso di noi.

Si è perciò che V.E. può, riprendendo il discorso, far cenno costì del nostro pensiero; tanto più che l’idea può essere presa più facilmente in considerazione a Belgrado se prospettata da codesto Governo piuttosto che da noi3.

499 3 Si riferisce allo scambio di note del 4 maggio 1887 (vedi serie seconda, vol. XX, DD. 663,677 e 700) prorogato, con varianti, per altri quattro anni, con il Protocollo del 4 maggio 1891 (ibid., vol. XXIV, DD. 255 e 282).

500 1 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 366-367.

501

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1352/4909. Parigi, 29 dicembre 19491.

Ho intrattenuto sull’argomento di cui al suo 15/296 del 17 corrente2 Couve de Murville, prevenendolo che intendevo parlarne a Schuman nel mio prossimo colloquio.

Gli ho detto (sarebbe del resto stato ingenuo negarlo) che, per ovvie ragioni geografiche, la sorte dell’Albania non poteva non interessarci: che evidentemente sarebbe stato nostro vivissimo desiderio vedere il Governo di Enver Hoxha sostituito da un Governo «più rappresentativo dei desideri della popolazione» e che, dal punto di vista dei nostri interessi, una soluzione del problema albanese sotto la forma di una spartizione del paese tra Grecia e Jugoslavia non sembrava la più consona né ai nostri interessi e nemmeno all’interesse generale europeo.

Ciò premesso le agitazioni inglesi, il fatto evidente che alcuni dei loro agenti, i principali, ci risultavano nettamente orientati verso soluzioni titiste, ci preoccupavano, in primo luogo come una possibile minaccia alla pace generale.

Conoscendo l’Albania, potevo dirgli che data la presenza di qualche migliaio di russi in Albania, di cui almeno una parte dovevano essere a carattere militare, era assai difficile che un movimento insurrezionale partito dalle tribù, sia cattoliche che musulmane, potesse rovesciare il regime: ottimi combattenti, sulla difensiva nelle loro montagne, ma valevano poco o nulla nella pianura. Sollevare una rivolta in Albania, avendo i mezzi, poteva essere relativamente facile: ma era altrettanto facile prevedere che essa era votata allo scacco: una volta la rivolta messa in pericolo, l’intervento aperto o mascherato di Tito ne sarebbe una conseguenza quasi necessaria: essa avrebbe a sua volta provocato un intervento greco.

La nostra preoccupazione era che questo potesse servire di pretesto per una azione russa contro Tito. Non solo in vista della legalità comunista, ma anche di fronte a larghi settori dell’opinione pubblica mondiale, un attacco brutale della Russia contro la Jugoslavia era una cosa: un intervento russo contro la Jugoslavia in difesa di una Albania aggredita era tutt’altra cosa.

2 Vedi D. 485.

La nostra impressione (e del resto anche quella francese) era che in caso di intervento russo in Jugoslavia, l’America avrebbe aiutato sì i titisti, in quanto essi si difendessero, ma non ne avrebbe fatto un casus belli. Qualora anche si fosse certi che l’America ne facesse un casus belli, nello stato attuale delle cose non si trattava certo di una prospettiva allettante né per noi né per la Francia, né per nessuno in Europa. Si stava inutilmente giuocando col fuoco e questo poteva essere pericoloso. Secondo me conveniva almeno aspettare, prima di correre dei rischi, che ci fosse un minimo di riorganizzazione delle forze armate europee: nel frattempo le difficoltà interne del-l’Albania avrebbero maturato, le possibilità di una soluzione non titista, ma occidentale, sarebbero aumentate o comunque l’elemento rischio per la Russia essendo aumentato, si avevano maggiori speranze di non suscitare dei guai troppo seri.

Couve mi ha detto che la Francia non aveva nessun interesse in Albania, riconosceva invece, ed era disposta ad appoggiare l’interesse italiano (questa frase va interpretata solo come l’espressione della solita cortesia francese). Ciò premesso, la Francia riteneva, in sé, che l’eliminazione del regime cominformista in Albania sarebbe stata per tutti, anche per noi, un grosso vantaggio: avrebbe eliminato il pericolo russo nell’Adriatico: avrebbe permesso di guardare con molto maggiore sicurezza all’avvenire della Grecia. La grande preoccupazione di Schuman era di sapere, in base al trattato russo-albanese, se e fino a che punto degli avvenimenti interni, od esterni, in Albania avrebbero déclenché una reazione russa. Riconosceva la giustezza delle mie considerazioni sul «rischio non ragionevole» nelle circostanze attuali. Ha aggiunto che Washington, anche recentemente, era stato con i francesi molto reciso nell’assicurare che non avrebbe mai ammesso si parlasse di spartizione, anche limitata, dell’Albania fra la Jugoslavia e la Grecia. Le stesse assicurazioni avevano avuto da Londra.

Gli ho risposto che mentre non avevo ragione di dubitare delle assicurazioni americane, i fatti mi portavano ad emettere molti dubbi sulle assicurazioni inglesi: eravamo di fronte al solito sistema inglese: il Governo centrale diceva una cosa: gli agenti periferici facevano il contrario: ed erano i secondi che contavano.

Sarebbe stato ingenuo da parte mia non parlare ai francesi dei nostri interessi in Albania. Tenevo però a fare presente che l’attuale nostro passo era ispirato esclusivamente dall’interesse, di tutta la comunità atlantica, alla pace generale. Si trattava secondo noi di cosa talmente grave, e pericolosa per tutti, che non era possibile restare inattivi: volevo sapere se il Governo francese eventualmente sarebbe stato disposto ad appoggiare, o meglio ancora associarsi, ad un nostro passo a Londra e a Washington per provocare una discussione a quattro sul problema albanese.

Couve ha convenuto con me che il giuoco poteva essere assai pericoloso: quanto all’eventualità di un passo ne avrebbe parlato con Schuman.

L’atteggiamento francese è per forza di cose differente dal nostro. L’Albania, in sé, non li interessa: essi vedono qualsiasi azione in Albania sotto il punto di vista del-l’eliminazione di questa sacca russa nell’Adriatico: purché ci si riesca, è loro relativamente indifferente che ci sia in Albania un Governo democratico o semplicemente anticominformista, che l’Albania sia indipendente o divisa fra Jugoslavia e Grecia. Sono invece molto sensibili a tutto quanto quello che possa mettere in pericolo la pace, ed il regime di Tito. Ed è per questo che ho molto insistito su questo argomento.

Evidentemente i francesi sono molto più ottimisti di noi sulle possibilità di una rivoluzione interna in Albania. Personalmente conoscendo, per i miei peccati, abbastanza bene l’Albania sono, sulle capacità albanesi di fare una rivoluzione sul serio senza interventi effettivi dal di fuori, più che pessimista. Ma temo che questo ottimismo non sia solo francese: c’è tutta una leggenda rivoluzionaria sull’Albania che è assai dura a morire. Siccome, a quanto mi risulta, le informazioni sull’Albania il 2ème bureau francese le ha da noi, sarebbe bene che da parte nostra si dessero, a questo riguardo, ai francesi delle informazioni pessimiste. Il 2ème bureau ha qui una grossa influenza ed è attraverso di esso che si può influire sugli apprezzamenti del Governo francese: la cosa deve naturalmente essere fatta bene. Infatti l’argomento che ha visibilmente avuto più effetto su Couve sono stati i miei apprezzamenti negativi sulle possibilità di una rivolta in Albania.

Dato questo, V.E. comprenderà facilmente che non ho creduto opportuno parlare di «iniziativa» francese, ma solo di «associazione» francese ad una iniziativa nostra: non è possibile ottenere che su questo argomento i francesi partano per conto loro.

Mi sembra che l’argomento da me portato: il rischio che una avventura albanese rappresenta per tutti i membri della comunità atlantica, sia un argomento serio e tale da potere essere da noi, anche soli, apertamente sostenuto. Oggi le forze europee sono praticamente niente: è il momento, se mai ce n’è stato uno, in cui un membro della comunità atlantica ha il diritto di dire ad un altro: non fate delle sciocchezze le cui conseguenze possono essere gravi per tutti. È questo un argomento che nessuno esiterebbe, per esempio, ad usare con noi se volessimo fare delle sciocchezze, ed anche meno, nell’affare di Trieste. Perché non dovremmo poterne far uso noi nella questionedi Albania? È questo il vantaggio per noi di essere nel Patto atlantico: lo statuto della comunità atlantica del resto lo prevede: è lo spirito, se non la lettera, dell’art. 4.

Noi potremmo, su questa base, segnalare alle tre capitali l’opportunità di discutere, alla prossima riunione del Consiglio dei ministri degli esteri del Patto atlantico, la situazione albanese: probabilmente, nordici e Benelux risponderebbero che si tratta di questione che non li interessa: in questo caso potremmo ricadere su di una consultazione dei ministri degli esteri del Gruppo mediterraneo (prevista), che è composto appunto di Francia, Inghilterra, Italia e Stati Uniti, magari al rango sostituti se non si vuole disturbare il sig. Acheson. Sarebbe, in fatto, la discussione a quattro che V.E. vorrebbe, presentata solo in altra forma, forse meno facilmente rifiutabile che una conferenza a quattro tout court: francamente temo che la richiesta di una conferenza a quattro, tout court, possa essere interpretata (come probabilmente lo è) come un nostro tentativo di far rivivere il direttorio europeo, includendoci in principio anche noi: il che oggi non è di moda. Non voglio dire che anche così la cosa ci riuscirà de plano: ma in questo modo si tratterebbe non di creare un organismo nuovo, ma di far funzionare a certi effetti un organismo già creato o previsto.

L’effetto pratico sarebbe lo stesso: la presentazione mi sembra più facile e più plausibile: certo più facile, credo, avere in qualche forma l’appoggio, o meglio l’associazione dei francesi. Sarebbe certamente una pietra nel giardino inglese: ma ce ne abbiamo tante.

Nella mia prossima conversazione con Schuman mi limiterò a sollevare leggermente la questione come ho fatto con Couve: a meno che V.E. approvi il mio piano di procedura (nel qual caso pregherei di farmelo conoscere telegraficamente) nel qual caso potrei fargliene un primo discreto accenno.

500 3 Per la risposta vedi D. 512.

501 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

502

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI

T. 11165/192. Roma, 31 dicembre 1949, ore 16.

Per Pietromarchi.

Da suo rapporto 1196 del 17 dicembre1 dovrei dedurre che Governo brasiliano non attribuirebbe stessa importanza e significato che noi invece annettiamo ad una larga intesa economica fra i due paesi.

Controproposte brasiliane sono assolutamente insufficienti e per raggiungere accordo di così modesta portata era superfluo invio apposita delegazione.

Previa intesa con ambasciatore Martini, la prego di fare presente codesto Governo necessità riportare trattative su piano più vicino possibile previsto volume iniziale e in particolare che posizioni caffè e cotone abbiano contingenti adeguati a normali possibilità esportazioni brasiliane detti prodotti. Ciò anche perché soltanto con sufficiente contingente caffè e cotone sarà possibile:

1) darci modo esportare Brasile prodotti italiani per ammontare almeno doppio cifra dodici milioni dollari citata nel rapporto in riferimento, cifra da noi ritenuta appena sufficiente per permettere un modesto interscambio;

2) assicurare rimesse emigranti per un ammontare annuo non inferiore quattro milioni dollari;

3) assicurare normali possibilità pagamenti altre partite invisibili (noli, turismo, ecc.).

Nelle prossime conversazioni con codesto Governo sottolinei stretta relazione per noi esistente fra accordo commerciale e quello emigrazione2.

503

L’AMBASCIATORE AD ANKARA, R. PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 13/8. Ankara, 2 gennaio 1950 (perv. il 7).

Al momento della partenza del corriere, questo segretario generale mi consegna il controprogetto turco per un accordo di amicizia e di conciliazione. Lo accludo.

L’accordo consta di un preambolo in cui da parte turca si è voluto insistere con maggiore calore ed ampiezza, che non in quello che figura in testa all’accordo italo

2 Per la risposta vedi D. 507.

greco del ’481, sulle generiche espressioni di buona amicizia e di intesa: ciò che mi pare da accettare senz’altro.

L’art. 1 («il y aura paix et amitié perpetuelle» ecc.) riproduce testualmente l’analogo articolo del predetto accordo italo-greco.

Col preambolo e con l’articolo 1 si conclude la parte propriamente politica.

Tutti gli articoli seguenti riguardano la procedura di conciliazione e di regolamento giudiziario e sono identici, salvo la numerazione, a quelli dell’accordo coi greci.

La sola differenza fra i due accordi è costituita dall’art. 3 del progetto turco, a termini del quale sono escluse dalla procedura di conciliazione le questioni che, «in virtù dei trattati in vigore fra le parti contraenti, rientrano nella competenza di una di esse, e le questioni che sono connesse coi diritti di sovranità».

Tuttavia in caso di contestazione sulla determinazione se una particolare questione rientri o meno nella sfera dei diritti di sovranità, è previsto l’arbitraggio della Corte di giustizia internazionale che dovrà decidere pregiudizialmente in proposito.

Noto che il principio dell’esclusione delle questioni attinenti ai diritti di sovranità era già stato sancito nell’art. 3 del vecchio trattato italo-turco di neutralità giunto a termine nel ’47.

Sarò grato all’E.V. se vorrà esaminare l’accluso progetto — che non mi pare destinato a dar luogo a contestazioni — e farmi con cortese sollecitudine conoscere se incontra la sua approvazione.

A risparmio di tempo e ad evitare eventuale nuovo carteggio, sarebbe forse opportuno che codesto Ministero mi trasmettesse il più rapidamente possibile il testo delle note da scambiare contemporaneamente alla firma dell’accordo di amicizia, in merito all’impegno di negoziare successivamente un accordo culturale2.

502 1 Non rinvenuto.

504

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, LANZA D’AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 66/10. Londra, 3 gennaio 1950, ore 19,50 (perv. ore 7,30 del 4).

Mio telegramma 5051.

Capo Dipartimento competente del Foreign Office mi ha informato che recenti misure militari e navali nordamericane in Estremo Oriente nonché presente campagna statunitense non modificano programma britannico circa riconoscimento Governo comunista cinese, del quale codesta ambasciata britannica ha già dato notizie a V.E. Domani verrà inoltre comunicato a Palazzo Chigi, per amichevole conoscenza, copia nota britannica che sarà rimessa a Governo Mao Tze in occasione riconoscimento stesso.

2 Per la risposta di Zoppi vedi D. 557.

Signor Scarlett ha aggiunto che è qui già scontata forte reazione opinione pubblica statunitense ma che al livello Governi decisione è stata da tempo compresa ed approvata da Washington, e che diversità tattica britannica da quella americana nei confronti nuovo regime cinese è dovuta sopratutto a differenza interessi da tutelare e precedenti questioni e non significa in alcun modo che obiettivi finali due politiche non (dico non) siano assolutamente comuni.

Circa futuri sviluppi, Foreign Office ritiene e sopratutto spera che Mao Tze tenda ora consolidarsi e sia per necessità portato a dover affrontare subito esigenze caotica situazione economica. Pro tempore ciò dovrebbe facilitare pratiche intese con Occidente e forse favorire possibile parziale evoluzione nuovo regime bolscevico che deve affrontare molte difficoltà e incognite e prima di tutto quella di essere cinese.

Comunque, ha concluso Scarlett, «non ci sembra vi sia, almeno per il momento, altra alternativa a decisione da noi prescelta, che è intonata a prudenza, necessità e realismo».

503 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 595.

504 1 Vedi D. 263.

505

IL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 0034/15. Francoforte, 4 gennaio 1950 (perv. il 9).

Riferimento: Mio rapporto n. 0033/14 del 4 c.m.1.

Un gesto di particolare cortesia verso di noi è stato compiuto dal presidente della Repubblica federale, dr. Heuss, con la menzione da lui fatta dell’Italia nel suo messaggio, sul quale riferisco a parte, quale uno dei paesi — con la Svizzera e la Svezia — ai quali egli rivolgeva la espressione della propria riconoscenza per la comprensione dimostrata in questo dopoguerra. Il sig. von Herwarth, capo di Gabinetto del presidente, mi ha fatto pervenire personalmente il testo completo del messaggio stesso.

Nello stesso rapporto avevo anche accennato che l’esplicito riferimento all’Italia nel discorso presidenziale assumeva un particolare significato. Ho potuto avere infatti, dalla stessa casa del presidente, alcune informazioni che, comunicatemi a titolo strettamente confidenziale e con l’avvertenza che esse rappresentano soltanto l’opinione dei «circoli del Protocollo», ho motivo nondimeno di ritenere rispondenti al pensiero del capo dello Stato. Da esse appare che il dr. Heuss ha voluto esprimere l’apprezzamento tedesco verso l’Italia per i «considerevoli sforzi da essa compiuti per riprendere le relazioni politiche ed economiche con la Repubblica federale e per ripristinare i vecchi rapporti di amicizia», sforzi — viene aggiunto — che hanno trovato la loro espressione ufficiale nelle note dichiarazioni del ministro degli esteri ita

liano Sforza ed in quelle del presidente del Consiglio De Gasperi. Credo opportuno ricordare che il presidente Heuss è in possesso del testo esatto di tali dichiarazioni, inviatemi a suo tempo da Roma e che non mancai di far pervenire a lui, come al sig. Adenauer, nella loro traduzione.

Dalla stessa fonte mi viene segnalato che il presidente Heuss è molto compiaciuto che questo atteggiamento dei più alti esponenti della politica italiana venga anche rispecchiato dai più importanti quotidiani della penisola, e che i «commentari di questi, circa i più importanti avvenimenti in Germania, siano pieni di grande comprensione».

Con l’occasione credo opportuno riferire anche alcune dichiarazioni fatte, in via del tutto occasionale, dal cancelliere federale al dr. Alverà che si è trovato con lui sullo stesso traghetto a Bonn, e che ne ha approfittato per trasmettergli a mio nome, a mezzo di un segretario, gli auguri per il nuovo anno. Il sig. Adenauer ha voluto vederlo e gli ha detto particolarmente — nei due minuti della traversata — di essere molto lieto che il presidente De Gasperi abbia così felicemente superato la crisi agraria dello scorso dicembre che non aveva mancato di preoccuparlo; che gli sembrava doversi ora considerare la situazione del tutto stabilizzata.

Il sig. Adenauer ha confermato poi quanto ho riferito da ultimo col telespresso

n. 0551/308 del 28 dicembre u.s.1, circa la soddisfazione di questi ambienti, e non solo governativi, per le accoglienze ricevute a Roma dai pellegrini tedeschi.

Come ho già comunicato, il ricevimento del Corpo diplomatico è stato fissato per il giorno 16 corrente mese, e lo stesso giorno sarò ricevuto dal cancelliere federa-le. Mi riserbo perciò di riferire prossimamente su queste due visite2.

505 1 Non pubblicato.

506

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. 111/11. Roma, 5 gennaio 1950, ore 22.

Come è noto V.E. 17 corrente avrà luogo costì riunione gruppo lavoro Comitato manodopera O.E.C.E. che prelude lavori predetto Comitato febbraio p.v. nel corso dei quali dovrebbero essere adottate misure atte più vasto e razionale impiego manodopera in territori europei e extraeuropei nel quadro programma di liberalizzazione, cui attuazione porterà almeno in un primo tempo ulteriore aggravamento situazione nostro mercato del lavoro.

V.E. conosce situazione nostra emigrazione Francia che nel corso ultimi mesi ha subito anche flessione. Francia tuttavia è unico Stato europeo cui sarebbe possibile assorbire ulteriori contingenti lavoratori italiani specie nel settore agricolo.

Prego V.E. voler interessarsi rappresentando codesto Governo vantaggi che ne deriverebbero anche ad economia francese. Occorrerebbe prospettare necessità di stu

diare di comune intesa opportune misure pratiche atte facilitare, con dovute garanzie, movimento nostra manodopera. A tal fine occorrerebbe anche cercare rimuovere note pregiudiziali natura politica che non solo in territori francesi oltremare ma anche in taluni dipartimenti metropolitani tuttora sono di ostacolo stabilimento nostri lavoratori.

Azione V.E. dovrebbe validamente fiancheggiare quella della nostra delegazione presso l’O.E.C.E.

Analoga azione viene da me svolta presso questo ambasciatore Francia.

Prego telegrafare1.

505 2 Vedi DD. 532 e 539.

507

L’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 128/2. Rio de Janeiro, 5 gennaio 1950, ore 11,22 (perv. ore 19,45).

Pietromarchi:

In ottemperanza ultimo telegramma di V.E.1 che non poteva giungere in momento più opportuno ambasciatore Martini ed io ci siamo recati ministro Fernandes ieri nel pomeriggio a esporgli punto di vista Governo italiano essendo urgente che accordo commerciale comprenda contingenti apprezzabili merci fondamentali e volume interscambio non inferiore a quello anni passati. Così sopratutto abbiamo insistito su contingente caffè e su necessità di fare larga parte a merci italiane tradizionali.

Fernandes ha accennato attuale crisi caffè che rende persino difficile a Brasile fornire a Stati Uniti America normale quantitativo per ricavarne valuta indispensabile per acquisti essenziali. Gli abbiamo illustrato con dati statistici possibilità e interesse Brasile fare sforzo necessario conservarsi mercato italiano. Per ora abbiamo continuato insistere su contingente 20 mila tonnellate caffè. Fernandes ha riassunto dati espostigli in nota scritta che sottoporrà a presidente della Repubblica, ministro delle finanze e altre autorità competenti.

Abbiamo precisato desiderio Governo italiano includere quattro milioni di dollari per rimesse emigranti. Infine abbiamo fatto presente punto di vista Governo che accordo commerciale e di emigrazione procedano di pari passo, come parte di uno stesso piano generale nostre relazioni economiche. Fernandes ha obbiettato che quando anche accordo commerciale non dovesse concludersi sarebbe indispensabile concludere accordo emigrazione che è legato ad accordo beni. Gli abbiamo risposto che anche accordo commerciale è legato a accordo beni, come confermato protocollo amicizia 12 ottobre. Fernandes ha promesso suo appoggio riservando risposta.

506 1 Vedi D. 519. 507 1 Vedi D. 502.

508

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, CON L’AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, MALLET

APPUNTO. Roma, 5 gennaio 1950.

Ricevuto Mallet, cui ho detto che mi pareva vi fosse una maggiore volontà di comprensione nelle conversazioni che si svolgono a Londra, e me ne compiacevo.

Gli ho detto: per la Tripolitania che avevo detto si favorissero compagnie private, felici se, con apporto di capitali e di persone inglesi nel Board, si eliminasse ogni suspicione di statalismo e di vedute anti-inglesi; Somalia: lo ho rassicurato circa il ritardo truppe: tutto sarà fatto in tempo prima dei monsoni. Mi ha espresso dubbio che anche semplice ritardo invio primo scaglione intralci organizzazione laggiù; Eritrea: gli ho detto che era quello il punto chiave; ma che c’era la Commissione, e che dai due lati era inteso che ci inchineremmo. Si ricordasse che io ero stato con Bevin l’autore di un compromesso, di cui, fallito all’O.N.U., io fui purtroppo il solo a dire che lo spirito di esso rimaneva. Nostro dovere era di dire «indipendenza» ma ciò non ci impediva di ignorare quanto un’intesa coll’Inghilterra fosse auspicabile anche su questo punto.

Mallet mostrò apprezzare ma mi disse credere che Bevin — se poteva fermarsi a Roma di ritorno da Colombo — sarebbe stato piuttosto ansioso di conferire meco sul problema europeo. Gli risposi che avrebbe trovato nel presidente del Consiglio e in me degli interlocutori ugualmente interessati perché entrambi eravamo spaventati dall’idea dello scacco dell’idea europea. Gli ricordai il mio discorso improvvisato al banchetto offertomi da Attlee a Londra nel [l’ottobre 1947] in cui dissi che l’Inghilterra era fortunata di poter mantenere la zona Commonwealth e creare ansieme la zona Europa e che noi saremmo stati lieti — e credo anche la Francia — di riconoscervi una sua morale leadership. «La leadership di un paese a flotta — gli dissi — non è mai pericolosa; è per la libertá; non così quella di un popolo a grande esercito. Cessa di essere una leadership, diventa un’egemonia».

Mallet allora mi chiese se ritenevo proprio opportuno un incontro con Bevin al suo ritorno. Gli risposi: «Se non sta bene e se passa per poche ore sarebbe indiscreto pensarci. Ma se si ferma più di un giorno a Roma, l’opinione pubblica troverebbe forse strano che non incontri il suo collega italiano e il primo ministro. Ma occorre preparare la conversazione. Per fortuna — gli ripetei — le reciproche fiducie sembrano ristabilite, se giudico dagli ultimi telegrammi».

Mallet cancordò e mi disse che si metterebbe in contatto con Colombo e con Londra. Secondo lui il ritorno di Bevin a Roma sarebbe pel 1° febbraio; viaggerebbe in ferrovia da Napoli a Roma.

Mi disse infine che dopo Roma si fermerebbe forse a Parigi per una conversazione anche con Schuman. Gli risposi: «Se fa ciò, è chiaro che compie a true European pilgrimage: benissimo che cominci da Roma. Ci troverà sempre pronti a collaborare con lui».

509

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

L. 548/8. Roma, 5 gennaio 1950.

Mi riferisco a quanto ella ha comunicato circa orientamenti che si verrebbero gradualmente e lentamente delineando costì per una maggiore collaborazione con l’Occidente e per il raggiungimento di un accordo con l’Italia sulla questione del Territorio Libero di Trieste1, nonché per intese con la Grecia2. Credo che questi orientamenti meritino di essere seguiti e se del caso — sia pure senza precipitazione — incoraggiati.

Quanto alla questione del Territorio Libero di Trieste ella ha visto ciò che ha riferito Tarchiani e ciò che io gli risposi3. Ribadendo quanto contenuto nella mia lettera a Washington e sottolineando l’assurdità dell’accenno jugoslavo a Gorizia (del resto fatto probabilmente a solo scopo tattico) conviene da parte nostra, specie nelle conversazioni con gli Alleati, opporre alla allusione jugoslava che vi sono in Zona A comuni sloveni, l’osservazione che vi sono in Zona B comuni italiani ben più importanti come popolazione e come interessi economici: basti citare Capodistria, Pirano, Cittanova e altri ancora.

510

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 193/12. Washington, 6 gennaio 1950, ore 18,59 (perv. ore 8,30 del 7).

Mio 10501.

Consiglio nord-atlantico riunitosi oggi, presieduto da Acheson.

Sono stati approvati senza modifiche tutti documenti menzionati in ordine del giorno.

Circa eventuale ripartizione spese organizzazione è stato deciso invitare «Working Group» a studiare se ed in qual modo convenga modificare decisioni Consiglio 17 settembre, secondo cui non (dico non) vi sarebbe stato bilancio internazionale.

È stato confermato che prossima sessione Consiglio nord-atlantico avrà luogo prossimo aprile in Europa a livello ministri esteri sempre che ordine del giorno comporti discussioni importanti di carattere sostanziale.

2 Vedi D. 481, nota 3.

3 Vedi DD. 473 e 500.

Circa Segreteria Comitato difesa e Comitato militare ho riferito con rapporto odierno 168/932.

È stato emesso breve comunicato che, dopo aver elencato rappresentanti singoli paesi, suona come segue: «Consiglio ha esaminato e approvato raccomandazioni concordate da Consiglio difesa Parigi 1° dicembre per difesa amalgamata area nord-atlantica. Tali raccomandazioni materializzano principi auto-aiuto e reciproca assistenza e forniranno base per comune difesa delle parti».

509 1 Vedi D. 481.

510 1 Del 28 dicembre 1949, con esso Tarchiani aveva trasmesso l’ordine del giorno del Consiglionord-atlantico approvato dal «Working Group».

511

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’INCARICATO D’AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA

TELESPR. 12/… SEGR. POL.1. Roma, 6 gennaio 1950.

Riferimento: Suo rapporto n. 4596 del 17 dicembre u.s.2.

Il rapporto suindicato giunse qui qualche ora dopo che io avevo ricevuto Artajo e non potei quindi attirare l’attenzione del ministro sui problemi tecnici che ella mi ricordava.

Ricevetti il ministro spagnolo la sera stessa del suo arrivo perché, per urgenti ragioni di famiglia, avevo deciso di lasciare Roma l’indomani mattina 22 dicembre. Lo stesso feci col ministro irlandese degli esteri.

Ho tuttavia letto con interesse il suo rapporto. La mia conversazione fu cordiale malgrado toccassimo anche argomenti su cui le nostre vedute erano diverse. Le accludo copia di un dispaccio da me diretto all’Ambasciatore a Parigi3 dopo la mia conversazione con Artajo.

510 2 Non pubblicato.

511 1 Copia priva del numero di protocollo.2 Vedi D. 487. 3 Vedi D. 499.

512

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 167/92. Washington, 6 gennaio 1950 (perv. il 23).

Non mancherò, riprendendo coi dirigenti del Dipartimento di Stato le conversazioni sui rapporti italo-jugoslavi, di esprimermi nel senso indicatomi da V.E. nella sua 1477 del 29 dicembre u.s.1.

Frattanto, ho già fatto cenno agli uffici del Dipartimento di Stato dei concetti contenuti nelle istruzioni di V.E., opportunamente spiegando come da parte nostra non si pensi di recedere dal concetto fondamentale che ispira la dichiarazione del 20 marzo 19482, cioè dalla restituzione all’Italia di tutto il Territorio Libero, e come, pertanto, a qualsiasi negoziato che non tenga conto di questa nostra posizione, si preferisca da parte nostra lo status quo. Ho aggiunto che, con più larga visione politica, saremmo disposti ad offrire alla Jugoslavia qualche cosa che, risolvendo sostanzialmente nel senso da noi desiderato la controversia territoriale sul Territorio Libero, permettesse dall’altra parte ai rapporti tra i due paesi di evolvere favorevolmente in ogni campo, con reciproci benefici morali e materiali.

La nostra esposizione è stata ascoltata con interesse quantunque senza reazioni diverse da quelle precedenti.

In sostanza, ho l’impressione che il Dipartimento di Stato non si sia discostato dalla sua ben nota posizione, consistente nel mantenersi fermo sulla dichiarazione del 20 marzo 1948 e nel non incoraggiare (salvo che il Governo italiano mostri di desiderarlo) «aperture» jugoslave. Infatti il Dipartimento di Stato, pur non conoscendo il pensiero recondito del Governo di Belgrado, ritiene che questo, almeno nelle presenti circostanze, non abbia in mente soluzioni molto diverse dalle proposte Tito-Togliatti3 o dalla spartizione del Territorio Libero, eventualmente con qualche lieve rettifica di frontiera.

In merito alle eventuali concessioni di carattere non territoriale, che il Governo italiano sarebbe disposto a fare, il Dipartimento di Stato ha chiesto se, nel quadro di intese generali con la Jugoslavia, avremmo contemplato anche delle misure a favore delle minoranze slave, del tipo di quelle adottate per le minoranze altoatesine.

Premettendo che la nostra risposta veniva data a titolo del tutto personale, è stato detto che ove la Jugoslavia entrasse nell’ordine di idee di cui sopra, le misure cui accennava il Dipartimento di Stato avrebbero potuto formare oggetto di studio. Naturalmente, abbiamo aggiunto, nel considerare una possibilità del genere bisogna tener conto della speciale natura del Governo jugoslavo e del conseguente pericolo che taluni provvedimenti liberali (ad esempio relativi all’insegnamento) possano

2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

3 Ibid., vol. IV, D. 478.

essere sfruttati a scopi di propaganda politica. Su questo punto sarò grato a V.E. se vorrà fornirmi qualche indicazione per mia norma di linguaggio.

Mi riservo riferire, appena possibile, a V.E., sul seguito dei miei contatti al riguardo4.

512 1 Vedi D. 500.

513

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 235/2. Gerusalemme, 7 gennaio 1950, ore 19 (perv. ore 13 dell’8).

Console generale di Francia mi ha riservatamente confermato fondatezza talune notizie divulgate da agenzia stampa secondo le quali presidente del Consiglio tutela Garreau di fronte grave difficoltà dar forma pratica concreta risoluzione Assemblea Nazioni Unite presenterebbe nuovo progetto suscettibile salvare principio internazionalizzazione e riunire adesione Israele Transgiordania. Si tratta in sostanza di suddividere Gerusalemme in tre zone: una ebraica, una araba ed una internazionale. Zona internazionale verrebbe a costituire una striscia apposta a guisa di diaframma fra araba ed ebraica e comprendente S. Sepolcro, Custodia Terra Santa, patriarcati cristiani e talune istituzioni religiose. Interzona Gerusalemme considerata suoi limiti risoluzione novembre 1947 dovrebbe essere però demilitarizzata. Queste due parti nuovo progetto sono naturalmente inscindibili e interdipendenti. Poiché tale progetto preliminare lascia integra maggiore parte Gerusalemme ebraica e non esclude possibilità arabi stabilire capitale, ritengo Israele disposto in definitiva ad accettare mentre temo difficoltà da parte Transgiordania cui settore verrebbe notevolmente decurtato. Molto dipende da atteggiamento e benestare inglese cui re Abdallah è sottoposto.

512 4 In un foglio allegato al presente documento si legge: S.E. il ministro ha annotato in margineal rapporto da Washington n. 167/92 del 6 gennaio quanto segue: «Dica che stupiremo il mondo slavocon la nostra larghezza di vedute anche nel campo accennato (compreso scuole e lingue). E lo dica avoce, a titolo di confidenza personale, anche a Unger».

514

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO

T. 192/1. Roma, 9 gennaio 1950, ore 16,15.

Comunicasi, anche in riferimento suoi 635-6361, che soluzione nota questione civilian relief è stata nuovamente sollecitata da ambasciatore Desy. Abbiamo replicato esprimendo nostro vivo desiderio raggiungerla al più presto nel quadro generale amichevoli rapporti tra Italia e Canada, tenendo come base lettera Pearson a Cossato2 e richiesta adeguata sede per questa ambasciata canadese, avanzataci da tempo.

Inoltre gli è stato aggiunto che lo stato delle questioni concernenti nostri beni in Canada e proposte fatte da ultimo a V.E., non corrispondono agli attuali rapporti italo-canadesi in ogni altro campo ed alle richieste avanzate in genere da altri paesi. Sarebbe opportuno, per intonare anche questa materia a quello che è atteggiamento canadese verso l’Italia, che sblocco beni italiani avvenisse al più presto, con riserva di lasciare esame questioni tuttora pendenti in conseguenza trattato di pace ad una Commissione mista italo-canadese, con nostro impegno di regolare in equa misura giuste richieste che potranno esserci avanzate.

Per opportuna riservata conoscenza V.E., comunicasi quanto precede in attesa che ambasciatore Desy, che ha promesso inoltrare tali proposte, riferisca Ottawa. Riuscirà utile ogni altro elemento che V.E. potrà fornire come si riservava nel rapporto 636 del dicembre scorso relativo schema canadese accordo3.

515

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATISSIMO 289/3. Gerusalemme, 9 gennaio 1950 (perv. il 10)1.

Mio telegramma 22.

Apprendo che il Governo Israele ha dato istruzioni suo rappresentante presso Nazioni Unite di respingere nettamente nuovo piano Garreau, dichiarando non poter servire nemmeno come base negoziati.

2 Del 15 aprile 1947, non pubblicata ma vedi serie decima, vol. V, D. 344.

3 Per la risposta vedi D. 526.

2 Vedi D. 513.

Quest’atteggiamento intransigenza non è stato comunicato alla stampa la quale ha ricevuto istruzioni di attendere oppure di commentare in senso sfavorevole ma in tono moderato il suddetto. Non pare ancora ben chiaro a che cosa tenda tale manovra.

Principalmente Israele mostrasi contrario a demilitarizzazione, neutralizzazione e unione economica intera zona Gerusalemme; inoltre a tracciato linea di demarcazione.

A nostro imparziale giudizio obiezioni Israele non sono abbastanza giustificabili e fondate in quando progetto Garreau, malgrado votazione Assemblea, rappresenta enorme progresso verso accoglimento tesi ebraica e comporta grandi vantaggi a favore Israele. Per contro costituzione zona internazionale incide soprattutto su parte araba includendo, entro città vecchia, soltanto celebre moschea Omar.

Sembra apparire piuttosto evidente dare Israele opposizione preconcetta a qualsiasi zona internazionale costituente diaframma che limiti possibilità sommergere più tardi intera Gerusalemme e giungere fino a Giordano. Non conosco ancora reazioni parte arabi meglio percepibili ad Amman.

514 1 Si riferisce a due rapporti del dicembre 1949, relativi rispettivamente alla questione dellosblocco dei beni italiani in Canada e ad uno schema di accordo sugli assets italiani e sui claims canadesi.

515 1 Manca l’indicazione degli orari di partenza e di arrivo.

516

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 179/103. Londra, 9 gennaio 19501.

Come è noto il 6 gennaio il console generale britannico Graham a Pechino ha consegnato al ministro degli esteri comunista Chou En-lai una nota a firma del ministro Bevin, con cui si comunicava il riconoscimento de jure del Governo della Repubblica popolare cinese e la decisione del Governo britannico di iniziare «le relazioni diplomatiche sulla base dell’uguaglianza, mutuo beneficio e mutuo rispetto del territorio e delle sovranità», e di provvedere infine allo scambio di rappresentanti diplomatici con il Governo centrale popolare.

Con l’occasione il rappresentante britannico ha informato che Governo inglese aveva comunicato al Governo nazionalista il ritiro del proprio riconoscimento.

La decisione britannica, già deliberata in principio da qualche settimana — come ho avuto l’onore di segnalare — avviene alla vigilia dell’inizio della Conferenza di Colombo e dopo i più recenti oscillamenti americani. Essa sembra cioè voler tagliar corto con le discussioni al Congresso e costituisce un gesto di autonomia nella condotta politica verso l’Estremo Oriente.

Alcuni commentatori si sono chiesti quali siano i motivi di questo timing che potrebbe anche per certi aspetti apparire criticabile. Non è mancata in proposito qualche voce autorevole — anche su questa stampa — che si è domandata quali fossero i vantaggi che il Foreign Office si riprometteva da quest’azione, che sebbene già medi

tata e vagliata potrebbe indicare al comunismo una frattura nella condotta politica fra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.

È difficile dare una risposta soddisfacente a questi interrogativi in quanto molti e validi elementi possono chiamarsi in difesa di tesi opposte, ma credo che l’ipotesi più ragionevole sia quella che il Governo britannico ha voluto suonare un «campanello d’allarme» non tanto nei riguardi dello State Department, che ha spesso orecchi ricettivi ai suggerimenti politici londinesi (e che di massima era già d’accordo sul riconoscimento), quanto verso l’opinione pubblica americana che non sembra aver ancora ‹digerito» sufficientemente le conclusioni del Libro bianco sulla Cina2, che furono qui accolte come l’elogio funebre del Kuomintang. Ritengo che quest’ipotesi si possa ragionevolmente fondare anche sulla spontanea ed unanime reazione che si è qui registrata di fronte alle prime notizie da Washington su quello che appariva come un gravissimo commitment americano verso Chiang Kai-shek che pareva rinnovare gli errori della politica americana in Cina di questi ultimi anni: «United States has no firm coherent policy towards China» «U.S. storing up trouble in China» «We doubt whether such a stand can achieve much» «Communism is in power in China and will not be shaken either by the survival of a few discredited politicians in Formosa or even by the addition of an American aircraft carrier to the Pacific Fleet». Cito soltanto editoriali della stampa più seria (Manchester Guardian, Observer, Times). I successivi chiarimenti dello State Department, l’energico intervento di Acheson e le dichiarazioni di Truman del 5 corrente sono stati qui accolti con aperto sollievo, anche se nella sostanza reiteravano la decisione americana che il riconoscimento — pur legittimo da parte della Gran Bretagna — era considerato ancora prematuro dal Governo americano.

L’ambasciata a Washington avrà forse già avuto modo di indicare a V.E. gli elementi di giudizio di questi ultimi sviluppi dell’azione politica americana che non sono finora parsi totalmente chiari nella loro successione visti dall’osservatorio londinese.

Basterà pertanto che aggiunga che essi sono sembrati qui sopratutto dominati dal fattore «domestico» nella politica presidenziale e che sono stati interpretati da qualche osservatore semplicemente come una battuta d’arresto al drive repubblicano, più che il frutto di un profondo contrasto di direttive nel Governo di Washington.

Ciò che più mi pare dovere sottolineare in questa mesentente, fra gli alleati anglosassoni, è che da parte inglese ci si è preoccupati al massimo di far scomparire immediatamente qualsiasi traccia delle spontanee reazioni critiche all’atteggiamento americano, non solo per l’adombrato pericolo che la decisione di agire in modo indipendente nella questione del riconoscimento di Mao Tse possa avere qualche conseguenza sul share britannico negli aiuti Marshall, ma sopratutto per favorire il desiderato drafting della politica economica americana di difesa dell’Asia sud-orientale contro il comunismo, che agli occhi britannici dovrà costituire l’unico scudo possibile che per il momento impedisca il dilagare della macchia sovietizzante in Estremo Oriente.

Appare qui pressante la necessità di un’armonizzazione della politica angloamericana nel settore. È imperativo rafforzare al più presto Indocina, Birmania, Siam, Malesia, Indonesia, India, Pakistan per contenere il pericolo che anche questi

Stati cadano entro una nuova cortina che li renda dapprima inaccessibili all’Occidente e successivamente li inquadri in un colossale sistema economico-strategico-politico sotto l’egida di Mosca.

Circa il riconoscimento del Governo di Pechino, come è qui qualificato come saggia e inderogabile necessità, il sottosegretario parlamentare Mayhew, in un discorso pronunziato a Poole, ha dichiarato che esso non significa approvazione dei metodi comunisti ed ha concluso «mentre il riconoscimento potrà dare qualche beneficio ai nostri interessi commerciali in Cina, non ci facciamo illusioni che ci possa portare alcun grande od immediato vantaggio. Nulla d’altra parte poteva guadagnarsi nel boicottarlo all’infinito». Credo che queste parole corrispondano all’opinione del Governo britannico.

La decisione britannica segue quella birmana e dell’India ed è accompagnata dal Pakistan, da Ceylon e dalla Norvegia, mentre la Nuova Zelanda, l’Australia e il Canada non intenderebbero decidere il loro atteggiamento prima della fine della Conferenza di Colombo.

Ovviamente il primo problema pratico che si presenta nei rapporti anglo-americani è quello del seggio del delegato cinese nel Consiglio di sicurezza, problema di notevoli conseguenze politiche specie per la questione del veto. Ma anche altri problemi sono in discussione, come quello dei sessanta apparecchi da trasporto grounded a Hong Kong, già appartenenti all’aviazione civile al servizio del Governo nazionalista, acquistati successivamente dal generale americano Chennault, e reclamati immediatamente dal Governo comunista al cui servizio sono passati gli equipaggi cinesi.

Circa i rapporti fra Mao Tse e la Russia sovietica, questi corrispondenti diplomatici hanno rilevato che nelle recenti celebrazioni per il compleanno di Stalin a Mosca i resoconti ufficiali della Tass e della Pravda si sono sempre riferiti alla Cina distinguendola particolarmente dal blocco generale dei paesi satelliti, ed hanno osservato che nel suo recente discorso al teatro Bolshoi di Mosca Mao Tse ha parlato piuttosto come il capo di uno Stato uguale e non satellite.

Anche il prolungarsi della sua permanenza a Mosca starebbe ad indicare che «he and Stalin are finding a good deal to clarify in Sino-Russian relations».

Quanto a questo ambasciatore di Cina, il Foreign Office dopo la comunicazione del ritiro del riconoscimento al Governo nazionalista ha informato l’ambasciatore Cheng Tien-hsi che sarebbero stati mantenuti i privilegi diplomatici ai membri del-l’ambasciata per un periodo di tre mesi.

L’ambasciatore ha pubblicato una dichiarazione ufficiale del ministro degli esteri nazionalista Yeh, che deplora la decisione britannica e dispone il ritiro della missione da Londra.

A sua volta l’ambasciatore Cheng ha dichiarato ai giornalisti che la decisione britannica era contraria alla politica più volte confermata dal Governo britannico di non intervento in Cina, affermando che essa «equivale a seppellirci mentre siamo ancora ben in vita».

Non risulta finora che nessuno del personale dell’ambasciata si sia dichiarato a favore del Governo di Mao Tse-tung.

516 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

516 2 United States Relations with China (1844-1949), Washington, Department of State, 1949.

517

IL MINISTRO A BAGHDAD, ERRERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 35/17. Baghdad, 9 gennaio 1950 (perv. il 14).

Ho l’onore di informare che in data odierna ho avuto un lungo e cordiale colloquio con questo ministro degli affari esteri: el Pachachi. Aggiungo incidentalmente che, in tale occasione, mi è stato comunicato che fra breve sarà riaperta la legazione dell’Iraq a Roma.

Fin dalla rottura delle relazioni diplomatiche fra Italia e Iraq una decisione del Consiglio dei ministri d’Iraq stabiliva la responsabilità italiana per la rivoluzione di Rachid Ali e il diritto dell’Iraq di chiedere, a tempo debito, appropriata indennità.

Nella seduta tenuta dal Consiglio dei ministri il 7 gennaio corrente è stato deciso di modificare tale atteggiamento e di soprassedere ad ogni richiesta di indennità.

Il Consiglio dei ministri del 21 prossimo autorizzerà lo sblocco dei beni italiani in Iraq. Esso tuttavia diverrà effettivo solo dopo la firma di una dichiarazione comune di el Pachachi e mia fissante il giorno e l’ora che l’Iraq sbloccherà i beni italiani e l’Italia i beni iracheni.

Per quanto riguarda le modalità dello sblocco sono stato autorizzato a scegliere fra quelle seguite a suo tempo dalla Francia o quelle che seguirà fra tre giorni il Belgio nella stessa circostanza. Con la Francia la procedura è stata semplice: firma della dichiarazione comune per lo sblocco e incarico alle banche di liquidare.

Per il Belgio invece le trattative sono state lunghe ed esaurienti e, ripeto, soltanto fra tre giorni sarà qui firmata la dichiarazione comune per lo sblocco.

Questo rappresentante belga mi metterà in grado di informare dettagliatamente cotesto Ministero con il prossimo corriere e con l’occasione informerò anche della procedura seguita dalla Francia.

Cotesto Ministero sarà allora in possesso di tutti gli elementi per farmi sapere:

1) se sono autorizzato a firmare la dichiarazione comune per lo sblocco; 2) e, nel caso affermativo, quali delle due procedure adottate dovrò seguire.

518

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 200/125. Washington, 10 gennaio 1950 (perv. il 23).

Riferimento: Mio rapporto n. 167/92 del 6 corrente mese1.

Ho avuto occasione di intrattenermi con Cavendish Cannon a proposito delle relazioni italo-jugoslave e del problema di Trieste.

Cavendish Cannon mi ha fatto caldissime e, credo, sincere dichiarazioni di amicizia verso l’Italia e di ammirazione verso V.E. (fra l’altro, mi ha detto che sarebbe felicissimo se gli riuscisse di essere destinato a Roma, non solo nel caso di un eventuali richiamo di Dunn, ma anche in sott’ordine, come ministro-consigliere). Ha aggiunto di essere convinto che se, com’è lecito sperare, la Jugoslavia continuerà a collaborare con l’Occidente, questa collaborazione dovrà estrinsecarsi principalmente nell’intensificazione dei rapporti con l’Italia, con l’Austria e con la Germania occidentale.

Cavendish Cannon ha confermato che il Dipartimento di Stato è ben fermo sulla dichiarazione del 20 marzo 19482, cosicché l’Italia non deve nutrire alcun timore che lo status quo sia mutato a sua insaputa o a suo danno, neppure in questioni di dettaglio o semplicemente dal punto di vista psicologico.

Egli però, premettendo che parlava a titolo strettamente personale, ha aggiunto che la suddetta dichiarazione non può rimaner ferma all’infinito. Pertanto, a suo giudizio, mentre sarebbe impossibile trovare una soluzione rapida del problema di Trieste, conviene cercare qualche orientamento, che, più in là, permetta di trovare un compromesso.

Cavendish Cannon è convinto che i dirigenti jugoslavi, nei loro disegni segreti, non soltanto abbiano rinunciato alla città di Trieste e alla Zona A, ma si stiano rassegnando anche alla perdita della Zona B. Le ben note considerazioni di prestigio costituiscono la sola ragione che impedisce al Governo di Belgrado di accettare quest’ultima perdita oggi e, sopratutto, di accettarla in seguito a trattative non circondate dal più geloso segreto e quindi compromesse, ad ogni piè sospinto, da polemiche di stampa. Viceversa fra qualche tempo non sarebbe impossibile raggiungere un accordo sulla base della cessione all’Italia di tutto il Territorio Libero, purché le trattative fossero condotte in segreto ed a condizione che la conclusione di esse si prestasse ad essere convincentemente presentata all’opinione pubblica jugoslava. Tale condizione sarebbe adempiuta qualora la sistemazione territoriale includesse alcune lievi rettifiche di frontiera (tanto sul confine fra la Zona B e la Jugoslavia quanto su quello fra l’Italia e la Jugoslavia, senza, naturalmente modificare la posizione di Gorizia) e fosse accompagnata da vaste intese economiche.

2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

Ho risposto a Cavendish Cannon che, mentre, a differenza di lui, non avevo elementi per giudicare se i dirigenti jugoslavi sarebbero disposti, col tempo a rinunciare alla Zona B, sapevo bene che l’Italia è bensì disposta a fare le più generose concessioni in materia di collaborazione economica, ma a condizione che queste costituiscano la contropartita della sola soluzione accettabile del problema territoriale, cioè della restituzione di tutto il Territorio Libero.

So che Cavendish Camion continuerà a seguire il problema presso gli uffici del Dipartimento di Stato. Mi riprometto, quindi, di mantenere i contatti con lui.

518 1 Vedi D. 512.

519

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 335/9. Parigi, 11 gennaio 1950, ore 13,08 (perv. ore 20,30).

Suo 111.

Ne ho parlato con Schuman.

Gli ho spiegato che per noi è necessario avere in sede O.E.C.E. o Finebel2 qualche cosa in materia emigrazione non tanto per quello che speriamo di avere in concreto da paesi europei ma in vista azione che stiamo svolgendo principalmente Washington perché qualche cosa di reale venga fatto per aiutarci risolvere quello che è problema centrale tutte nostre difficoltà. Se paesi europei, ed in primo luogo Francia, non dimostrano almeno formalmente comprensione e volontà aiutarci sarà facile per americani trincerarsi dietro mancanza collaborazione europea.

Ho dovuto presentare questione in questa forma poiché, dato timore disoccupazione che come è noto oggi regna in Francia, non sarebbe stato possibile chiedere a Governo francese prendere in forma effettiva in esame problema.

Schuman ha mostrato comprendere nostra posizione e mi ha promesso suo [interessamento]: però ne dubito.

Su situazione mercato lavoro Francia ho riferito anche recentemente. Cifre disoccupazione sono, per noi, irrisorie ma regna psicologia pericolo suo considerevole aumento; è fra l’altro argomento di cui socialisti e comunisti hanno fatto largo uso nella discussione per bilancio per ottenere mantenimento programma investimenti osteggiato da moderati. Per cui raccomanderei, anche per azione su francesi che verrà fatta a Roma, insistere su carattere formale più che sostanziale nostre richieste. Se situazione francese migliorerà, come molti ritengono, potremo effettivamente profittare miglioramento: ma se adesso insistiamo su provvedimenti di sostanza otterremo solo irrigidire posizione francese e in caso miglioramento dovremo negoziare da capo.

519 1 Vedi D. 506. 2 È il nuovo acronimo, adottato per il negoziato tra Francia, Italia e Benelux, al posto di Fritalux considerato fonte di ilarità.

520

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 358/44-45. Londra, 11 gennaio 1950, ore 20,45 (perv. ore 8 del 12).

Miei telegrammi 30 e 311.

Ho visto, dopo il mio ritorno, Strang con il quale ho fatto un ampio e cordiale giro d’orizzonte sulle principali questioni attualmente all’ordine del giorno delle relazioni italo-britanniche, sul cui graduale e positivo miglioramento egli ha voluto darmi, con soddisfazione, atto fin dagli inizi della nostra conversazione.

Ovviamente il nostro colloquio ha in particolare approfondito i problemi africani più immediati e più seri e cioè quello del nostro imminente ritorno in Somalia e quello fondamentale del nostri rapporti con l’Etiopia tanto strettamente connesso sia con la futura sicurezza e tranquillità del nostro mandato somalo che con tutta la questione eritrea. Data la delicata complessità di tali questioni Strang ha voluto far partecipare a questa parte della conversazione anche il sottosegretario Wright. Entrando a parlare di questi argomenti — sui quali riferisco ora a V.E. — Strang ha voluto subito premettermi che il Foreign Office aveva sinceramente apprezzato il contenuto del-l’ultima conversazione che Mallet aveva avuto con V.E.2 e lo spirito che aveva animato le dichiarazioni fatte da V.E. al loro ambasciatore a Roma. Tale colloquio avrebbe potuto marcare — secondo Strang — nella futura storia delle nostre relazioni, uno dei momenti più importanti e più ricchi di conseguenze, poiché vi si era intravista fiduciosamente la possibilità di abbandonare, dopo le più recenti comuni esperienze e gli ultimi preoccupanti avvenimenti al livello confidenziale dei Governi, una polemica sterile, ed anzi reciprocamente molto dannosa nell’attuale momento internazionale, e vi si era visto invece l’opportunità, di comune accordo, di una realistica soluzione al problema eritreo.

Confortato anche dalla presenza del capo del Dipartimento competente egli pienamente concordava con me nel considerare che l’Eritrea fosse la chiave di volta di tutta la situazione dell’Africa orientale e in un certo senso di tutti i nostri rapporti e che una soluzione giusta, operante e sopratutto lungimirante, che armonizzasse gli indiscutibili interessi italiani con le indubbie esigenze etiopiche, poteva essere la premessa di conseguenze cha superavano di gran lunga la geografia del ristretto settore per spaziare in campi di notevolissimo interesse per l’economia e la politica italiana. Tuttavia, non volendo apparire in nessun modo teorico mentre si era agli inizi di un possibile scambio di vedute che doveva necessariamente essere molto pratico e concreto, egli, ricordando altre nostre precedenti conversazioni, mi poteva riassumere ed indicare colla massima approssimazione alcune conseguenze che sarebbero derivate,

a parere del Governo britannico, da una nostra possibile decisione di giungere ad un’intesa con l’Etiopia per l’Eritrea:

1) un pacifico ed ordinato trapasso di poteri in Somalia ed un tranquillo susseguente espletamento del nostro mandato di potenza amministrativa. Ciò — secondo Strang — superava di gran lunga il fatto locale, poiché poteva dare subito agli occhi del mondo tanto la prova delle nostre pacifiche intenzioni intonate alle più moderne tendenze, quanto sopratutto la conferma che il nostro «ritorno in Africa» era pienamente da tutti accetto. Era quest’ultimo un titolo, scontabile anche in altri settori africani, ad ogni fine per noi italiani della massima importanza. Le difficoltà per ora solo politiche e giuridiche, sollevate dagli abissini agli inizi del nostro mandato somalo derivavano unicamente dalla loro vivissima preoccupazione di vederci tornare alle loro frontiere somale mentre rimanevano precise e ferme, secondo loro, le nostre intenzioni ed i nostri tentativi di gravitare ben presto sulle loro frontiere eritree sia pure sotto mentite spoglie: dimentichi con ciò da parte nostra — secondo gli amari commenti abissini — di un recente doloroso passato e delle imprescindibili esigenze nazionali etiopiche. Nessun dubbio che, in mancanza di precisi affidamenti sulle nostre intenzioni di giungere ad una intesa per l’Eritrea, Addis Abeba avrebbe agito in tutti i modi leciti (e probabilmente non leciti) per risollevare appieno di fronte all’opinione mondiale gli aspetti più negativi del problema del ritorno in Africa dell’Italia. Di questo Londra aveva ben netti i sintomi più preoccupanti e pertanto non poteva non attirare, come aveva da tempo fatto, l’attenzione di Roma tanto sulle possibili conseguenze locali quanto sopratutto sulle ripercussioni internazionali che potevano derivare da una situazione che si andava progressivamente così delineando.

2) Il solo annunzio — secondo il sottosegretario permanente del Foreign Office — in questo vivamente appoggiato da Wright — di una concreta .decisione italiana di giungere a delle intese preventive con Addis Abeba per l’Eritrea, avrebbe avuto, con ogni probabilità, quale pronta conseguenza la progressiva cessazione di ostilità ed opposizione al nostro ritorno in Somalia ed avrebbe permesso — in base ai nostri affidamenti — il riallacciamento di rapporti diretti con l’Etiopia. A più lunga scadenza — e questo era il fondato parere del Governo britannico — un’intesa per l’Eritrea avrebbe permesso di giungere anche a degli accordi che aprissero, con ogni garanzia, l’Etiopia al lavoro ed all’iniziativa italiana. Questo era, secondo Strang, lo sviluppo più importante che si doveva attendere da una nostra realistica collaborazione con il Governo abissino.

3) Ultima e non meno importante conseguenza era quella che poteva beneficamente riflettersi sui rapporti italo-inglesi. Un positivo contributo italiano alla tranquillità dell’Africa orientale, in questa congiuntura internazionale, ed una nostra partecipazione attiva agli sviluppi economici di quel così importante settore africano, corrispondevano pienamente alla aspettativa di Londra e, poteva aggiungere, anche di Washington.

In relazione punti sopraindicati, egli teneva ad assicurarmi quale premessa fondamentale che il Governo britannico, nel perorare anche nell’interesse inglese la causa di un avvicinamento italo-etiopico e di positive intese per l’Eritrea, si rendeva pienamente conto delle nostre necessità politiche ed economiche nonché anche delle nostre esigenze morali a cui un accordo con l’Etiopia doveva corrispondere. Poteva a tal fine aggiungere che il Foreign Office avrebbe offerto in proposito al Governo italiano tutta la sua amichevole e comprensiva collaborazione.

Ho riassunto qui di sopra per V.E. gli aspetti più importanti e più urgenti del pensiero del Governo inglese. Sono, s’intende, di volta in volta intervenuto nel corso della sua esposizione per chiarire, quando opportuno, il nostro punto di vista e quelli che ritenevo fossero i nostri diritti e le nostre necessità.

Ho trovato Strang molto comprensivo su tutto ma indubbiamente preoccupato dell’urgenza del problema da affrontare, poiché eventuali ulteriori incidenti in Eritrea ed in Somalia ed una incontrollata azione etiopica in campo internazionale potevano pregiudicare seriamente la possibilità di definire una base d’intesa che poteva essere raggiunta solo dopo un esame sereno.

Tale stato d’animo del sottosegretario permanente al Foreign Office ha permesso, senza con questo accollarci l’onere di una affrettata nostra iniziativa, di confermargli — in base alle direttive di V.E. — che eravamo disposti ad iniziare qua a Londra (che Strang stesso mi aveva indicato per molti motivi come la sede più opportuna e più adatta) un approfondito esame del problema eritreo, di carattere tuttavia in nessun modo impegnativo per i Governi. Gli ho al tempo stesso ben chiaramente fatto intendere che in tale esame, ovviamente teso a dei risultati concreti e pratici, io non avrei mai, in qualunque caso, potuto prescindere dal tenere nel dovuto conto, nonostante ogni nostra comprensiva e lungimirante buona volontà, quelli che erano stati i sacrifici di sangue, di lavoro e di denaro compiuti da tre generazioni di italiani in quei territori africani; come non avrei potuto mai dimenticare ogni aspetto che potesse toccare la dignità italiana e le più fondamentali, ed a tutti ben note, esigenze del nostro popolo.

Strang ha dichiarato di rendersi personalmente conto di questa mia logica e franca affermazione e mi ha detto che, dopo il colloquio di V.E. con Mallet ed i miei odierni chiarimenti, vi erano — a suo avviso — tutti i presupposti necessari per poter subito iniziare al Foreign Office degli scambi precisi di vedute sul problema eritreo. Ovviamente non impegnativi ma che dovevano però essere al più presto sottoposti ad una decisione dei rispettivi Governi data l’urgenza di trovare nel reciproco interesse italo-inglese, ed anche europeo, una pronta soluzione.

Secondo il Governo britannico il compito da affrontare era duplice:

1) uno immediato, quello di rasserenare Addis Abeba, di eliminare ogni causa di incidenti tanto in Eritrea quanto in Somalia e di impedire infine che il Governo etiopico proseguisse, anche nel campo internazionale, un’azione di opposizione al ritorno italiano in Africa pieno di spiacevoli incognite;

2) il secondo, quello veramente sostanziale, di raggiungere una piena intesa con Addis Abeba circa il futuro dell’Eritrea che potesse essere appoggiata all’O.N.U, e potesse al tempo stesso permettere dei successivi o perfino contemporanei accordi italo-etiopici per una collaborazione del lavoro e del capitale italiano in Abissinia.

Per cercare di raggiungere questi obiettivi Strang ha suggerito che continuassero subito al livello di Wright e Clutton con d’Ajeta delle conversazioni tecniche — di carattere assolutamente franco e strettamente segreto — che lui stesso ed io controlleremmo e riassumeremmo di volta in volta, quando necessario. Gli sperabili progressivi risultati di queste converaazioni londinesi sarebbero stati sottoposti ai rispettivi Governi per le loro decisioni e per le ulteriori direttive nel corso stesso di queste amichevoli trattative. Si è dichiarato infine pienamente d’accordo che quanto sarebbe stato detto a Londra fosse da considerarsi, a tutti i fini, segreto e non impegnativo fino alle decisioni gevernative e che, anche nei riguardi di Addis Abeba, le eventuali comunicazioni confidenziali da parte inglese sugli scambi di vedute italo-britannici per l’Eritrea, sarebbero state fatte solo con il nostro benestare.

520 1 Del 6 gennaio, relativi ad una conversazione di d’Ajeta con Clutton sullo stato dei rapportiitalo-etiopici.2 Vedi D. 508.

521

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE AD ANKARA, R. PRUNAS

T. SEGRETO 277/3. Roma, 12 gennaio 1950, ore 20.

Suo rapporto n. 1006 del 26 dicembre 1.

D’accordo. Ella potrà dire a Sadak che concordo pienamente con lui sulle finalità, ma che ci danneggerebbe ambedue un fingere di fare; e una mia gita costà, che per me sarebbe un vero piacere personale, potrebbe apparire tale.

Cerchiamo prima di fare. Poi suggelli esterni2.

522

COLLOQUIO DEL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, CON IL MINISTRO DI GRECIA A ROMA, CAPSALIS

APPUNTO. Roma, 13 gennaio 1950.

Il ministro Capsalis mi ha detto stamani che il suo Governo era venuto a sapere di un passo che sarebbe stato fatto dal Governo italiano nelle capitali anglosassoni.

Secondo tale notizia il Governo italiano avrebbe espresso il suo timore che Jugoslavia e Grecia potessero mettersi d’accordo per una spartizione dell’Albania; e avrebbe perciò raccomandato ai Governi alleati di far intendere ad Atene (e presumibilmente anche a Belgrado) un chiaro ammonimento. Il Governo greco, ha proseguito Capsalis, era rimasto sorpreso da una simile iniziativa che contrastava singolarmente, non soltanto coi fiduciosi e amichevoli rapporti tra i due paesi, ma anche con gli scambi d’idee che egli stesso, Capsalis, e il ministro Pipinelis avevano avuto anche di recente con personalità italiane.

Ho risposto a Capsalis che, in questi termini, la notizia era completamente falsa. Quello che noi avevamo detto a Londra e Washington riproduceva esattamente quanto il segretario generale e io stesso avevamo detto a lui, Capsalis. E cioè: che noi ci rendevamo conto e della fragilità del regime di Enver Hoxha e di quanto fosse desiderabile, in linea teorica, di sostituire ad un regime così impopolare un altro di marca nazional-comunista che potesse allargare il fronte anti-cominform. Che però avevamo ogni ragione di temere che, nel perseguire un obiettivo così desiderabile, si rischiava di mandare per aria tutta la fragile struttura statale albanese, provocando una crisi della quale sarebbe stato difficile calcolare la portata e le conseguenze. Naturalmente, qualora questa crisi insorgesse e Tito cercasse di profittarne, nulla di più naturale che il Governo greco anch’esso cercasse di tutelare i propri interessi. Eravamo però ben lontani dall’attribuire alla Grecia il proposito di mettersi d’accordo con Belgrado per distruggere, di freddo proposito, l’integrità e l’indipendenza dell’Albania.

Il ministro di Grecia mi ha ringraziato delle spiegazioni, e mi ha detto che vi prestava tanto più credito in quanto una simile posizione appariva come lo sviluppo logico delle indicazioni che gli erano state fornite altre volte, dal segretario generale e da me stesso. Ha aggiunto che a suo parere il problema dell’Albania doveva costituire una ragione di più, e non di meno, di accordo tra i nostri due paesi. Perché anche la Grecia apprezzava la necessità di mantenere una Albania indipendente; e quanto all’integrità, era bensì vero che il Governo greco considerava aperta la questione delle frontiere con l’Epiro settentrionale. Ma la questione stessa era stata dal suo Governo più volte e nella maniera più esplicita rimessa al giudizio e alle decisioni delle tre grandi potenze occidentali; il che doveva essere per noi garanzia sufficiente che la Grecia mai avrebbe preso iniziative che potessero mettere la pace a repentaglio.

521 1 Vedi D. 496, sul quale Sforza aveva di suo pugno annotato il testo del presente telegramma. 2 Per la risposta vedi D. 534.

523

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI1

APPUNTO RISERVATO URGENTE 16/00656. Roma, 13 gennaio 1950.

Il consigliere dell’ambasciata di Gran Bretagna ed il consigliere dell’ambasciata di Francia hanno consegnato a questa Direzione generale rispettivamente il promemoria n. 1061/1/502 e la nota verbale3 in data 9 gennaio c.a. con i quali viene reso noto il punto di vista dei cinque Governi del Patto di Bruxelles nonché del Governo degli U.S.A. in merito all’atteggiamento da assumere nei confronti della Repubblica democratica tedesca da parte degli Stati membri dell’O.E.C.E. ed in genere di tutti gli Stati che abbiano missioni o consolati in Germania.

2 Vedi Allegato.

3 Non si pubblica perché di contenuto identico al promemoria britannico.

Tale atteggiamento concerne in particolare: le relazioni commerciali, la protezione dei beni dei cittadini di detti Stati, la partecipazione del Governo della Germania dell’Est alle organizzazioni internazionali.

Viene espressa, a tale proposito, da parte britannica e francese, la speranza che il Governo italiano voglia da parte sua assumere un atteggiamento analogo a quello concordato fra gli Stati suddetti e che esso sia disposto altresì a scambiare con gli altri Governi interessati ogni utile informazione circa le difficoltà che esso potrà incontrare nei suoi rapporti con la Germania dell’Est procedendo, se necessario, a reciproche consultazioni per definire un atteggiamento comune.

La Direzione generale scrivente ritiene si debba rispondere in senso pienamente affermativo alle richieste di cui trattasi facendo conoscere che il Governo italiano è pronto ad assumere nei confronti della Repubblica democratica tedesca un atteggiamento analogo a quello delle cinque potenze del Patto di Bruxelles e degli Stati Uniti d’America.

Essa rimane tuttavia in attesa di conoscere con cortese urgenza, il benestare o le eventuali osservazioni che le Direzioni in indirizzo crederanno di formulare ciascuna per la parte di propria competenza4.

ALLEGATO

L’AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA CONFIDENZIALE 1061/1/50. Roma, 9 gennaio 1950.

The Permanent Commission of the Brussels Treaty Powers, sitting in consultation with a United States representative, has drawn up a Memorandum on the attitude to be adopted towards the German administration in the Soviet Zone of Germany.

His Majesty’s Government in the United Kingdom wish the Italian Government to know that, in accordance with the understanding embodied in this Memorandum, it is their policy, in conjunction with the Governments of the United States, France, the Netherlands, Belgium and Luxembourg to avoid in present circumstances de jure or de facto recognition of the «German Democratic Republic». They propose to conduct relations with the Soviet Zone of Germany on the following basis.

1) Commercial relations.

Trade should be conducted solely through the intermediary of private organisations, such as Chambers of Commerce. The fact that such private organisations on the western side may deal with «official» organisations on the other is of no significance with regard to recognition.

Insofar as it may be necessary to discuss questions relating to trade agreements with Eastern Germany, it is desirable to maintain the state of affairs existing before the creation of the «German Democratic Republic», that is to say, to deal with such questions through the intermediary of the Soviet authorities.

Should it prove impossible in some particular and exceptional case to avoid some form of contact with the East German administration, then such dealings as take place should be carried out on as low and «technical» a level as possible. It should be made clear that such East German administration is considered as acting under the governmental responsibility of the Soviet occupation authorities.

2) Protection of property and nationals.

It is considered that this protection is incumbent upon the Soviet Government, which is responsible for the acts of the «German Democratic Republic».

3) Participation of the East German Government in international organisations.

Such participation is considered undesirable.

With regard to the policy on commercial relations outlined above, it is relevant that when the Norwegian Government recently approached the Soviet authorities with a view to renewing their trade agreement with Eastern Germany they were referred to the Soviet Zone «Government». The Norwegian Government stated that they could have no dealing with such a «Government» but were prepared to arrange for an agreement to be negotiated between a corporate body of private Norwegian exporters and the German Foreign Trade Organisation which is subordinate to the Ministry for Foreign Trade. Negotiations are due to begin shortly on this basis. This arrangement is in line with the understanding mentioned above.

His Majesty’s Government express the hope that the Italian Government will adopt an attitude towards these problems similar to that of the Brussels Treaty Powers and the United States and that they will be prepared to exchange with his Majesty’s Government and other interested Governments information on the difficulties they meet with in their relations with Eastern Germany, and if necessary, to consult with them with a view to maintaining a common attitude.

His Majesty’s Government trust that the Italian Government will regard this matter as confidential and that all publicity will be avoided.

523 1 Diretto anche alle Direzioni generali degli affari economici e dell’emigrazione, al Servizioaffari generali ed al Servizio economico trattati.

523 4 L’adesione italiana a tali raccomandazioni venne comunicata alle due rappresentanze il 31gennaio. Il promemoria 16/02051/17 diretto all’ambasciata di Gran Bretagna sarà pubblicato nel volumesuccessivo.

524

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 484/60-61-62-63. Londra, 14 gennaio 1949, ore 15,48 (perv. ore 21,30).

Mio telegramma 451.

Dopo il mio colloquio con Strang, Clutton ha subito invitato d’Ajeta ad iniziare con lui un più approfondito e sistematico scambio di idee sul problema dei rapporti italo-etiopici. Nel riprendere al Foreign Office tale argomento, l’uno e l’altro hanno concordemente ricordato e premesso che questo confidenziale scambio di idee — necessariamente franco perché tendente a raggiungere delle proposte urgenti e pratiche — non (dico non) era in alcun modo impegnativo.

Nel corso tali premesse Clutton ha tenuto a dichiarare principali finalità cui si ispirava politica inglese. Esse erano attualmente quella di contribuire al più presto ad un assestamento dell’Africa orientale, quella di favorire al tempo stesso necessarissima pacifica ed intensa collaborazione italo-etiopica nell’interesse europeo ed africano e comunque quella di impedire «in ogni modo» che il prolungarsi di un dissidio italo-abissino potesse far piombare quel così importante settore africano in uno stato endemico di ribellione e di disintegrazione politica ed economica, foriere delle più dolorose conseguenze locali e delle più serie ripercussioni internazionali: tra l’altro, quella di «avvelenare» i rapporti italo-britannici. Con ogni franchezza poteva inoltre aggiungere che nessun mandato somalo, nessuna sistemazione eritrea potevano essere considerate per l’Italia delle pratiche soluzioni: cioè corrispondenti ai tempi, alle sue esigenze morali e storiche ed ai suoi più concreti interessi economici e politici, qualora non fossero basate su di una solida e duratura intesa con l’Etiopia.

Foreign Office aveva dato pertanto grandissimo valore alle recenti dichiarazioni di

V.E. a Mallet2 — specie quelle secondo cui avremmo lealmente accettato il giudizio della Commissione dell’O.N.U. per l’Eritrea — ma soprattutto era stato lieto di constatare che anche V.E. pareva incline ad ammettere che non bisognasse attendere tale decisione per trovare un’intesa operante tra noi, Inghilterra ed Etiopia; accordo del resto che, presto o tardi, si sarebbe di necessità imposto per impedire inevitabili ed insostenibili conflitti qualunque delle tesi vincesse. Governo inglese riteneva quindi che lo studio di una tale intesa si imponesse subito — agli inizi stessi del ritorno in Africa — e che fatto oggi avrebbe avuto: da un lato maggiore possibilità per noi di essere favorevolmente negoziato, dall’altro immediata ripercussione sull’Etiopia dove le prevenzioni ed il timore di questo nostro ritorno, virtuale o potenziale, ai suoi confini erano reali e spontanei.

D’Ajeta, con gli argomenti e le riserve del caso, ha concordato sulla opportunità

— a questo livello — di un realistico ed urgente esame come era richiesto da parte britannica.

2 Vedi D. 508.

Pur riconoscendo che indubbiamente il vero punto controverso era quello eritreo ha espresso l’opinione che, data la situazione, qualora si volesse con maggior probabilità raggiungere un qualche pronto risultato sembrava preferibile: da un lato preventivare al più presto un «programma minimo», più facilmente realizzabile in breve tempo; dal-l’altro prepararne con più calma uno immediatamente successivo, a più lunga scadenza ed a più vasto raggio, al fine di allargare le possibilità di un negoziato e con ciò aumentarne il necessario do ut des per un compromesso finale. In poche parole, d’Ajeta ha detto a Clutton, gli sembrava fosse troppo impegnativo parlare subito della sistemazione finale Eritrea ed invece troppo limitato e parziale circoscrivere solo ad una data soluzione dell’Eritrea stessa tutto il complesso dei futuri rapporti italo-etiopici. Ha quindi suggerito si dividesse il da fare in un programma «a breve termine» ed in uno «a più lungo termine» anche se intimamente collegati l’uno con l’altro.

Col primo: lo scopo da raggiungere era quello di preparare su qualche base positiva e non vagamente teorica, prima di tutto, un possibile incontro Bevin-Sforza-De Gasperi ai primi di febbraio a Roma e poi di rasserenare, necessariamente entro febbraio, l’atmosfera delle relazioni italo-etiopiche, con un minimo di affidamenti italiani contro sufficienti garanzie abissine, al fine di permettere un tranquillo trapasso di poteri in Somalia ed impedire al massimo ulteriori sanguinosi incidenti in Eritrea. Tale programma minimo avrebbe dovuto ovviamente stabilire anche presupposti e atmosfera necessaria per il negoziato finale.

Col secondo: si doveva non solo ricercare definitiva soluzione di compromesso per Eritrea ma anche allargare la ricerca ad una soddisfacente sistemazione di tutti i rapporti futuri — particolarmente economici — tra l’Italia e l’Etiopia. Infatti, dato che con molta probabilità sarebbe insistentemente richiesto all’Italia di recedere dalla tesi indipendentista, appariva assolutamente necessario che, quasi contemporaneamente ad una così sostanziale modifica del nostro atteggiamento per l’Eritrea, potessero essere iniziati o meglio conclusi degli ampi accordi economici i quali riaprissero all’iniziativa ed al lavoro italiano tutta l’Etiopia. Questo appariva essere il corrispettivo indispensabile a nostri eventuali spontanei sacrifici per l’Eritrea. «Attivo» per noi reso del resto assolutamente necessario dalle esigenze della nostra opinione pubblica e che non ci risultava fosse di massima poco accetto ad Addis Abeba ed anzi molto favorito dal Governo degli Stati Uniti d’America.

Per realizzare tale programma così detto «a più lunga scadenza» si aveva tempo fino alla prossima Assemblea O.N.U. che avrebbe dovuto decidere definitivamente sull’Eritrea.

Fatta qualche difficoltà sul rinvio di un nostro impegno definitivo per Eritrea ad un programma «a più lunga scadenza» e sulla richiesta di una quasi contemporaneità di accordi economici con una nostra formale decisione per Eritrea stessa, Clutton ha finito per accettare quest’ordine di lavori, dichiarandolo logico e soprattutto pratico poiché ammetteva, in certi limiti, una utile gradualità. Ha tuttavia sottolineato allora la massima urgenza di un’intesa sul primo programma. Ha in proposito rimarcato che a Ginevra si era potuto vedere quanto efficace fosse stata l’azione inglese ad Addis Abeba, la quale si era potuta soprattutto svolgere nella fiduciosa speranza di qualche pronto risultato di queste conversazioni londinesi.

D’Ajeta ha allora ritenuto dichiarare che gli sembrava indispensabile, prima di inoltrarsi nell’esame del programma «a breve termine», di concordare le modalità con le quali si dovevano concretizzare queste eventuali prime e più urgenti intese. A tal fine riteneva, nell’interesse nostro, inglese ed anche etiopico, che non si potesse in alcun modo pretendere in poche settimane di dare qualsiasi pubblicità ad eventuali intese anche parziali che potevano, sia per gli uni che per gli altri, apparire — stralciate dal più vasto quadro dei possibili ultimi accordi — delle vere rinunce o delle modifiche troppo sensazionali di tesi fino ad ora sempre sostenuta. Ciò poteva inoltre metterci, in un modo od in un altro, in difficoltà di fronte all’O.N.U. Clutton ha allora risposto essere questa una delle più vive preoccupazioni inglesi in quanto Londra non desiderava, per ovvi motivi e nell’interesse di tutti, che vi potessero essere a qualsiasi momento anche apparentemente, dei vinti o dei vincitori e comunque delle indiscrezioni. Il Foreign Office era tuttavia d’intesa che non vi era affatto necessità che vi fossero nei prossimi mesi delle prese di posizione pubbliche, salvo una discreta azione atta a preparare progressivamente le opinioni pubbliche ad una comprensione per una soluzione di vasto compromesso.

Poiché non riteneva che Addis Abeba avrebbe ripreso rapporti diplomatici con Roma se non ad esecuzione avvenuta del programma «a più lunga scadenza», era autorizzato ad informarci che il Governo inglese era disposto a divenire il confidenziale depositario delle prime intese raggiunte, qualora avessero tutti i crismi ufficiali, fino al momento di una nostra ripresa di relazioni dirette con il Governo etiopico.

Con notevole franchezza e sicurezza (che mi limiterò a definire significativa) ha aggiunto che la Commissione dell’O.N.U. con i suoi comunicati, con le sue raccomandazioni e decisioni sul luogo ed a Lake Success poteva essere, fin dai prossimi primi tempi, la «valvola di sicurezza» a garanzia di eccessive pressioni o reazioni da parte delle rispettive opinioni pubbliche. Una volta opportunamente intonata ad una per lei ovviamente auspicabile soluzione di compromesso, la Commissione stessa non poteva, saggiamente fiancheggiata, che manovrare nel senso di accollarsi l’onere di proposte che fossero difficili da presentare direttamente dall’una parte o dall’altra. Riteneva quindi, in poche parole, che qualunque intesa «triangolare» dovesse rimanere, se raggiunta, strettamente confidenziale. Essa — ha detto Clutton — non poteva mancare dal divenire poi in breve tempo, se opportunamente sostenuta, il «giudizio dell’O.N.U.».

Conosciuto il parere britannico su questi punti pregiudiziali, d’Ajeta, dichiarando a Clutton che non considerava si potesse ancora parlare del «programma a più lunga scadenza», nonostante qualche accenno che — secondo Strang — a Roma sarebbe stato fatto a Mallet su nuove possibili soluzioni per Eritrea, ha chiesto di sapere cosa si riteneva a Londra dovesse essere il nostro contributo per realizzare il «programma a breve termine».

Dopo vari «assaggi», Clutton ha risposto che un minimo sarebbe:

1) graduale ma molto urgente abbandono italiano in Eritrea dell’appoggio finora dato alla tesi indipendentista e quindi degli aiuti morali e materiali forniti ai movimenti locali connessivi (secondo le autorità britanniche tali movimenti non avrebbero delle basi locali molto solide e sarebbero facilmente indirizzabili verso altre soluzioni volute dall’Italia);

2) intonare opportunamente fin da ora le comunicazioni «ufficiali» italiane alla Commissione d’inchiesta dell’O.N.U. sulla necessità, per una realizzabile, prospera tranquillità generale, di un possibile abbandono della tesi indipendentistica in vista di una soluzione di realistico compromesso. Ovviamente con tutte le necessarie garanzie del caso per gli interessi presenti e futuri italiani;

3) iniziare anche in tal senso una riservata e persuasiva azione diplomatica con i paesi latino-americani i quali potrebbero essere più ampiamente informati sui benefici sviluppi futuri che l’Italia si attende da una tale realistica collaborazione con Etiopia. Secondo il Foreign Office, una amichevole comprensione non potrebbe mancare dai Governi sud-americani soprattutto se anche la Commissione dell’O.N.U., opportunamente orientata, si fosse già in tal senso indirizzata.

Di contro — secondo Clutton — Etiopia dovrebbe:

1) dare ampie garanzie di non ostacolare in nessun modo la pacifica amministrazione italiana in Somalia (Governo britannico ritiene fermamente che tranquillità nostro primo ritorno in Africa abbia, a tutti i fini soprattutto futuri, un’importanza eccezionale e che non sia in alcun modo possibile senza intesa con Etiopia);

2) cessare ogni diretta od indiretta azione di appoggio ai movimenti eritrei anti-italiani, anzi favorire una collaborazione fattiva con gli elementi locali italiani e pro-italiani;

3) a prescindere da soluzione che sarà concordata «in programma a più lungo termine» offrire ogni garanzia per la tutela dei cittadini e degli interessi italiani in Eritrea;

4) accettare che le decisioni della Commissione inchiesta O.N.U. — su iniziativa se del caso britannica — includano nelle loro raccomandazioni precisi accenni alla necessità di una più vasta collaborazione economica italo-etiopica che superi ampiamente i limiti eritrei (prima base per i futuri negoziati diretti).

Quanto sopra è il riassunto al massimo possibile dettagliato di due conversazioni avute con Clutton. Queste dovrebbero essere riprese martedì mattina alle ore 12 colla presenza anche di Wright e sempre, s’intende, senza il minimo impegno ufficiale.

Ho dovuto telegrafarne a V.E. il contenuto poiché Foreign Office ha insistito su urgenza che V.E. — dopo suo colloquio con Mallet — sia informato di questo franco scambio di vedute che chiarisce sopratutto pensiero britannico in un momento favorevole di sintomatica leggera schiarita delle relazioni italo-etiopiche3.

524 1 Vedi D. 520.

525

IL MINISTRO A TEL AVIV, ANZILOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. PERSONALE 496/S.N. Tel Aviv, 14 gennaio 1950, ore 16 (perv. ore 23).

Come ricorderai, durante nostra ultima conversazione a Roma fosti d’accordo su opportunità riconoscere de jure Governo di Israele dopo questione coloniale O.N.U. e mi autorizzasti accennarlo Ginossar. Secondo me è venuto momento di procedere.

Ormai riconoscimento de jure, già accordato da tutte principali potenze ad eccezione Gran Bretagna e da quasi tutte quelle minori (fra giorni anche da Benelux), non può più aver valore scambio trattative in corso. Viceversa persistere nel riconoscimento de facto ha valore separante senza corrispondenti vantaggi. Credo che sarebbe bene non essere gli ultimi nemmeno penultimi se ultimi saranno gli inglesi1.

524 3 Per la risposta vedi D. 531.

526

L’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 504-486/2-3-4. Ottawa, 14 gennaio 1950, ore 18,40 (perv. ore 9,30 del 15).

Telegramma di V.E. n. 11.

Questo sottosegretario esteri mi ha convocato ieri d’urgenza per nota questione.

Ho partecipato ad una riunione otto funzionari del Dipartimento cui è intervenuto anche influente deputato Sinclair, in partenza per varie capitali europee tra cui Roma, col compito sollecitare vari accordi civilian relief (e di cui miei telegrami 5 e 6)2.

Sottosegretario ha informato avere testé ricevuto dispaccio Desy «del tutto insoddisfacente e preoccupante». Ha quindi letto promemoria circa istruzioni che verrebbero telegrafate codesto ambasciatore canadese e del quale mi consegnava copia a titolo amichevole fairness nei miei riguardi.

Poiché Desy ne dovrebbe parlare costì mi astengo telegrafare dettagli non essenziali.

In sostanza si tratta tentativo escludere con rigida intransigenza di marca britannica (tuttora questo Dipartimento estero è prevalentemente roccaforte albionica) ogni connessione tra due questioni sforzandosi mantenere quella nostri assets entro costrizione trattato di pace. Atteggiamento risente in particolare modo rozzezza mercantesca questi improvvisati diplomatici nonché sconoscenza nostro temperamento delle quali quindi non si può fare loro colpa.

Ritengo che del resto Desy ben altrimenti navigato saprà usare costì altro linguaggio nostri riguardi.

Durante vivace esposizione loro querimonie e pretese da parte canadese è stato accennato chiedere 3 milioni di dollari considerato trattamento «particolarmente generoso e comprensivo». Tale affermazione non sarebbe infondata secondo noti standars locali, stante elevato credito vantato nostri confronti e convincimento canadese ottenere da altri paesi europei ex alleati somme assai più rilevanti per loro minori somministrazioni a stesso titolo (mio telegramma n. 5). D’altra parte mi

2 Del 14 e 16 gennaio, non pubblicati.

risulta che Olanda ha già transatto circa al 4% analogo credito canadese di quasi 14 milioni di dollari.

Sottosegretario ha insistito particolarmente oltre che su nota sede ambasciata (ex Villa Grandi) su richiesta ottenere importante somma in lire italiane per mettere in luce attività culturale canadese in Italia per congruo periodo di tempo (miei telegrammi 112 e 116 del 1949)3.

Ho replicato pacatamente leggendo testo parafrasato telegramma di V.E. 1, che imposta questioni nel modo più adatto.

In previsione pressione Desy riassumo ad ogni buon fine obiezioni da me elevate:

1) senza entrare argomentazione canadese esecuzione trattato di pace per gli assets, mi sono mantenuto sul terreno amicizia italo-canadese e nostra volontà svilupparla, che usavamo anche in questione relief;

2) infondatezza rilievi canadesi circa supposta nostra «recente» richiesta abbinamento due negoziati. Da 1946 richiedevamo sblocco assets. Posteriori richieste canadesi non erano state precisate in attuale ampiezza prima di ora. Dal 1948 Governo italiano aveva già definita sua posizione per regolamento generale questione finanziaria pendente. D’altra parte telegramma di V.E. esprimeva desiderio che sia prima che seconda questione potessero essere sancite «quanto prima»;

3) canadesi affermavano anche in promemoria «essere irragionevole proporre negoziati con l’Italia su basi più favorevoli che con altri paesi». Per contro noi chiedevamo non trattamento più favorevole ma solo analogo a quello fatto da Canada alla Francia Belgio Olanda paesi scandinavi ecc. cui assets già sbloccati da anni. Tutti quei paesi avevano goduto anche di altre estese facilitazioni (prestiti ecc.) da cui eravamo stati esclusi;

4) poiché inoltre si affermava in promemoria che «canadesi non avrebbero insistito per intero pagamento credito relief» ho letta seduta stante nota lettera Pearson del 15 aprile 19474 circa «pagamento nominale»;

5) da parte dei canadesi essendosi riaccennato che ammontare claims canadesi non sarebbe minore quello nostri assets ho mostrato ultimi conti custodian (rapporto 637)5. Alla fine della lunga riunione in atmosfera tranquillizzata sottosegretario ha fatto alcuni vaghi accenni a possibilità ridiscutere questioni assets «quanto prima».

Ad ogni buon fine ribadirò punto summenzionato in una soave lettera al sottosegretario.

Trasmetto via New York ogni altro elemento circa due questioni. Onorevole Sinclair sarà costì primi febbraio.

525 1 Per la risposta di Sforza vedi D. 546.

526 1 Vedi D. 514.

526 3 Del 28 novembre e 23 dicembre 1949, non pubblicati.4 Vedi D. 514, nota 2. 5 Del dicembre 1949, non pubblicato ma vedi D. 514.

527

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI,

AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI

APPUNTO RISERVATO 42/00584/63. Roma, 14 gennaio 1950.

Rispondo all’appunto n. 545 dell’11 corr.1 relativo al rapporto da Madrid n. 45962.

L’incaricato d’affari espone in quel rapporto delle considerazioni estremamente sensate ed interessanti e per mia parte condivido quasi totalmente quanto è in esso contenuto. Dico quasi, perché, per la conoscenza che ho degli spagnoli in genere ed in ispecie delle relazioni ultimamente svoltesi con tale paese, dubito forte che ad una collaborazione italo-spagnola si possa giungere prima di aver normalizzato le relazioni diplomatiche. Ciò avrà potuto succedere nel caso della Francia, ma non mi sembra questa una prova sufficiente per affermare che ciò debba succedere anche con noi, per motivi connessi con la speciale situazione che la Francia ha sempre avuto a Madrid e con i particolari risentimenti che il richiamo del nostro ambasciatore ebbe a suo tempo a provocare3. Comunque, non è detto che le proposte dell’incaricato d’affari non debbano essere egualmente studiate.

Ho del resto provveduto a cambiare l’addetto commerciale a Madrid, inviandovi uno dei più attivi e più zelanti agenti; e la Direzione ha provveduto altresì e continuerà ad appoggiare al massimo possibile tutte le iniziative che si svolgono al lato dell’applicazione di un accordo commerciale ordinario. Sono state infatti incoraggiate le relazioni dirette stabilite dalla Fiat, come vengono anche incoraggiate altre forme di investimenti in aziende italiane già stabilite in Spagna, anche allo scopo di formare sufficienti disponibilità di lire per permettere ai pellegrini di approfittare dell’Anno Santo.

Ma — se continuano su tali linee ed in tali limiti — queste iniziative italiane non porteranno seco grossi frutti. Ben altro si potrebbe fare con la Spagna se questo paese fosse legato in altro modo con noi e sopratutto se la sua assenza dalla comunità occidentale, intesa nel senso formale, non perdurasse. Sono note le mie idee al riguardo; le ho espresse ripetutamente all’epoca degli studi preparatori per l’Unione doganale italo-francese, in occasione del Gruppo studi per l’unione doganale europea, e quando si affacciò per la prima volta il progetto di intesa regionale con il Benelux. La Direzione generale degli affari politici ha sempre ricevuto copia dei miei appunti a S.E. il ministro e dei miei telespressi allorché ero in delegazione all’estero. Il leit motiv ne era il seguente: essere pericolosa una intesa regionale che spostasse al Mare del Nord il centro di gravità della economia europea, sia perché lo allontanava dal Mediterraneo, sia perché esso andava a posarsi in una zona ricchissima di materie prime, di porti, di linee fluviali e ferroviarie. Per contro una intesa regionale italo-francese che conglobasse la Spagna avrebbe riportato il centro d’attrazione generale sul Mediterraneo ed avrebbe dato luogo a quelle intese di carattere produttivistico o

2 Vedi D. 487.

3 Vedi serie decima, vol. IV, D. 624.

commerciale che senza essere dei veri cartelli, o per lo meno, senza averne una apparenza troppo evidente, avrebbero permesso di disciplinare e specializzare le produzioni e ripartirsi i mercati esteriori.

Perché, altra idea sulla quale non mi stanco di insistere, è quella che le unioni economiche sono irrilevanti fra paesi la cui economia è complementare, sono auspicabili tra paesi in cui la complementarietà diretta non esiste, e dove esiste invece una somiglianza, che è concorrenza, di produzioni ed invece dissimiglianza nel quadro generale dello sviluppo geo-politico. E tale appunto è il caso della Spagna nei riguardi dell’Italia: paese ricco il primo di materie prime e di minerali, scarsamente popolato e sopratutto sprovvisto di teorici abili e di maestranze operose, paese ricco il secondo di quello che può valorizzare le ricchezze naturali dell’altro.

Ciò premesso, è da chiedersi se è maturo il momento per affrontare con la Spagna, sia pure in via preliminare, l’accenno ad iniziative così vaste e così profonde. Lo tentai in occasione dell’ultimo accordo commerciale4, proponendo appunto ed illustrando quel «protocollo di collaborazione economica» cui Capomazza accenna, e che venne ripetutamente e garbatamente rifiutato dagli spagnoli. Esso era, nel mio pensiero, il trampolino per andare più oltre sulla strada sopracennata e sopratutto il mezzo per gettare sin da oggi qualche pilone per non trovare un ponte già bell’è pronto varato dalla sera alla mattina dagli americani.

Se il momento sia maturo o no, può essere giudice solo la Direzione generale degli affari politici. Aggiungo peraltro che se si volesse tentare qualche apertura, la presenza di un ambasciatore come il signor Sangroniz dovrebbe essere sfruttata al più presto; ma dubito molto che allo stato delle cose e senza un nostro ambasciatore a Madrid sia possibile oggi dare corpo ad un programma il quale, per quanta buona volontà ci mettiamo, se tutto a pezzi e bocconi come stiamo attualmente tentando, rischia di riuscire soltanto un mantello di arlecchino.

Se aperture del genere dovessero essere fatte — e me lo auguro perché non è necessaria, per tentare, la certezza della riuscita — io sono a disposizione per appoggiare ogni iniziativa politica con l’esperienza che questi ultimi anni di lavoro mi hanno data, eventualmente creando qualche pretesto, se le aperture presentassero una speranza di successo, per giustificare l’invio di qualche missione a Madrid.

È ovvio peraltro che un programma così largo come quello che io avevo in mente, dell’integrazione cioè della Spagna in un gruppo regionale, non potrebbe essere fatto che col previo accordo della Francia; tanto più se l’inserimento avvenisse al lato dell’Unione economica italo-francese. Aggiungo peraltro che una tale possibilità fu sempre tenuta presente dalla prima Commissione di studi italo-francese e considerata come desiderabile da ambo le parti.

527 1 Con il quale Guidotti aveva richiesto un parere circa le iniziative economico-commercialiproposte da Capomazza.

527 4 Vedi D. 405, nota 2.

528

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 147/43. Vienna, 14 gennaio 1950 (perv. il 19).

Riferimento: Mio rapporto 22 dicembre u.s. n. 1020 e telegramma di V.E. n. 1 del 5 corr.1.

Il ministro Gruber è tornato a Vienna con qualche giorno di ritardo sul previsto e secondo quanto mi risulta da fonte indiretta e discreta, ha cominciato a far mente locale circa la questione opzioni in relazione al passo che compii presso di lui il 21 dicembre u.s. e alla conversazione che ne seguì.

L’ho visto in questi giorni parecchie volte e si è parlato e toccato di varie questioni nettamente politiche, ma senza accenno alcuno da parte sua e pertanto, almeno per ora, tanto meno da parte mia alle opzioni: so però che ci sta pensando e almeno per il momento il suo pensiero si andrebbe concretizzando più o meno secondo queste linee:

a) suo desiderio di riaffrontare tutto il problema delle opzioni e questioni connesse con l’Accordo De Gasperi-Gruber2 in modo da mettere la parola fine al tutto e sgombrare il campo politico da questo peso morto, per lui e per il Governo austriaco.

Se questo tentativo fallisse, e menziono questa informazione, con ogni doverosa riserva, anche in relazione al frequente caso, che non tutto quello che si dice voler fare, poi effettivamente si fa, e si può fare, egli penserebbe di portare tutta la cosa in sede parlamentare, a sua giustificazione, per il presunto almeno parziale fallimento di una linea politica che prende da lui nome e di cui si è assunto la responsabilità, in contrasto con altre correnti. Naturalmente tale informazione ha, sopratutto per ora, un valore indicativo piuttosto di uno stato d’animo, tanto più che, a parte la riserva iniziale che ho fatto, occorrerebbero molte altre e importanti qualificazioni, oggi non pensabili, per valutarne la portata, se e qualora veramente tendesse a divenire di attualità;

b) intenderebbe mandare a Roma non più il ministro Versbach che verrebbe accantonato per questioni più tecniche, come quelle già discusse con il consigliere Innocenti, e da riprendersi in un secondo tempo o almeno collateralmente, ma una personalità di piano più elevato, che potrebbe essere il ministro Leitmaier, che lascia il servizio per limite età, ma resta consigliere generale del ministro, o il nuovo segretario generale ministro Vollgruber, attualmente a Parigi, e ben noto a Roma, dove è stato lunghi anni e che parla assai bene l’italiano. Ma tutto questo e ancora in fieri, anche in relazione ai vasti cambiamenti di personale che sono in corso al Ministero degli esteri nei quadri direttivi;

c) circa il problema specifico opzioni in relazione alla situazione creata dalle note misure austriache e dalle nostre reazioni, egli, anche in relazione alle nostre richieste, formulate nel memorando mio tramite qui rimesso3, ripenserebbe al taglio

2 Vedi serie decima, vol. IV, D. 251.

3 Vedi D. 484, Allegato.

salomonico sulle linee del compromesso Innocenti-Versbach4 e quindi modifica della legge delle opzioni, integrato da disposizioni che facilitino l’acquisto della cittadinanza austriaca, per i respinti o (e qui il pensiero sarebbe sempre allo stato composito, confuso e liquido, e non determinato nelle possibili soluzioni concorrenti) per quelli che non potessero o volessero rimpatriare. Desidero subito aggiungere, per quella conoscenza che ho ormai acquisito del problema, che nel dire questo, a parte la riserva già menzionata, è opportuno chiarire che oltre tutto vi è una grande e vasta gamma di soluzioni intermedie e composite, con riflessi così varii, che da tutto quanto ho sopra detto occorre non trarre assolutamente alcuna conclusione definita, ma solo utilizzarlo come indicazioni un poco astratte di soluzioni o seme di soluzioni possibili. Ma come si potranno concretizzare, non è possibile dirlo, date anche la complessità dei problemi e i molteplici riflessi, anche in settori che vanno oltre quello dei rapporti con noi.

Pur omettendo le tante considerazioni che spontanee mi si offrono alla mente, ma che altererebbero la natura assolutamente di pura informazione del presente rapporto, non posso tuttavia tacere, anche perché è la sola cosa su cui mi sia stato, sia pure in forma confidenziale e personale, posto un quesito, che mandato a picco il compromesso Innocenti-Versbach, resta tuttavia aperto sempre il dilemma, su cui ho già chiesto di essere illuminato: e se quell’idea cade (parlo dell’idea e non di quella realizzazione), quale altra si può prendere a base di un compromesso? E quali sono le difficoltà giuridiche insormontabili che fecero cadere quel progetto? Me lo hanno chiesto per orientamento, anche in quello che si potrebbe fare di positivo. Mi è stato detto (e l’ho ovviamente ripetuto) che costì era stato parlato a Schwarzenberg di difficoltà assai gravi, ma senza specificarle: ma come si potrebbero superare? E se questo non è proprio possibile, ma allora dove indirizzarsi? Aggiungo che in complesso qui hanno l’aria di essere abbastanza increduli sulla possibilità che il consigliere di Stato Innocenti, abbia potuto fare delle proposte giuridicamente non accettabili, e che quindi tutto quello che è avvenuto poi sia un pretesto.

Per ovvie ragioni non avevo possibilità di persuaderli probantemente che si sbagliavano e che effettivamente non era un pretesto, ma una difficoltà, forse non approfondita e quindi sorta dopo e non prevista.

Ad ogni modo restano fissi alcuni punti:

a) occorre esaminare se l’idea di compromesso Innocenti possa trovare realizzazione con quelle varianti che superano le difficoltà giuridiche;

b) se ciò non può essere, quale è la via nuova e diversa da imboccare?

c) non è opportuno accantonare i problemi così detti patrimoniali, perché questi risorgeranno o subito o subito dopo. Occorre pertanto approfondirli e prepararsi perché formano ormai un nesso politicamente e quasi tecnicamente inscindibile e magari per rettificare e modificare gli atteggiamenti già presi: comunque non pensare di non affrontarli;

d) risorgeranno molte delle questioni che sono state elencate nel contro-promemoria Versbach, in quadro politico generale;

e) non obliare le presunte promesse di amnistie, indulti, perdoni per varii casi di respingimenti, e non faccio nomi più specifici.

Mi limito a elencare rapidamente e sommariamente alcuni punti fondamentali del quadro di questa trattativa.

Ometto poi completamente molte mie considerazioni di carattere direi tecnico, almeno formale più perfino che di merito, su alcuni dei punti sopra toccati.

Da quanto precede V.E. potrà valutare come da un lato sarebbe forse assai utile che io fossi già in possesso di qualche indicazione e magari direttiva di massima, in modo da poter eventualmente fiancheggiare e in quanto possibile magari fin d’ora indirizzare le istanze responsabili di qui in quelle direzioni che a noi potrebbero sembrare più convenienti.

Per tutte queste ragioni ho ritenuto opportuno, come del resto prevedevo già nel mio rapporto del 22 dicembre n. 1020 sopra citato, di soprassedere alla mia partenza per Roma, che quindi avrei rimesso al 21/22 corr., ove nel frattempo non sorgano fatti nuovi che mi facciano ritenere più conveniente di ancora procrastinarla, e sempre che diverse istruzioni non mi giungano nel frattempo.

528 1 Vedi D. 494.

528 4 Vedi DD. 122, 151, 211, 269 e 299.

529

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTE 519/49. Parigi, 15 gennaio 1950, ore 17,05 (perv. ore 19,30).

Malgrado prolungate discussioni in Consiglio dei ministri direttive francesi rispetto Finebel e libera[lizza]zione scambi O.E.C.E. non sono ancora definitivamente fisse. Tuttavia colleghi me ne hanno anticipato alcuni concetti, in via strettamente confidenziale e sotto riserva modificazioni, affinché si possa iniziarne esame da parte nostra.

1) I francesi intenderebbero proporre ai paesi membri Finebel presentare immediatamente all’O.E.C.E. proposta comune di libera[lizza]zione scambi in tutti gruppi

O.E.C.E. sulle linee capitolo 3° rapporto esperti Finebel 10 dicembre u.s. e cioè: a) 60 per cento quando entra in vigore nuovo accordo intereuropeo pagamenti; b) 75 per cento entro quest’anno.

Nell’ambito Finebel resterebbero ferme pattuizioni attuale capitolo 3° e cioè applicazione immediata 60 per cento ed obiettivo 100 per cento nel corso del 1951.

2) Accettazione da parte di altri paesi partecipanti O.E.C.E. implicherebbe soltanto coordinamento politiche finanziarie quale è previsto per tutti in schema nuovo accordo intereuropeo pagamenti. Adesione altri partecipanti a capitolo 2° rapporto esperti Finebel (cioè regime particolari pagamenti) non sarebbe necessaria in quanto basterebbe egualmente nuovo accordo pagamenti generali.

3) Ragione di essere di Finebel non si troverebbe perciò più in libera[lizza]zione scambi fino al 75 per cento. Perciò rimanenza sostanziale accordi regionali (cioè capitolo 1° coordinamento vari aspetti politica economica e capitolo 2° regime particolari pagamenti) si giustificherebbe sono con la nuova decisione ferma di trasformare rapidamente Finebel in «zona liberi scambi» ciò che francesi intenderebbero proporre.

4) Francesi pensano che con questa impostazione sarebbe superata la difficoltà relativa entrata Germania in Finebel in quanto non saranno più soli con Germania ma in compagnia anche dell’Inghilterra. E desiderio Benelux ed americani integrazione economica tedesca con restante Europa occidentale sarebbe soddisfatto da libera[lizza]zione scambi ed accordo pagamenti in seno O.E.C.E. Questo aspetto delle idee francesi è particolarmente bisognoso di chiarimenti in quanto francesi stessi riconoscono che se la Germania domandasse entrare Finebel, con tutti i suoi impegni e vantaggi, non sarebbe giuridicamente possibile opporre rifiuto, mentre esclude entrata dell’Inghilterra con cui si dovrebbe concludere invece accordo speciale.

5) Il complesso di questa idea francese dà conferma di come pressione americani per un effettivo progresso nella libera[lizza]zione scambi e pagamenti in O.E.C.E. vada mutando impostazione basica Finebel. Questo infatti conserva un significato solo se rappresenta impegno di fare qualche cosa che vada molto al di là della non sola libera[lizza]zione al 75 per cento ma anche di quella al 100 per cento la quale resterà obiettivo americano per il giugno 1951 se non per il dicembre 1950 anche se con eccezione. Finebel non potendo quindi rimanere un insieme di pattuizioni destinate restare platoniche intese giustifica una cauta lentezza nel raggiungere 100 per cento libera[lizza]zione. Esso diverrebbe invece impegno effettivo di marciare verso la zona liberi scambi in cui dovrebbe entrare verosimilmente Germania.

6) È anche da tener presente che in circostanze attuali assunzione tale impegno darebbe luogo costante e forte pressione americana per sua realizzazione in vista del-l’azione che Governo Washington svolge per modificare politica commerciale americana e votare fondi ultimi anni E.R.P. in primavera 1951.

7) Oggi pomeriggio telegraferò ulteriormente circa connessione fra le nuove idee francesi e problema O.E.C.E.1. Domani avremo nuovo incontro confidenziale e preparatorio con francesi per mano d’opera su cui riferirò immediatamente. Cercherò anche comprendere se francesi abbiano avuto già qualche reazione del Belgio e del-l’Olanda ed eventualmente dell’Inghilterra cui accordi preliminari francesi giudicano necessari.

Pregasi comunicare quanto precede ministro Pella2.

2 Per la risposta vedi D. 535.

529 1 Vedi D. 530.

530

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTE 523/51-52-53-54. Parigi, 15 gennaio 1950, ore 20,45 (perv. ore 8 del 16).

Miei 49 relativo Finebel1 e 46 relativo impostazione generale rapporto O.E.C.E.

E.C.A.2.

È verosimile che per molti ministri ed esperti nuova impostazione Finebel come avviamento a zona liberi scambi non corrisponda serie intenzioni e sia soltanto destinata evitare brutta figura che risulterebbe da mancato esito iniziativa del novembre

u.s. e rallenti sia pure di poco libera[lizza]zione in sede O.E.C.E. Ma può darsi che francesi stiano per evocare uno spirito che non si lascerebbe poi così facilmente esorcizzare tanto più che medici americani potranno praticarvi energiche trasfusioni di sangue. Credo quindi non inutile analizzare brevemente relazione del Finebel «nuovo tipo». Con problema generale O.E.C.E. punto critico abolizioni restrizioni quantitative fra partecipanti O.E.C.E. è che determinerà verosimilmente accentuazione quegli squilibri nelle bilancie pagamenti che già in regime bilaterale determinano parziale pagamento in oro e dollari o in drawning rights.

Union clearing è accordo appunto superare tale punto critico: sostanzialmente essa può riuscirvi in quanto americani vi praticheranno iniezioni dollari E.R.P. Alla lunga poiché squilibri hanno in parte base strutturale non vi sono che quattro vie di uscita:

1) chiusura falle del dollaro europeo in modo così completo che un gruppo di partecipanti abbia una eccedenza di dollari con cui saldare in dollari ed un secondo gruppo deficit negli scambi tra il primo ed il secondo;

2) ripetizione dell’iniezione di dollari da parte degli americani;

3) ritorno a relazioni e restrizioni bilaterali;

4) integrazione effettiva delle economie dei partecipanti ed adozione fra loro di una effettiva moneta unica con tutto ciò che questo comporta di intimi legami politici di libero movimento dei capitali in circolazione e di persone nonché di parziale redistribuzione territoriale di ricchezza attraverso sistema fiscale federale.

Concessione illimitata di crediti reciproci non rappresenta ulteriore alternativa malgrado esempio area sterlina. Questo infatti:

a) è basato in parte su stretti legami politici almeno patteggiati e sulla preferenza doganale imperiale;

b) non starebbe ormai in piedi senza annue iniezioni di dollari E.R.P. alle riserve centrali amministrate a Londra o forse domani ad alcuni dei componenti del-l’area stessa.

2 Del 15 gennaio, non pubblicato.

Stabilimento fra Benelux, Germania, Francia, Italia di una zona liberi scambi, come definita nell’articolo 44 della Carta dell’Avana, avrebbe per effetto accentuare fortemente tutte tensioni a cui già soppressione delle restrizioni quantitative sottoporrà rapporti di pagamento fra i membri gruppo. Prime due vie indicate precedentemente non sono percorribili, prima se non in tempo troppo lungo seconda se non per tempo troppo breve. Terza via sarebbe la via del fallimento economico e politico. Resta perciò quarta via. Stesso aumento tensione nel caso si volesse andare ad una zona liberi scambi accentuerà necessità imboccare suddetta sola via di uscita possibile cioè quella dell’integrazione effettiva perequazioni anche se è vera resistenza degli interessi particolari di nazioni o di settori, già forte di fronte abolizione restrizioni quantitative crescerà di fronte prospettiva abolizione all’interno del gruppo anche barriera doganale.

Americani poi non tarderebbero prendere una nostra promessa vaga per un impegno preciso ed a mettere davanti alternativa di una interruzione degli aiuti se cercassimo evadere e di una loro possibile continuazione magari in altra forma anche dopo il 1952. Se si decide assumere in questa circostanza impegno avviarsi ad una zona liberi scambi sembra quindi sempre più necessario chiarire senza possibilità equivoci in sede Finebel:

1) quali aspetti della politica economica siano effettivamente da coordinare; 2) relazione tra ritmo tale coordinamento e ritmo realizzazione zona liberi scambi.

Non si tratta soluzione questione mano d’opera per quanto grande ne sia importanza per noi.

Già dal capitolo 3° paragrafi 2 e 4 testo attuale rapporto Finebel, che prevedono solo abolizione integrale restrizioni quantitative, risulta differenza sostanziale di impostazione generale. Esperti Benelux infatti hanno stimato sufficiente per la soppressione totale delle restrizioni quantitative che «si realizzi grado sufficiente coordinamento circa messa in armonia politiche finanziarie e creditizie», mentre esperti francesi ed italiani hanno aggiunto «grado sufficiente coordinamento dovrebbe realizzarsi in tutt’altro campo visto capitolo 1°». D’altra parte, esperti italiani hanno stimato che anche raggiungimento 75 per cento non è possibile che «nella misura in cui coordinamento diversi settori previsti capitolo 1° avrà cominciato produrre effetti pratici».

Se V.E. mi consente azzardare fin da ora un [quadro] d’insieme direi quanto segue:

1) Proposta congiunta membri Finebel di raggiungere in O.E.C.E. 75 per cento di libera[lizza]zione entro quest’anno, senz’altro coordinamento che quello finanziario previsto schema nuovo accordo pagamenti intereuropei, apparirebbe agli americani minimo soddisfacente: essi cercheranno probabilmente farci assumere anche impegno raggiungere 100 per cento salvo eccezioni temporanee nel corso anno 1951.

2) Benelux aderirà difficilmente ad un Finebel limitato ad una libera[lizza]zione scambi a cui si dovrà arrivare comunque in O.E.C.E. e con meno condizioni. Attrattiva per loro potrebbe essere entrata Germania e costituzione zona liberi scambi: solo se ciò vale la pena potrà accettare altra condizione relativa integrazione economica.

3) Tale integrazione, una volta imposta, tarderà realizzarsi effettivamente per le ragioni analizzate con tutte conseguenze politiche che vi sono implicite e con essa tenderà realizzarsi zona liberi scambi: americani faranno forte pressione in tale senso.

4) Per quanto quindi Finebel possa costituire ancora nelle intenzioni di molti un «espediente di prestigio» un «paracadute» o un «freno», esso, sotto la indiretta pressione americana, tende divenire punto di partenza effettivo di una marcia non troppo lenta verso integrazione.

5) I nostri problemi economici, di mano d’opera e politica interna, sollevati dalla semplice abolizione restrizioni quantitative si ripresentano quindi accentuati in sede Finebel «inclusa in essa Germania».

6) Lo stesso si dica per i problemi esterni della stessa natura e per alternativa fondamentale del partecipare o non partecipare con i pericoli inerenti entrambi i corni del dilemma. V.E. non ignora che di qui appaiono particolarmente gravi ed evidenti quelli inerenti ad un atteggiamento negativo. Ciò non significa peraltro che anche di qui non si intravvedano difficoltà interne e non si realizzino tutte necessità di un negoziato approfondito e di pattuizioni che tutelino a fondo nostri interessi vitali prima di entrare nella via che conduce al di là sola soppressione delle restrizioni quantitative.

7) Tutto ciò mi induce prospettare all’E.V. se, qualora francesi confermino definitivo concetto a noi esposto, non sarebbe opportuno proporre agli stessi francesi procedura la quale, anziché firma immediata di un vero e proprio accordo Finebel, preveda uno scambio di note. In questo si potrebbe prendere atto del rapporto esperti in data 10 dicembre u.s.3 e confermare capitolo 1°; mettere in applicazione eventualmente capitoli 2° e 3° modificati; accennare agli sviluppi presso O.E.C.E.; dedurne necessità più vasti progressi nel Finebel sino eventualmente zona liberi scambi; infine assumere impegno proseguire immediatamente studi nuovi problemi così posti entro breve periodo di tempo, per esempio tre mesi, e decisione comune al riguardo. Tale procedura si giustificherebbe per la portata problemi sollevati e per necessità concentrare attenzione immediata su scambi e pagamenti in sede O.E.C.E. D’altra parte proposta non verrebbe in tal modo né accantonata né respinta. Anzi si potrebbe probabilmente prendere verso di essa atteggiamento preliminare più liberale in uno scambio di note che non nel testo di un accordo in cui per la brevità del tempo si dovrebbe essere verosimilmente molto vaghi e cauti.

Abbiamo discusso ampiamente tutta la materia con Malagodi con cui concordo interamente in analisi economica ed avviso sopra espresso. V.E. vorrà perdonare se l’importanza tema nonché accavallarsi avvenimenti mi hanno fatto considerare doveroso analizzare sommariamente problema di così vasta portata. Sarò grato a V.E. particolarmente per direttiva al riguardo.

Pregasi comunicare quanto precede anche a ministro Pella4.

530 1 Vedi D. 529.

530 3 Non pubblicato ma vedi D. 462.4 Per la risposta vedi D. 535.

531

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 382/34. Roma, 16 gennaio 1950, ore 15,30.

Codesta ambasciata deve incoraggiare buon volere britannico per la più cordiale intesa ma tenendo presente che la mia frase essenziale a Mallet fu: «Noi dobbiamo dire indipendenza ma ciò non ci impedisce auspicare cordiale intesa coll’Inghilterra anche per Eritrea»1. Accettando pienamente la proposta inglese di cui ai suoi 60-632 noi abbandoneremmo sin da ora ogni nostra precedente posizione con gravissima nostra responsabilità di fronte opinione pubblica come dimostrano i selvaggi assassinii di ieri.

Il Foreign Office deve rendersi conto che noi temiamo non solo per Italia ma anche per Inghilterra reazioni spiacevoli non solo fra molti italo-eritrei ed eritrei ma anche all’O.N.U. di fronte a dei negoziati che apparissero solo italo-inglesi V.E. assicuri invece costì che teniamo soprattutto al più stretto contatto col Foreign Office in caso di raccomandazioni della Commissione da rendere accettabili tanto agli italiani quanto all’Etiopia con cui siamo lieti di aver iniziato Ginevra dei contatti fiduciosi.La lezione che il compromesso Sforza-Bevin ebbe all’O.N.U. ci deve servire. È dunque anche per non peggiorare di fronte O.N.U. nostra posizione e quella della stessa Inghilterra che ci sembra preferibile approfondire costì in conversazioni confidenziali e segrete la sostanziale soluzione del problema.

Senza sapere dove si vuole andare si potrebbe rischiare che delle episodiche concessioni preliminari ci sarebbero amaramente rinfacciate.

Circa nostre migliorate relazioni con l’Etiopia a Ginevra prego V.E. dire costì che abbiamo apprezzato il buon volere degli agenti britannici.

V.E. avrà oggi ricevuto copia mie istruzioni a Tarchiani3. Ella vedrà che il nostro pensiero si riallaccia al progetto Jessup, il che prova coi fatti quanto rimaniamo fedeli a ciò che dissi a Mallet.

2 Vedi D. 524.

3 T. segreto 11168/702 (Parigi) 632 (Washington) del 31 dicembre, non pubblicato.

531 1 Vedi D. 508.

532

IL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 550/6. Francoforte, 16 gennaio 1950, ore 21 (perv. ore 7,30 del 17).

Avuto luogo oggi presentazione capi missioni estere al presidente Heuss, nella sede ufficiale di quest’ultimo. Portatogli messaggio verbale di cui ero stato incaricato da presidente Einaudi1 e riferisco per corriere in partenza domenica2 Sua risposta, formulata in termini uguale cordialità.

Stato ricevuto questo pomeriggio anche dal cancelliere federale Adenauer che in risposta saluto recatogli3 pure incaricatomi far pervenire presidente De Gasperi suo messaggio sinceri ringraziamenti in termini che pure riferisco per corriere4.

ALLEGATO I

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, EINAUDI, AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, HEUSS

MESSAGGIO VERBALE.

Nel momento in cui una missione italiana inizia ufficialmente la sua attività nel territorio della Repubblica federale tedesca, desidero rinnovare a V.E. il mio vivo augurio che i rapporti tra i nostri due paesi possano sempre più svilupparsi, in uno spirito di amichevole e feconda collaborazione nell’interesse dei due popoli e dei comuni ideali di pace dell’Europa democratica.

ALLEGATO II

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL CANCELLIERE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, ADENAUER

MESSAGGIO VERBALE.

Iniziandosi oggi ufficialmente sul territorio della Repubblica federale tedesca l’attività di una missione italiana desidero esprimere l’augurio che ciò contribuisca al felice ristabilimento di fecondi rapporti tra i nostri due popoli ispirati entrambi allo stesso senso di collaborazione e di solidarietà europea e al servizio degli ideali della democrazia e della pace.

2 Non pubblicato.

3 Vedi Allegato II.

4 Vedi D. 539.

532 1 Vedi Allegato I.

533

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE AMBASCIATE A BRUXELLES, PARIGI E WASHINGTON, E ALLE LEGAZIONI A L’AJA E LISBONA

TELESPR. 21/00797/C. Roma, 16 gennaio 1950.

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 21/24146/232 del 16 dicembre 1949; Telespresso ministeriale n. 21/20954/C. del 3 novembre 19491.

Si ha il pregio di trasmettere copia di una lettera in data 29 dicembre u.s., con la quale l’ambasciatore britannico sir Victor Mallet dava notizia del prossimo riconoscimento, da parte del suo Governo, della Repubblica popolare cinese2; si unisce anche un elenco dei paesi che hanno già riconosciuto il nuovo Governo di Pechino3.

Sinora l’atteggiamento italiano è stato di prudente riserva. La mancanza di considerevoli interessi specifici non ci ha messo nella condizione di dover assumere una posizione precisa nell’un senso o nell’altro, né d’altra parte era nostro interesse condurci altrimenti anche in considerazione delle due opposte tesi: la britannica e la statunitense. È tuttavia ovvio che l’avvenuta decisione britannica ha segnalato un notevole passo avanti verso un riconoscimento che il rapido sfaldamento degli ultimi residui nazionalisti fa considerare ogni giorno di più come fase finale e inevitabile della nuova situazione che si è creata in Estremo Oriente.

Tenendo anche conto di ciò, abbiamo deciso di adottare le seguenti misure: richiamo immediato, per ragioni di salute, di Cippico da Hong Kong, nessun invio di un rappresentante a Formosa; richiesta a Londra di ripristinare a Hong Kong un consolato generale di prima categoria, destinandovi Strigari, facendo in pari tempo sapere agli inglesi che, essendo detto funzionario destinato ad assumere l’incarico di consigliere della nostra ambasciata in Cina, il giorno che riconoscessimo formalmente il Governo di Mao Tze-tung, lo Strigari è incaricato, sin d’ora, di coordinare il lavoro degli Uffici consolari nella Cina comunista.

Per meglio regolarci nello svolgimento della nostra azione futura riuscirebbe particolarmente utile poter accertare quali siano state le reazioni costì all’avvenuta decisione britannica e quali siano, in relazione agli sviluppi in corso, le intenzioni di codesto Governo in merito ad eventuale riconoscimento del Governo della Repubblica popolare.

(Solo per Washington): V.E. vorrà opportunamente tener conto di quanto sopra nei suoi contatti col Dipartimento di Stato. Certamente il giorno in cui anche altri paesi occidentali seguissero l’esempio britannico, come già hanno fatto Norvegia e Danimarca, sarebbe per noi molto difficile esimerci dal riconsiderare la nostra posizione nei confronti del Governo di Mao Tze-tung; non dubitiamo che, in tal caso, questa nostra esigenza sarà valutata costì anche alla luce della nostra fran

2 Vedi Allegato.

3 Non pubblicato.

ca linea di condotta tenuta sempre nei confronti di Washington in relazione alla questione cinese4.

ALLEGATO

L’AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, MALLET, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. SEGRETA 117/139/49. Roma, 29 dicembre 1949.

With reference to my letter n. 117/134/49 or 22nd December5, I have now been instructed by Mr. Bevin to inform the Italian Government that His Majesty’s Government in the United Kingdom have decided to accord de jure recognition to the Chinese Communist Government on January 6th, 1950, and to notify the Chinese Communist Government accordingly on that date.

The Chinese Ambassador in London will be informed on the same day of the withdrawal of de jure recognition from the Nationalist Government and that he will no longer be recognised as Ambassador. The Ambassador and his staff will be offered asylum in the United Kingdom should they so desire.

As regards Formosa, the Chinese Ambassador in London will be notified that in accordance with His Majesty’s Government’s promise, His Majesty’s Consul there will continue to maintain de facto relations with the local authorities.

Mr. Bevin wishes me to say that the decision about de jure recognition referred to above was only taken after the most careful consideration of the replies received from the Italian, Commonwealth and other friendly Governments with whom His Majesty’s Government have been in consultation, and that His Majesty’s Government have greatly appreciated the Italian Government’s courtesy in expressing their views to them. I have been instructed to request that no publicity whatever should be given to His Majesty’s Government’s decision until the date of notification, namely January 6th.

533 1 Non rinvenuti, tali comunicazioni erano indicate come riferimento per la sola ambasciata aWashington.

533 4 Per la risposta da Parigi vedi D. 574. La risposta dall’Aja (Telespr. 276/78 del 25 gennaio)non si pubblica. Per le altre risposte si veda il volume seguente.5 Non pubblicato.

534

L’AMBASCIATORE AD ANKARA, R. PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 109. Ankara, 16 gennaio 1950 (perv. il 19).

Sadak non è più tornato sull’argomento, al quale, come le scrissi1, non aveva del resto che fugacemente accennato.

Si è forse reso conto dell’inopportunità, come ella dice molto bene, del «fingere di fare»2.

Comunque, se dovesse riparlarmene — e non lo credo improbabile — non mancherò di fargli presenti le molte giuste e amichevoli osservazioni di cui al telegramma di V.E. n. 32, che, è superfluo dirle, condivido perfettamente.

Vedo che anche Pipinelis ha espresso giorni or sono al nostro incaricato d’affari il desiderio greco di una qualche visita ufficiale3. Ed è anche questa, insieme all’analogo e contemporaneo accenno del Sadak, una chiara indicazione che il nostro peso e prestigio sono, in tutta questa zona mediterranea, in rialzo.

535

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’O.E.C.E., CATTANI

T. 406/17. Roma, 17 gennaio 1950, ore 16.

Suoi 49-541.

A parte la crisi ministeriale è impossibile esprimere parere richiesto per lo meno sino a quando nostra delegazione giungente costà 19 non abbia ricevuto eventuali proposte francesi più precise. Convengo con V.S. che proporre zona libero scambio senza volerla in realtà effettuare sarebbe estremamente pericoloso mentre è da dubitare che proposte del genere possano seriamente essere avanzate da Governo francese e poste studio così breve tempo; senza contare che forse neppure Benelux si dichiarerebbe disposto. Proposte del genere escluderebbero ad ogni modo che firma accordo relativo avesse luogo 23 corrente.

Comunque se libera[lizza]zione generale O.E.C.E. dovesse prendere corpo essa potrebbe poi riassorbire Finebel il quale (oltre ritmo più rapido di sei mesi) avrebbe intanto avuto vantaggio creare più intimi legami fra paesi aderenti.

2 Vedi D. 521.

3 Vedi D. 476.

534 1 Vedi D. 496.

535 1 Vedi DD. 529 e 530.

536

IL DIRETTORE GENERALE DELL’EMIGRAZIONE, VIDAU, ALL’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI

T. 429/9. Roma, 17 gennaio 1950, ore 22,30.

Riferimento sua lettera 119 giuntami ieri1.

Progetto accordo migrazione è allo studio e tra breve le saranno comunicati punti di vista della direzione.

Su questione ratifica accordo sblocco beni e statuto compagnia colonizzazione ho informato con telegramma n. 52.

Voci circa trasferimento negoziati destituite fondamento.

Circa questione priorità accordo commerciale o emigrazione parrebbe opportuno per ragioni tattiche che, pur procedendo sollecita continuazione negoziati, accordo emigrazione venisse stipulato dopo quello commerciale.

537

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,

ALL’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO

T. 440/2. Roma, 17 gennaio 1950, ore 13.

Ho ricevuto questo ambasciatore Canada il quale mi ha rimesso nota di cui invio testo per corriere. Nota si limita sottolineare punto di vista canadese contrario abbinare questione civilian relief e assets e invitarci aderire richiesta regolamento prima dette questioni in occasione viaggio Europa Sinclair.

Ho rifatto a Desy storia questione che si inizia con dichiarazione Pearson non (dico non) poterci restituire controvalore am-lire come fatto da inglesi ed americani e con contemporanea promessa ridurre in compenso a puro pagamento nominale richiesta per civilian relief. Ho ricordato che per lungo tempo erasi considerato che tale pagamento simbolico dovesse consistere in dono sede per ambasciata canadese Roma mentre solo ora vengono proposti negoziati per un accordo. Ho precisato che trattato pace non (dico non) fa obbligo rimborsare civilian relief e che se si fa appello considerazioni psicologiche e di amicizia per chiedercelo altrettanto facciamo noi per ricordare questione assets che Governo canadese è tra pochi che tengono ancora sotto sequestro. Se costì ci si attiene strettamente trattato altrettanto potremmo dunque fare noi e da qui nasce abbinamento che non è giuridico ma morale. Ho concluso che saremo di

2 Del 14 gennaio, il cui testo era il seguente: «Legge ratifica accordo sblocco beni approvata daConsiglio ministri è all’esame Senato e sarà discussa prossima riapertura dopo ferie. È allo studio statutocompagnia colonizzazione cui schema verrà quanto prima inviato V.E. per opportuno esame in loco».

sposti in massima iniziare febbraio esame questione civilian relief indipendentemente da altre e che Governo canadese dovrebbe da parte sua compiere gesto analogo in relazione totalità o parte nostri assets. Si esprima costì nello stesso senso1.

536 1 Non rinvenuto.

538

IL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 0221/107. Francoforte, 17 gennaio 1950 (perv. il 29).

Ho fatto oggi la mia prima visita al ministro per l’economia della Repubblica federale dr. Erhard. Come è noto, egli è una delle figure preminenti dell’attuale Governo ed è l’artefice per parte tedesca della riforma monetaria che ha così radicalmente trasformato la situazione economica nell’intero paese con tutti suoi connessi di carattere sociale.

Al colloquio avuto con lui questo pomeriggio assisteva anche von Maltzan, in breve gita da Parigi per ricevere nuove istruzioni sulle trattative commerciali colà corso.

Il dr. Erhard mi ha subito parlato dei rapporti economici tra l’Italia e la Germania della complementarietà delle due economie e della necessità di passare rapidamente ad una fase di maggiore realizzazione per le possibilità di scambio tra di esse esistenti e per una maggiore possibile integrazione delle economie stesse.

Gli ho subito risposto che era anche negli obiettivi del Governo italiano di raggiungere con la Germania degli accordi duraturi e basati sulle realtà economiche dei due paesi e che sarebbe stato mio compito di perseguire ogni sforzo per il raggiungimento di queste finalità.

Avendogli io chiesto se gli studi sulle economie dei vari paesi, e quindi anche di quella italiana, in via di elaborazione presso l’Istituto economico di Kiel, avrebbero formato base di esame per il Governo tedesco agli effetti della preparazione di intese commerciali con l’estero, il ministro Erhard mi ha risposto che si trattava è vero di studi seri con basi scientifiche, ma che non riteneva rispondessero pienamente alle esigenze che si prospettavano specialmente per la preparazione di un solido intercambio italo-tedesco. Ed a questo punto egli mi ha pregato di rendermi tramite col Governo italiano di un suo desiderio, che riteneva corrispondente all’interesse di ambedue le parti.

Egli ritiene cioè insufficienti i dati che noi possediamo sulla struttura economica rispettivamente dell’Italia e della Germania, e propone la istituzione di una Commissione mista italo-tedesca con il compito precipuo di studiare a fondo gli elementi costitutivi delle economie stesse in vista di realizzazioni concrete in un momento successivo.

Per essere sicuro di interpretare correttamente il suo pensiero gli ho allora chiesto se nel formulare tale proposta egli intendeva che la Commissione in esame dovesse avere per compito la identificazione e lo studio «dei punti di incontro e di scontro» delle due economie, ad esclusione di ogni carattere di trattative commerciali. Egli mi ha risposto affermativamente.

Il ministro mi ha poi aggiunto che si parla comunemente di suddivisione di lavoro in Europa; egli è d’accordo e ritiene che un tale sistema potrebbe applicarsi con mutuo vantaggio, particolarmente nel caso dell’Italia e della Germania. Ha evitato quasi di parlare della esportazione verso la Germania dei prodotti ortofrutticoli italiani come di una cosa ovvia, quasi di un luogo comune, e si è riferito direttamente alla rispettiva produzione industriale dicendomi che anche in questo campo la suddivisione è possibile e la specializzazione anzi necessaria.

Ha dichiarato che a suo avviso occorrerebbe escludere monopoli nazionali in singoli rami di produzione, ma che ciascuno di questi dovrebbe essere invece soggetto ad un razionale coordinamento attraverso specializzazioni.

Prima di prendere congedo gli ho ancora chiesto se dovevo considerare la proposta sulla costituzione della Commissione mista come fattami ufficialmente, ed egli non solo me ne ha dato conferma, ma ha ancora espresso la speranza che io potessi essere in grado di fargli conoscere al più presto possibile il pensiero del Governo italiano al riguardo.

537 1 Di Stefano rispose con il T. 629/10 del 18 gennaio assicurando circa l’esecuzione delle presenti istruzioni.

539

IL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 0233/117. Francoforte, 17 gennaio 1950 (perv. il 29).

Ho fatto ieri al cancelliere federale la mia prima visita — che ha subito seguito la presentazione del nuovo Corpo diplomatico al presidente dr. Heuss — e gli ho porto il messaggio verbale di saluto del quale ero stato incaricato a nome del presidente del Consiglio1. Il sig. Adenauer si è mostrato particolarmente sensibile a questo gesto di cortesia e mi ha incaricato di ricambiare il messaggio negli stessi cordiali termini ed alla fine dell’udienza concessami mi ha consegnato una lettera personale che lui dirigeva all’on. De Gasperi e che mi onoro di trasmettere qui acclusa per l’ulteriore cortese inoltro2.

2 Il testo della lettera era il seguente: «È per me un sincero bisogno di ringraziare V.E. per legentili parole e per gli auguri che il capo della missione italiana, ministro Babuscio Rizzo, mi ha trasmesso oggi. L’inizio delle attività della missione italiana nella Repubblica federale è un primo passo pieno disperanze verso una ripresa delle relazioni tedesco-italiane. Desidero esprimere l’augurio del Governofederale che questo passo possa condurre più vicino l’una all’altra le due nazioni nello spirito della pace edella democrazia e così approfondire la collaborazione per la realizzazione del pensiero europeo».

Al colloquio, che è stato il primo avuto dal sig. Adenauer con i vari capi delle missioni diplomatiche estere, assisteva il capo dell’Ufficio del protocollo sig. von Herwarth ed il capo della Sezione di collegamento con l’Alta Commissione alleata, che è anche il braccio destro di Adenauer nelle questioni di politica estera, sig. Blankenhorn.

Il cancelliere mi ha subito parlato della situazione interna italiana, del problema agrario che travaglia il nostro paese in questo momento e per il quale non mi ha nascosto le sue preoccupazioni ed infine delle dimissioni del Governo.

Sulla crisi nel campo agricolo e sulle agitazioni interne seguite ai fatti di Modena ho potuto dare notizie rassicuranti quali mi risultavano della stampa italiana. Sulla riforma agraria gli ho riferito sui provvedimenti allo studio del Governo, e sugli sforzi che esso stava compiendo per predisporre quelle misure meglio rispondenti all’interesse generale del paese, e con la minor perdita di tempo possibile. Il sig. Adenauer mi ha allora anche chiesto se vi fossero gravi difficoltà all’interno dello stesso partito democristiano, avendo evidentemente in mente in quel momento le difficoltà nelle quali egli stesso si dibatte per l’atteggiamento dell’ala sinistra del C.D.U. — che fa capo, come è noto, al dott. Arnold — nella questione della compartecipazione dei consigli di fabbrica alla gestione delle aziende.

Lo ho messo anche al corrente degli sviluppi della crisi governativa italiana e della ormai imminente costituzione del nuovo Governo.

E qui il sig. Adenauer ha spontaneamente affrontato il problema dei rapporti fra la Germania e l’Italia, dichiarandomi esplicitamente quanto vivo fosse il suo desiderio che essi, sotto l’aspetto politico ed economico, ritornino ad essere quelli tradizionali di un tempo, amichevoli e fecondi. E con la stessa franchezza di linguaggio mi ha detto quasi interrogativamente: «Esiste fra i tedeschi un diffuso timore che perduri fra gli italiani un senso di rancore verso di essi». L’ho ricambiato di sincerità, dicendogli di aver fatto in questi ultimi mesi una curiosa osservazione; se avevo cioè anch’io riscontrato l’esistenza in Germania di questa specie di inferiority complex verso di noi, avevo però d’altra parte già constatato un sentimento analogo, in senso inverso, in Italia; esisteva in altri termini — gli ho detto — anche lì questo dubbio e questa incertezza sulla natura dei sentimenti dei tedeschi verso gli italiani.

Questo parallelismo mi sembrava anzi — ho aggiunto — un segno dei più incoraggianti per i nostri rapporti futuri, in quanto mi appariva già evidente che tale atmosfera di incertezza nei rapporti reciproci stesse rapidamente dissolvendosi attraverso i contatti sempre più frequenti che si stavano stabilendo tra le due popolazioni.

Gli ho detto della cordialità con cui gli italiani vengono accolti in Germania e della stessa accoglienza che mi risultava veniva fatta ai tedeschi in Italia; i pellegrini, i turisti ed i commercianti, ho infine osservato, sono in questo momento i nostri migliori ambasciatori.

Il sig. Adenauer si è mostrato vivamente soddisfatto di queste mie osservazioni e mi ha lui stesso confermato le entusiastiche impressioni che riportano in patria i pellegrini tedeschi reduci dal nostro paese. Egli ha mostrato di essere minutamente informato del loro soggiorno nel nostro paese, e mi ha parlato in termini quasi commossi della notte di Natale in Vaticano quando al canto intonato dai tedeschi del loro tradizionale inno religioso «Stille Nacht» si sono unite le voci di tutti gli altri pellegrini convenuti di ogni nazionalità.

Passando a parlare del nostro atteggiamento verso la Germania ho detto al sig. Adenauer che esso appariva evidente attraverso le dichiarazioni — fatte in varie circostanze — da V.E. e dal presidente del Consiglio, e di cui egli stesso era in possesso. Da esse poteva desumersi come l’integrazione della Germania all’Europa appariva a noi come un interesse anche italiano.

Circa i progetti economici europei gli ho ricordato pure come il Governo italiano fosse, nei termini noti, favorevole alla ammissione della Repubblica tedesca nel Fritalux.

Così pure parlando di liberalizzazione, principio che sta come è noto diventando un canone della politica economica tedesca, gli ho ripetuto che anche l’Italia era ad essa favorevole, che tuttavia la struttura economica e sociale italiana imponeva l’associazione ad esso di altri fattori, primo fra tutti quelli della mano d’opera.

Il sig. Adenauer si è poi soffermato a lungo sulle possibilità esistenti tra i due paesi di potenziare i loro traffici, e mi ha espresso la speranza che possano essere pienamente sfruttate, a reciproco vantaggio, le possibilità di integrazione economica tra i due paesi. L’ho assicurato che era anche questo nei fini e negli intendimenti del Governo italiano. Con rapporto separato riferisco sulla conversazione avuta successivamente col ministro della economia sig. Erhard3, nel corso della quale è stata senz’altro proposta la istituzione di una Commissione di studio — non impegnativa agli effetti commerciali — per la identificazione dei punti di integrazione delle rispettive economie.

Ho approfittato di questo momento per esporre anche al sig. Adenauer, come ho poi fatto col sig. Erhard, il punto di vista italiano sulle trattative doganali che dovevano iniziarsi in questi giorni e da noi rinviate. Si è mostrato convinto della bontà delle nostre argomentazioni e soddisfatto della concessione, nel frattempo, della clausola della nazione più favorita, che eliminava ogni pericolo di applicazione della tariffa generale da parta nostra.

Si è poi passati a parlare delle relazioni culturali italo-germaniche che il sig. Adenauer mi ha detto gli stanno profondamente a cuore. Egli stesso mi ha ricordato che si deve a lui, che ne fu l’animatore, la creazione dell’Istituto di cultura italo-tedesco di Colonia. Gli ho detto che ero già al corrente di questo problema e quando, parlando dello stesso istituto, ho adoperato la nostra più comune denominazione «Petrarca Haus» Adenauer ha sorriso compiaciuto.

Terminata questa conversazione su argomenti di carattere più generale io stesso ho chiesto al sig. Adenauer se fosse in grado dirmi qualcosa circa il suo progetto di viaggio in Italia. Il sig. Adenauer, evidentemente preoccupato della pubblicità già avuta da questo suo progetto, si è mostrato a questo punto molto reticente. Mi ha detto «andrò certamente in Italia durante l’Anno Santo, ma non posso ancora precisare quando». Non ho voluto insistere e gli ho detto che ero a sua disposizione in qualunque momento per ricevere da lui eventuali comunicazioni da trasmettere, ove occorra, anche verbalmente e ritengo che qualcosa di più preciso mi verrà comunicato prossimamente. Gli ho assicurato che sarebbe stata nostra cura di non distogliere menomamente al suo viaggio quel carattere di pellegrinaggio che era invece nell’interesse di tutti di salvaguardare.

La conversazione è stata condotta dal sig. Adenauer con uno spirito marcatamente cordiale e se ne sono avuti i riflessi il giorno dopo poiché il bollettino del C.D.U., organo ufficiale del suo partito, ha pubblicato una nota, nella quale, prendendo lo spunto dalla udienza concessami, viene trattato il problema più vasto delle relazioni italo-tedesche. Allego il testo integrale di questa nota sulla quale però riferisco con telespresso a parte unitamente ai riflessi favorevoli da essa avuti su tutta la stampa tedesca4.

Al momento della fine della udienza il sig. Adenauer, ripromettendosi di vedermi presto, mi ha quindi consegnato la lettera cui ho accennato, diretta al presidente De Gasperi, formulando i suoi migliori auguri per l’avvenire d’Italia.

539 1 Vedi D. 532.

539 3 Vedi D. 538.

540

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 632/20. Parigi, 18 gennaio 1950, ore 19,05 (perv. ore 4,45 del 19).

Mi riferisco mia conversazione telefonica ieri con segretario generale.

Per quanto concerne E.C.A. Parigi non (ripeto non) è esatto che essa si disinteressi piano Bissell. Al contrario non fa che esercitare pressioni a tutti livelli per accettazione sollecita sostanziale detto piano sia per pagamenti che per scambi.

In questi giorni è stato discusso fra americani Parigi e Washington atteggiamento da tenersi per Finebel: sostanzialmente maggioranza (Harriman in particolare) era d’avviso che Finebel era superato da piano Bissell e come tale conveniva lasciarlocadere. È poi prevalsa opinione lasciar fare, pur escludendo possibilità risultati concreti, ritenendo ciò costituisca movimento buona direzione.

Per quanto concerne ultime proposte francesi esse vanno divise in due parti:

1) Proposta da avanzarsi in sede Gruppo consultivo O.E.C.E. a nome Finebel per liberalizzazione scambi, da parte tutti partecipanti O.E.C.E. (e non soltanto cinque Finebel) su base rapporto esperti e cioè 60 per cento a breve scadenza e 75 per cento entro 31 dicembre 1950. Trattasi in sostanza solo controproposta più restrittiva rispetto al primitivo suggerimento piano Bissell.

2) Accettata questa proposta in sede O.E.C.E. scopo ulteriore Finebel sarebbe quello realizzare (o ritardare) liberalizzazione restante 25 per cento. Francesi, rendendosi conto che tale tappa ulteriore avverrà inevitabilmente sotto pressione americani per tutti partecipanti O.E.C.E., si sono trovati di fronte alternativa: o dichiarare che Finebel non ha ragione di esistere: o lasciare intravedere possibilità che esso vada più in là piano Bissell. Per questo hanno lanciato idea «zona libero scambio».

Governo francese, che avrà molte più difficoltà di noi a fare accettare piano Bissell liberalizzazione, non (ripeto non) ha certo nessuna intenzione realizzare que

sta zona libero scambio. Si tratta una volta di più di fumo. Quindi prevista riunione Finebel si riduce ad «espressione intenzioni» a cui tutti sembrano ormai propensi dare forma nota o semplice dichiarazione e non firma vero e proprio accordo. Per cui mi domando se sia conveniente dare a questa riunione forma così solenne.

Cattani ha molto opportunamente segnalato1 vero pericolo proposta francese, cioè evocare fantasma che poi americani, con loro metodi che cominciamo a conoscere, tenderanno rendere realtà. Siccome questo pericolo non è che troppo vero, varrebbe la pena convocare a Parigi quindici ministri di Gabinetto solo qualora almeno noi fossimo realmente decisi marciare verso zona libero scambio. Qualora non sia così, sarebbe opportuno ridurre riunione a proporzioni più modeste poiché quanto più solenne cerimonia tanto più rischiamo pericolo che americani ci prendano in parola e si mettano spingerci sul serio in quella direzione. Mentre ora sembra che ai fini Congresso piano Bissell sarebbe sufficiente, noi rischiamo sentirci dire niente di meno che zona libero scambio sarà considerata sufficiente: e questa tegola ce la saremo andati a cercare da noi. Con aria che tira politica rincarare la dose per cercare acquistare favore americano può diventare assai pericolosa.

Questione mi sembra tanto grave da ritenere necessario, qualora V.E. concordi, parlarne subito e molto chiaramente a Governo francese2.

539 4 Non pubblicati.

541

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 645/78-79. Londra, 18 gennaio 1950, ore 20,40 (perv. ore 7 del 19).

Telegramma di V.E. 341.

Ho chiesto ieri sera di vedere Strang per ringraziarlo della sua pronta e favorevole comunicazione circa alcuni aspetti del problema della mano d’opera italiana di cui al mio telegramma 752. Mi sono valso di questa occasione per prospettargli con amichevole franchezza — nel quadro delle conversazioni confidenziali intercorse tra questa ambasciata ed il Foreign Office — qualche dubbio che in me era sorto nella ricerca di una esatta interpretazione del recente comunicato dell’ambasciata di Etiopia a Londra (mio 66)3 in relazione: tanto alla favorevole atmosfera dei lavori ginevrini — da tutte le parti segnalatami — quanto ai nuovi dolorosi incidenti Eritrea.

2 Per la risposta di Zoppi vedi D. 545.

2 Del 17 gennaio, non pubblicato.

3 Del 16 gennaio, con il quale Gallarati Scotti riferiva i commenti della stampa inglese agliincidenti in Eritrea e riportava il testo del comunicato dell’ambasciata di Etiopia a Londra, che dichiaravache «gli osservatori mandati a Ginevra, dove il Somaliland Committee sta preparando il “trustee agreement” con l’Italia, hanno reiterato le obiezioni del loro Governo al mandato italiano».

Il sottosegretario permanente mi ha senza reticenze confermato — alla presenza anche di Wright da lui chiamato ad assistere alla conversazione — che l’atmosfera di distensione nella quale si erano fino ad ora svolti i lavori ginevrini aveva infatti superato le più ottimistiche previsioni. Ciò era indubbiamente dovuto alla marcata moderazione italiana, ad un tacito ma sostanziale desiderio etiopico di non precludere le possibilità di accordi ed era stato facilitato dalla continuata azione britannica svolta ad Addis Abeba, che ci era stata da tempo confidenzialmente promessa e preannunciata (mio telegramma 5 del 2 corrente4 e mio telegramma 30 del 6 corrente5).

Il comunicato etiopico era da attribuirsi — secondo informazioni pervenute a Londra — personalmente all’iniziativa dell’imperatore il quale si sarebbe preoccupato di ristabilire un certo equilibrio tattico che poteva apparire alterato da prematuri e pregiudizievoli ottimismi. Strang mi ha ripetuto infatti che per Addis Abeba «un accordo sul problema somalo non poteva considerarsi come fine a se stesso» e doveva invece essere inquadrato in una generale sistemazione dei rapporti italo-abissini che necessariamente coinvolgesse in qualche modo una soluzione o l’impegno per una soluzione della questione eritrea.

È precisa impressione del Foreign Office — aggiunto Strang — che l’imperatore abbia la convinzione che vi siano possibilità di raggiungere gradualmente un vasto compromesso che, in cuor suo, egli in fondo sinceramente auspica. Tuttavia, proprio per questo motivo, l’imperatore non può recedere da una posizione che tuteli e garantisca in qualche modo una connessione del problema somalo con la questione eritrea. Wright, a questo punto, è intervenuto per sottolineare le buone disposizioni di Addis Abeba affermando testualmente che «gli italiani forse non realizzavano ancora fino a dove la comprensione abissina potrebbe giungere qualora Roma non volesse irrigidirsi su di una unica soluzione per l’Eritrea».

Strang, riprendendo il discorso, ha aggiunto che V.E. molto giustamente aveva detto a Mallet6 che se l’Italia doveva parlare di indipendenza nulla vietava di considerare la possibilità di ricercare anche altre intese. Poteva al riguardo affermarsi che il reciproco valeva — secondo le impressioni del Foreign Office — anche per Addis Abeba e cioè che il Governo etiopico, pur mantenendo formalmente ferma la sua tesi, non escludeva con ciò la possibilità di considerare altre soluzioni. A parere di Strang queste erano posizioni iniziali, da una parte e dall’altra, che permettevano e confortavano qui a Londra il proseguimento di utili conversazioni segrete e confidenziali di carattere esplorativo. Tali conversazioni dovevano per ora unicamente servire, senza difficili e delicati prematuri impegni, ad individuare e definire le concrete possibilità di favorevoli soluzioni ed a contribuire al tempo stesso a mantenere, per quanto possibile, la distensione fin da ora registrata.

Nel ringraziare a questo punto Strang per l’azione svolta dagli agenti britannici per contribuire a rasserenare in parte le nostre relazioni con l’Etiopia a Ginevra, ho sottolineato, sempre secondo le istruzioni di V.E., tutta l’importanza che i presenti contatti italo-inglesi non abbiano comunque ad apparire in contrasto con lo specifico

5 Vedi D. 520, nota 1.

6 Vedi D. 508.

compito dell’O.N.U. per l’Eritrea ed in disarmonia con le posizioni rispettivamente assunte dai nostri due Governi anche nei confronti dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale.

Egli ha mostrato molto cordialmente di apprezzare la comunicazione e mi ha assicurato che il Governo britannico si rendeva pienamente conto della reciproca necessità e del comune interesse di mantenere per ora formalmente inalterate le rispettive tesi ufficiali ma che già di per sé era significativo e ricco di speranze il fatto stesso che si potesse amichevolmente approfondire qui a Londra, in tutta franchezza e confidenza, la ricerca di eventuali soluzioni che potevano avere, nei loro non irraggiungibili risultati e sviluppi, dei riflessi importanti sulla stessa politica europea. In proposito ha concluso questo concetto dichiarandomi esplicitamente che il Governo britannico considerava infatti la soluzione dei problemi africani attualmente in esame strettamente connessa con la cooperazione europea.

Circa gli ultimi dolorosi assassini in Eritrea, Strang se ne è sinceramente rammaricato ed ha assicurato che ogni possibile ulteriore misura era stata disposta a tale riguardo in relazione anche al recente invio di rinforzi militari. Al fine di valutarne la portata ha aggiunto che Drew aveva informato che essi dovevano questa volta intendersi degli «atti terroristici indiscriminati» (e cioè non specificamente diretti contro gli italiani come stavano anche a dimostrare le bombe dedicate allo stesso amministratore capo) piuttosto che dei veri e propri «riots» organizzati sistematicamente secondo precisi piani politici.

Non ho mancato naturalmente di manifestare il mio accoramento per simili misfatti e di esprimere la mia preoccupazione per l’incidenza che questi potrebbero avere sulla generale atmosfera.

Ho qui sopra riassunto per V.E. punti principali dichiarazioni di Strang. Esse mi appaiono significative e posso aggiungere anche costruttive. Soprattutto perché da qualche accenno del sottosegretario permanente mi è parso di comprendere che, oltre il manifesto accordo circa lo spirito che deve informare queste conversazioni londinesi, l’oltranzismo britannico per la spartizione della Eritrea si vada ora gradualmente temperando in proporzione diretta di quanto, sia pure lentamente, si delinei la possibilità di quella intesa cordiale V.E. mi ha indicato.

Abbiamo pertanto concordato che, sempre nei limiti già specificati, questa ambasciata proseguirà le sue conversazioni confidenziali al Foreign Office7.

540 1 Vedi D. 530.

541 1 Vedi D. 531.

541 4 Non pubblicato.

541 7 Per la risposta vedi D. 549.

542

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, RAINALDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 647/5. Lussemburgo, 18 gennaio 1950, ore 22,25 (perv. ore 8 del 19).

Bech, considerando riunione ministri affari esteri diretta ad accordo regionale come prematura, ha addotto opportunità attendere anche definizione nostra tariffa doganale.

Giacchè data 23 gennaio prevista per Finebel coincide con genetliaco sovrana richiedente sua presenza Lussemburgo, questo ministro affari esteri non potrebbe partecipare almeno quel giorno riunione Parigi. Bech avendo alluso difficoltà Inscav come analoga quelle Finebel ha tuttavia ammesso differenze nelle posizioni iniziali. Indotto riconoscere valore accordo regionale che ci riguarda fosse anche stipulato inizialmente in termini generici questo ministro affari esteri rimasto perplesso e mi ha dato impressione essere influenzato da presumibili disposizioni animo suoi colleghi Governo granducale se non anche suoi colleghi Belgio e Olanda.

Secondo consigliere Elvinger, in partenza per Parigi riunione esperti 19 corrente, questo Governo sarebbe indotto cercare formula implicante rinunzia attuali riserve a protezione mercato lavoro qualora proposta italiana relativa mano d’opera venisse espressa in senso meno preciso.

543

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 52/200. Parigi, 18 gennaio 19501.

A sua richiesta, ho avuto un lungo colloquio con Bidault sul tema generale dei rapporti italo-francesi.

Gli ho detto francamente che non ero del tutto soddisfatto dello stato attuale dei rapporti fra i due paesi. Il malaise esistente poteva essere fatto risalire a due cause. Da una parte, la mancata ratifica francese degli accordi per l’Unione doganale, mancata ratifica la quale aveva portato, in Italia, ad un raffreddamento di quella sincera e quasi entusiastica atmosfera che si era venuta creando nella opinione pubblica italiana. Da parte governativa ci si rendeva conto delle difficoltà effettive che aveva incontrato il Governo francese: era difficile però impedire che l’uomo della strada non ne traesse la conclusione che la Francia si rifiutava di seguire il suo Governo nella poli

tica di riavvicinamento italo-francese che esso voleva tracciare. Da parte francese era stato invece male interpretato il nuovo atteggiamento italiano in materia di colonie; le ragioni di ciò erano state da noi ampiamente spiegate al Governo il quale, almeno fino ad un certo punto, aveva mostrato di capire: ma l’uomo della strada parlava addirittura di lâchage.

Mi sono anche lamentato con lui dello sfruttamento sproporzionato che era stato fatto, dalla stampa francese, di alcuni articoli italiani circa le relazioni italo-tedesche: si cercava di rappresentare l’Italia come un paese che faceva del ricatto: si cercava di rappresentare la politica di riavvicinamento italo-francese come una politica del tutto personale di V.E., mentre a lui personalmente era noto come tale politica fosse non meno la politica del presidente del Consiglio.

Gli ho aggiunto, in via personale ed amichevole, che dopo la partenza di Chauvel, i rapporti con l’Italia non sembravano interessare più nessuno. Il ministro degli esteri, personalmente, se ne occupava e se ne interessava non meno di lui, ma per tutte le questioni di ogni giorno era difficile andare a disturbare il ministro: era cosa dell’amministrazione e l’amministrazione mi sembrava correre dietro a mille altre idee e lasciare un po’ da parte i nostri rapporti.

In realtà non c’era nulla di grave e di serio, ancora: sul piano pratico era stato rimesso a posto il malinteso Ramadier-Pacciardi di Washington; per la questione delle colonie, sempre sul piano pratico, si stavano, e mi sembrava con successo, ricercando nuove formule di cooperazione. Si trattava più che altro di un processo psicologico che, se non arrestato a tempo, poteva portare ad uno stato di cose che era proprio il contrario di quello che lui aveva tanto fatto per creare. Ne avevo parlato anche a Schuman ed approfittavo dell’occasione per parlarne anche a lui2.

Bidault mi ha detto che si era reso conto anche lui di questo stato di leggero malaise: Schuman gli aveva riferita la conversazione avuta con me: ed era per questo che aveva voluto parlarmene.

Ha ammesso con molta franchezza che nella questione dell’Unione doganale c’era stata colpa del Governo francese: colpa prima nel sottoestimare le possibili opposizioni: colpa soprattutto nel non affrontare subito il problema: prima ancora di procedere alla firma del trattato si sarebbe dovuto fare la necessaria preparazione, in maniera da poter spingere quasi ad un tempo firma e ratifica, senza dare all’opposizione il tempo di organizzarsi. C’era responsabilità anche sua personale: se non fosse stato così fourbu dopo la sua partenza dal Governo avrebbe presa la cosa in mano parlamentarmente. «Un uomo politico non ha nemmeno il diritto di essere stanco». Il Governo Queuille era stato sopratutto impressionato dall’inatteso voltafaccia dei socialisti per ragioni «non francesi».

È poi partito a fondo contro l’amministrazione, punteggiando, come è sua abitudine, il discorso con pugni sul tavolo e abbondanti idiots, imbéciles e anche peggio: è gente che corre dietro alle chimere, vuol inventare il Finebel e chissà quante altre cose, e per questo ha lasciato andare dei progetti meno ambiziosi ma più reali e possibili. Ha insistito sul concetto politico dell’Unione doganale, sulla necessità di un fronte unico contro i tedeschi, ecc.

Ho approfittato di questo accenno ai tedeschi per parlargli dell’accordo siderurgico, spiegandogli la situazione nei termini usati con Schuman. Qui allora le escandescenze di Bidault contro l’amministrazione sono salite di tono. Mi ha chiesto dati, mi ha promesso suoi interventi, mi ha detto che mi inviava il suo capo di Gabinetto per avere i dettagli della questione, di parlarne al più presto con Buron.

Tornando al soggetto principale mi ha chiesto se da parte nostra si dubitava della buona fede sua e di Schuman: gli ho detto, nella maniera più recisa, che da noi non si era mai messa in dubbio la perfetta buona fede sua, di Schuman ed anche di altri ministri od ex ministri. Dopo avermi, su questo, calorosamente strette le mani mi ha spiegato la sua situazione parlamentare.

Aveva avuta una grossa vittoria sulla questione del bilancio: la sua forza era nel fatto che il suo era il solo Governo possibile, salvo un Governo di semplice amministrazione per fare le elezioni: il solo possibile ha ripetuto, perché egli aveva, adesso, il partito bene in mano, ed i suoi amici non avrebbero dato i loro voti a nessuno dei vari possibili candidati alla sua successione, il che equivaleva a rendere ogni altro Governo impossibile. Era su questo che lui giocava: la paura della Camera di andare a nuove elezioni; riteneva il giuoco potesse riuscire: comunque era la sola cosa da tentare; la partita non era finita: aveva ancora qualche settimana difficile da superare. Dopo di questo o lui cadeva e si sarebbe andati alle elezioni, o avrebbe maté il Parlamento. Se la manovra gli riusciva sarebbe stato in grado di imporre al Parlamento anche l’Unione doganale; intanto sia Schuman che lui si erano preoccupati di fare intendere che la cosa non era affatto sepolta. Riteneva, sempre a condizione che il suo giuoco riuscisse, di poterla far passare al Parlamento entro il primo trimestre di quest’anno.

Dopo avermi detto che, d’accordo con quanto gli avevo esposto, i rapporti franco-italiani avevano bisogno di qualche cosa che li rimettesse in primo piano, mi ha aggiunto: «Si je reste, j’irai à Rome: dovrò vedere anche il Papa, ma si intende che la mia visita è per il Governo italiano: ma non voglio andarci a mani vuote: è inutile andare a Roma per fare dei discorsi sulla amicizia franco-italiana: bisogna portare dei fatti concreti: i nostri due paesi ne hanno abbastanza di retorica e la retorica non è il mio genere».

Gli ho risposto che aveva perfettamente ragione e che il metodo da lui scelto era eccellente: avevo piena fiducia (non in realtà al 100%) che sarebbe riuscito nella sua battaglia per imporsi.

La conversazione, durata oltre un’ora, è finita colle sue più aperte assicurazioni di volere continuare ad approfondire il riavvicinamento fra i due paesi.

Non ho bisogno di aggiungere, che, con tutti i suoi difetti, per Bidault le relazioni con l’Italia hanno un interesse non solo politico, ma anche sentimentale, il che per un uomo come lui conta. Per cui credo che effettivamente, se resta, cercherà di fare il possibile. Se resta: effettivamente Bidault sta giuocando d’audacia: fin qui gli è riuscito: era del resto l’unico giuoco che potesse tentare: se riesce fino in fondo, si sarà affermato ed avrà, effettivamente, una certa autorità sul Parlamento. Staremo a vedere.

Mi permetto di attirare l’attenzione di V.E. sulla opportunità di mantenere per ora strettamente segreto quanto egli mi ha detto circa le sue intenzioni di recarsi a Roma. Se resta, è quasi certo che lo farà: altrettanto per il Vaticano che per il Quirinale, senza dubbio; ma lo farà. Anche solo accennarne ora non farebbe che aggiungere delle difficoltà alla sua già difficile situazione parlamentare. Nel complesso il Ministero attuale è di gran lunga il meglio che ci possiamo augurare per i nostri rapporti ed abbiamo, se del caso, più interesse a non creargli difficoltà che il contrario.

543 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

543 2 Vedi D. 519, ma si vedano anche i DD. 401 e 408.

544

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. 483/15. Roma, 19 gennaio 1950, ore 16,30.

Suo 101.

Questione acquisto grano su base nuove proposte sovietiche ha formato oggetto esame da parte C.I.R. Esso ha riconfermato nostro desiderio definire acquisto per consentire soddisfacente realizzazione scambi previsti da accordi commerciali; tuttavia prezzo 90 dollari non appare giustificabile e non può considerarsi accettabile.

Attuale situazione disponibilità granarie non renderebbe infatti necessari altri acquisti e intenzione procedere importazione note 200 mila tonnellate è dovuta sopratutto a desiderio mantenere scambi italo-sovietici a più alto livello possibile.

Inoltre Argentina offre attualmente ulteriori quantitativi frumento, oltre quelli contrattati da accordo, al prezzo dollari 80. Con tali acquisti addizionali Italia si assicurerebbe nuovi mezzi pagamento per esportazioni altrettanto interessanti per nostra economia delle esportazioni verso U.R.S.S.

In vista attuali trattative con U.R.S.S., C.I.R. ha deciso non prendere in considerazione, per il momento, offerta Argentina, in rapporto alla quale prezzo dollari 85 appare oggi svantaggioso e tale da dovere se mai essere ridotto; conferma tuttavia offerta dollari 85, con la quale U.R.S.S. viene a godere praticamente trattamento preferenziale, per dare concreta prova buona volontà e per giungere a definizione favorevole.

Pregasi comunicare quanto sopra codesto Governo ponendo in luce nostri sforzi. Aggiungo che occorrerebbe conoscere al più presto determinazioni sovietiche appunto in relazione offerta Argentina2.

544 1 Del 17 gennaio, con esso Brosio sollecitava una risposta al D. 490.2 Per la risposta vedi D. 551.

545

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. 492/34. Roma, 19 gennaio 1950, ore 19,30.

Da considerazioni prima parte suo telegramma 201 (compreso punto primo) sembra potersi dedurre che esistenza Finebel costituisca presupposto ed elemento essenziale per provocare ulteriore progresso (qualunque esso sia) su via liberalizzazione da parte tutti membri O.E.C.E. Tale appare anche pensiero Harriman. Così essendo situazione, non (dico non) vedesi perché suo atto nascita dovrebbe essere sottovalutato e tenuto in sordina anche se mantenuto nei limiti sinora a noi ufficialmente noti risultanti da noto progetto esperti.

Quanto invece ad eventuale nuova proposta francese per creazione prossima o futura «zona libero scambio», trattasi questione che solo dopo costituzione nuovo Governo2 potrebbe — se confermata — essere sottoposta esame e decisione nostri organi responsabili: a livello tecnico condividiamo tuttavia considerazioni ultima parte suo telegramma circa pericolo evocare fantasmi. Restiamo comunque in attesa informazioni relative primi contatti missione Grazzi.

546

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A TEL AVIV, ANZILOTTI, E AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI

T. URGENTE 500/2 (Tel Aviv) 4 (Gerusalemme). Roma, 19 gennaio 1950, ore 23.

Suo telegramma senza numero del 14 corr.1.

È stato notificato oggi a questo ministro israeliano riconoscimento de jure dello Stato di Israele da parte del Governo italiano. Prego V.S. fare analoga comunicazione a codesto Governo.

2 Il sesto ministero De Gasperi che entrò in funzione il 27 gennaio.546 1 Vedi D. 525.

545 1 Vedi D. 540.

547

L’INCARICATO D’AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 230/53. Madrid, 19 gennaio 1950 (perv. il 21).

Come V.E. avrà forse avuto modo di constatare dalla rassegna inviata da questa ambasciata, la permanenza a Roma del ministro Martin Artajo e della missione che lo accompagnava, ha costituito il principale argomento al quale questa stampa dedicò inquei giorni la sua attenzione. È risultato evidente, specialmente dalle allusioni del falangista Arriba, organo che è considerato interpretare in maniera più ortodossa degli altri il pensiero dei circoli governativi, che Martin Artajo, contemporaneamente alla missione presso il Pontefice, desiderava stabilire più stretti contatti col Governo italiano per gettare le basi, non solo del ritorno di un nostro ambasciatore a Madrid, ma di possibili intese mediterranee.

Di fronte a queste aspettative (è una caratteristica della stampa spagnola quella di non sapere mai presentare gli avvenimenti con realismo), l’opinione pubblica, nella sua ignoranza, ha finito con l’essere delusa che il viaggio non avesse comportato qualche annunzio sensazionale.

I circoli responsabili, tuttavia, gli alti funzionari del Ministero degli affari esteri, l’ambasciatore Sangroniz, e lo stesso ministro Martin Artajo, si sono mostrati oltremodo soddisfatti e veramente grati e riconoscenti al nostro Governo delle accoglienze e delle cortesie delle quali la missione spagnola è stata fatta segno.

Nello stato di isolamento politico nel quale vive questo paese, il solo fatto che il ministro degli affari esteri abbia potuto essere cordialmente ricevuto dal presidente del Consiglio e dal ministro degli affari esteri di un paese democratico come l’Italia, costituisce già di per sé un successo che provoca qui legittima soddisfazione.

Lo stesso incidente occorso all’ambasciata di Spagna presso il Quirinale, appena riportato da questa stampa, è stato mantenuto nelle sue giuste proporzioni. Qualche funzionario lo ha anzi considerato utile perché avrebbe provocato negli ambienti non dell’estrema sinistra la più completa riprovazione.

Il ministro Martin Artajo, col quale ho sempre intrattenuto cordiali rapporti, ha tenuto a marcare la soddisfazione che aveva provocato in lui il viaggio a Roma, offrendo in questi giorni un pranzo in mio onore.

La cortesia, indirizzata evidentemente al mio paese, è da considerare qui del tutto eccezionale, quando si pensi che gli incaricati d’affari non sono in genere molto amati e sono, sempre che la cosa sia possibile, ignorati. Il nuovo incaricato d’affari inglese, per esempio, venuto tre mesi or sono a sostituire il signor Howard, che a sua richiesta ha lasciato la Spagna dopo circa sette anni di permanenza in questo paese, attende tuttora di essere ricevuto da Martin Artajo!

Il ministro mi ha pregato di rinnovare a V.E., al presidente De Gasperi e all’on. Andreotti i suoi sinceri ringraziamenti per le cortesie che gli sono state usate. Ha apprezzato in modo particolare che l’E.V., nonostante i suoi impegni familiari, avesse trovato modo di riceverlo immediatamente dopo il suo arrivo a Roma1.

È rimasto particolarmente grato del tono cordiale delle conversazioni che ha avuto costà, e mi ha fatto comprendere di essere ritornato fiducioso che, fra non molto, appena se ne presenterà un’occasione favorevole, l’Italia procederà alla nomina di un ambasciatore a Madrid.

L’ambasciatore Sangroniz mi ha precisato (riferisco la notizia a scopo di controllo) che l’E.V. avrebbe lasciato intendere che l’Italia non avrebbe più atteso un’analoga iniziativa della Francia e dell’Inghilterra per inviare un suo ambasciatore a Madrid, ma avrebbe proceduto, di propria iniziativa, appena avesse creduto di scorgere un’indicazione precisa in tale senso nell’atteggiamento degli Stati Uniti verso la Spagna.

A proposito degli Stati Uniti, il ministro Martin Artajo ha tenuto a dirmi che ormai il problema della Spagna era nuovamente all’esame del Dipartimento di Stato e che la circostanza che tanto il presidente della Commissione degli affari esteri del Senato, quanto quello della Camera, si erano dichiarati favorevoli all’invio di un ambasciatore a Madrid, faceva bene sperare.

Artajo affermava anzi che Trygve Lie avrebbe espresso l’opinione che certamente avrebbe dovuto riunirsi nuovamente in primavera l’Assemblea delle Nazioni Unite per discutere dell’internazionalizzazione di Gerusalemme. Se questa riunione avesse avuto luogo, egli, Artajo, non dubitava che questa volta il «caso spagnolo» sarebbe stato risolto in maniera favorevole alla Spagna.

Sono state fatte tante congetture su questa questione che non mi azzardo ad avanzare anche le mie, specialmente alla vigilia delle elezioni inglesi. Tuttavia, l’impressione che si ricava da Madrid è che ormai il Dipartimento di Stato sia entrato nel-l’ordine di idee di sbarazzare il terreno dall’ostacolo giuridico costituito dalla mozione del dicembre 1946, non appena la cosa fosse stata tecnicamente possibile.

La questione dell’invio o meno degli ambasciatori è da considerarsi di natura puramente formale. Un invio degli ambasciatori non cambierebbe certamente la situazione spagnola, che dal punto di vista economico diventa ogni giorno più grave.

Tuttavia, se per un approfondito esame di questa grave situazione economica, la presenza degli ambasciatori a Madrid potesse essere utile, penso sopratutto a quello degli Stati Uniti, è da augurarsi che essa possa concretarsi presto. Per quanta irritazione possa talvolta provocare questo regime per la sua caparbietà e per la sua totale inefficienza ed incapacità, il mondo ha tutto l’interesse ad evitare che anche questo paese cada nel caos economico, anticamera di quello politico.

Sembra un paradosso, ma in fondo la situazione della Spagna ha molta analogia con quella della lontana Cina.

Franco è un po’, fatte le debite proporzioni, il Chiang Kai-shek della Spagna. Comprendo perfettamente che gli Stati Uniti possano esitare ad aiutare lui, come hanno esitato ed esitano ad aiutare Chiang Kai-shek; ma con l’abbandono di questo paese al suo destino, come sembra in questo momento accadere con la Cina, rischierebbero di compromettere tutti i risultati finora raggiunti sul terreno del piano Marshall in Europa.

Io non sono di quelli che credono — ma ve ne sono molti — che questo paese possa costituire per le potenze occidentali un interesse di natura positiva. La leggenda, che i sostenitori della Spagna troppo leggermente cercano di accreditare, di una Spagna che costituirebbe un apporto politico e militare nei piani di difesa atlantica e del mondo occidentale, non resiste, a mio avviso, ad un esame critico ed approfondito dei fatti. Ma ritengo che la Spagna costituisca, invece, un interesse di natura negativa, nel senso che le potenze occidentali, sforzandosi di evitare che si ripeta il peggio nella penisola iberica, evitano che questo peggio si propaghi anche al resto dell’Europa. E questo è, senza dubbio, un interesse politico, ed anche militare, di grande importanza.

547 1 Vedi D. 511.

548

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 520/21. Roma, 20 gennaio 1950, ore 14,30.

Suo 39-401.

Siamo disposti in linea di massima mantenere testo già concordato a condizione che tutti paesi continentali facciano altrettanto e che beninteso testo per Inghilterra non contenga miglioramenti di sostanza o anche di forma.

Circa appunti confidenziali, pur rendendoci conto che in parte essi riguardano situazioni che difficilmente si verificheranno nei nostri confronti, ci sarebbe impossibile rinunciarvi anche per ragioni di principio, ad eccezione eventualmente di quelli per i quali tutti indistintamente paesi continentali fossero di accordo in tal senso2.

2 Vedi D. 561.

548 1 Del 17 gennaio, con esso Tarchiani aveva comunicato gli emendamenti allo schema di accordo bilaterale concordati tra Stati Uniti e Gran Bretagna nonché il contenuto degli appunti confidenzialiche avrebbero accompagnato l’accordo anglo-statunitense.

549

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 521/45. Roma, 20 gennaio 1950, ore 16.

Suo 78-791.

Osservazioni di Strang sul finalistico buon volere dell’imperatore mi paiono giuste. Anche per questo bisogna evitare un compromesso dal di fuori cioè solo anglo-italiano. Continuando le conversazioni confidenziali nel quadro delle istruzioni di cui al mio telegramma n. 342 prego V.E. fare sentire sempre più costì quanto ci sembra importante nell’interesse comune che codesto Governo favorisca dal di dentro cioè da Etiopia ad Eritrea una disposizione conciliativa su quelle basi sia di compromesso etiopico-eritreo sia di larghe possibilità di lavoro in Etiopia che possono aprire nuovi orizzonti. V.E. ripeta chiaro che noi possiamo favorire tali svolgimenti mentre non potremmo senza perdita di onore abbandonare tesi indipendenza che formulammo O.N.U.

550

L’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 722/19. Rio de Janeiro, 20 gennaio 1950, ore 14,55 (perv. ore 21,30).

Suo 91.

Prendo atto comunicazioni datemi. Ritengo secondaria questione circa priorità stipulazione accordi che sono ancora in corso negoziato. Ritengo invece urgente che questa ambasciata sia messa in condizione definire anche testo convenzione emigrazione. È proprio questa definizione che oltretutto, in caso che difficoltà dovute a resistenze brasiliane ritardassero conclusioni negoziati commerciali, potrebbe servire come argomento tattico anche per forzare conclusione accordi commerciali. Recisa dichiarazione che non si farà un accordo senza l’altro (per quanto anche nell’ultimo colloquio con Fernandes io e Pietromarchi abbiamo concordemente rilevato stretta relazione due temi nei termini che ho illustrato con mio rapporto a V.E. 181/42 del 18 corrente)2 può essere, a mio avviso, allo stato attuale, controproducente dato anche

2 Vedi D. 531.

2 Non pubblicato.

che preme maggiormente a questo Governo accordo emigrazione. Dichiarazione sarebbe invece efficace quando testo accordo emigrazione fosse interamente concordato e non (dico non) rimanesse altro che fissarne stipulazione.

Perciò, pur rendendomi conto complessità anche nostro negoziato, permettomi insistere sopra necessità comunicazioni telegrafiche su testo convenzione e miei rapporti fornendomi rilievi e istruzioni. Se i negoziati emigrazione dovessero continuare a dilazionarsi mio avviso che può derivarne pregiudizio senza giovare a stessi negoziati commerciali che da parte delegazione proseguono attivamente.

549 1 Vedi D. 541.

550 1 Vedi D. 536.

551

L’AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 723/13. Mosca, 20 gennaio 1950, ore 21,02 (perv. ore 21,30).

Telegramma ministeriale 151.

Comprendo e condivido ragioni per le quali prezzo 90 richiesto Menshikov non appare accettabile. Tuttavia occorre tener presente che insistendo su 85 noi arriveremmo certamente alla rottura delle trattative. Inoltre è da rilevare che con telespresso 15559 del 15 novembre2 nostro delegato era stato autorizzato a prezzo massimo 87,22 ed in relazione a ciò avevamo formulato offerta 85 lasciando intendere, come da me comunicato con telegramma 2493, che avrebbe potuto spostarsi ancora qualche punto. Per di più noi abbiamo sollecitato anche in sede politica una contro-offerta sovietica e l’abbiamo ottenuta cosicché il respingerla totalmente restando fermi su nostre posizioni significherebbe voler rompere trattative e dimostrare noi quel disinteresse prosecuzione accordo commerciale che prima giustamente attribuivamo ai sovietici. Infine legittimi confronti che noi possiamo fare con altre offerte trovano un limite efficace oltre che nella differenza noli, nella particolare situazione dei rapporti coi sovietici e sopratutto nel livello prezzi praticati da nostre industrie e nel loro interesse a lavorare in base a contratti già conclusi. Tutto ciò tenuto presente io ritengo soprassedere momentaneamente dal dare risposta questo Governo e di proporre una nostra adeguatamente motivata controproposta finale effettivamente irrevocabile a 87,50 come punto di incontro equo fra le due posizioni. Su questo noi potremo irrigidirci rigettando in ogni caso sui sovietici responsabilità rottura. Resto in attesa cortesi istruzioni4.

2 Non pubblicato.

3 Vedi D. 433.

4 Il seguito della trattativa sarà pubblicato nel volume successivo.

551 1 Vedi D. 544.

552

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 232/67. Vienna, 20 gennaio 1950 (perv. il 23).

Mi è stato consegnato oggi da questo Ministero degli esteri il pro-memoria di risposta al recente memorandum, pervenutomi in allegato al telespresso di V.E. segr. pol. n. 1392 del 17 dicembre u.s.1.

Ne rimetto in allegato copia, accompagnata da una prima traduzione.

ALLEGATO

IL MINISTERO DEGLI ESTERI D’AUSTRIA ALLA LEGAZIONE D’ITALIA A VIENNA

PROMEMORIA (TRADUZIONE). Vienna, 20 gennaio 1950.

Nel promemoria consegnato il 21 dicembre 1949 dal signor ministro d’Italia a Vienna, il Governo italiano ha nuovamente fatto presente il suo punto di vista, secondo il quale le deliberazioni del Consiglio dei ministri austriaco del novembre 19482 avrebbero esercitato una coazione sugli optanti e che pertanto da parte italiana si doveva mettere in dubbio la serietà delle dichiarazioni di riopzione presentate dopo il 27 novembre 1948 ed ha inoltre proposto un chiarimento verbale su di un piano politico e diplomatico, per eliminare attraverso tale scambio di vedute le discordanze che, a suo parere, sarebbero sorte in conseguenza di tali deliberazioni del Consiglio dei ministri.

Il Governo federale è convinto anche da parte sua della necessità di non lasciare più a lungo inalterato l’attuale così insoddisfacente stato delle trattative circa la sistemazione del problema degli optanti, e annette il maggior peso a poter conoscere con chiarezza se esso possa contare su di una più rapida esecuzione delle necessarie misure per l’accoglimento dei rioptanti nell’ambito dello Stato italiano, conformemente alle disposizioni dell’Accordo di Parigi3. Esso prende pertanto conoscenza con grande soddisfazione della proposta di conversazioni verbali sull’argomento in parola.

Conversazioni che, secondo il proprio parere, e ove esse non debbano fino dal principio essere destinate all’insuccesso, dovrebbero prescindere dall’entrare in lunghe discussioni sul carattere e sugli effetti delle predette deliberazioni del Consiglio dei ministri. Perché il Governo federale deve declinare nel modo più assoluto di riconoscere qualsiasi impegno, tanto di carattere giuridico, quanto anche soltanto di carattere morale, a concedere ai rioptanti la citta

2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 769.

3 Vedi serie decima, vol. IV, D. 251.

dinanza austriaca, impegno contro il quale avrebbero urtato le già più volte citate deliberazioni del Consiglio dei ministri, oppure di ammettere, contrariamente alla sua piena convinzione, che tali deliberazioni intendessero esercitare una coazione, o l’abbiano in effetti esercitata. A tali discussioni mancherebbe pertanto ogni base giuridica. Né potrebbero esse evitare il dibattito circa il concetto di coazione nel suo generale significato, né quello circa lo sviluppo storico del problema degli optanti e del modo come esso è attualmente trattato in Italia.

Il Governo federale crede piuttosto che compito essenziale di tali conversazioni dovrebbe essere quello di trovare una base accettabile dalle due parti, in base alla quale dovrebbero venire prese in considerazione, in reciproco accordo, delle regolamentazioni di carattere pratico, in modo da poter raggiungere immediatamente risultati positivi, eliminare le esistenti discordanze e rafforzare e ampliare in modo amichevole l’accordo tra i due Governi sulla questione degli optanti.

Per raggiungere tali risultati le regolamentazioni prese in considerazione dovrebbero essere di carattere tanto comprensivo quanto definitivo, e cioè assicurare che, dopo la conclusione e l’applicazione dei previsti accordi supplementari, lo stato di cittadinanza che spetta a tutti i rioptanti sia regolato in modo definitivo e chiusa quella fase intermedia, le cui conseguenze pesano attualmente sui rapporti tra i due Governi.

Qualora le relative regolamentazioni a questo scopo dovessero comprendere tanto i rioptanti che attualmente sono già rientrati in Italia quanto quelli che si trovano ancora in Austria, e dovessero inoltre tener conto dell’inconfutabile dato di fatto, che l’Accordo di Parigi, della cui pratica applicazione in fondo sempre si tratta, prevede la regolamentazione del problema dei rioptanti in modo generoso e pertanto il rientro del maggior numero possibile di rioptanti stessi in Italia o per lo meno la riconcessione della cittadinanza italiana, in tal caso il Governo federa-le è d’altra parte disposto, ove potessero essere assicurati pratici risultati nel senso predetto, di prendere in esame la concessione della cittadinanza austriaca ai rimanenti optanti, a meno che non vi si oppongano determinati motivi di carattere individuale. Garantirebbe anche a un ristretto numero di rioptanti, dopo riottenuta la cittadinanza italiana, di continuare a risiedere in Austria alle normali condizioni previste per il soggiorno degli stranieri, sempre che si tratti di un numero di persone di misura proporzionata a quello degli altri italiani viventi in Austria.

Il Governo federale propone la data del 7 febbraio prossimo per l’inizio delle previste conversazioni e si riserva di far conoscere il nome del suo rappresentante da inviare a questo scopo a Roma, qualora il Governo italiano sia d’accordo con tale data e con le sopra accennate basi di discussione.

552 1 Vedi D. 484.

553

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI,

ALL’AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO

T. 545/5. Roma, 21 gennaio 1950, ore 15,30.

Seguito telegramma n. 2 del 17 corr.1.

Pregasi presentare urgenza cotesta autorità nota nella quale V.E., dopo aver confermato in termini cortesi e precisi nostra richiesta sblocco beni, aggiungerà che Governo italiano è pronto dare precise assicurazioni circa:

a) sollecito esame reclami riferentisi articolo 78 trattato;

b) liquidazione reclami stessi secondo criteri adottati, per analoghi casi americani, inglesi, francesi;

c) sollecito esame rivendicazioni canadesi che si riferiscono altre clausole trattato pace;

d) accordo, sulle linee Financial agreement italo-inglese aprile 1947, per crediti commerciali prebellici.

Nel consegnare nota V.E. troverà modo far presente codesto Ministero esteri che accoglimento nostra richiesta dissequestro beni favorirà in misura notevole sviluppi prossime trattative civilian relief 2.

554

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 563/50. Roma, 21 gennaio 1950, ore 21.

Suo 841.

Nostra delegazione Ginevra ha avuto cura fin dal principio informare Fletcher Cook che eravamo in contatto con delegazione etiopica per stabilire di comune accordo linea amministrativa provvisoria in attesa delimitazione confini della Somalia. Fletcher Cook è stato anche informato delle richieste etiopiche, e sarà tenuto al corrente dell’andamento dei negoziati, anche in relazione a interessi del Regno Unito nella regione. Noi aspiriamo giungere con l’Etiopia a un modus vivendi che eviti incidenti sul confine somalo, e non dubitiamo che Governo britannico concorderà in questa opportunità, e ci farà conoscere a Ginevra suo punto di vista.

2 Con T. 830/12 del 23 gennaio Di Stefano assicurò di aver eseguito le presenti istruzioni.

Nel corso conversazioni con delegazione etiopica, è stata anche da parte etiopica sollevata questione riparazioni e questione Eritrea. Nostro rappresentante ha dichiarato che eravamo pronti entrare in negoziati per regolare riparazioni, e quanto a Eritrea era nostra intenzione attenerci a procedura Commissione d’inchiesta, il cui lavoro intendevamo non pregiudicare con impegni prematuri.

Ad ogni modo Governo britannico sarà tenuto al corrente dello sviluppo che queste conversazioni, per ora assai generiche, potessero nel prosieguo avere.

553 1 Vedi D. 537.

554 1 Del 19 gennaio, con il quale Gallarati Scotti riferiva l’informazione confidenziale avuta daClutton per la quale il Foreign Office era tenuto costantemente informato dallo State Department dei contatti italo-etiopici.

555

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, A GINEVRA

T. S.N.D. 564/15. Roma, 21 gennaio 1950, ore 23.

Suo 341.

Voglia dire Spencer che non ci rifiutiamo avere scambio idee con l’Etiopia anche su questione Eritrea e che saremmo felicissimi di intenderci, ma che non possiamo assumere impegni in contrasto con decisioni Assemblea generale né condizionare modus vivendi frontiera Somalia ad accordo per Eritrea. Ciò equivarrebbe tra l’altro a subordinare applicazione decisione O.N.U. per Somalia a eventuale violazione decisione O.N.U. per Eritrea. Assemblea generale ha adottato un piano sistemazione ex colonie italiane, che non concerne solo l’Eritrea, ma anche Libia e Somalia. Noi accetteremo decisioni Assemblea per Eritrea, come abbiamo accettato quelle per Libia e Somalia. Nella fase attuale nostro desiderio è che Commissione inchiesta possa provvedere al suo lavoro in condizioni obiettive, e formuli sue proposte senza pressioni esterne e senza che si creino situazioni artificiali. Potremmo impegnarci, ove lo facessero anche tutti gli altri Stati interessati, ad accettare tali proposte ma ci sarebbe moralmente difficile anche di fronte opinione pubblica italiana ed eritrea assumere tale impegno unilateralmente.

Per quel che concerne modus vivendi per Somalia, da parte nostra siamo sempre pronti concluderlo, venendo largamente incontro desideri Etiopia. Abbiamo già dato prova nostro spirito conciliante, con assicurazioni e impegni che abbiamo assunto circa limitato invio forze in Somalia, e intendiamo trattare questione linea amministrativa nello stesso spirito. Non possiamo tuttavia sacrificare alla utilità di un modus vivendi per la Somalia la possibilità di una equa soluzione della questione eritrea.

555 1 Del 20 gennaio, con il quale Brusasca aveva riferito le informazioni avute da Spencer, secondo le quali il negus considerava il regolamento positivo della questione eritrea condizione preliminare diogni intesa generale con l’Italia. Spencer aveva anche sostenuto che se l’Italia non avesse rinunciato all’indipendenza dell’Eritrea il negoziato per la linea amministrativa Somalia-Etiopia sarebbe stato inutile.

556

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI

T. 572/6. Roma, 21 gennaio 1950, ore 23,15.

Verso fine settimana prossima si inizierà Ginevra esame questione Gerusalemme e non (dico non) è escluso che osservatore italiano sia ammesso seguire lavoriComitato tutela. È quindi urgente quanto prospettato in mio telegramma n. 21. D’altra parte data presenza due ministri rispettivamente Tel Aviv e Amman ed assicurata presenza Gasparini Gerusalemme, sua permanenza costì appare ormai superflua. Per Pasqua provvederemo adeguatamente a suo tempo. Telegrafi2.

557

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE AD ANKARA, R. PRUNAS

TELESPR. URGENTE 15/316. Roma, 21 gennaio 1950.

Riferimento: Telespresso di V.E. n. 13/8 del 2 c.m.1.

Questo Ministero ha esaminato il controprogetto turco per un accordo di amicizia, conciliazione e regolamento giudiziario, e concorda nell’opportunità di dare maggiore rilievo all’accordo medesimo chiamandolo «trattato» invece di «convenzione» e rinforzandone il preambolo.

Da un punto di vista tecnico va tuttavia osservato che, nel preambolo proposto dai turchi, l’alinea secondo («liene d’amitié») dovrebbe precedere l’alinea primo che, a giudizio di questo Ministero, nella terminologia propria di tal genere di accordo, andrebbe meglio così redatto «soucieux de suivre, en toute circonstance, une politique de bonne entente». Sempre nel preambolo, all’alinea terzo si potrebbe dire «selon les principes du droit international, ecc.» invece di «selon les principes les plus élevés ecc.».

Non si hanno obiezioni all’accoglimento della proposta turca di inserire nel nuovo accordo, con l’art. 3, una riserva che già figurava nel trattato del 1928 per le questioni connesse coi diritti di sovranità2. All’ultimo capoverso sembra tuttavia pleonastica l’espressione «et qui appartiennent au passé», che pertanto potrebbe essere omessa.

A maggior chiarimento si rimettono qui uniti i testi del preambolo e dell’art. 3 con le variazioni da noi proposte.

È inteso che la firma del trattato avrà luogo costì. Nei contatti con questa ambasciata di Turchia si è capito che ciò corrisponde ad un vivo desiderio di codesto Governo. Lo scambio delle ratifiche avrà invece luogo a Roma; in tal senso va quindi completato l’art. 25.

Con telespresso 32/030 del 19 c.m.3 le vengono inviati gli schemi delle note da scambiare in materia culturale.

Definiti i testi, ella potrà sen’altro concordare con codesto Ministero degli affari esteri la data della firma e altre modalità, fra cui anche un comunicato da pubblicare contemporaneamente a Roma e Ankara. Questo Ministero provvede frattanto ad inviarle lo strumento dei pieni poteri relativi.

Con riferimento al telespresso ministeriale n. 00105 del 4 c.m.3, si informa infine che da parte nostra è stato accennato a questa ambasciata di Turchia che la firma del trattato di amicizia e conciliazione potrebbe essere occasione propizia per l’atteso provvedimento di clemenza in favore dei quattro cittadini italiani detenuti politici.

Voglia riferire telegraficamente appena possibile4.

556 1 Del 13 gennaio con il quale Zoppi aveva prospettato la possibilità della nomina di Silimbaniad osservatore presso il Consiglio di tutela per la questione di Gerusalemme.2 Con T. 817/7 del 23 gennaio Silimbani si dichiarò disponibile al trasferimento a Ginevra perl’inizio dei lavori del Consiglio di tutela.557 1 Vedi D. 503. 2 Vedi serie settima, vol. VI, D. 134.

558

IL MINISTRO A PRAGA, VANNI D’ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 112/74. Praga, 21 gennaio 1950 (perv. il 25).

Riferimento: Telespresso di questa legazione n. 95/63 del 18 corr.1.

Col telespresso in riferimento ho già segnalato la calma apparente che caratterizza l’attuale fase del conflitto tra la Chiesa cattolica ed il Governo ceco. Questo ha ora impartito direttive agli organi periferici in merito al giuramento degli ecclesiastici.

Esse confermano sostanzialmente la nuova politica governativa per ciò che riguarda l’applicazione delle leggi ecclesiastiche: rinunzia ad ogni chiasso propagandistico sulle reazioni dei sacerdoti alle nuove disposizioni ed azione nascosta, nei riguardi di singoli individui, per ottenere l’adesione alla politica governativa. Tale azione viene svolta per ora soprattutto nei confronti di tutti quei sacerdoti che si mostrano più coraggiosi e conseguenti e specialmente di coloro, che, dopo aver letto le lettere pastorali dei vescovi, rifiutarono di inoltrare domanda di grazia: molti di essi vengono anche ora imprigionati e processati. Gli stessi avvocati difensori, assegnati loro d’ufficio, li preavvertono che non possono in nessun caso attendersi una condanna a meno di due anni.

Del pari nel più assoluto silenzio è stata iniziata la richiesta del giuramento di fedeltà allo Stato. I sacerdoti vengono singolarmente invitati a presentarsi presso le

autorità locali che li intrattengono in discussioni che spesso si protraggono a lungo (mi è stato riferito che talvolta essi trovano pronti vino e sigarette in previsione di una lunga seduta) e successivamente presentano loro un foglio contenente la formula del giuramento, invitandoli a sottoscriverla. Quasi tutti gli ecclesiastici però aggiungono al testo del giuramento la formula di riserva disposta dall’Episcopato. I funzionari statali fanno allora presente che il giuramento è invalido ed invitano nuovamente a leggere il testo ed a firmare senza alcuna condizione. In genere i sacerdoti aggiungono nuovamente la riserva e la cosa si ripete più volte. La maggioranza in ogni caso o rifiuta di sottoscrivere il giuramento o sottoscrive esprimendo a voce la riserva. A coloro che rifiutano di firmare vengono concessi tre giorni di tempo per farlo, sotto la minaccia della sospensione dalla funzione sacerdotale e dell’assegnazione ai lavori comuni.

Contemporaneamente gli ufficiali di stato civile hanno ricevuto l’ordine di svolgere opera di persuasione presso coloro che celebrano il matrimonio civile affinché non ripetano la funzione religiosa. Analoga propaganda viene svolta contro il battesimo.

Mi risulta ancora che lo Stato avrebbe intenzione di abolire un certo numero di parrocchie, che sono già scarse attualmente, e di rafforzare contemporaneamente la scismatica «Chiesa cecoslovacca». Questa dovrebbe in futuro ottenere l’adesione del 25% della popolazione della Boemia e della Moravia. Per il momento sembra del tutto assurdo che tale piano possa essere attuato, in quanto la Chiesa cecoslovacca ha finora registrato solo gravi perdite nei suoi effettivi, ma è pensabile che gli organi statali svolgeranno pressioni sulla massa operaia perché faccia atto di adesione.

L’azione di questo Governo riprende pertanto in maniera più subdola e penetrante. Funzionari statali si sono introdotti anche nelle conferenze pastorali dei sacerdoti, nei pochi luoghi dove esse sono state autorizzate. In genere essi incontrano una ferma resistenza da parte degli ecclesiastici, che resistono su tutti i punti in contrasto. Mi viene però anche segnalato il verificarsi di alcune defezioni, mentre non è da sottovalutare il pericolo di gravi ripercussioni nell’opinione pubblica, allorché trapelerà notizia che i sacerdoti hanno giurato fedeltà allo Stato comunista, senza che, naturalmente, venga fatto sapere che essi hanno prestato giuramento colla nota riserva.

557 3 Non pubblicato.4 Il 6 febbraio (T. 1362/8) Prunas comunicò l’adesione del Governo turco alle modifiche esuggerimenti contenuti nel presente telespresso.558 1 Non pubblicato.

559

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 575/26. Roma, 22 gennaio 1950, ore 16.

Generale Gandini ha segnalato a Stato Maggiore difesa aver riportato impressione in suoi contatti con alti ufficiali francesi che alcuni ambienti militari Parigi sostengono opportunità spostamento su Appennino tosco-emiliano del limite tra Gruppo regionale Europa occidentale e Gruppo Europa meridionale previsto da «Standing Group» su linea Ginevra-Vienna.

Secondo nostro Stato Maggiore, tale tesi, qualora prevalesse, potrebbe avere conseguenze gravissime per noi riducendo, in caso di attacco dall’est, nostro esercito a compito ala destra schieramento francese ed agganciandolo a manovra anglo-francese di difesa elastica tra Elba e Reno con prevedibile sua ritirata su Alpi occidentali e conseguente abbandono tutto territorio nazionale.

Non (dico non) sarebbe giudicata dai nostri militari garanzia sufficiente nostra partecipazione organi Gruppo regionale Europa occidentale.

Tesi accennata sarebbe appoggiata da parte inglese rispondendo essa a nota concezione Montgomery ma osteggiata dagli americani.

Stato Maggiore ha già impartito istruzioni generale Levera a Washington e generale Gandini a Parigi perché si oppongano prevalere predetta tesi.

Prego V.E. accertare reale consistenza tali informazioni e, qualora risultino confermate, svolgere ogni utile azione in appoggio punto di vista nostri capi militari; facendo anche presente che, qualora loro tesi non venisse accettata ci vedremmo costretti chiedere riesame organi superiori Patto; ciò che tuttavia vorremmo evitare per non turbare atmosfera generale cooperazione fin qui mantenuta. Pregola telegrafare1.

560

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 798/102-103-104. Londra, 22 gennaio 1950, ore 22,15 (perv. ore 7 del 23).

Telegrammi di V.E. 34 e 451.

Dopo il mio colloquio con Strang (mio telegramma 78)2 d’Ajeta ha ripreso le sue conversazioni esplorative con Clutton. Ne riassumo di seguito loro sostanziale contenuto.

Capo Dipartimento africano, dopo aver esattamente fatto il punto di questi scambi di idee londinesi, ha attirato tutta seria attenzione italiana su assoluta ed urgente necessità che non si perda di vista primo e più immediato obbiettivo che è quello giungere con Etiopia una tale distensione che permetta:

1) un nostro pacifico e tranquillo ritorno in Somalia;

2) una normalizzazione della situazione Eritrea;

3) la possibilità di ricercare — in base ad alcune pronte premesse sopratutto di reciproca buona volontà di cui poteva essere tramite e depositaria Gran Bretagna — con più calma e serenità una soluzione per l’Eritrea, soluzione che sarebbe illusorio si potesse credere di definire improvvisamente in una atmosfera di viva polemica (per

2 Vedi D. 541.

non prevedere ora altro), come alcuni sembravano credere, lasciando separato, e per ultimo, l’esame del problema eritreo stesso da tutto il complesso delle questioni da risolvere tra Etiopia ed Italia.Appariva chiaramente essere inoltre precipuo interesse italiano quello di allargare subito, al massimo possibile, l’impostazione del negoziato per cercare di includervi, fin dagli inizi, quegli affidamenti in materia di collaborazione economica che dovevano giustamente essere — secondo i nostri precedenti colloqui — il corrispettivo etiopico a nostri sacrifici e l’argomento più solido e pratico per convincere al momento opportuno opinione pubblica sulla saggezza di un vasto compromesso, realistico e lungimirante.

Come «last but not least», ha infine aggiunto Clutton, era veramente pregiudizievole per una esatta e tempestiva valutazione della situazione, e di conseguenza delle effettive possibilità di un’intesa italo-etiopica a tanti fini auspicabile, «to beat around the bush» del problema eritreo credendo che alcuni parziali accordi tecnici e generiche promesse reciproche per il futuro potessero sia imbastire i presupposti per una intesa a tutti così necessaria, sia garantire l’Italia, al momento del suo ritorno in Africa orientale da una deprecabile timorosa inimicizia etiopica.

Del resto — ha concluso Clutton — le informazioni che al riguardo il Governo italiano avrà potuto raccogliere in questi tempi a Ginevra come a Washington lo avranno persuaso da un lato del vivo desiderio etiopico di arrivare a degli accordi con l’Italia, dall’altro dell’inscindibile collegamento che Addis Abeba faceva di tutti i possibili problemi italo-etiopici con la questione eritrea.

Se volevamo quindi fare questo primo concreto passo avanti verso un chiarimento ed un successiva intesa, era indispensabile ed urgente — dato il nostro imminente ritorno in Somalia ed il prossimo arrivo della Commissione O.N.U. in Eritrea — che dovessimo prima di tutto accordarci sul programma precedentemente chiamato «a breve termine».

D’Ajeta non ha escluso che fosse forse esatta questa convinzione sempre espressa da parte britannica e ha dichiarato che, con il fatto stesso di autorizzare questi sondaggi confidenziali ed amichevoli, il Governo italiano le riconosceva qualche fondamento ed in ogni modo dimostrava sua buona volontà. Tuttavia, dopo un attento esame dei primi suggerimenti di Clutton (riassunti nel mio telegramma 63)3 circa il programma «a breve scadenza» doveva personalmente obbiettare:

a) che non appariva possibile pretendere che da parte italiana si «vuotasse il sacco» e si rinunziasse in effetti alla tesi indipendentista per una semplice «tregua» etiopica;

b) che, come Strang aveva pienamente riconosciuto nel colloquio avuto con ambasciatore d’Italia2, bisognava assolutamente garantirci, nel reciproco interesse italo-britannico, dal pericoloso sospetto di segreti accordi bilaterali o triangolari contrari alle nostre intenzioni ed al trend dell’opinione pubblica internazionale. Era perciò essenziale che al più presto una «facciata internazionalistica» tutelasse tutti da possibili illazioni sugli eventuali primi risultati di queste amichevoli conversazioni; dietro alla quale fosse anche possibile tanto definire e porre in atto al più presto quel

minimo necessario per una concreta reciproca distensione con Addis Abeba, quanto approfondire le basi per una successiva vasta ed allora definitiva intesa che potesse riscuotere una approvazione internazionale;

c) che, per i motivi sopra accennati, dovevano anche essere fin da ora studiate le modalità più opportune con le quali tale eventuale concordanza di vedute triangolari dovesse poi a suo tempo estrinsecarsi internazionalmente;

d) infine, che sembrava illogico che l’Italia potesse ex abrupto rinunziare, anche solo di massima e persino nei limiti di queste conversazioni non impegnative, alla sua tesi per l’Eritrea senza avere qualche precisa garanzia per i suoi interessi virtuali e potenziali in Africa orientale; cioè senza che Roma potesse avere un’idea molto più chiara della futura soluzione eritrea ed in particolare delle necessarie garanzie per i suoi interessi e dell’effettiva ampiezza di possibili accordi di carattere economico.

Dopo prolungati reciproci scambi di idee e di propositi sulle esposte obbiezioni, Clutton — che ne ha infine riconosciuto il fondamento — ha dichiarato che: per il punto a) riconosceva tutta l’inopportunità che l’Italia dovesse rinunziare ora pubblicamente e diplomaticamente alla sua tesi indipendentistica. Considerava pertanto caduta la sua primitiva richiesta di un’azione preventiva presso i Governi latino-americani (mio telegramma 63) come pure il suggerimento di svolgere in loco un’azione di persuasione atta a modificare la spontanea (dico spontanea) espressione delle collettività italiana o filo-italiana. Senza abiurare dalla sua tesi di massima, era sufficiente per Clutton che il Governo italiano nei suoi prossimi contatti con la Commissione del-l’O.N.U. le significasse che da parte italiana non si escludeva una soluzione di compromesso che tutelasse, s’intende, tutti i diritti e gli interessi italiani, presenti e futuri.

Per i punti b) e c) che era nettamente d’accordo di escludere, in tutte le sue possibili apparenze, ogni previo accordo segreto, bilaterale o triangolare. La Commissione d’inchiesta dell’O.N.U., opportunamente consigliata e manovrata, era da un lato il «paravento» naturale per «moralizzare», se ve ne fosse bisogno, questi onestissimi e realistici sondaggi di Londra e dall’altro il vero organo internazionale che poteva — nell’interesse superiore della pace — presentare quali sue raccomandazioni (quindi garantendo i Governi da ogni illazione e ripercussione) le eventuali intese raggiunte tra le stesse parti interessate.

Con tali chiarimenti — che riteneva potessero essere anche accettati Addis Abeba — Clutton ha aggiunto che gli sembrava si dovesse pensare ora seriamente a realizzare subito i presupposti per un urgentissimo programma «a breve scadenza». Un’intesa di massima su tale programma poteva fra l’altro offrire, nel quadro delle relazioni italo-britanniche, un concreto favorevole argomento su cui opportunamente concordare in occasione del molto prossimo passaggio da Roma del ministro degli esteri inglese. Egli si proponeva quindi di presentare martedì mattina, in una successiva conversazione, un progetto di dichiarazione (di cui potrebbe essere depositario confidenziale il Governo britannico dopo che questa avesse riscosso, s’intende, tutti i crismi ufficiali) nella quale Italia ed Etiopia senza parlare di indipendenza, di annessione o di federazione, si rimetterebbero alla decisione della Commissione O.N.U. assumendo l’impegno, da una parte e dall’altra, di non ostacolare artificiosamente l’inchiesta. Vi sarebbe tuttavia garantita la spontanea manifestazione delle aspirazioni delle diverse collettività e minoranze locali. Secondo Clutton in questa dichiarazione dovrebbe inoltre esser fatto un cenno specifico, nella possibilità che la raccomandazione della Commissione d’inchiesta dovesse proporre una soluzione diversa da quella della indipendenza, fin da ora ad ampie garanzie per la collettività italiana ed un qualche preciso riconoscimento del nostro interesse allo sviluppo di una cooperazione economica e di lavoro con l’Etiopia.

D’Ajeta si è riservato di esprimere un parere, anche di carattere personale, quando avrà potuto conoscere il «wording» del progetto inglese. Ha tuttavia subito osservato che un’accettazione «in bianco», sia pure di massima, della raccomandazione della Commissione O.N.U. limitava l’azione diplomatica che avremmo potuto svolgere all’Assemblea se non per far vincere una nostra tesi almeno per ostacolare qualche progetto a noi troppo contrario. Quindi, anche se la necessità di una realistica valutazione della situazione da parte del nostro Governo potesse consigliare Roma ad accettare una tale procedura — che da un punto di vista formale dava indubbiamente molte garanzie per escludere tutte le apparenze di un mercato segreto — era ben necessario approfondire al più presto anche il programma «a più lunga scadenza», almeno nelle sue linee essenziali, poiché non appariva possibile di considerare una tale procedura se dovesse unicamente mascherare — per parlare con ogni franchezza — l’intenzione di far trionfare, senza opposizione, la vecchia tesi annessionista.

Clutton, pur insistendo sulla obbiettiva necessità di raggiungere al più presto una possibile intesa sul programma «a breve termine», si è dichiarato — per la prima volta — d’accordo sull’opportunità di collegare immediatamente tale primo programma con la ricerca, a grandi linee, di una soluzione per l’Eritrea. Ha pertanto suggerito di scambiare martedì mattina con d’Ajeta — a titolo personale — il promesso progetto inglese per un programma «a breve scadenza» con una nostra concreta proposta per una soluzione di compromesso per l’Eritrea.

Clutton ha dato nel corso della conclusione di questa conversazione una pur vaga impressione che vi siano ora delle più precise possibilità per un concreto negoziato sul futuro dell’Eritrea.

In relazione a quanto sopra è stato esposto e riferendomi alle direttive di massima di V.E. (suoi telegrammi 34 e 45) autorizzerò d’Ajeta — qualora non riceva istruzioni in contrario da V.E. — a portare in maniera opportuna a conoscenza di Clutton, martedì mattina, la sostanza della lettera diretta a Tarchiani ed allegata alla lettera ministeriale n. 3/3236 del 13 gennaio4. Del resto se il passo indicato da V.E. è stato già compiuto presso lo State Department, non ho dubbi che gl’inglesi sino già a conoscenza del suo specifico contenuto: ossia della nostra prima nuova concreta proposta per l’Eritrea. Per questo sopratutto ritengo significativa l’offerta di Clutton5.

5 Per il seguito vedi D. 568.

559 1 Tarchiani rispose (T. s.n.d. 875/72 del 24 gennaio) che il Dipartimento di Stato, pur ritenendoassai improbabili tali orientamenti anglo-francesi, aveva assicurato il proprio interessamento presso leAutorità militari.

560 1 Vedi DD. 531 e 549.

560 3 Vedi D. 524.

560 4 Non rinvenuto.

561

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 841-843/65-66. Washington, 23 gennaio 1950, ore 23,17 (perv. ore 10 del 24).

Suoi 211 e 252.

In riunione odierna rappresentanti paesi continentali si sono dichiarati disposti basarsi su testo già concordato introducendovi quelle singole modifiche, tratte da testo britannico, che ciascun paese giudicherà conveniente adottare. Da parte nostra è stata manifestata analoga intenzione.

Pertanto questa ambasciata, basandosi su esame emendamenti britannici e su intenzioni manifestate da rappresentanti diversi paesi, proporrà domani a Dipartimento Stato che accordo con Italia, sotto riserva contrarie istruzioni V.E. e sotto riserva eventuali ulteriori miglioramenti accordati ad altri, sia emendato come segue:

Articolo 3. Omettere ultimo periodo e sostituirlo con separato appunto più dettagliato, proposto da delegazione britannica.

Articolo 4, par. 1. Introdurre all’inizio «subject to the provision of the necessary appropriation». Inoltre sostituire «with carrying out this agreement» col «with assistance furnished ... the Government of the United States to the Government of Italy under this agreement».

Articolo 6, par. 2. Sostituirlo con formula britannica che accentua possibilità revisione.

Documenti suppletivi. A quelli già noti (determinazione ammontare fornitura lire, salvaguardia contro inflazione eventuale cessazione accordo E.C.A., privilegi del personale appartenente a missione americana e controllo scambi con paesi orientali) aggiungere i seguenti: appunto su «materiali fungibili», appunto su reciprocità fornitura valuta locale, appunto su reciprocità esenzione dazi, appunto secondo cui privilegi accordati a missione americana «shall be reasonable ecc.», appunto in sostituzione ultimo periodo articolo 3. Per contro questa ambasciata sotto riserve sopra indicate, si asterrà proporre adozione seguenti documenti supplettivi britannici: appunto concernente merci reimportate (di cui a mio telegramma 40)3 nonché nuovo appunto secondo cui ciascuna parte contraente può sospendere in ogni momento aiuti.

Segnalo che Olanda ha proposto emendare, attenuandola, lettera concernente controllo scambi con orientali.

Su proposta belga è stato deciso in linea di massima firmare altro documento supplettivo, il quale in sostanza stabilisca clausola nazione più favorita per tutte le disposizioni accordo bilaterale. Dipartimento Stato elaborerà domani relativa formula.

In riunione odierna è prevalsa tendenza pubblicare tutti i documenti supplettivi ad eccezione di quello concernente salvaguardia contro inflazione e di quello concernente controllo scambi con paesi orientali. Da parte nostra è stata prospettata opportunità dare carattere confidenziale a quelli concernenti rispettivamente personale missione e ammontare fornitura valuta locale. Circa il primo non sembra vi siano forti difficoltà quantunque altri paesi preferiscano rendere noti limiti entro cui accorderanno privilegi diplomatici. Circa il secondo (malgrado a suo tempo fosse stata lasciata scelta a Governo italiano) rappresentanti americani hanno eccepito che esistenza tale documento è prevista da accordo cosicché sarebbe difficile mantenerlo segreto; inoltre rappresentanti altri paesi hanno eccepito necessità pubblicazione in relazione a stanziamento fondi.

Firma non potrà essere ritardata oltre venerdì 27 per ragioni di cui a mio 40. Pertanto tenuto conto necessità collazionare testi con qualche anticipo, prego V.E. inviarmi urgenti istruzioni su seguenti punti:

1) accoglimento o meno delle modifiche britanniche nei limiti sopra esposti;

2) atteggiamento in merito a proposta olandese su controllo scambi con paesi orientali;

3) opportunità o meno d’insistere su carattere confidenziale documenti che qui si vorrebbero rendere pubblici4.

561 1 Vedi D. 548. 2 Del 21 gennaio, con esso Guidotti aveva richiesto d’insistere affinché fossero mantenuti confidenziali tutti i documenti suppletivi dell’accordo.3 Vedi D. 548, nota 1.

562

L’AMBASCIATORE A TEHERAN, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 165/41. Teheran, 23 gennaio 1950 (perv. il 4 febbraio).

Riferimento: Mio telespresso n. 23/5 del 2 corrente1.

Ho chiesto di vedere lo scià desiderando di conoscere da lui stesso quali impressioni avesse riportato dalla sua visita negli Stati Uniti e quali risultati se ne attendesse.

Ho trovato il sovrano visibilmente depresso e direi scoraggiato. Mi ha detto francamente che temeva molto che il suo viaggio finisse col non avere quei risultati concreti che egli, e con lui questa opinione pubblica, si attendevano, e cioè quell’aiuto americano necessario per promuovere il progresso economico e sociale del paese e senza cui la situazione interna iraniana finirebbe col divenire insostenibile.

Egli ha quindi rilevato che Washington, mentre era stata larga di aiuti per la Turchia, nulla aveva fatto per l’Iran, malgrado che l’Iran fosse stato riportato venti anni indietro dai danni subiti a causa dell’occupazione alleata, particolarmente gravosa nelle provincie del nord dove avevano spadroneggiato le truppe sovietiche.

562 1 Non pubblicato.

Si chiedeva poi che cosa egli avrebbe potuto fare se l’atteso aiuto americano fosse mancato. La situazione interna sarebbe infatti divenuta molto peggiore di quanto non fosse anteriormente al suo viaggio, dato che la delusione sarebbe stata in tale caso enorme.

Naturalmente egli si rendeva conto che eventuali aiuti americani all’Iran avrebbero dovuto essere decisi dal Congresso, ma il fatto che a Washington si era tanto insistito con lui sulle difficoltà sempre maggiori che il Congresso frappone alla concessione di aiuti finanziari non gli sembrava di buon presagio.

Gli ho detto apertamente che non mi spiegavo perché da parte iraniana non fossero state chieste preventivamente precise assicurazioni americane dato che il suo viaggio non poteva evidentemente che suscitare le maggiori aspettative di questa opinione pubblica. Mi ha risposto molto semplicemente che alle sue ripetute aperture circa la necessità assoluta dell’Iran di ottenere aiuti americani, questo ambasciatore degli Stati Uniti gli aveva mostrato così piena comprensione che egli non aveva potuto dubitare che il viaggio non avrebbe dato i risultati sperati.

Allo scopo di sondare meglio la portata delle sue preoccupazioni, ho detto allora al sovrano che non riuscivo a vedere quale potrebbe essere l’interesse americano a deludere le aspettative iraniane, dopo che esse erano state tanto incoraggiate dal rilievo che Washington aveva voluto dare alla sua visita, e che quindi mi chiedevo se le sue previsioni non fossero troppo pessimistiche.

Mi ha replicato che il modo come si erano messe le cose non poteva non preoccuparlo vivamente, dato che non sarebbe stato sufficiente che gli americani avessero fornito il loro concorso per lavori improduttivi o quasi, e cioè a carattere precipuamente militare, essendo possibile rimediare alla presente grave situazione, che tanto favorisce le attività sovversive, soltanto con un’assistenza economica tale da consentire la valorizzazione delle risorse del paese.

Quale altro motivo di preoccupazioni lo scià mi ha poi accennato all’antagonismo anglo-amenicano nel Medio Oriente, dato che tale antagonismo ha come conseguenza di tenere questo settore in uno stato d’inquietudine e di disorganizzazione di cui beneficia soltanto Mosca, la quale trova così terreno sempre più propizio alla sua azione di penetrazione e di propaganda.

E la conversazione è terminata con quest’altra nota pessimistica.

Da quanto dettomi dallo scià risulta dunque che egli era partito per gli Stati Uniti contando in modo preciso di fare ritorno con la sicurezza di un adeguato appoggio americano che gli consentisse di mettere in moto l’opera di moralizzazione della vita politica ed amministrativa dello Stato e di risanamento e di riorganizzazione del paese, opera che gli avrebbe naturalmente conciliato l’appoggio e la riconoscenza di larghi strati della popolazione. Ora invece egli non vede come potere rimediare alla grave situazione in cui si dibatte il paese e sente inoltre, con profonda amarezza, scossa la fiducia che si aveva in lui dato che i suoi oppositori già si valgono dell’«insuccesso» per accusarlo d’inesperienza e per insinuare la sua inettitudine.

561 4 Per la risposta vedi D. 565.

563

IL CAPO DELLA MISSIONE DIPLOMATICA IN GERMANIA, BABUSCIO RIZZO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATISSIMO 0386/219. Francoforte, [23] gennaio 1950 (perv. il 3 febbraio)1.

Subito dopo la nota corrispondenza apparsa sul Monde del 20 corrente2, mi è giunto un invito a colazione del sig. François-Poncet nella sua residenza di Bonn, e questo mi ha dato modo di avere una nuova conversazione con lui3, durante la quale ho potuto avere dirette impressioni sul suo stato d’animo dopo la visita di Schuman, e toccare nuovamente il problema delle relazioni franco-italiane.

Ho cominciato infatti col pregarlo di dire al sig. Alain Clément, autore della corrispondenza, e proprio in omaggio ai comuni sforzi per una intesa tra i nostri due paesi, di venire pure liberamente a vedermi ogni volta che egli avesse bisogno di informazioni, ed evitare così di incorrere in inesattezze.

Il sig. François-Poncet mi ha detto di non aver attribuito la minima importanza alla pubblicazione, che il Monde era un giornale mal fatto e che era ben lontano dal poter oggi essere considerato un organo ufficiale del Quai d’Orsay. Quando poi gli ho accennato alla mia sorpresa per le reazioni contrarie subito verificatesi in taluni ambienti francesi alla sola ipotesi di una intensificazione degli scambi italo-tedeschi, egli ha convenuto pienamente con me, che non sia cioè possibile pensare alla integrazione all’Europa della Germania senza contemporaneamente, anzi anticipatamente, provvedere anche ad una normalizzazione dei rapporti economici di essa con l’Italia. Lo stesso François-Poncet mi ha soggiunto riferendosi al triangolo Francia-Italia-Germania: «è questo l’Occidente, non è il Benelux». Resta ora a vedere, quando si tratterà di passare ad una fase più concreta, se le buone, e credo sincere disposizioni da lui più volte manifestatemi a questo riguardo, saranno sufficienti a far comprendere agli ambienti interessati francesi l’importanza di una piena anzi comune collaborazione in Germania e la necessità di far tacere i sospetti che finiscono col nuocere proprio al fine ultimo che insieme ci proponiamo, l’organizzazione cioè dell’Europa occidentale.

Lo stesso François-Poncet mi ha di nuovo espresso qui le sue preoccupazioni sulla lentezza di questo processo organizzativo e sulla necessità di far presto, come solo elemento, a suo avviso, che possa trattenere la Russia dal prendere iniziative pericolose.

Ritengo interessante infine riferire anche gli altri punti che il mio interlocutore ha spontaneamente toccato nel corso della conversazione, e cioè i suoi giudizi su Adenauer, la situazione a Berlino, l’atteggiamento della Russia.

2 In questo articolo segnalato da Quaroni con il T. 678/32 del 19 gennaio, venivano messi inrelazione gli approcci italiani verso la Germania con le divergenze franco-tedesche per la questione dellaSarre per concludere che il riavvicinamento italo-tedesco non avrebbe mai potuto sostituire l’indispensabile intesa della Francia con la Germania.

3 Per il precedente colloquio vedi D. 441.

Nei confronti del Governo tedesco il signor François-Poncet si è questa volta mostrato molto duro. Mi ha parlato di Adenauer come di una persona inesperta, che crede «di governare uno Stato, con gli stessi sistemi di amministrazione ai quali era abituato come borgomastro di Colonia» e che non si rende conto delle reazioni che ogni suo discorso, ed ogni suo gesto come uomo politico, ha in Francia o in Inghilterra o in America. Parlando con me egli, se aveva presenti in quel momento le vicende del viaggio di Schuman in rapporto al problema della Sarre, pensava probabilmente anche alla inopportunità del comunicato sui rapporti con l’Italia, apparso sul bollettino stampa del partito democristiano4, proprio al momento in cui veniva annunciata la sospensione delle trattative commerciali con la Francia. Di questo non è stato parlato e, d’altra parte, per le inesattezze apparse sul Monde5, avevo io stesso incaricato Alverà a Bonn di far subito le dovute rettifiche presso il segretario generale dell’alto commissario francese.

Nel complesso il signor François-Poncet mi è parso profondamente deluso — e non lo ha nascosto — di Adenauer e del suo Governo, dai quali si attendeva un atteggiamento più cauto e conciliante. Sui motivi che possono aver provocato l’irrigidimento del cancelliere federale, non credo vi sia nulla da aggiungere a quanto ho già riferito in un rapporto concernente appunto la Sarre6.

Sugli intendimenti francesi per questo territorio il sig. François-Poncet non mi ha fatto misteri: la Francia — egli mi ha detto — desidera da un lato equilibrare il fabbisogno nazionale di carbone sottraendosi alla soggezione tedesca e dall’altra fare della Sarre — che è strategicamente importante perché è sempre stata la tradizionale via di passaggio di tutte le armate di invasione — uno Stato cuscinetto. Mi ha ricordato poi le origini francesi di quel territorio sistematicamente «prussianizzato» dalla Germania.

Ma questo problema — egli mi ha detto — non deve impedire una intesa franco-tedesca. Essa è necessaria a tutti noi, ed ha ricordato l’incertezza della situazione internazionale dovuta all’atteggiamento della Russia.

Su questo argomento egli si è mostrato più cauto. A Berlino la situazione è incerta. Gli americani hanno commesso una imprudenza con l’occupazione dell’edificio della Direzione delle ferrovie del Reich (che, come è noto, pur situato nel settore americano, è sottoposto però all’amministrazione ferroviaria della Repubblica democratica della zona orientale). François-Poncet mi ha dato qualche particolare interessante: egli mi ha detto che l’incidente ha avuto veramente una origine assai banale. L’occupazione dello stabile era stata ordinata da ufficiali in sottordine, per il solo fatto di trattarsi di locali vuoti, senza che il gen. Taylor ne sapesse nulla ed avrebbe potuto, se i russi l’avessero voluto, conservare questo suo carattere di episodio puramente locale e niente affatto drammatico. Ma la politica russa — ha aggiunto — è un enigma, i sintomi non sono affatto confortanti. Il banco di prova — egli mi ha detto — era il trattato di pace con l’Austria; l’atteggiamento sovietico in questa occasione non è certo un buon segno.

Ed è qui ritornato a parlarmi di quel che appare essere il suo pensiero fisso, che anima la sua azione per portare la Germania in seno all’Europa, senza arrendersi alle

gravi difficoltà che sta incontrando su questa via, la costruzione al più presto dell’Europa occidentale; non è possibile questa costruzione — di nuovo ha ripetuto — senza la Germania. Come si chiama la nuova organizzazione europea? Egli si è chiesto con un tono tra il buon umore e lo scettico: «Finebel». Non vi è ancora la sigla della Germania, occorre pensarvi e d’altra parte essa già dovrebbe chiamarsi «Esfinebel» pensando così alla Spagna.

Non so quanto, nel pensiero di François-Poncet, sia dovuto alla sua sensibilità personale e quanto il risultato di elementi concreti in suo possesso. Non credo tuttavia di dover chiudere l’esposizione di questo nuovo colloquio avuto con lui, senza riassumere quella che mi è apparsa, nel campo più generale della attuale situazione europea, la sua costante anzi dominante preoccupazione: la quasi impossibilità cioè di difesa dell’Europa nelle presenti condizioni, priva com’è dell’apporto tedesco. Occorre perciò evitare — egli ha detto — che la Russia possa prendere iniziative pericolose ed ilsolo modo di impedirlo è quello di essere forti ed uniti ad Occidente. È intorno a questo pensiero che si svolge evidentemente tutta l’attività di François-Poncet in Germania, ed è con esso che si spiegano meglio le reazioni molto aspre da lui avute contro il Governo ed alcuni uomini politici tedeschi in queste ultime settimane, che egli accusa di porre in pericolo col loro atteggiamento la soluzione di problemi più gravi per tutti.

563 1 Il documento è privo dell’indicazione del giorno di partenza e viene qui collocato in base alcalcolo del tempo di arrivo del corriere diplomatico.

563 4 Vedi. D. 539. 5 L’articolista aveva confuso i messaggi verbali trasmessi da Babuscio Rizzo ad Heuss ed Adenauer (vedi D. 532) con l’invio di lettere formali.6 Non pubblicato.

564

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 864/8. Gerusalemme, 24 gennaio 1950, ore 19 (perv. ore 24).

Assemblea nazionale ha votato questa notte dichiarazione solenne nella quale Gerusalemme viene confermata capitale Israele facendo risalire proclamazione 14 maggio 1948 data fondazione Stato ebraico. Voti 60 favorevoli; due comunisti contrari; astenuti partito opposizione cioè Mapan socialista estrema sinistra e Heruth combattente estrema destra. Entrambi chiedevano che mozione governativa specificasse «intera» Gerusalemme divisa come è noto da linea armistiziale; Dallah non volendo implicitamente riconoscere sovranità Trasngiordania, alleata Gran Bretagna, su parte araba città; il secondo per confermare sue mire nazionaliste di espansione. Votazione appare modesta ove tengasi conto composizione Assemblea 125 deputati.

Situazione rimane tuttavia invariata poiché stesso primo ministro ha affermato che Ministero della difesa, Ministero affari esteri e capo di Stato rimangono Tel Aviv per mantenere quest’ultimo necessari contatti con rappresentanze estere.

565

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO PRECEDENZA ASSOLUTA 660/34. Roma, 25 gennaio 1950, ore 21.

Suo 65-661.

Circa punto 1) siamo d’accordo su tutto suo 65.

Circa punto 2) sta bene proposta olandese.

Circa punto 3) nostra preferenza per carattere confidenziale ci era stata suggerita da forma particolare scambio note che accordo ha per noi. Di fronte atteggiamento maggioranza non abbiamo difficoltà accettare pubblicazione documenti ad eccezione lettera ammontare valuta locale che riteniamo molto opportuno resti confidenziale e per la quale V.E. dovrebbe possibilmente insistere senza tuttavia farne questione pregiudiziale per firma2.

566

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER TELEFONO 868/43. Ginevra, 25 gennaio 1950, ore 15,30.

Con miei odierni 41 e 421 ho riferito favorevoli sviluppi trattative questa delegazione per linea provvisoria Somalia nonché risultati ultime conversazioni con Spencer circa Eritrea. Telegrammi ambasciata Londra n. 102, 103 e 1042 e fatti successivi hanno creato situazione per la quale mi occorrono nuove precise direttive. A Londra si discute sopra piano diverso da quello sul quale svolgonsi conversazioni Ginevra. Qui ci siamo sforzati di mantenere distinte questioni Somalia da quelle Eritrea ottenendo riconoscimento fondatezza nostra tesi basata sopra nostro obbligo rispettare decisioni ultima Assemblea O.N.U. Questo atteggiamento conforme direttive telegramma di V.E. n. 153 ha messo Italia situazione particolarmente forte tanto che se oggi facessimo conoscere che difficoltà per Somalia dipendono da nostro rifiuto di violare decisioni O.N.U. per Eritrea e da pretesa etiopica di imporci ora una determinata soluzione per Eritrea, avremmo per noi unanimità consensi del Consiglio di tutela. Non posso inoltre non rilevare contraddizione atteggiamento britannico: un mese fa Londra insisteva perché noi occupassimo subito Somalia senza attendere stipulazione convenzioni con O.N.U. tacendo completamente ogni condizione per Eri

2 Per la risposta vedi D. 572.

2 Vedi D. 560.

3 Vedi D. 555.

trea. Oggi da telegrammi nostro ambasciatore Londra sembra che nostra assunzione amministrazione Somalia debba subordinarsi a risoluzione della questione eritrea.

Alle preoccupazioni che Foreign Office continua esporre circa pericoli assunzione amministrazione fiduciaria Somalia, osservo, in base a situazione odierna, che se noi per qualsiasi fondato motivo rifiutassimo amministrazione stessa, verremmo pregati accettarla perché nessun altro Stato apparrebbe disposto subirne oneri e gli U.S.A., prescindendo da altre considerazioni, già preoccupati forti spese O.N.U., si opporrebbero sua gestione diretta. Dobbiamo perciò non trascurare questa situazione e tenere conto delle esperienze fatte constatando positivi risultati quando abbiamo resistito insistenze inglesi per ...4 all’America prima degli accordi con Consiglio tutela e quando abbiamo tenuto uguale atteggiamento fermezza in circostanze minori.

Nostra impressione è che inglesi sono preoccupati esito accertamenti Commissione Eritrea e continuano loro pressioni psicologiche per vincolare nostra azione prima degli accertamenti stessi. Sarebbe grave errore prestarsi questo tentativo che frustrerebbe reale possibilità nostra azione nell’ambito delle decisioni O.N.U. ed esporrebbeci anche pericolo essere accusati doppio gioco. Nella fase attuale della procedura avanti Consiglio tutela dopo i risultati psicologici e politici già acquisiti, l’accettazione delle proposte di Londra ci costringerebbe a maggiori effettive rinunzie le cui contropartite sono inconsistenti, come quelle che ci vengono proposte, perché in ogni caso dopo i lavori della Commissione dell’O.N.U. si avranno certamente gli sviluppi economici e politici pro-spettati alla nostra ambasciata avendo noi dichiarato sempre, come confermiamo, di accettare ed eseguire le decisioni che saranno prese dall’Assemblea per Eritrea.

Noi riteniamo tuttavia che accordo con inglesi è più che mai necessario ma pensiamo che possa essere ottenuto con maggiori vantaggi per noi se dimostreremo di volerlo nel rispetto formale e sostanziale delle decisioni dell’O.N.U. come facciamo qui seguendo direttive di V.E. Per evitare equivoci e confusioni inevitabilmente dannosi è quindi necessario che trattativa sia unica su unica impostazione. In attesa istruzioni di V.E. ho ritenuto opportuno fare rallentare da Vitetti suoi contatti con Spencer5.

565 1 Vedi D. 561.

566 1 Del 25 gennaio, non pubblicati.

567

IL MINISTRO A IL CAIRO, FRACASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTISSIMO 889/8. Il Cairo, 25 gennaio 1950, ore 14,40 (perv. ore 16).

Questa mattina sottosegretario di Stato per gli affari esteri Hakki Bey mi ha comunicato telefonicamente che, in vista notizia relativa riconoscimento de jure di Israele da parte italiana qui giunta questa notte, il provvedimento di elevazione ad

ambasciata della legazione Egitto in Roma non sarebbe in seduta odierna sottoposto al Consiglio dei ministri. Ha aggiunto che avrebbe subito telefonato a codesto ministro d’Egitto di informare con urgenza di quanto precede l’E.V.

Ho risposto sottosegretario che sua comunicazione non avrebbe mancato di suscitare grande sorpresa a Roma, dato che principali Stati avevano già da tempo riconosciuto de jure Israele. Ho poi chiesto di vedere il ministro degli affari esteri il quale mi ha subito ricevuto pochi minuti prima che si iniziasse il Consiglio dei ministri. Il ministro mi ha confermato decisione adottata, giustificandola con motivi di opportunità politica: ha precisato infatti che non si sentiva di presentare al Consiglio dei ministri provvedimento che disgraziatamente coincideva con pubblicazione notizia di cui sopra, poiché suoi colleghi non lo avrebbero certamente approvato dati i sentimenti marcatamente nazionali che ispirano politica partito wafdista. Ha aggiunto che a recente richiesta altro paese europeo intesa elevazione ad ambasciata propria rappresentanza Egitto, era stato risposto negativamente appunto perché detto Stato aveva precedentemente riconosciuto de jure Israele.

Ho risposto ministro degli affari esteri decisione egiziana mi riusciva del tutto incomprensibile. Non potevo non rammaricarmi che, per una questione che mi sembrava ormai rivestire carattere puramente formale, si rinviasse presente opportunità palese riconoscimento delle relazioni amichevoli esistenti tra i due paesi caratterizzate dai loro numerosi ed importanti interessi comuni. Non avrei per parte mia mancato di cercare di spiegare i motivi di opportunità illustratimi dal ministro degli affari esteri per giustificare le sue decisioni, ma non potevo a meno fare ogni riserva circa la accoglienza che tali argomentazioni avrebbero trovato presso mio Governo.

Il ministro degli affari esteri ha concluso il nostro colloquio esprimendo la fiducia che il tempo avrebbe appianato questa inattesa imprevista difficoltà1.

566 4 Parola mancante. 5 Con T. segreto 678/17 del 26 gennaio Sforza confermava la linea di condotta già concordata a Roma.

568

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 920/115. Londra, 25 gennaio 1950, ore 18,22 (perv. ore 7,45 del 26).

Come preannunciato con mio 1041 ed in seguito alla telefonata del segretario generale, ieri sera Clutton e d’Ajeta si sono scambiati — a titolo personale — un progetto inglese di dichiarazione di buona volontà per un «programma a breve scadenza» ed un nostro progetto su quello «a più lungo termine», redatto sulle linee delle istruzioni inviate all’ambasciatore Tarchiani ed illustrato con quelle opportune considerazioni e spiegazioni dettate dai particolari elementi a conoscenza di questa ambasciata dopo le conversazioni avute sulla questione con il Foreign Office.

568 1 Vedi D. 560.

Circa progetto dichiarazione italiana, presentato da parte britannica, non (dico non) ritengo utile telegrafarne ora in dettaglio il contenuto trattandosi di prima presa posizione ovviamente aperta a molte modifiche di sostanza e di forma.

Faccio tuttavia presente che dal lato per noi attivo essa non (dico non) contiene rinuncia alcuna a nostre precedenti tesi né è troppo esplicitamente impegnativa nei riguardi futuro e raccomandazioni Commissione O.N.U. poiché si limita a dichiarareche da parte italiana non si farà opposizione alla stessa. È confermata comunque facoltà di esprimere opinione del Governo italiano su tali raccomandazioni e libertà per italiani Eritrea, come per tutti altri residenti, esprimere liberamente e spontaneamente loro opinione circa futura soluzione. Vi è pure paragrafo che prevede «qualunque possa essere il futuro destino politico dell’Eritrea» la tutela ed uno sbocco per il benessere, il lavoro e l’iniziativa italiani.

Dal lato invece passivo il progetto, oltre lacune di forma, non considera sopra-tutto, in attuale stesura, una risposta etiopica lasciando fiduciosamente nelle sue conclusioni aperta porta solo ad augurabili suggerimenti abissini. Non sembra inoltre contenere sufficienti assicurazioni per futuri possibili accordi di cooperazione economica italo-abissina che superino cerchia interessi puramente eritrei. Mentre invece, sia pure in forma molto attenuata ed indiretta, riconosce fin da ora una certa preminenza etiopica in Eritrea.

D’Ajeta — che rivedrà stasera Clutton — premettendo che di proposito non avrebbe discusso dettagliatamente tutti i punti del progetto, egli ha però subito fatto personalmente osservare:

1) che se Governo italiano poteva forse, per motivi di sensibilità politica, assumere iniziativa a favore di una pronta distensione, doveva però richiedere urgente reciprocità di un amichevole gesto di risposta che confermasse, nella stessa forma, punti fondamentali della nostra dichiarazione;

2) che, per motivi già ampiamente espressi in precedenti conversazioni (miei telegrammi dal 102 al 104) non poteva scindere programma «a breve scadenza» da qualche sostanziale ed impegnativo accenno circa futura soluzione Eritrea che doveva escludere tesi annessionistica.

Clutton ha riconosciuto fondamento del primo punto ma si è riservato risposta. Quanto al secondo punto, che ovviamente coinvolge programma «a lunga scadenza», Clutton ha fatto una esposizione per illustrare ancora una volta come Foreign Office consideri tesi annessione e spartizione, con ampie garanzie per comunità ed interessi presenti e futuri italiani, come soluzione praticamente migliore.

D’Ajeta ha allora fermamente ribattuto che su tale questione di sostanza e di principio si imperniava l’intero amichevole negoziato londinese e che — a suo avviso — se si voleva arrivare ad un compromesso costruttivo e tranquillizzante, le reciproche dichiarazioni di cui sopra dovevano essere collegate senza soluzione di continuità con una confidenziale intesa che tanto l’Etiopia quanto l’Italia non insisterebbero nel corso della successiva fase del negoziato sulle loro tesi di partenza. In poche parole: il futuro negoziato doveva definitivamente abbandonare le due superate posizioni polemiche e ricercare una terza formula di accordo da appoggiare presso la Commissione dell’O.N.U. Da parte italiana tale formula poteva essere ricercata sulle linee del nostro esposto qualora però non si parlasse più dall’altra parte di annessione e di spartizione.

Clutton è apparso favorevolmente colpito dalla logica delle obiezioni, ma si è riservato di far conoscere il suo pensiero2.

567 1 Per la risposta vedi D. 570.

569

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 25 gennaio 1950.

Il ministro di Jugoslavia, nel presentare una nota di protesta per il trattamento di alcuni gruppi della minoranza slovena in Italia, ha colto l’occasione per parlarmi a lungo di Trieste.

Già altre volte egli aveva accennato all’argomento; ma l’accenno era stato leggero, e da parte mia era stato lasciato cadere. Questa volta, invece, ha abbordato in pieno l’argomento e, nonostante il mio evidente riserbo, ne ha parlato a lungo e con insistenza.

Ha cominciato col dire cose generiche. Che il problema di Trieste era fondamentale per le relazioni tra noi e la Jugoslavia. Che risolvendolo, anche le altre questioni, a carattere più o meno tecnico, sarebbero andate a posto. E la soluzione, a suo parere, non era affatto impossibile. L’Italia e la Jugoslavia non dovevano rassegnarsi a formare oggetto passivo del contrasto tra le grandi potenze. Se si fossero messe a discutere tra di loro questo fondamentale problema avrebbero potuto forse mettersi d’accordo. E anche se in seguito fosse necessaria una ratifica o una sanzione da parte dell’O.N.U., sarebbe stato tuttavia molto difficile per la Russia opporsi ad un accordo concluso direttamente fra i due maggiormente interessati.

Uscendo dalle generalità Ivekovic ha poi detto che la base di un possibile accordo era già stata trovata a suo tempo (allusione, senza nominarlo, all’accordo Tito-Togliatti)1.

Ho risposto naturalmente che proprio contro quel compromesso la reazione del-l’opinione pubblica italiana era stata unanime.

Ivekovic lo ha riconosciuto ma ha precisato che nel suo pensiero quello era semplicemente un punto di partenza.

La difficoltà, a suo parere, consisteva nel fatto che il nostro punto di partenza era costituito dalla dichiarazione tripartita2 e che questo era per lo meno altrettanto irreale, altrettanto inaccettabile all’opinione pubblica jugoslava quanto il compromesso Tito-Togliatti lo era per noi.

E a questo proposito Ivekovic ha fatto una critica interessata della dichiarazione tripartita, definendola irreale e precaria e cercando di dimostrare che avremmo avuto torto a costruirvi sopra una nostra tesi.

2 Ibid., vol. VII, D. 468.

Gli ho risposto: gli avvenimenti per ora gli davano torto. Il Governo americano aveva avuto occasione di confermare proprio in questi giorni e proprio a loro, jugoslavi, la sua ferma aderenza alla dichiarazione del 20 marzo (Ivekovic lo ha riconosciuto)3.

Ho aggiunto che, del resto, il Territorio Libero di Trieste era stato costituito appunto perché la Conferenza della pace aveva riconosciuto impossibile la consegna di questa terra alla Jugoslavia. Ne aveva cioè riconosciuto il carattere italiano: il compromesso era nato unicamente dalla resistenza della Russia a restituire questa terra all’Italia.

E poiché Ivekovic già più volte, nel corso della conversazione, aveva accennato ad una spartizione che seguisse la linea attuale di demarcazione delle due zone militari, gli ho detto chiaramente che una soluzione di questo genere non avrebbe potuto mai essere presa in considerazione.

Qualsiasi progetto di spartizione, per essere vitale, anzi per essere preso in esame in via preliminare, doveva seguire anzitutto la linea di demarcazione etnica.

Ivekovic: «Ma anche nella Zona A ci sono dei comuni slavi». Risposta: «Certo ce n’è uno o due, e forse l’intesa su questo punto non sarebbe difficile. La difficoltà viene dal fatto che la Zona B è ancora più completamente italiana della Zona A».

Ivekovic ha osservato a questo punto che nella Zona B le città erano italiane, (Capo d’Istria, per es.) ma le campagne slave. Ho risposto che si ingannava. I dati statistici dimostravano che, non solo tutte le città della costa sino a Isola e Cittanova erano italiane (nessuna reazione di Ivekovic) ma anche tutti i centri agricoli dell’interno, e alcuni di notevole importanza, come Buje. Anche a quest’ultima precisazione Ivekovic ha avuto quasi l’aria di assentire. Ho proseguito: «Così dicasi di quasi tutti i comuni dell’interno ad eccezione forse di alcuni pochi lungo la frontiera nord-occidentale della Jugoslavia».

La conversazione non ha avuto, né poteva naturalmente avere, una conclusione. Da parte mia c’è stato, più ancora che riserbo, ostentazione quasi di disinteresse. E ciò perché è mio convincimento che una nostra troppo sollecita adesione alle aperture jugoslave darebbe al negoziato una piega sfavorevole che sarebbe assai difficile correggere in seguito.

Si può frattanto constatare:

1) Quali che siano i suoi motivi, il Governo jugoslavo desidera risolvere la questione di Trieste; e mostra anche una certa fretta, forse, così almeno ha ripetuto molte volte Ivekovic, echeggiando il discorso di Kardelj4, anche nella speranza di costituire una piattaforma solida all’amicizia italo-jugoslava, dalla quale si ripromette evidenti vantaggi. In questo senso ho anch’io abbondato, illustrando il concetto di V.E., cioè la necessità di superare la questione territoriale su un piano di vastissimo accordo confinario, minoritario, economico, ferroviario, portuale.

2) Le basi del compromesso, così come ce le prospetta Belgrado, non sono affatto nuove. Non che si pensi seriamente, nonostante quel che dice Ivekovic, all’accordo Tito-Togliatti. Gli jugoslavi si rendono conto che quello è davvero defunto. Ma

4 Sul quale Martino aveva riferito con il Telespr. 3248/1490 del 3 gennaio, non pubblicato.

il chiarissimo accenno a Capo d’Istria dimostra che il concetto è ancora quello che stava al centro delle conversazioni Bebler-Quaroni del ’46, a New York5. Cioè divisione secondo la linea di demarcazione attuale tra Zona A e B più qualche ritocco nella Zona A, e meno Capo d’Istria nella Zona B.

3) È anche fortemente probabile, se non sicuro, che questo sia, nella mente di Tito, un punto di partenza per ulteriori concessioni. Che potrebbero, e qui si entra nel campo delle pure ipotesi, comprendere tutte le città del litorale oppure seguire la linea della Dragona, ma in senso trasversale da nord a sud, sì da incidere profondamente e tagliare quasi a metà l’Istria occidentale.

Si è certamente lontani dal nostro concetto di accordo. Tuttavia può essere utile accertare, forse attraverso gli americani, quanto, e sino a che punto lontani.

568 2 Per il seguito vedi D. 573.

569 1 Vedi serie decima, vol. IV, D. 478.

569 3 Vedi D. 473.

570

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A IL CAIRO, FRACASSI

T. 685/8. Roma, 26 gennaio 1950, ore 16.

Ministro d’Egitto mi ha fatto ieri comunicazione di cui al suo 81.

Gli ho risposto che se si credeva costì che un annunzio elevazione ambasciata fatto subito dopo il nostro riconoscimento d’Israele poteva sollevare discussioni e recriminazioni io lasciavo al suo Governo di decidere un ritardo nell’annunzio.

Nostro riconoscimento d’Israele veniva tra gli ultimi. Non ci eravamo certo affrettati. Nostro atto non è che semplice riconoscimento formale situazione di fatto già definita da tempo e non ha dato luogo ad alcun negoziato con Israele ma è una semplice decisione unilaterale che non poteva essere differita ulteriormente.

Comunque non conviene drammatizzare e attenderemo senza impazienza che codesto Governo si convinca quanto poco giustificata sia stata sua reazione.

569 5 Vedi serie decima, vol. IV, DD. 524, 550, 560, 598 e 625. 570 1 Vedi D. 567.

571

L’AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 937/28. Rio de Janeiro, 26 gennaio 1950, ore 14,29 (perv. ore 19,35).

Suo telegramma 161.

Dopo scambi idee con Pietromarchi questi esprime seguenti punti di vista: «Sta bene inclusione rimesse in accordo pagamenti. Concordo parimenti precisare in scambi di note categorie beneficiari e limite rimesse individuali. Riterrei invece opportuno non fissare per rimesse, come per tutte le altre partite invisibili, alcun limite globale, dato che accordo pagamenti prevede liquidazione saldo in valuta libera. In altri termini contabilizzazione quattro milioni di dollari per rimesse significherebbe concedere Brasile un punto per uguale ammontare a vantaggio sue esportazioni con il pericolo che ove movimento effettivo rimesse risulti inferiore a tale ammontare Brasile venga a costituirsi saldo attivo che dovremmo pagare in valuta».

Effettivamente sistema che proponiamo per tutte le partite invisibili assicurerebbe possibilità illimitata trasferimento rimesse. Terrò al corrente codesto Ministero sviluppo questione; resta inteso collegamento scambi di note con accordo pagamenti.

572

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 945/76. Washington, 26 gennaio 1950, ore 20 (perv. ore 23,50).

Suo 341.

Poiché non è ancora noto se e quali altri paesi adotteranno emendamento olandese lettera concernente scambi con paesi orientali e poiché d’altra parte non mi sembrerebbe opportuno che soltanto Italia vi si associasse in contrasto con sue direttive generali in tale materia, si è convenuto con Dipartimento Stato ritardare invio lettera a sabato o a settimana ventura.

Circa documento su ammontare valuta locale, si è insistito per dargli carattere confidenziale. Ci è stato però fatto presente che giornalisti rileverebbero certamente mancanza accordo con Italia, a differenza tutti gli altri paesi (compresa Gran Bretagna). In tal caso, a loro domande, Dipartimento di Stato potrebbe bensì celare cifra

ma non potrebbe non affermare che accordo è stato raggiunto anche con Italia, pertanto si verificherebbero speculazioni giornalistiche dannose per Governo italiano assai più che per quello americano. D’altra parte per nostra tranquillità di fronte ad eventuali attacchi Parlamento e stampa, conviene tener presente emendamento ottenuto ultimamente in testo accordo (vedi mio 65)2 consistente nell’introdurre ad inizio articolo 4, par. 1, parole «Subject to the provision of the necessary appropriation».

Ciò stante, salvo contrarie istruzioni telefoniche, documento in questione sarà pubblico anche per noi.

Firma è fissata per domani venerdì ore 14,30 (tempo di Washington).

571 1 Del 25 gennaio, con il quale il sottosegretario Moro ribadiva le istruzioni di cui al D. 502.572 1 Vedi D. 565.

573

L’AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 950/122-123. Londra, 26 gennaio 1950, ore 20,45 (perv. ore 8 del 27).

Mio telegramma 1151.

Ulteriori conversazioni tra Clutton e d’Ajeta sono oggi giunte:

a) per il programma a breve scadenza, alla redazione di un definitivo progetto — al livello esplorativo — di dichiarazione italiana di buona volontà che sarà da parte Dipartimento africano sottoposto al ministro di Stato McNeil ed a Strang in vista di possibili successive conversazioni di carattere questa volta più impegnativo; progetto che invio a V.E. per corriere aereo unitamente, quale termine di confronto, alla prima stesura inglese sulla quale si sono iniziati questi scambi di vedute;

b) per il programma a più lunga scadenza, ad una maggiore, se non ancora impegnativa, comprensione britannica circa necessità abbandonare tesi annessione qualora Italia rinunzi a quella indipendentistica.

Circa il punto primo si sarebbe ottenuto — a questo livello tecnico italo-britannico — su progetto iniziale seguenti sostanziali miglioramenti:

1) che eventuale iniziativa italiana per dichiarazione di buona volontà abbia immediata favorevole risposta etiopica riassumente principali punti nostre assicurazioni;

2) esplicito richiamo a necessità di assunzione relazioni diplomatiche;

3) preciso accenno a futuro «sviluppo relazioni economiche e rapporti in genere» italo-etiopici (dico etiopici);

4) riconoscimento correttezza ogni passata azione propaganda italiana in Eritrea connessa con impegno (ovviamente reciproco) di astenersi dall’influenzare artificiosamente inchiesta O.N.U.;

573 1 Vedi D. 568.

5) possibile inclusione di un ultimo paragrafo (già riportato nel progetto emendato inviato a V.E.) nel quale Italia ed Etiopia si dichiarano di massima d’accordo nell’esaminare possibilità di un franca intesa, riconoscente reciproci interessi in Eritrea, che possa facilitare compiti Commissione inchiesta e che renda possibile applicazione decisioni O.N.U.

Circa punto 5, ad avviso personale di Clutton, qualora Governo britannico possa ottenere preciso impegno abissino al riguardo, sul quale Foreign Office — come spiego più sotto — è ancora dubbioso, esso dovrebbe essere seguito da ulteriore paragrafo con il quale Italia rinunzia tesi indipendentistica ed Etiopia a quella dell’annessione. Ciò permetterebbe pronto inizio esame italo-britannico per ricerca terza formula.

Per il programma a lunga scadenza: Clutton, per incarico di Strang, ha dichiarato che nostra interessante formula proponente a modello Tangeri non è — secondo Foreign Office — base sufficiente per Etiopia come del resto verremmo a sapere anche da altra parte. Sottosegretario permanente insisterebbe ora proporre quale migliore soluzione, nello stesso nostro pratico interesse, «annessione» con concessione ventennale all’Italia zona Massaua ed Asmara oltre possibili garanzie per status italiani ed altri impegni etiopici di carattere economico.

D’Ajeta ha dichiarato allora non (dico non) essere autorizzato a discutere nuova proposta anche perché scopo di queste conversazioni era sopratutto ricerca possibilità distensione e miglioramento rapporti italo-etiopici. Ha tuttavia insistito che, ad avviso suo personale, abbandono tesi annessionistica era essenziale per realizzazione non soltanto ultimo programma ma anche per dichiarazione buona volontà. Clutton ha tuttavia voluto elencare lunga lista gravi difficoltà da superare per realizzare una realistica formula federativa anche nei riguardi essenziali desiderata abissini. In proposito ha fatto intendere che Foreign Office ci avrebbe rimesso al più presto, sempre in questa fase esplorativa, uno scritto nel quale verranno riassunte quelle che sarebbero le predette difficoltà e le presunte richieste etiopiche che, secondo Governo britannico, dovrebbero essere prese nella più seria considerazione qualora si voglia effettivamente raggiungere da parte italiana una attuabile formula compromissoria. A titolo esemplificativo Clutton ha citato: esclusione o quasi di un controllo dell’O.N.U. (che sarebbe anche specifico desiderio britannico); minimi impedimenti e supervisioni di carattere internazionale; rappresentanza etiopica dell’Eritrea nei rapporti con l’estero; difesa militare assunta da forze armate abissine; unione doganale; questione spese e bilanci Eritrea; aggiustamenti territoriali ecc.

In effetti, ha aggiunto Clutton, una specie di «autonomia», possibilmente sotto il nome di federazione, e con ampie — tuttavia — garanzie per diritti ed interessi italiani.

D’Ajeta si è limitato a dire che questi accenni denotavano indubbiamente, per dare un esempio, una tendenza proprio opposta all’azione svolta in Libia in vista di raggiungere al massimo possibile un loose federation. Comunque, non era autorizzato a discutere, nemmeno a titolo personale, i nuovi suggerimenti inglesi. Riteneva solo di dover aggiungere che non fosse dimenticata da parte britannica opportunità di non parlare più di annessione nonché quella di tener presente assoluta necessità di compensare eventuali sacrifici da parte italiana con più ampie e precise garanzie per precostituiti nostri interessi in Eritrea e di più dettagliate assicurazioni per vasta cooperazione economica italo-etiopica.

Informo ad ogni buon fine V.E. che, ritengo in relazione a quanto sopra ho riferito, McNeil mi ha ora pregato di incontrarlo domattina, 27 corrente, alle ore 12.

S’intende manterrò conversazione nei precisi limiti che mi sono stati tracciati da V.E.

572 2 Vedi D. 561.

574

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 75/320. Parigi, 26 gennaio 19501.

Telespresso codesto Ministero n. 21/00797/C. del 16 corr.2.

Ho data comunicazione al Quai d’Orsay della linea di condotta da noi adottata nei confronti del riconoscimento del Governo comunista cinese. Ne ho approfittato per chiedere quali fossero in proposito le idee francesi.

Secondo il direttore generale degli affari politici d’Asia, tra le due tendenze, quella locale e quella degli ambienti responsabili della capitale, non sembra affatto che prevalga quella che vorrebbe differire sine die il riconoscimento del Governo di Mao Tse-tung. Sostiene infatti questa tesi che col riconoscimento del Viet Minh da parte della Cina comunista viene a cadere lo scopo principale per il quale questo riconoscimento si voleva fare. Ma gli ambienti responsabili della capitale pensano invece che sia preferibile riconoscere il Governo di Mao Tse-tung, salvo naturalmente la facoltà lasciata al nuovo Stato retto da Bao Dai di non riconoscere questo Governo. Da parte americana, è stato aggiunto, si comprende benissimo questo punto di vista francese al quale non si fanno obbiezioni pur restando inteso che il riconoscimento di Mao Tse-tung da parte dell’America non possa, allo stato attuale delle cose, neanche essere preso in considerazione.

Per quanto riguarda il Viet Nam, gli accordi che gli conferiscono vita autonoma saranno perfezionati nei prossimi giorni con la ratifica da parte delle Camere che interverrà probabilmente non oltre i primi di febbraio. Seguirà quindi il riconoscimento in ogni caso da parte delle potenze anglo-sassoni — gli americani a mezzo della nomina di un incaricato d’affari —, dell’Italia nonché dei componenti del Commonwealth, con la sola eccezione forse dell’India.

Per quanto riguarda l’India, il suo atteggiamento reticente sarebbe più che altro determinato dalla contestazione tuttora aperta con la Francia a proposito del regolamento della questione dei possedimenti francesi. È vero, secondo Bayens, che la popolazione di questi possedimenti non desidera essere assorbita dall’India. E non già per ragioni sentimentali nei confronti della Francia ma per ragioni di indole pratica: possibilità di esercitare il contrabbando, esenzione dal servizio militare, lievi pressioni tributarie, prestigio, relativo s’intende, del regime di autonomia. Ma se la

popolazione è molto sensibile a questi argomenti, lo è altrettanto al sentimento della paura. Per cui pressioni, che effettivamente si esercitano da parte indiana, possono avere effetto determinante.

574 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.2 Vedi D. 533.

575

L’INCARICATO D’AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 179/02. Madrid, 26 gennaio 1950 (perv. il 31).

Lettera segretario Stato americano Dean Acheson a presidente Commissione affari esteri Senato per spiegare ragioni per cui Stati Uniti voteranno a favore ritorno ambasciatori a Madrid, ha provocato, come era logico, viva soddisfazione in questi circoli ufficiali politici ed in pubblica opinione spagnola.

In sostanza Acheson non dice nulla che non fosse, sopratutto recentemente, già noto alle varie Cancellerie.

Ma fatto stesso che posizione Stati Uniti venga pubblicamente proclamata nello stesso momento nel quale viene compiuto verso Franco un atto che è di distensione politica, indica chiaramente che Stati Uniti pongono questo Governo di fronte a sue responsabilità e si attendono da esso nel campo politico e sopratutto in quello economico quei futuri passi (next steps) che solo potranno convertire gesto formale futuro ritorno ambasciatori in benefici concreti di ordine politico ed economico per Spagna.

In attesa che questa evoluzione politica si compia, Acheson chiarisce quanto già avevo segnalato a V.E. molti mesi or sono che eventuali aiuti economici a Spagna non rimangono più subordinati a pregiudiziale politica, ma verranno apprezzati di volta in volta secondo loro merito in relazione a giustificabilità progetti economici per cui contributo americano viene richiesto e possibilità di un ragionevole rimborso del capitale impiegato.

Va rilevata categorica affermazione segretario Stato che Stati Uniti non prevedono però concessione di un prestito di natura politica da utilizzare per pareggio bilancia pagamenti.

Tutto quanto precede conferma informazioni che di volta in volta sono andato trasmettendo a codesto Ministero a seguito miei contatti con ambasciata Stati Uniti in Madrid.

Mi riservo di ritornare più diffusamente su argomento con apposito rapporto.

<
APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(1° luglio - 31 dicembre 1949)

MINISTRO SEGRETARIO DI STATO SFORZA Carlo, senatore della Repubblica.

SOTTOSEGRETARI

BRUSASCA Giuseppe, deputato al Parlamento.

MORO Aldo, deputato al Parlamento.

GABINETTO DEL MINISTRO Capo del Gabinetto: MONDELLO Mario, console di 2ª classe. Vice capo del Gabinetto: N.N. Ufficio del Gabinetto: ORLANDI CONTUCCI Corrado, console di 2ª classe; BARACCHI TUA Lorenzo, addetto consolare, dal 1° dicembre.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL MINISTRO

Capo della Segreteria particolare: CALEF prof. Vittorio.

Segretari particolari: BETTINI Emilio, vice console di 1ª classe, fino al 20 luglio; BAC

CHETTI Fausto, BOLASCO Ernesto, addetti consolari.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL SOTTOSEGRETARIO BRUSASCA Capo della Segreteria particolare: BETTELONI Giovanni Lorenzo, primo segretario di 2ª classe, fino al 3 luglio; THIENE (DI) Gian Giacomo, console di 2ª classe. Segretario: CAGIATI Andrea, addetto consolare.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL SOTTOSEGRETARIO MORO

Capo della Segreteria particolare: POMPEI Gianfranco, console di 2ª classe.

Segretari: FABBRICOTTI Fabrizio, console di 3ª classe, fino al 1° agosto; TAMAGNINI Giulio, addetto consolare.

SEGRETERIA GENERALE

Segretario generale: ZOPPI Vittorio, ministro plenipotenziario di 1ª classe, dal 6 dicembre ambasciatore.

UFFICIO COORDINAMENTO

Capo ufficio: CASTELLANI PASTORIS Vittorio, consigliere di legazione, dal 26 luglio ministro plenipotenziario di 2ª classe; MACCHI DI CELLERE Francesco, consigliere di legazione, dall’8 settembre.

Segretari: TOSCANI MILLO Antonio, PASCUCCI RIGHI Giulio, consoli di 2ª classe; RICCIULLI Pasquale, vice console di 1ª classe, dal 9 novembre console di 3ª classe.

UFFICIO COLONIE E CONFINI

Capo ufficio: CASTELLANI PASTORIS Vittorio, predetto, [fino al 7 settembre]; MACCHI DI CELLERE Francesco, predetto, dall’8 settembre.

Segretari: PAPINI Italo, console di 3ª classe, fino al 22 dicembre; GUILLET Amedeo, vice console di 1ª classe; UNGARO Mario, vice console di 1ª classe, fino al 20 settembre; PIZZUTI Federico, addetto consolare.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Capo del Cerimoniale: TALIANI DE MARCHIO Francesco Maria, ambasciatore.

Vice capo del Cerimoniale: SCOLA CAMERINI Giovanni, consigliere di legazione.

Segretari: PLETTI Mario, primo segretario di legazione di 1ª classe; AMBROSI Giovanni Battista, console di 1ª classe; QUARANTA Ferdinando, vice console di 1ª classe; GUIDI DI BAGNO Ricciardo, vice console di 1ª classe, fino al 15 settembre; CARRARA Enrico, addetto consolare; KOCH Luciano, volontario, dal 1° dicembre.

UFFICIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Capo ufficio: PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale all’Università di Roma.

Segretari: MARESCA Antonio, console di 2ª classe; DE ROSSI Michele Gaetano, vice console di 1ª classe, dal 9 novembre console di 3ª classe; RAFFAELLI Pietro, ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO STAMPA ESTERA

Capo ufficio: FARACE Alessandro, console di 2ª classe, reggente.

Segretari: RICCARDI Roberto, console di 3ª classe; CARDUCCI ARTENISIO Ludovico, SAVORGNAN Emilio, addetti consolari; PATUELLI Raffaello, addetto stampa di 2ª classe.

UFFICIO STUDI E DOCUMENTAZIONE ARCHIVIO STORICO E BIBLIOTECA

Capo ufficio: SCARPA Gino, console generale di 2ª classe, dal 26 luglio console generale di 1ª classe.

Consulente storico: TOSCANO Mario, professore ordinario di Storia dei trattati e politica internazionale all’Università di Cagliari.

Studi e Documentazione

Segretari: VAGNETTI Leonida, ispettore generale per i servizi tecnici, fino al 16 ottobre; FLAMINI Pietro, vice ispettore per i servizi tecnici.

Archivio Storico

Direttore: VIVARELLI Giuseppe.

Incaricato della direzione: MOSCATI Ruggero, direttore di 1ª classe negli Archivi di Stato.

Biblioteca

Bibliotecario: PIRONE Raffaele.

SERVIZIO ECONOMICO TRATTATO

Capo del servizio: CARUSO Casto, ministro plenipotenziario di 2ª classe.

Alle dirette dipendenze del capo servizio: TRABALZA Folco, console di 3ª classe; GALLUPPI Enrico, vice console di 1ª classe, dal 9 novembre console di 3ª classe; PASCARELLI Elio, addetto consolare, dal 4 agosto.

UFFICIO I

Capo ufficio: SPINELLI Pier Pasquale, primo segretario di legazione di 2ª classe.

Segretari: ROSSETTI Romano, vice console di 1ª classe; RESTIVO Antonino, addetto consolare, fino al 4 dicembre; PIGNATTI MORANO Pio Saverio, volontario, dal 1° dicembre.

UFFICIO II

Capo ufficio: ALOISI DE LARDEREL ALLUMIERE Folco, primo segretario di legazione di 2ª classe.

Segretari: CASILLI D’ARAGONA Massimo, vice console di 2ª classe, fino al 9 novembre; BILANCIONI Giulio, addetto consolare.

SERVIZIO AFFARI GENERALI

Capo servizio: CAROSI Mario, console generale di 1ª classe.

UFFICIO I

Trattati e Atti

Capo ufficio: TELESIO DI TORITTO Giuseppe, consigliere di legazione, dal 26 luglio ministro plenipotenziario di 2ª classe.

Segretario: PAOLINI Remo, vice console di 1ª classe, fino al 17 settembre.

UFFICIO II

Organizzazioni internazionali

Capo ufficio: STRANEO Carlo Alberto, primo segretario di legazione di 1ª classe.

Segretario: DE REGE THESAURO DI DONATO E DI SAN RAFFAELE Francesco, console di 3ª classe.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: GUIDOTTI Gastone, ministro plenipotenziario di 2ª classe.

Vice direttori generali: SOARDI DI S. ANTONINO Carlo Andrea, consigliere di legazione, dal 26 luglio ministro plenipotenziario di 2ª classe; CONTI Mario, consigliere di legazione, fino al 3 luglio.

Segretari: COTTAFAVI Antonio, consigliere di legazione; LUCIOLLI Giovanni, console di 2ª classe, fino al 6 settembre; TRABALZA Folco, console di 3ª classe, dal 28 agosto; MARRAS Raffaele, addetto consolare.

UFFICIO I

Impero britannico, Irlanda, Paesi del Medio Oriente, Etiopia

Capo ufficio: ROBERTI Guerino, consigliere di legazione.

Segretari: PIGNATELLI DELLA LEONESSA Luigi, console di 3ª classe; CANCILLA Giuseppe, vice console di 1ª classe.

UFFICIO II

Francia, Spagna, Portogallo, Andorra, Colonie francesi, spagnole e portoghesi

Capo ufficio: RICCIO Luigi, consigliere di legazione, dal 1° luglio.

Segretari: VARVESI Nicola, vice console di 1ª classe; VALFRÉ DI BONZO Paolo, addetto consolare.

UFFICIO III

Stati del continente americano (escluso il Canada)

Capo ufficio: SENSI Federico, console di 2ª classe.

Segretari: CANTONO DI CEVA Stanislao, console di 3ª classe; TEDESCHI Mario, vice console di 1ª classe.

UFFICIO IV

U.R.S.S., Europa danubiana e balcanica, Turchia, Questione del Territorio Libero di Trieste, Commissioni Internazionale ed Europea del Danubio

Capo ufficio: LO FARO Francesco, primo segretario di legazione di 1ª classe.

Segretari: NUTI Giampiero, console di 3ª classe; TONARELLI Mario, vice console di 1ª classe; CAVAGLIERI Alberto, addetto consolare.

UFFICIO V

Austria, Belgio, Cecoslovacchia, Danimarca, Finlandia, Germania, Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Svezia, Svizzera

Capo ufficio: PINNA CABONI Mario, primo segretario di legazione di 2ª classe.

Segretari: SMOQUINA Giorgio, console di 3ª classe, dal 10 luglio console di 2ª classe; BORIN Ottorino, vice console di 1ª classe; PASCARELLI Elio, addetto consolare, fino al 3 agosto.

UFFICIO VI

Cina, Giappone, Siam, Birmania, Filippine, Corea

Capo ufficio: SIMONE Nicola, console di 1ª classe.

Segretario: VINCENTI MARERI Francesco, vice commissario tecnico per l’Oriente di 1ª classe.

UFFICIO VII

Santa Sede, San Marino

Capo ufficio: SOARDI DI S. ANTONINO Carlo Andrea, consigliere di legazione, fino al 3 luglio; SILJ DI S.ANDREA D’USSITA Francesco, consigliere di legazione, dal 4 luglio; CIMINO Carlo, console di 1ª classe, dal 1° settembre.

Segretario: BRIGIDI Giuseppe, console di 2ª classe, fino al 15 settembre.

UFFICIO VIII

Prigionieri di guerra, internati civili, rifugiati, questioni varie

Capo ufficio: BOSIO Giovanni Jack, console generale di 2ª classe.

Segretari: BAISTROCCHI Ettore, primo segretario di legazione di 1ª classe; TIBERI Giorgio, console di 3ª classe, dal 1° dicembre; AGLIETTI Bruno, vice console di 2ª classe.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI

Direttore generale: GRAZZI Umberto, ministro plenipotenziario di 1ª classe.

Direttore generale aggiunto: LANZA D’AJETA Blasco, ministro plenipotenziario di 2ª classe, fino a settembre; VENTURINI Antonio, primo segretario di 1ª classe, dal 7 ottobre consigliere di legazione, dal 16 settembre.

Vice direttore generale: PRATO Eugenio, primo segretario di legazione di 1ª classe, fino al 30 agosto; NOTARANGELI Tommaso, consigliere commerciale di 2ª classe, dal 15 luglio.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: CORTESE Paolo, consigliere, dal 26 luglio ministro plenipotenziario di 2ª classe; TOFFOLO Giovanni Battista, console di 1ª classe, fino al 16 novembre.

UFFICIO I

Questioni generali

Capo ufficio: BRUGNOLI Alberto, primo segretario di legazione di 2ª classe.

Segretari: SORO Diego, ROSSI Mario Franco, consoli di 3ª classe; CRISTILLI Arturo, assistente addetto commerciale di 2ª classe, dal 18 novembre; SERAFINI Marcello, assistente addetto commerciale di 3ª classe in prova, dal 4 ottobre assistente addetto commerciale di 3ª classe.

UFFICIO II

Spagna, Portogallo, Francia, Benelux e relative colonie, Stati Scandinavi, Svizzera, Bizona, Tangeri

Capo ufficio: GABRICI Tristano, primo segretario di legazione di 1ª classe; GUADAGNINI Piero, console di 1ª classe, dal 1° dicembre.

Segretari: BOZZINI Uberto, addetto consolare; CUSANI Giovanni, vice ispettore per i servizi tecnici; SAVINI Paolo, addetto commerciale di 2ª classe; SERTOLI Mario, addetto stampa di 1ª classe.

UFFICIO III

U.R.S.S., Polonia, Cecoslovacchia, Austria, Bulgaria, Finlandia, Grecia, Albania, Jugoslavia, Romania, Turchia, Zona sovietica della Germania

Capo ufficio: NOTARANGELI Tommaso, consigliere commerciale di 2ª classe, fino al 14 luglio; MOSCATO Niccolò, primo segretario di legazione di 1ª classe, dal 16 luglio.

Segretari: CAPECE MINUTOLO DI BUGNANO Alessandro, console di 2ª classe, dal 18 agosto; FRANZÌ Mario, console di 3ª classe, fino al 2 agosto; CANEVARO DI CASTELVARI E ZOAGLI Raffaele, console di 3ª classe; D’ORLANDI Giovanni, vice console di 1ª classe; FAVRETTI Luciano, vice console di 1ª classe, dal 12 dicembre; CASAGRANDI Erberto, assistente addetto commerciale di 2ª classe; TOZZOLI Lorenzo, assistente addetto commerciale di 3ª classe in prova, dal 4 ottobre assistente addetto commerciale di 3ª classe.

UFFICIO IV

Soccorsi americani, Organizzazioni economiche internazionali, Piano Marshall, Questioni connesse con la guerra e con i trattati di pace (salvo la competenza del S.E.T.)

Capo ufficio: MILESI FERRETTI Gian Luigi, console di 2ª classe, dal 1° luglio.

Segretari: COLUCCI Bruno, console di 3ª classe; FAVALE Marco, addetto consolare; GARDINI Walter, volontario, dal 1° dicembre.

UFFICIO V

Gran Bretagna e Possedimenti, Irlanda, Australia, Ceylon, Nuova Zelanda, Sud Africa, India, Pakistan, Arabia Saudita, Egitto, Iraq, Yemen, Siria, Palestina, Transgiordania, Libano, Afghanistan, Iran, Birmania

Capo ufficio: DE LUIGI Pier Giuliano, console di 2ª classe.

Segretari: BACCI DI CAPACI Vittorio, console di 3ª classe, fino al 20 agosto; COTTAFAVI Luigi, addetto consolare; TOTI LOMBARDOZZI Ernesto, assistente addetto commerciale di 2ª classe, dal 19 dicembre.

DIREZIONE GENERALE DELL’EMIGRAZIONE

Direttore generale: VIDAU Luigi, ministro plenipotenziario di 1ª classe.

Vice direttore generale: CASTRONUOVO Manlio, primo segretario di legazione di 1ª classe.

Segretari: TALLI Roberto, vice ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO I

Emigrazione e collettività nei Paesi Bassi, Belgio, Irlanda, Lussemburgo, Francia, Monaco, Spagna, Portogallo, Israele, Siria, Libano, Iraq, Transgiordania, Arabia Saudita, Yemen, Stati e territori dell’Africa non di competenza dell’Ufficio IV

Capo ufficio: MANSI Stefano, console di 2ª classe.

Segretari: GRASSELLI BARNI Gian Luigi, ORSINI BARONI Carlo Andrea, MARA Andrea, vice consoli di 1ª classe; MASSA BERNUCCI Romualdo, vice console di 1ª classe, fino al 31 agosto.

UFFICIO II

Emigrazione e collettività in tutta l’Europa non di competenza dell’Ufficio I, in Turchia e nelle regioni asiatiche dell’U.R.S.S.

Capo ufficio: N.N.

Segretari: CERCHIONE Roberto, console di 3ª classe, fino al 20 settembre; ADORNI BRACCESI Gastone, vice console di 1ª classe; CUSANI Giovanni, vice ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO III

Emigrazione e collettività nel Centro e Sud America

Capo ufficio: DE FERRARI Giovanni Paolo, console di 2ª classe.

Segretari: OLIVIERI Luciano, vice console di 1ª classe; TORNETTA Vincenzo, addetto consolare; TUCCIMEI Tito, ispettore superiore per i servizi tecnici.

UFFICIO IV

Emigrazione e collettività negli Stati Uniti e Alaska, Regno Unito, Gibilterra, Malta, Cipro, Aden, Possedimenti e zone d’amministrazione britannica in Africa, Unione Sudafricana, Canada, Nuova Zelanda, Australia, Isole del Pacifico e Stati dell’Asia non di competenza di altri uffici

Capo ufficio: JEZZI Alberto, console di 3ª classe.

Segretari: PIZZUTI Federico, CORRADINI Giancarlo, addetti consolari; BELLINI Vincenzo, volontario, dal 1° dicembre.

DIREZIONE GENERALE DELLE RELAZIONI CULTURALI

Direttore generale: TALAMO ATENOLFI BRANCACCIO Giuseppe, ministro plenipotenziario di 1ª classe.

Vice direttore generale: ORLANDINI Gustavo, console generale di 2ª classe.

Segretario: STADERINI Ettore, console di 2ª classe, fino al 31 ottobre; LO RUSSO ATTOMA Nicola, addetto stampa di 3ª classe.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: SALLIER DE LA TOUR CORIO Paolo, consigliere di legazione.

UFFICIO I

Affari generali, Accordi culturali, Congressi e mostre internazionali in Italia e all’estero, Libro italiano all’estero, Attività musicali, teatrali e cinematografiche all’estero, Attività all’estero di enti culturali italiani, Viaggi di studio, Questioni inerenti all’organizzazione mondiale della sanità, agli assistenti sociali e agli sports, Turismo e radio, Bollettino di informazioni culturali, U.N.E.S.C.O.

Capo ufficio: MUZI FALCONI Filippo, primo segretario di legazione di 1ª classe, fino al 25 ottobre; DE NOVELLIS Gennaro, primo segretario di legazione di 2ª classe, dal 9 dicembre.

Segretari: FARINACCI Franco, console di 2ª classe; MININNI Marcello, console di 3ª classe; NATALE Fernando, vice console di 1ª classe; CORSI Fernando, ispettore capo per i servizi tecnici; DE MANDATO Mario, addetto stampa di 3ª classe, fino al 10 luglio.

UFFICIO II

Istituti di cultura, Lettorati, Istituti culturali stranieri in Italia, Scambi universitari e borse di studio, Riconoscimento dei titoli di studio e professionali conseguiti all’estero

Capo ufficio: DE GIOVANNI DI SANTA SEVERINA Luigi, console di 2ª classe.

Segretari: DURAZZO Francesco, vice console di 1ª classe, dal 28 novembre; CANNAVINA Paolo, vice console di 2ª classe, dal 9 novembre vice console di 1ª classe; CABALZAR Ferruccio Guido, addetto stampa di 3ª classe, fino al 28 agosto.

UFFICIO III

Scuole secondarie ed elementari all’estero, Studi e consulenza legislativa scolastica, Materiale didattico, Biblioteche, Rapporti con la Fondazione figli degli italiani all’estero e collegi dipendenti

Capo ufficio: MALASPINA DI CARBONARA E DI VOLPEDO Folchetto, primo segretario di legazione di 1ª classe, dal 6 luglio consigliere di legazione.

Segretario: MASOTTI Pier Marcello, vice console di 1ª classe.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE E DELL’AMMINISTRAZIONE INTERNA

Direttore generale: BERIO Alberto, ministro plenipotenziario di 1ª classe.

Vice direttore generale: OTTAVIANI Luigi, ministro plenipotenziario di 2ª classe.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: BIANCONI Alberto, console generale di 1ª classe; LUCIOLLI Giovanni, console di 2ª classe, fino al 6 settembre; GHEZZI MORGALANTI Pietro, vice console di 1ª classe, fino al 5 dicembre; FRANCISCI DI BASCHI Marco, addetto consolare.

UFFICIO I

Personale di gruppo A

Capo ufficio: FERRERO Andrea, primo segretario di 1ª classe.

Segretari: PROFILI Giacomo, console di 2ª classe, fino al 27 novembre; RUSSO Augusto, FRAGNITO Giorgio, consoli di 2ª classe; MACCOTTA Giuseppe Walter, console di 2ª classe, dal 10 dicembre.

UFFICIO II

Personale di gruppo B e C, avventizio, locale, subalterno e salariato

Capo ufficio: SIRCANA Leone, console generale di 2ª classe.

Segretari: ZUGARO Folco, console di 3ª classe.

UFFICIO III

Sedi demaniali e intendenza

Capo ufficio: MONTESI Giuseppe, console generale di 1ª classe.

Segretario: FOSSATI Mario, ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO IV

Servizi amministrativi, Cassa

Capo ufficio: TURCATO Ugo, console generale di 1ª classe; MONTUORI Pietro, console generale di 1ª classe, dal 5 settembre.

Segretari: BERTUCCIOLI Romolo, console generale di 2ª classe; STEFENELLI Ferruccio, console di 1ª classe; BOCCHETTO Domenico, vice console di 1ª classe; CERACCHI Giuseppe, commissario consolare di 1ª classe; BLANDI Silvio, ispettore superiore per i servizi tecnici, fino al 30 dicembre; BARILLARI Michele, ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO V

Corrispondenza, Servizio corrieri diplomatici, Viaggi del personale

Capo ufficio: NATALI Umberto, console generale di 1ª classe, dal 26 luglio ministro plenipotenziario di 1ª classe.

Segretari: CHASTEL Roberto, console di 2ª classe.

UFFICIO VI

Cifra e crittografico

Capo ufficio: ROMIZI Gino, console di 1ª classe, dal 6 luglio console generale di 2ª classe.

Segretari: BERNI CANANI Ugo, console di 2ª classe; CAMPANELLA Francesco Paolo, console di 3ª classe, dal 10 luglio console di 2ª classe, fino al 13 agosto; CRESCINI Adolfo, addetto consolare, dal 24 giugno vice console di 1ª classe; DONDINI Ettore, volontario, dal 1° dicembre; SALLIER DE LA TOUR Carlo, CORTESE Federico, ispettori per i servizi tecnici.

SERVIZIO AFFARI PRIVATI

Capo servizio: LANZARA Giuseppe, console generale di 1ª classe.

Alle dirette dipendenze del capo servizio: SCHININÀ DI S. ELIA Emanuele, console generale di 2ª classe; GUIDA Ugo, console di 1ª classe.

UFFICIO I

Cittadinanza, Diritti di famiglia, Stato civile, Servizio militare

Capo ufficio: FORMICHELLA Giovanni, console di 1ª classe.

Segretario: GRANDINETTI Eugenio, ispettore superiore per i servizi tecnici.

UFFICIO II

Tutela diritti ed interessi patrimoniali, Assistenza consolare, Spedalità e rimpatri, Ricerche e informazioni

Capo ufficio: GIURATO Giovanni, console di 1ª classe.

Segretario: CORDERO DI MONTEZEMOLO Vittorio, vice console di 1ª classe, fino al 15 settembre.

UFFICIO III

Atti tra vivi, Successioni, Assistenza giudiziaria, Estradizione

Capo ufficio: MAURO Sestino, console di 1ª classe, dal 6 luglio console generale di 2ª classe.

Segretario: MANCA Elio, ispettore superiore per i servizi tecnici.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DELLA REPUBBLICA ITALIANA ALL’ESTERO

(1° luglio - 31 dicembre 1949)

AFGHANISTAN

Kabul - CALISSE Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ALBANIA

Tirana - FORMENTINI Omero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 18 settembre; PAOLINI Remo, primo segretario, dal 18 settembre.

ARABIA SAUDITA

Gedda - ZAPPI Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TURCATO Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 30 ottobre; PASQUINELLI Cesare, primo segretario.

ARGENTINA

Buenos Aires - ARPESANI Giustino, ambasciatore; CASARDI Alberico, consigliere; THEODOLI Livio, primo segretario; PLAJA Eugenio, secondo segretario.

AUSTRALIA

Canberra - DEL BALZO DI PRESENZANO Giulio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CIRAOLO Giorgio, primo segretario.

AUSTRIA

Vienna - COSMELLI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE NOVELLIS Gennaro, primo segretario; PROFILI Giacomo, primo segretario, dal 28 novembre; PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA Girolamo, secondo segretario; SEBASTIANI Lucio, terzo segretario.

BELGIO

Bruxelles - DIANA Pasquale, ambasciatore; VENTURINI Antonio, consigliere, fino al 16 settembre; DE FERRARIIS SALZANO Carlo, consigliere, dal 5 novembre; MESSERI Girolamo, primo segretario.

BOLIVIA

La Paz - GIARDINI Renato, consigliere, incaricato d’affari ad interim.

BRASILE

Rio de Janeiro - MARTINI Mario Augusto, ambasciatore; BORGA Guido, ministro consigliere, fino al 14 novembre; BOMBASSEI FRASCANI DE VETTOR Giorgio, primo segretario; SILVESTRELLI Luigi, primo segretario, dal 6 luglio consigliere; MACCOTTA Giuseppe Walter, secondo segretario, fino al 9 dicembre; NARDI Mario, secondo segretario, dal 30 novembre.

BULGARIA

Sofia - GUARNASCHELLI Giovan Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TERRUZZI Giulio, secondo segretario; FUMAROLA DI PORTOSELVAGGIO Angelo Antonio, secondo segretario, dal 5 novembre.

CANADA

Ottawa - DI STEFANO Mario, ambasciatore; MAJOLI Mario, consigliere.

CECOSLOVACCHIA

Praga - VANNI D’ARCHIRAFI Francesco Paolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARCHIORI Carlo, primo segretario; DAINELLI Luca, secondo segretario.

CILE

Santiago - FORNARI Giovanni, ambasciatore; MACCHI DI CELLERE Pio, consigliere; VENTURINI Roberto, primo segretario.

CINA

Nanchino - FENOALTEA Sergio, ambasciatore; CIPPICO Tristram, consigliere; MIZZAN Ezio, primo segretario.

COLOMBIA Bogotà - SECCO SUARDO Dino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

COSTA RICA San José - ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario1.

CUBA

L’Avana - FECIA DI COSSATO Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario2; SANFELICE DI MONTEFORTE Antonio, primo segretario.

1 Residente a Guatemala. 2 Accreditato anche ad Haiti fino al 24 ottobre.

DANIMARCA

Copenaghen - CARISSIMO Agostino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 15 agosto; CONTI Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 6 settembre; PESCATORI Federico, primo segretario.

DOMINICANA (Repubblica)

Ciudad Trujillo - ROSSI LONGHI Gastone, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ECUADOR

Quito - PERRONE DI SAN MARTINO Ettore, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

EGITTO

Il Cairo - FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARCHI Pio Antonio, primo segretario; FIGAROLO DI GROPELLO Adalberto, primo segretario, dal 28 settembre; BIONDI MORRA DI SAN MARTINO Goffredo, secondo segretario.

EL SALVADOR

San Salvador - ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario3.

FILIPPINE

Manila - STRIGARI Vittorio, primo segretario, incaricato d’affari ad interim.

3 Residente a Guatemala.

FINLANDIA

Helsinki - RONCALLI DI MONTORIO Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CONTARINI Giuseppe, primo segretario.

FRANCIA

Parigi - QUARONI Pietro, ambasciatore; GIUSTINIANI Raimondo, consigliere; CAVALLETTI Francesco, primo segretario; DE CLEMENTI Alberto, primo segretario; PIERANTONI Aldo, secondo segretario; MACCAFERRI Franco, terzo segretario; FALCHI Silvio, quarto segretario.

GERMANIA (Repubblica federale di)

Bonn - BABUSCIO RIZZO Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, capo della missione diplomatica presso l’Alta Commissione alleata, dal 3 novembre.

GIAPPONE

Tokyo - REVEDIN DI SAN MARTINO Giovanni, primo segretario, capo della missione diplomatica italiana presso il comando alleato del Pacifico; RUBINO Eugenio, console, vice capo della missione diplomatica.

GRAN BRETAGNA

Londra - GALLARATI SCOTTI Tommaso, ambasciatore; ANZILOTTI Enrico, consigliere; LANZA D’AJETA DI TRABIA Blasco, ministro consigliere, dal 19 settembre; PAVERI FONTANA DI FONTANA PRADOSA Alberto, primo segretario; MONTANARI Franco, secondo segretario; WINSPEARE GUICCIARDI Vittorio, terzo segretario; MANASSEI Alessandro, quarto segretario; CORNAGGIA MEDICI CASTIGLIONI Gherardo, quarto segretario, dal 25 novembre terzo segretario; AILLAUD Enrico, quinto segretario.

GRECIA

Atene - PRINA RICOTTI Sidney, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 16 dicembre; MARIENI Alessandro, primo segretario; VOLPE Arrigo, secondo segretario.

GUATEMALA

Guatemala - ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAPECE MINUTOLO Alessandro, primo segretario, fino all’8 luglio; BASSO AMOLAT Maurizio, primo segretario, dall’8 agosto.

HAITI

Porto Principe - BARBARICH Alberto, primo segretario, incaricato d’affari, dal 24 ottobre4.

HONDURAS

Tegucigalpa - ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario5.

INDIA

New Delhi - CARROBIO DI CARROBIO Renzo, primo segretario, incaricato d’affari ad interim; PRINA RICOTTI Sidney, ambasciatore, dal 17 dicembre.

IRAN

Teheran - ROSSI LONGHI Alberto, ambasciatore; GUASTONE BELCREDI Enrico, primo segretario.

IRAQ

Baghdad - ERRERA Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, GRILLO Remigio Danilo, primo segretario.

4 Da tale data la rappresentanza di Haiti cessa di dipendere da quella di Cuba.5 Residente a Guatemala

IRLANDA

Dublino - BABUSCIO RIZZO Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 2 novembre; BORGA Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 15 novembre; PAULUCCI Mario, primo segretario.

ISRAELE

Tel Aviv - ANZILOTTI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 9 novembre; GASPARINI Carlo, primo segretario, dall’8 ottobre.

JUGOSLAVIA

Belgrado - MARTINO Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TASSONI ESTENSE Alessandro, primo segretario; MOSCA Ugo, secondo segretario; FUMAROLA DI PORTOSELVAGGIO Angelo Antonio, terzo segretario, fino al 4 novembre; CASILLI D’ARAGONA Massimo, terzo segretario, dal 10 novembre.

LIBANO

Beirut - ALESSANDRINI Adolfo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VINCI Piero, primo segretario.

LUSSEMBURGO

Lussemburgo - RAINALDI Andrea, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 28 agosto.

MESSICO

Città del Messico - PETRUCCI Luigi, ambasciatore; D’ACUNZO Benedetto, consigliere, dal 18 ottobre; DE FERRARIIS SALZANO Carlo, primo segretario, fino al 4 novembre.

NICARAGUA

Managua - ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario6.

NORVEGIA

Oslo - RULLI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LUCIOLLI Giovanni, primo segretario, dal 7 settembre.

PAESI BASSI

L’Aja - BOMBIERI Enrico inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARISSIMO Agostino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 25 agosto; ANTINORI Orazio, primo segretario.

PAKISTAN

Karachi - ASSETTATI Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROMANELLI Renzo Luigi, primo segretario, dal 2 luglio.

PANAMA Panama - MARIANI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PARAGUAY

Assunzione - FERRANTE DI RUFFANO Agostino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROTINI Ambrogio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 4 dicembre.

6 Residente a Guatemala.

PERÙ

Lima - CICCONARDI Vincenzo, ambasciatore, fino al 9 agosto; BOMBIERI Enrico, ambasciatore, dal 15 ottobre; SPALAZZI Giorgio, primo segretario.

POLONIA

Varsavia - DE ASTIS Giovanni, ambasciatore; FERRETTI Raffaele, consigliere; DUCCI Roberto, primo segretario, fino al 6 luglio; TORTORICI Pietro Quirino, primo segretario.

PORTOGALLO

Lisbona - DE PAOLIS Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SABETTA Luigi, primo segretario.

ROMANIA

Bucarest - SCAMMACCA Michele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; REGARD Cesare, primo segretario; BELTRANI Alvaro Vito, secondo segretario.

SANTA SEDE

Roma - MELI LUPI DI SORAGNA Antonio, ambasciatore; SILJ DI SANT’ANDREA D’USSITA Francesco, consigliere, fino al 3 luglio; BETTELONI Giovanni Lorenzo, primo segretario, dal 4 luglio; MARINUCCI DE REGUARDATI Costanzo, secondo segretario.

SIAM

Bangkok - BOVO Goffredo, incaricato d’affari.

SIRIA

Damasco - CORTESE Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FIGAROLO DI GROPELLO Adalberto, primo segretario, fino al 27 settembre; DE FRANCHIS Carlo, dal 12 dicembre.

SPAGNA

Madrid - CAPOMAZZA DI CAMPOLATTARO Benedetto, consigliere, incaricato d’affari ad interim; CITTADINI CESI Gian Gaspare, primo segretario; GASPARINI Carlo, secondo segretario, fino al 7 ottobre; BOCCHINI Marcello, secondo segretario, dal 22 ottobre.

STATI UNITI

Washington - TARCHIANI Alberto, ambasciatore; MASCIA Luciano, consigliere con funzioni di osservatore presso l’O.N.U.; LUCIOLLI Mario, consigliere; ORTONA Egidio, primo segretario; BOUNOUS Franco, primo segretario; DELLA CHIESA D’ISASCA Renato, primo segretario, dal 1° settembre; CATALANO DI MELILLI Felice, secondo segretario; VALDETTARO DELLA ROCCHETTA Luigi, secondo segretario, dal 20 settembre; PANSA CEDRONIO Paolo, terzo segretario; GUAZZARONI Cesidio, quarto segretario, dal 21 luglio terzo segretario; BETTINI Emilio, quarto segretario, dal 21 luglio.

SUD AFRICA

Pretoria - JANNELLI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FRANCO Fabrizio, primo segretario.

SVEZIA

Stoccolma - MIGONE Bartolomeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; EMO CAPODILISTA Gabriele, primo segretario.

SVIZZERA

Berna - REALE Egidio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PRUNAS Pasquale, primo segretario; MOROZZO DELLA ROCCA Antonino, secondo segretario; GHEZZI MORGALANTI Pietro, terzo segretario, dal 6 dicembre.

TURCHIA

Ankara - PRUNAS Renato, ambasciatore; CORRIAS Angelino, consigliere; LANZA Michele, primo segretario; MANCA DI VILLAHERMOSA E S. CROCE Enrico, secondo segretario.

UNGHERIA

Budapest - BENZONI DI BALSAMO Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELLIA Franco, primo segretario; CALENDA Carlo, secondo segretario.

U.R.S.S.

Mosca - BROSIO Manlio, ambasciatore; ZAMBONI Guelfo, consigliere; NAVARRINI Guido, primo segretario; LONI Aldo, secondo segretario.

URUGUAY

Montevideo - TACOLI Alfonso, ambasciatore; MOSCATO Niccolò, primo segretario, fino al 14 luglio; SOLARI Pietro, primo segretario.

VENEZUELA

Caracas - CASSINIS Angiolo, ambasciatore; SAVORGNAN Alessandro, primo segretario.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA

(1° luglio - 31 dicembre 1949)1

Afghanistan -OSMAN AMIRI Mohammed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; IBRAHIM Mohammed, primo segretario.

Albania -HAMITI Zenel, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 5 settembre; FEJZO Abaz, consigliere, dal 5 settembre; KOTA Filip, primo segretario, dal 5 settembre; BEQIRI Shemsi, SHEHU Ali, secondi segretari, dal 5 settembre; JOSIFI Nesti, consigliere stampa, dal 5 settembre.

Argentina - OCAMPO GIMENEZ Rafael, ambasciatore; PAULSEN Olinto Alberto, primo consigliere; PELUFFO Antonio R., FERNANDEZ Carlos Alberto, secondi consiglieri; SCELSO Lucio E., consigliere; NEGRE Julio, CASTELLS Luis, PANNO Jorge A., primi segretari; OLIVO GALLO Luis B., secondo segretario; ALVAREZ DE TOLEDO José Maria, PEYLOUBET Enrique Ricardo, OTERO Juan, terzi segretari; COMOLLI Guido, ESPANA Adolfo Raul, consiglieri economici.

Australia -KELLWAY Cedric Vernon, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 24 novembre; GIBSON John A., secondo segretario, dal 24 novembre.

Austria -SCHWARZENBERG Johannes E., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROESSLER Georg, HOLTZ Harald, PROKSCH Johannes, segretari.

Belgio -MOTTE André, ambasciatore; DE RIDDER Frédéric, consigliere; DE ROMRÉE DE VICHENET Henri, consigliere per gli affari economici.

1 Dati tratti da MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI. CERIMONIALE, Ambasciate e legazioni estere in Italia (pubblicazione periodica). Per i titolari di sede la data riportata è quella di presentazione delle lettere credenziali.

Bolivia -SAAVEDRA SUAREZ José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Brasile -N.N., ambasciatore; DUTRA Osorio Hermogeneo, ministro consigliere, incaricato d’affari; TOSTES Teodomiro, primo segretario, dal 9 novembre; GRACIE LAMPREIA João, MOREIRA DE MELLO Mellilo, secondi segretari; DA ROCHA Antonio Xavier, consigliere commerciale.

Bulgaria - TARABANOV Milco Janev, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DIMITROV Christo Gheorghiev, primo segretario; BELTCHEV Ivan, NEDEV Jordan, terzi segretari.

Canada - DESY Jean, ambasciatore; LE MESURIER CARTER Thomas, secondo segretario; BEAULNE Yvon, terzo segretario, dal 4 novembre; WILLIAMSON Kennet Bryce, terzo segretario, dal 17 novembre.

Cecoslovacchia - MATOUSEK Miloslav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PACÁK Milos, consigliere; RUPRICH Josef, primo segretario; WERNER Bohumil, terzo segretario.

Cile -ARANCIBIA LASO Hector, ambasciatore; ROSENDE Alfredo, ambasciatore, dal 24 novembre; MAZA Armando, ministro consigliere; SILVA Abelardo, ministro consigliere, dal 1° settembre; SANTANDREU Hernan, primo segretario; LAGOS CARMONA Guillermo, segretario; BOLLO ARAVENA Goffredo, terzo segretario, dal 7 dicembre.

Cina - YÜ TSUNE-CHI, ambasciatore; KAO SHANG-CHUNG, consigliere; CHANG CHIAYUNG, YEN YOUNG SON, secondi segretari; KI TCHE JEN, terzo segretario; TCHOU YIN, consigliere giuridico.

Colombia -URIBE MISAS Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAMACHO MONTOYA Guillermo, primo segretario; LOZÀNO Alvaro Ortiz, primo segretario, dal 26 luglio; CARDONA JARAMILLO Alberto, VARELA Hector Fabio, secondi segretari.

Cuba -DE BLANCK Guillermo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Danimarca - MOHR Otto Carl, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BULL Tage, ministro consigliere.

Dominicana (Repubblica) - RUBIROSA Porfirio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RODRIGUEZ DEMORIZI Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 16 dicembre; ALMANZAR Jose Henriquez, PARRA DE LOS REYES Juan, primi segretari.

Ecuador - JACOME Rodrigo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARTETA Carlos Alberto, consigliere; VELA-BARONA Gonzalo, secondo segretario, dall’11 febbraio.

Egitto -RAHMAN HAKKI BEY Abdul, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Mohamed Abdel Aziz BADR BEY, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 31 dicembre; Hassan CHAFIK BEY, primo segretario; GHALI Ibrahim Amin, secondo segretario; FAHIM Amin Mohamed, SOUKA Amin Mohamed, terzi segretari; CHEDID Mohamed Mohamed, segretario commerciale.

Filippine - SEBASTIAN Proceso E., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MALOLES Octavio L., primo segretario; IBANEZ Melquiades, secondo segretario.

Finlandia - HOLMA Harri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AHTILUOTO Lauri, segretario.

Francia - FOUQUES-DUPARC Jacques, ambasciatore; DE COURCEL Geoffroy, primo consigliere; SEBILLEAU Pierre, secondo consigliere; TORRES Charles, primo segretario; FOURIER-RUELLE René, secondo segretario; HUGUES Jean, consigliere commerciale; VIEILLEFOND René, consigliere culturale; DE SEGUIN Jean, ministro plenipotenziario, consulente per i beni dissequestrati.

Gran Bretagna - MALLET Victor A. L., ambasciatore; WARD J.G., BRAINE W.H., consiglieri; WILLIAMS M.S., REEVES J.P., PILCHER Y., HANNAFORD G.G., MCEWEN I.H.P., ADAMS M.C., TOOBY F.W., VERSCHOYLE D.H., DANIELL R.A., STEWART C.C.B., primi segretari; MOORE A.R., BOYD J.G., SILVERWOOD -COPE C.L., HOWARD E.B.C., HENDERSON C.H., MAXWELL W.N.R., TATE O.J., TROUNSON A.D., BUSHELL J.C.W., BENDALL D.V., GLOVER T.W., CREMONA S., secondi segretari; REDDAWAY G.F.N., secondo segretario, dall’11 novembre; ADAMS F.G., ROLO C.F., ISOLANI C.T., CHARLES D.F.N., terzi segretari; HIGGS A.E., terzo segretario, dal 25 novembre; EMPSON C., ministro commerciale.

Grecia - CAPSALIS Dimitri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VATIKIOTTY Constantin, ministro consigliere; HIMARIOS Constantin, primo segretario.

Guatemala - ARRIOLA Jorge Luis, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SOLARES Enrique, primo segretario.

Haiti - SAM Max D., segretario, incaricato d’affari; BRUTUS Edner, consigliere, incaricato d’affari, dal 2 luglio.

India - RAM LAL Diwan, ambasciatore, dal 24 settembre; MANI Rangiah Subra, incaricato d’affari; SHAH J.A., primo segretario, dal 10 agosto; BAHADUR Maharaj Rana Herishchandra, secondo segretario.

Iran - PAKREVAN Fathoullah, ambasciatore; DJEM Mahmoud, ambasciatore, dal 20 ottobre; ACHTARI Ibrahim, consigliere; ADLE TABATABAI Morteza, secondo segretario; SALAHI Mohamed, terzo segretario.

Irlanda - MACWHITE Michael, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; O’BYRNE Patrick Joseph, segretario; MACWHITE Eoin, secondo segretario, dal 21 dicembre.

Islanda - BENEDIKTSSON Petur, inviato straordinario e ministro plenipotenziario2.

Israele - GINOSSAR Shlomo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 13 luglio; KADURY Benzion, consigliere, dal 13 luglio; ORON Arie, primo segretario, dal 31 agosto; GINTHON Reuven G., consigliere commerciale, dal 13 luglio.

Jugoslavia - IVEKOVIC Mladen, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; IVANCEVIC Rafo, ministro plenipotenziario consulente per le restituzioni; JOVANO

2 Residente a Parigi.

VIC Milos, consigliere; LAPCEVIC Dean, consigliere, dal 2 novembre; STANIC Bozidar, primo segretario; MANDIC Nikola, VELJACIC Cedomil, secondi segretari; MILIKOVIC Jgnjat, secondo segretario, dal 15 luglio; KUIS Petar, secondo segretario, dal 10 novembre; RUBINJONI Branko, terzo segretario; SEKULIC Djordje, terzo segretario, dal 22 dicembre; BABIC Zvonimir, consigliere commerciale; DEFRANCESKI Josip, consigliere stampa.

Libano - KHOURY Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BANNA Mahmoud, primo segretario.

Messico - OJEDA Carlos Dario, ambasciatore; GARZA RAMOS Mario, primo segretario; DE LA VEGA Jorge, secondo segretario, dal 20 agosto; LARIS CASILLAS José Luis, terzo segretario; RUIZ G. Wulfrano, consigliere commerciale3.

Monaco -DE WITASSE Pierre, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia - FAY Hans, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BENTZON Sigurd, ministro consigliere; MOLTKE-HANSEN Axel Ivar Lucien, primo segretario.

Paesi Bassi -DE BYLANDT Willem, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE LYNDEN R.B., primo segretario; DE WAAL H.W.R., segretario commerciale; VAN WALEN Willem, secondo segretario commerciale.

Panama - MORALES Juan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VALLARINO Rafael, segretario.

Paraguay - LO FRUSCIO Silvio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Perù - FLORES Luis A., ambasciatore; LANATA COUDY Luis F., ministro consigliere; CERRO CEBRIAN Vicente, ministro consigliere; GONZALES DITTONI Enrique, secondo segretario; LASARTE FERREYROS Luis, MORELLI PANDO Jorge, terzi segretari; MACHIAVELLO Palmiro, ministro plenipotenziario, addetto speciale per l’immigrazione.

3 Residente a Parigi.

Polonia - OSTROWSKI Adam, ambasciatore; MARKOWSKI Eugeniusz, primo segretario; PIEKAREC Wincenty, consigliere commerciale; BRUSS Jan, consigliere commerciale, dal 1° agosto; MORAWINSKI Jan, consigliere culturale, dal 1° ottobre.

Portogallo -DE CALHEIROS E MENEZES Francisco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BACELAR MACHADO Eduardo Alberto, primo segretario.

Romania - CIOROIU Nicolae, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DRAGOMIRESCU Mihail, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 13 luglio; LEVIN Mihai, ministro consigliere; MARCEL Gerard, primo segretario, consigliere commerciale; DINULESCU Nicolae, consigliere stampa.

Santa Sede - BORGONGINI DUCA Francesco, arcivescovo titolare di Eraclea, nunzio apostolico; RIGHI LAMBERTINI Egano, uditore; CHERUBINI Francesco, uditore, dal 1° novembre; CAGNA Mario, segretario.

Spagna -DE SANGRONIZ Y CASTRO José Antonio, ambasciatore; DE RANERO Y RODRIGUEZ Juan Felipe, ministro consigliere; ALCOVER Y SUREDA José Felipe, consigliere; PONCE DE LEON Mario, BARNACH-CALBO’ Y GINESTA Ernesto, primi segretari; GONZALES-CAMPO DAL RE José Carlos, MUNOZ SECA Y DE ARIZA Alfonso, secondi segretari; BARROSO Manuel, secondo segretario, dal 10 ottobre; SCHWARTZ Y DIAZ FLORES Juan, consigliere per gli affari economici.

Stati Uniti - DUNN James Clement, ambasciatore; BYINGTON Homer M. jr., ministro consigliere; WALMSLEY Walter N. jr., consigliere per gli affari economici; PAGE Edward jr., consigliere; ANDERSON Orville C., COTTAM Howard R., BLACK Myron L., HORSEY Outerbridge, BLAKE M. Williams, primi segretari; MEIN John Gordon, SNYDER Byron B., HAMMOND B. Miles, GIBSON William G., MCFADDEN William A., KNIGHT William E., PAPPANO Albert E., RICE Maurice S., secondi segretari; LEONHART William K., NADELMAN E. Jan, secondi segretari, dal 16 agosto; BENTLEY Alvin M., secondo segretario, dal 30 agosto; HUMES Elizabeth, secondo segretario, dal 27 ottobre; HIGDON Charles E., secondo segretario, dal 19 novembre; FIDEL E. Allen, MIRICK Susannah, BRAND Robert A., LOORAM Matthew J. jr., terzi segretari.

Sud Africa (Unione del) - THERON François Henri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KIRSTEN Robert, primo segretario; VILJOEN A.J.F., secondo segretario; DE VILLIERS I.F.A., MARÈ A.S., terzi segretari; LAMBOOY Bartholomeus, segretario commerciale; HANRETTE Wilfred E., segretario commerciale aggiunto.

Svezia - GÜNTHER Christian, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRÖNWALL Tage Holm Fredrik, consigliere; FAGRAEUS Gunnar, segretario.

Svizzera -DE WECK René, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PARODI André, DE RHAM Jean-Guy, consiglieri; SULZER Robert, primo segretario; JANNER Antonino, DESLEX Edmond Robert, secondi segretari.

Turchia - BAYDUR Huseyin Ragip, ambasciatore; TEBELEN Mennan, consigliere; YOLGA Namik, TUNALIGIL Danis, primi segretari; BORAVALI Mustafà, primo segretario, dal 6 dicembre; TULUY Turan, secondo segretario; ÖZKOL Mazhar, consigliere commerciale.

Ungheria - TOLNAY Gabor, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SZEKERES Georges, CZINK Anthal, consiglieri; MAGORI-VARGA Erzsebet, LACZKOVICS Miklos, segretari; MÀLYI Vilmos, segretario, dall’11 novembre.

U.R.S.S. - KOSTYLEV Mikhail, ambasciatore; MARTYNOV Ivan, TCHERKASSOV Mikhail, consiglieri; GORCHKOV Nikholai, DOULIAN Gaik, primi segretari; MEDVEDOVSKI Pavel, primo segretario, dal 25 ottobre; PRIVALOV Petr, BOJANOV Alexandre, ROGOV Mikhail, NIKOULINE Ivan, POKROVSKI Alexei, secondi segretari; BOGUEMSKI Gueorgui, BONDARENKO Sviatoslav, terzi segretari; KAMENSKII Vassili, rappresentante commerciale; SNEJKO Ivan, sostituto rappresentante commerciale; SALIMOVSKI Vladimir, vice rappresentante commerciale; VICHNIAKOV Serguei, vice rappresentante commerciale, dal 13 ottobre.

Uruguay - GIAMBRUNO Cyro, ambasciatore; HERRERA-MENDEZ Horacio, AVEGNO ILLA Emilio J., segretari.

Venezuela - GIL-FORTOUL Henrique, ambasciatore; ARAUJO Romulo, consigliere; PERAZZO Nicolàs, consigliere, dal 14 dicembre; VILLANUEVA Manuel, primo segretario.